giovedì 29 settembre 2016

Rassegna: Dispacci dalla Silk Road Economic Belt



Il volume degli scambi in renminbi avvenuti nei paesi coperti dal progetto One Belt One Road contano il 20 per cento del totale dei pagamenti in valuta cinese. (CCFG)

L'antico sistema di irrigazione (karez) per cui Turpan, la città del Xinjiang, è nota è a corto d'acqua. Colpa delle estrazioni petrolifere e dell'agricoltura su scala industriale. Nel 1950 il sistema impiegava circa 1800 operai, ora solo 200. La fine del sistema è una tradizione culturale uigura che ha gravi implicazioni economiche. Un tempo i coltivatori potevano attingere alle condotte gratis, ora si trovano costretti a comprare l'acqua dal governo cinese. (New York Times)

Lo scorso anno gli investimenti cinesi nei paesi della OBOR hanno raggiunto i 18,93 miliardi di dollari, pari al 13 per cento del totale degli investimenti diretti esteri -che nel 2015 hanno chiuso a quota 145,67 miliardi superando per la prima volta gli ODI in entrata (135,6 miliardi). (Xinhua)

Il commercio tra la Cina e la OBOR ha superato i 600 miliardi di dollari nel periodo gennaio-agosto, pari al 26 per cento del volume del commercio estero cinese. Lo ha dichiarato il viceministro del Commercio durante un forum sulla nuova via della seta tenutosi a Xi'an. Le compagnie cinesi hanno inoltre stabilito circa 50 zone economiche e di cooperazione commerciale nei paesi dell'OBOR, creando 900 milioni di dollari di gettito fiscale e circa 70mila posti di lavoro. (Xinhua)

Le storiche frizioni tra India e Pakistan mettono a repentaglio il CPEC, il progetto estero in cui Pechino sta investendo di più in assoluto e che passa per il Kashmir pakistano, ritenuto d Delhi roba sua. Si consideri che 460 milioni di dollari, pari all'1 per cento del totale,  è stato stanziato per mantenere la sicurezza nella turbolenta regione pakistana del Baluchistan, con due guardie per ogni lavoratore cinese. Come ricompensa per gli attacchi avvenuti negli ultimi anni nel Kashmir, ora il governo di Modi sta soffiando sul fuoco del separatismo mostrando il proprio appoggio ai ribelli baluchi - al leader dei quali Delhi ha offerto asilo politico. (SCMP)

Nuova via della seta nei Balcani. Il report del Torino World Affairs Institute (Twai)

Lo scorso aprile l'ufficio internazionale del comitato centrale del Pcc ha dato il via alla OBOR Think Tank Cooperation Alliance, cordata che raggruppa circa 60 istituti di ricerca ufficiali e non. L'Alleanza nasce in seguito agli appelli con cui il presidente Xi Jinping un ano fa ha auspiacto la formazione di "think tank con caratteristiche cinesi". (SCMP)

Pechino aiuterà Dushambe a costruire e finanziare undici avamposti militari e un centro d'addestramento lungo il confine tra il Tajikistan e l'Afghanistan, in prossimità del quale non di rado le autorità tagiche si trovano a dover fronteggiare trafficanti di droga e di armi (Reuters)

Negli ultimi dieci anni la Cina ha investito in Kazakistan 13 miliardi di dollari, diventando il quinto investitore del paese. (KazakhTv)

Esiste un accordo di alto livello tra Astana e Pechino per aumentare la capacità del gasdotto Kazakistan-Cina. La compagnia petrolifera cinese CNPC detiene una partecipazione dell'8,4% nel giacimento di Kashagan e ha il diritto di inviare parte del petrolio in Cina nell'ambito di un accordo di ripartizione della produzione. (New Europe)

La Shandong Gold Mining Co. si è imposta come principale offerente per l'acquisto della miniera di oro kazaka gestita dalla società anglo-svizzera Glencore Plc. La vendita di asset è finalizzata a ripianare il debito contratto dall'azienda, pari a 23,6 miliardi di dollari alla fine di giugno. (Bloomberg


sabato 24 settembre 2016

Cina e Usa colpiscono business nordcoreano: indagato società cinese


                                         

Mentre si attendono nuove sanzioni internazionali in risposta al quinto test nucleare nordcoreano, Pechino e Washington promettono di rafforzare la cooperazione all'interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con l'obiettivo di raggiungere la denuclearizzazione della penisola coreana. È quanto emerge dal comunicato rilasciato al termine del bilaterale tra il presidente americano Barack Obama e il premier cinese Li Keqiang a margine dell'annuale Assemblea generale dell'Onu.

