La Cina vuole dire stop all'utilizzo delle armi nucleari. La posizione del Dragone è stata ufficializzata dall'ambasciatore cinese per il disarmo, Wang Qun, durante il primo consiglio della 66° Assemblea generale delle Nazioni Unite, tenutosi venerdì scorso a New York. Wang - come riportato dall'agenzia di stampa cinese Xinhua - ha invitato la comunità internazionale a realizzare un piano a lungo termine articolato in fasi ben definite al fine di assicurare il disarmo nucleare totale, requisito essenziale per la stabilità strategica e la sicurezza globale. Punti particolarmente cruciali per Pechino sono la questione nucleare della penisola coreana e dell'Iran, in ragione delle quali l'amabasciatore cinese ha avanzato la richiesta di riattivare anticipatamente i Colloqui a sei giunti ad una situazione di stallo per ragioni politiche. La Conferenza sul Disarmo dell'ONU si prefigura come forum privilegiato per concludere la negozziazione di un Tratto di Non-Proliferazione Nucleare, attraverso la partecipazione di tutte le parti interessate.
La cooperazione tra Cina, Russia, Stati Uniti, Corea del Nord, Corea del Sud e Giappone vide il suo inizio nel 2003, quando gli Stati membri diedero il via ad una serie di colloqui volti ad arrestare la corsa all'atomica di Pyongyang, in cambio di sussidi economici e investimenti. Poi la ripresa di esperimenti missilistici e nucleari da parte del governo di Kim Jong-Il hanno interrotto le trattative. Ma sebbene la Corea diserti i colloqui dall'aprile 2009, i toni dell'ultima trasferta newyorkese del viceministro degli Esteri nordcoreano - durante la quale Pyongyang ha dato la sua piena disponibilità a migliorare i rapporti bilaterali e a riprendere la cooperazione a sei - fanno ben sperare nell'inizio di una graduale fase di disgelo. Ma gli addetti ai lavori mettono in guardia da facili ottimismi: troppi gli interessi in sospeso e le dinamiche intessute intorno al quadrilatero Cina-USA-Iran-Corea del Nord.
Alcuni documenti rilasciati da Wikileaks, e pubblicati dal New York Times il 24 febbraio dello scorso anno, avevano messo a nudo il timore dell'itelligence americana riguardo all' avveuta acquisizione da parte dell'Iran di testate missilistiche in grado di colpire l'Europa; si sarebbe trattato di 19 missili modello BM-25, dati “in dono” dalla Corea del Nord e in grado di trasportare testate nucleari fino a 3mila chilometri di distanza, minacciando così diverse città europee. D'altra parte in passato Pyongyang aveva già contribuito al potenziamento dell'apparato militare di Teheran attraverso il network del pakistano A.Q Khan, “benefattore” anche di Libia e Siria.
Ed ecco entrare in scena il quarto elemento, Pechino, al quale - secondo alcuni documenti risalenti al 2007 comparsi sul Guardian - gli Stati Uniti avrebbero più volte chiesto di intervenire nella questione iraniana in veste di conciliatore, senza, tuttavia, ottenere una risposta concreta. Nel dettaglio, Washington lamentava spedizioni di missili dalla Corea del Nord, che via Pechino venivano imbarcati sull'Iran Air, per giungere infine in territorio iraniano. Altre fonti del 2008 confermano le inefficaci pressioni esercitate dal governo americano sulla Cina per arrestare lo scambio di tecnologie militari tra Pyongyang e Teheran.
Poi una serie di scambi telegrafici tra Zhongnanhai e la Casa Bianca, avvenuti tra il marzo e il dicembre 2009, testimoniano ancora una volta l'importanza attribuita alla Cina come mediatrice nei rapporti con la repubblica islamica: Wang Jiarui, direttore del dipartimento Affari Internazionali del Partito Comunista Cinese, assicurato che il programma nucleare di Teheran non perseguiva fini militari, sottolineò come il blocco totale dell'arricchimento dell'uranio costituisse per l'Iran un presupposto inaccettabile, mettendo così a repentaglio l'avvio dei negoziati. D'altra parte la cautela adottata dal Dragone nella questione iraniana è tutt'altro che immotivata; Theran infatti rappresenta il terzo fornitore di greggio del Regno di Mezzo dopo Arabia Saudita ed Angola, con una media di 540mila barili al giorno soltanto nei primi sei mesi dell'anno, più del 10% dei 5,1 barili giornalieri importati dalla Cina.
Ugualmente, anche sul versante nordcoreano, Pechino ha rivestito un ruolo centrale nel conciliare le posizioni dei Paesi coinvolti nei six-party talks, in particolare quando nel 2006, in seguito alla realizzazione del primo esperimento atomico di Pyongyang, l'ONU decise di rafforzare le sanzioni economiche e militari ai danni dell'interlocutore coreano. Al tempo fu proprio la diplomazia cinese a salvare i rapporti tra i sei Stati, guadagnandosi il plauso dell'allora presidente americano George W. Bush. Il 30 settembre 2007 la Corea del Nord si impegnò a neutralizzare l'intero arsenale nucleare entro la fine dell'anno, mentre Washington da parte sua ricambiò, cancellando Pyongyang dalla lista degli “Stati canaglia”. Tuttavia, a causa del mancato rispetto delle scadenze previste da parte dello “Stato Eremita” (prima dicembre 2007 e in seconda battuta febbraio 2008), lo smantellamento dell'arsenale nucleare si trova ancora in una fase di stallo. Il Dragone, che in pratica è l'unico alleato di Kim Jong-Il - secondo alcuni cable di Wikileaks - avrebbe consigliato agli USA di impegnarsi formalmente a non rovesciare il regime nordcoreano in modo da ammansire il “caro leader”, rendendolo così meglio disposto a sedere al tavolo delle trattative.
E se negli anni '90 l'attività nucleare della Corea del Nord preoccupava il Regno di Mezzo esclusivamente dal un punto vista della sicurezza nazionale, adesso la questione ha assunto più sfaccettature, andando ad abbracciare anche la sfera geopolitica ed economica. Pericolo numero uno per Pechino, il crollo del regime di Pyongyang, il quale comporterebbe l'afflusso alle frontiere di milioni di profughi nordocreani, con conseguente rischio dell'intervento statunitense, in nome dell'alleanza tra Washington e Seul.
Per quanto riguarda invece il versante economico, basti pensare che un centinaio di industrie minerarie, siderurgiche e portuali cinesi hanno già investito in Corea e che, dal 2005 a questa parte, i due "vicini naturali" sono impeganti in esplorazioni congiunte per verificare la presenza di pozzi petroliferi nel Mar Giallo. Appare piuttosto evidente che in questo contesto la deneuclarizzazione della Corea del Nord diventa un requisito indispensabile per assicurare la pace e la stabilità della regione, obiettivo che la Cina, in qualità di peace maker dell'area, sta cercando di raggiungere mettendo in atto tutta la sua abilità diplomatica.
Ed è così che i Colloqui a sei si trasformano da piattaforma multilaterale di dialogo a vera e propria organizzazione regionale, trampolino di lancio per gli interessi economici dell'ex-Impero Celeste. In quest'ottica, dunque, la fretta manifestata dal Dragone durante il forum di venerdì scorso sembrerebbe essere più che giustificata.
A.C
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