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La querelle tra Google e Pechino cominciata ufficilmente nel 2010, aveva mostrato le sue prime avvisaglie già nel 2009. A portare alla luce le dinamiche della controversia un cable pubblicato da Wikileaks che, omettendo le fonti, parlava di “disturbi” all'attività di Google da parte del governo cinese già durante tutto il 2009. Una guerra che, culminata con l'allontanamento del motore di ricerca americano dalla Cina continentale, sembra essere giunta ad un armistizio.
Ma la cesoia di Pechino continua ad abbattersi implacabile sui siti e i social network più popolari al di fuori dei confini dell'Impero di Mezzo: You Tube, Facebook e Twitter sono tutti vittima della censura cinese, mentre le compagnie nazionali, con in testa Baidu, sono le vere leader del mercato domestico. Secondo le stime di Analysys, società di ricerca con sede a Pechino, dopo la scelta di dirottare i propri utenti sul sito senza filtri google.com.hk , le quote dei ricavi dell'azienda americana sono crollate dal 35% al di sotto della soglia del 20%.
E, intanto, non è passato inosservato ai più come l'accordo con Google sia giunto a meno di due settimane dall'entrata in vigore di una serie di normative che sembrano minacciare la struttura legale di molte società di Internet straniere e cinesi quotate all'estero. Pechino avrà il diritto di revisione nell'acquisizione di aziende nazionali effettuate da investitori stranieri- come cita il regolamento- “per implicazioni di sicurezza nazionale”, mentre agli investitori stranieri non sarà possibile evitare la suddetta revisione con espedienti quali la stipula di contratti volti a dar loro il controllo su una società nazionale. In realtà non è ben chiaro in quale modo la normativa interesserà il settore, ma gli esperti avvertono che di fatto darà al governo cinese maggior potere discrezionale in un ambito già fortemente a rischio regolatorio; e il passato burrascoso di Google in Cina lo rende una preda particolarmente appetibile.
(A.C)
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