Non è certo la prima volta che le due potenze mondiali sventolano un'intesa granitica sul dossier nordcoreano, salvo poi riscontrare frizioni nelle modalità con cui effettuare il pressing diplomatico: dalla ritrosia di Washington riguardo una ripresa del dialogo con Pyongyang in assenza di una rinuncia concreta al programma nucleare, al dispiegamento a sud del 38esimo parallelo del sistema antimissile Thaad osteggiato da Pechino, passando per la reticenza dimostrata dal governo cinese davanti all'ipotesi di scaricare in toto - non solo politicamente ma anche economicamente- il vecchio alleato. Il che equivarrebbe ad assumersi i rischi di una Corea del Nord al collasso, con conseguente possibile alluvione di sfollati da oltreconfine e soldati americani alle porte - 30mila quelli ancora in Corea del Sud.

Nonostante all'indomani del penultimo esperimento atomico (quello di gennaio) Pechino abbia avvallato l'introduzione di nuove sanzioni, c'è chi ritiene che i controlli necessari a verificarne l'attuazione siano eccessivamente rilassati», specie lungo la porosa frontiera sino-coreana . Una disattenzione che vale miliardi di dollari, considerato che il gigante asiatico conta ancora per il 90 per cento del commercio estero di Pyongyang.

Stavolta, tuttavia, i buoni propositi potrebbero non rimanere lettera morta. Secondo un'inchiesta delWall Street Journal, Washington e Pechino stanno lavorando in tandem per colpire una società cinese sospettata di condurre attività illecite a vantaggio del regime nordcoreano.

Si tratta della Dandong Hongxiang Industrial Development Company Ltd., azienda fondata nel 2000 dalla 44enne Ma Xiaohong nella città nordorientale di Dandong, lungo il confine sino-coreano, rimarcato dall'argine del fiume Yalu. Poi espansa fino a diventare una conglomerata, la Liaoning Hongxiang Industrial Group, che oggi conta 680 impiegati e opera nei settori più disparati dal turismo fino al commercio di materiali chimici, metalli, minerali e carbone, zoccolo duro dell'export nordcoreano nonché principale fonte di «valuta forte» per la leadership di Kim Jong-un. «Un ponte d'oro tra Cina e Corea del Nord», l'ha eloquentemente definita la sua chairwoman. Non a caso tra gli asset di punta del gruppo spicca una flotta di dieci navi cargo utilizzate, tra le altre cose, per trasportare il combustibile fossile fuori dal Regno eremita.

Lo scorso aprile le importazioni di carbone nordcoreano sono state bandite dal ministero del Commercio cinese, salvo nel caso in cui i ricavi siano destinati a «mezzi di sussistenza. Un'agevole scappatoia che spiega il misero calo registrato dalle vendite nordcoreane, di appena il 12 per cento secondo gli ultimi dati.

Mentre -stando al quotidiano finanziario- il dipartimento di Giustizia americano potrebbe annunciare azioni legali questa settimana stessa, alcuni giorni fa le autorità del Liaoning (la provincia dove sorge Dandong) hanno reso noto che la Hongxiang è già indagata per «gravi reati economici». La nota, apparsa sul sito del governo locale, si astiene dal mettere in relazione l'inchiesta alle attività intrattenute dalla conglomerata a nord del 38esimo parallelo, né specifica se gli accertamenti riguardano anche Miss Ma. Rivela soltanto che «le autorità di pubblica sicurezza del Liaoning hanno scoperto che la Dandong Hongxiang Industrial Development Company e una persona ritenuta gravemente responsabile sono incorsi in presunti crimini economici nel corso delle loro attività».

Con tempismo svizzero, a fornire preziosi dettagli ci pensa un rapporto («In China's Shadow») realizzato congiuntamente dal sudcoreano Asan Institute for Policy Studies e dal gruppo di ricerca americano C4ADS, in cui, senza giri di parole, la società viene accusata di aver aiutato Pyongyang a sviluppare il suo arsenale nucleare. Nello specifico si parla della spedizione di ossido di alluminio, un materiale che - secondo la United States Nuclear Regulatory Commission - viene utilizzato per prevenire la corrosione nelle centrifughe a gas durante il processo di arricchimento dell'uranio e che pertanto, nel 2013, era stato inserito dal ministero del Commercio cinese nella lista dei materiali vietati alla vendita in Corea del Nord.

