I cittadini cinesi sono chiamati alle urne; un evento che si ripete ogni tre o cinque anni, a seconda del luogo, al fine di eleggere i Renmin Daibiao, ovvero i delegati delle assemblee popolari delle unità rappresentative di base. In altre parole, nel corso dei prossimi mesi l'elettorato dei villaggi e dei distretti urbani di tutto il Paese procederà alla nomina dei rappresentanti delle assemblee popolari locali, il livello più basso del sistema parlamentare cinese, nonché l'unico sul quale il popolo può esporre il proprio giudizio. Un sistema che esiste dagli anni 80" e che sulla carta permette la candidatura a qualsiasi persona abbia un minimo di 10 elettori, ma che in pratica è sottoposto allo stretto controllo del PCC (Partito comunista cinese) e assorbito in un sistema politico basato sulla cooptazione dall'alto. La lista dei candidati deve essere infatti vagliata e approvata dai membri del Partito di pari livello ai quali spetta l'ultima parola. Insomma, una sorta di contentino per mettere a tacere chi spinge verso un'apertura democratica, ma di fatto una conferma dell'autoritarismo gerarchico che vige nel sistema cinese.
Eppure, se fin dalla nascita di queste elezioni popolari - nonostante l'opposizione dei vertici- vi è sempre stato il tentativo di avanzata di candidati indipendenti, quest'anno Zhongnanhai si è trovato a dover tenere testa a più di 100 nuovi sfidanti. Galeotto fu il internet e il tanto temuto Weibo, il Twitter cinese, che si è trasformato nel veicolo di propaganda per eccellenza degli "indipendenti". Caso esemplare è quello di Li Chengping, giornalista e blogger noto per la sua serrata critica sociale, il quale vanta sul proprio microblog più di tre milioni di seguaci. Nativo di Chengdu, nella provincia del Sichuan, Li avanza un programma di riforme piuttosto soft, proponendo una maggior sicurezza degli autobus scolastici, assistenza agli anziani e sussidi per i neolaureati. "Dietro alla mia candidatura non si celano velleità di ribellione verso il governo, sarebbe un atteggiamento veramente ingenuo", ha dichiarato il blogger che, per evitare guai con le forze dell'ordine, ha rifiutato ogni tipo di donazione e si è dichiarato pronto a fronteggiare l'insorgere di qualsiasi manifestazioni di piazza.
Nulla di pericolosamente sovversivo insomma, ma il governo cinese non sembra di questo parere. Il 30 maggio scorso, il Global Times, quotidiano filogovernativo in lingua inglese, commentava con queste parole il crescente desiderio di partecipazione dei cittadini: "lo scarto negli ideali tra diversi gruppi di pensiero nella società cinese è cresciuto in questi ultimi anni. La partecipazione di candidati indipendenti potrebbe accelerare questo processo, recando ancora più turbolenza, minacciando la coesione della nazione… sollecitando il voto attraverso internet, potrebbero distruggere il sistema, ponendo una sfida proprio in un momento cruciale per la scena politica cinese… il sistema politico cinese ha mostrato flessibilità verso le differenti opinioni insistendo sui cambiamenti interni al posto di riforme dall’esterno. Per quanto riguarda i candidati indipendenti, essi dovrebbero integrare i loro sforzi personali con l’andamento generale delle riforme politiche della Cina".
D'altra parte il Partito si è fatto i suoi conti in tasca, e facendo buon viso a cattivo gioco, continua a tollerare le elezioni popolari in quanto strategica valvola di sicurezza sociale. "La gente ha bisogno di sfogare le proprie insoddisfazioni, e certamente è meglio che lo faccia andando a votare, piuttosto che innescando movimenti di protesta", ha commentato Tang Wenfang, professore di scienze politiche presso l'università dell'Ohio.
Ma la libertà di movimento per gli "indipendenti" resta comunque molto limitata: lo scorso 22 settembre una decina di poliziotti in divisa ha impedito lo svolgimento di un comizio organizzato da alcuni candidati, mentre Liu Ping - ex operaia di 47anni che era stata costretta al pensionamento per aver protestato contro le demolizioni forzate - presentata la sua candidatura per l'assemblea di distretto, è stata oggetto di intimidazioni e perquisizioni, per essere poi infine estromessa dalla lista a causa di imprecisate motivazioni legali. Una battaglia contro i mulini a vento quella degli "indipendenti", che tuttavia lascia sperare in un cambiamento, seppur a lungo termine. "Anche se soltanto uno di noi verrà eletto", ha affermato Li Chengping, "questo sarà comunque un primo passo avanti".
di Alessandra Colarizi
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Ciao Alessandra, "e pur si muove"! Tutto sommato, uno sviluppo positivo versa una qualche forma di democratizzazione, giusto?
RispondiEliminaAlessio
Ciao Alessio, scusami ma mi sono accorta solo ora che la mia risposta non era stata pubblicata. Al tempo ti avevo scritto che ero molto scettica sulle reali intenzioni del governo cinese. Ora che alcuni indipendentisti hanno vinto nel Guandong, dovrei dare ragione alla tua visione ottimistica, eppure continuo a pensare che questa parvenza di apertura non sia altro che lo "zuccherino" che serve per farli stare buoni. Pensa al fenomeno della censura su internet, al fatto che la democrazia non è un argomento trattabile liberamente nemmeno dal primo ministro, e pensa che se il Partito lasciasse un margine di libertà andrebbe incontro a notevoli rischi...quando si comincia ad avere un po' poi si vuole sempre di più. D'altra parte, come ho scritto nell'ultimo post, non è nemmeno ben chiaro se i cittadini cinesi siano del tutto consapevoli di ciò che subiscono: sono sempre stati abituati ad essere sottomessi, prima ad un imperatore poi ad un unico Partito...
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