Secondo i registri doganali, nel mese di settembre le consegne di ossido di alluminio realizzate dalla Hongxiang oltre il fiume Yalu ammontavano a oltre 253.000 dollari, mentre tra gennaio 2011 e settembre 2015 le transazioni tra la società e il Regno eremita hanno toccato complessivamente i 500 milioni. Un importo che l'Asan ritiene «quasi sufficiente a finanziare gli impianti per l'arricchimento dell'uranio, nonché a progettare, fabbricare e testare armi nucleari»

Il report conclude che, alla luce delle sanzioni previste dalla risoluzione 2270 approvata a marzo dalle Nazioni Unite, i prodotti commerciati dall'azienda sono considerabili come materiali dual-use, ovvero impiegabili potenzialmente sia per scopi pacifici che per fini militari/nucleari.

Secondo documenti governativi e aziendali, nelle ultime settimane le autorità cinesi hanno provveduto a congelare parte degli asset del gruppo, così come certi beni detenuti da Ma e soggetti a lei prossimi. Ma è lecito pensare che il nome dell'imprenditrice, già emerso nell'ambito dei Panama Papers, fosse da tempo sotto la lente di Pechino. E non solo in relazione al business nordcoreano.

Mentre parte degli analisti ha salutato l'indagine come un incoraggiante precedente, qualcun'altro invita alla cautela. Incoraggiante lo è se si considera la sinergia raggiunta tra le due sponde del Pacifico durante le fasi preliminari dell'inchiesta, che ha visto funzionari del dipartimento di Giustizia americano effettuare ripetute visite oltre la Muraglia. D'altra parte, «se gli Stati Uniti pronunciano accuse concrete, la Cina è obbligata a intervenire», ha spiegato al New York Times Cheng Xiaohe, professore di relazioni internazionali presso al Renmin University di Pechino che, escludendo una caccia alle streghe, prevede piuttosto l'immolazione di altri pesci piccoli come avvertimento per istituti di credito e altri pesi massimi.

In fondo Ma Xiaohong non era che un pesce medio caduto in disgrazia. Nominata nel 2011 nella top ten delle «donne più rilevanti» di Dandong e finita un anno più tardi nella classifica annuale della China Association of Women Entrepreneurs, a giugno sembrava ancora salda in sella quando il ministro del Commercio le consegnò una licenza speciale per le importazioni di prodotti petroliferi, che raramente viene concessa alle imprese private. Ma, si sa, i venti della politica cambiano rapidamente nella Cina di Xi Jinping, e appena pochi giorni fa la fondatrice di Hongxiang compariva tra i 452 delegati dell'Assemblea del popolo del Liaoning silurati nell'ambito di un roboante caso di corruzione che ha travolto il parlamento cinese. Corea del Nord o meno, i giorni di Ma sembrano ugualmente contati.


(Pubblicato su China Files)

mercoledì 21 settembre 2016

Formiche nell'era ella prosperità



Il 26 agosto Yang Gailan, 28 anni, ha portato i suoi quattro figli (tre femmine e un maschio) in un luogo appartato dietro la loro abitazione ad Agu, un villaggio di 300 anime incastonato tra le montagne della provincia nordoccidentale del Gansu, dove circa la metà degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà. Li ha poi uccisi, somministrando loro dei pesticidi e prendendoli a colpi di accetta. La donna si è poco dopo tolta la vita, una sorte a cui ha ricorso anche il marito otto giorni più tardi, una volta scoperto di aver perso tutta la sua famiglia.

Mentre le cause del terribile gesto sono ancora poco chiare, la storia - diffusa a inizio mese dallo statale China Youth Daily - è diventata trending topic sui social cinesi. Dietro un virgolettato pronunciato da Yang in punto di morte («Sono stata costretta a farlo...») si nasconderebbe, infatti, una vita di stenti ai margini della società che rivela tutte le distorsioni della Nuovissima Cina: la frattura tra aree rurali e grandi città, la corruzione rampante dei quadri locali, lo strazio dei lavoratori migranti (nongmingong) e le promesse con cui Pechino si accinge a sollevare l'economia delle zone più arretrate lanciando un nuovo piano di urbanizzazione sostenibile in grado di fornire l'accesso al welfare anche alla popolazione fluttuante.

Secondo quanto riportato dal People's Daily, la donna viveva in una casa di fango grazie ai 500 dollari che le mandava ogni anno il marito, un nongmingong impiegato in un'altra città della provincia. Da tempo l'abitazione necessitava lavori di manutenzione mai intrapresi a causa di dissidi con la famiglia allargata, mentre i bambini (tutti di età compresa tra i tre e i sette anni) si vedevano negato un futuro scolastico migliore nei centri urbani a causa del sistema di registrazione (hukou) che ancora i servizi di base al luogo di residenza, ma che Pechino sta cercando di liberalizzare.

Nel 2013 Yang aveva ricevuto un bonus per le famiglie a basso reddito, poi revocato sotto le pressioni esercitate dal comitato di villaggio, che riteneva il reddito famigliare più alto rispetto alla soglia di povertà (meno di 350 dollari l'anno). Un voltafaccia che - secondo la Shanghai TV - sarebbe dovuto in realtà all'irremovibilità con cui il padre e la nonna di Yang si erano rifiutati di pagare le tangenti necessarie all'ottenimento di un trattamento privilegiato. Insomma, anche stavolta a finire sul banco degli imputati è la corruzione, additata come la vera responsabile delle catastrofi che hanno scandito l'ascesa economica del gigante asiatico, dall'incidente ferroviario di Wenzhou all'esplosione del deposito industriale di Tianjin, passando per le «scuole di tofu» del Sichuan.

Nella giornata di sabato, le autorità della contea di Kangle di cui Agu fa parte, hanno annunciato punizione per sei funzionari locali, tre sottoposti a reclami verbali e altri tre a rischio licenziamento. «Le uccisioni hanno rivelato gravi problemi nel lavoro dei funzionari locali, molti dei quali portano responsabilità ineludibili, si legge nel comunicato ripreso dai media di Stato, che parla di «incapacità nell'attuazione delle politiche mirate ad alleviare la condizione di povertà». Ulteriori indagini per appurare eventuali «violazioni della disciplina» (leggi: corruzione) sono ancora in corso.

«Alcuni funzionari locali non hanno alcun interesse a risolvere il problema della povertà a causa dei ritorni troppo bassi e incerti», commenta ai microfoni del Global Times Yu Shaoxiang, esperto di sicurezza sociale presso l'Accademia cinese delle scienze sociali (CASS). D'altronde, non capita di rado che i leader locali facciano sparire i fondi stanziati per la riduzione della povertà: sono 658 le persone coinvolte in progetti del genere ad essere finite tra le maglie della giustizia per sospetta «negligenza» tra gennaio e maggio, il 57,3 per cento in più su base annua.

Sebbene i dettagli del massacro rimangano ancora da chiarire (specie per quanto riguarda le cruente modalità d'esecuzione e il reale movente), l'opinione pubblica sembra già leggere la triste storia alla luce delle crescenti disparità economiche che caratterizzano il paese più popoloso del mondo «Formiche nell'era della prosperità» è il titolo di un articolo diventato virale sul web cinese, che partendo dalla parabola di Yang Gailan estende il discorso alla necessità di incrementare la mobilità sociale.

Secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica, nel 2014, 82 milioni di cinesi vivevano ancora con meno di 1 dollaro al giorno, mentre il coefficienti di Gini, termometro della diseguaglianza sociale, segnava quota 0,469, oltre la soglia di guardia dello 0,4 calcolata dalla World Bank.

Come spiega al Global Times Dang Guoying, esperto di politiche rurali presso la CASS «il caso ha scioccato la popolazione urbana residente nelle città costiere sviluppate, perché la maggior parte dei cinesi non può nemmeno immaginare che milioni di persone vivono ancora in stato di povertà nelle campagne, specialmente trattandosi della seconda economia mondiale». Chi ci prova spesso finisce per appiattire il dibattito osservando la strage famigliare attraverso la prospettiva viziata della classe media urbana, quella che ancora domina il popolo della rete, mentre i ragionamenti dell'altra Cina, quella rurale ed emarginata, continuano a rimanere inespressi (per ulteriori interessanti chiavi di riflessione si veda il blog Chublic opinion).

Guardando a internet come a un prezioso barometro sociale, anche in questa occasione Pechino non ha mancato di analizzare gli umori del popolo, intervenendo al sopraggiungere di derive minacciose che rischiano di spostare il baricentro delle responsabilità dall'inefficienza locale al fallimento delle politiche centrali. Al montare delle polemiche, il 13 settembre una direttiva diramata dalle autorità a tutti i media ha ordinato la rimozione di qualsiasi contenuto ritenuto politicamente dannoso e vietato la pubblicazione di inchieste indipendenti sul caso. La distanza che divide il remoto paesino del Gansu da Zhongnanhai è più breve di quanto non asseriscano le mappe geografiche.

La realizzazione di una «società moderatamente prospera» costituisce uno dei punti salienti del tredicesimo piano quinquennale, approvato dal parlamento cinese lo scorso anno. Si parla di liberare dallo stato di indigenza 12 milioni di persone all'anno, per un totale di circa 70 milioni entro il 2020. Secondo i dati ufficiali negli ultimi 15 anni la Cina è riuscita a salvare dalla povertà 600 milioni di persone; 800 milioni dal 1978 a oggi, ovvero dall'inizio delle riforme lanciate da Deng Xiaoping. Un traguardo con il quale il regime cinese ha consolidato la propria legittimità agli occhi dei cittadini e di cui spesso si fa scudo contro le accuse mosse dall'Occidente in materia di diritti umani. Ma la crescita economica rallenta e con essa le occasioni di mobilità sociale. Nel 2011 più di 43 milioni di persone sono uscite dalla povertà, l'anno scorso solo 12 milioni.

Una soluzione c'è, tranquillizzano i leader cinesi. Come fa notare al Global Times Dang Guoying, «la tragedia di Yang mostra quanto sia difficile alleviare la povertà nelle aree rurali; questo a causa delle molte variabili coinvolte, inclusi gli interessi dei funzionari e quelli della popolazione locale. Ma se si trasferiscono i poveri nelle aree urbane l'obiettivo è di più facile risoluzione, perché ci sono maggiori risorse e servizi, migliori trasporti, più funzionari pubblici e trasparenza». Lo sanno bene i policy maker cinesi, che la scorsa primavera hanno annunciato un piano per trasferire entro l'anno almeno 2 milioni di poveri dalle aree più arretrate della Cina verso i centri meglio attrezzati quanto a servizi sociali e strutture assistenziali. Certo, a quel punto toccherà gestire nuovi grattacapi, come la necessità di impiegare manodopera non qualificata in un contesto votato allo sviluppo del terziario. Ma questa è un'altra storia.


(Pubblicato su China Files)









lunedì 19 settembre 2016

Rassegna: Dispacci dalla Silk Road Economic Belt


Servizi speciali della Shanghai Cooperation Organization stanno indagando sull'attentato all'ambasciata cinese di Bishkek. A rivelarlo è il vicedirettore del Russia's Federal Security Service (FSB). Non è chiaro se per servizi speciali della Sco si intendano quelli dei singoli paesi membri, o gli organi dell'organizzazione stessa, come la Regional Anti-Terrorist Structure. Gli analisti propendono per la prima versione. Rimane da chiarire l'affermazione della FSB secondo cui nell'attentato sarebbe coinvolta anche la Russia. Si ipotizza data la frequenza con cui lavoratori migranti centroasiatici finiscono per radicalizzarsi durante il loro soggiorno nella Federazione (Eurasiant)

Giovedì 15 settembre sono cominciate le esercitazioni antiterrorismo della Shanghai Cooperation Organization in Kirghizistan. (Xinhua)

L'8 settembre un treno merci ha lasciato il Qinghai verso l'Europa carico di arazzi tibetani e bacche di goji. Il viaggio durerà 12 giorni ed è il primo di questo tipo a coinvolgere un treno in partenza dall'altopiano tibetano verso l'Europa. (China Daily)

L'India si prepara a corteggiare il nuovo premier nepalese Prachanda, che ha scelto proprio il subcontinente come prima meta della sua agenda estera. Un'iversione rispetto al predecessore K.P. Oli, impegnato in un tentativo di avvicinamento alla Cina. Al vaglio ci sono la ferrovia est-ovest (dalla città nepalesi Mechi a quella indiana di Mahakali) e la costruzione di un impianto idroelettrico. Sotto Oli, il governo nepalese era riuscito a raggiungere un accordo con Pechino per il prolungamento della linea ferroviaria dal Tibet fino a Kathmandu, per l'importazione di carburante e per l'istituzione di zone economiche speciali per le compagnie cinesi. Ma -secondo rumors- il presidente cinese Xi Jinping avrebbe cancellato la visita prevista per ottobre a causa degli scarsi progressi realizzati dalla parte nepalese nei progetti inerenti alla One Belt One Road. (Reuters)

Nonostante gli scambi commerciali via terra siano molto più costosi, secondo la China Railway Corporation, nei primi tre mesi del 2016 i trasporti intercontinentale su rotaia tra Cina ed Europa sono aumentati del 30 per cento. Il perché lo spiega Ivan Zuenko del Carnegie: perché i governo locali pur di rilanciare il progetto One Belt One Road, come esige Pechino, elargisce generosi sussidi per ricompensare le compagnie in perdita (Carniege)

Recentemente, commentando l'anniversario dell'intervento americano in Afghanistan, l'ex presidente kirghiso Askar Akaev ha accusato Washington di aver ordito una trama pensata appositamente per mettere strategicamente radici in Asia Centrale. In un editoriale pubblicato sul filo-Cremlino Sputnik tale strategia viene definita fallimentare sopratutto per via dell'"estraneità" americana nell'area, laddove Russia e Cina rappresentano attori regionali con interessi economici e politici ben radicati. (Sputnik)

Mentre il progetto One Belt One Road continua a venire celebrato dalla stampa cinese, sono 7 le città che stanno prendendo vita lungo la nuova via della seta: due sono in Cina (Lanzhou e Khorgos), le altre una in Georgia (Anaklia),  in Polonia (Terespol), e in Azerbaijan (Alyat). Le altre due sono relative alla via della seta marittima e si trovano entrambe nello Sri Lanka: sono Colombo e Hambantota. (Forbes)

Martedì 20 settembre a Dunhuang, nel Gansu, si è tenuto il primo Silk Road International Cultural Expo (Xinhua)


sabato 10 settembre 2016

Rassegna: Dispacci dalla Silk Raod Ecoomic Belt


Attacco all'ambasciata cinese a Bishkek:

-Editoriale del Global Times: "L'attacco all'ambasciata deve essere gestito appropriatamente"

-Un'analisi di Joshua Kucera sulle implicazioni a livello geopolitico e di sicurezza

- Il GKNB conferma la matrice uigura dell'attentato all'ambasciata cinese in Kirghizistan
C'è l'estremismo uiguro dietro l'attentato che alla fine di agosto aveva visto un furgone schiantarsi contro il cancello dell'ambasciata cinese a Bishkek, in Kirghizistan. A dichiararlo è stato martedì il servizio di sicurezza kirghiso GKNB, specificando che il committente sarebbe un gruppo terroristico uiguro attivo in Siria, mentre l'attentatore un membro del East Turkestan Islamic movement (ETIM), l'organizzazione contro cui Pechino punta il dito per i vari episodi violenti partiti dalla regione autonoma cinese del Xinjiang. L'uomo, morto nell'esplosione, sarebbe un cittadino di etnia uigura con passaporto tagico. Cinque sospetti accusati di essere coinvolti sono stati arrestati mentre le autorità stanno dando la caccia a quattro che si crede siano in Turchia. L'episodio sembra confermare il pericolo che minaccia obiettivi cinesi in paesi terzi, come già avvenuto nel caso delle esplosioni di Bangkok lo scorso anno (anche in quel caso si era parlato di una pista uigura), non una buona notizia per la Cina e il suo progetto per la realizzazione di una nuova Via della Seta che coinvolge in buona parte Asia Centrale e Medio Oriente.

- UPDATE 13 SETTEMBRE: Secondo la Federal Security Service russa, che cita il risultato di un'indagine congiunta con i servizi di sicurezza della Shanghai Cooperation Organization, dietro l'attentato all'ambasciata c'è la mano di individui cinesi, russi e tagichi. (Reuters)

Sono 44 i morti e circa 100 gli operai rimasti uccisi nei lavori per la costruzione del progetto CPEC, che attraversa la regione pakistana del Baluchistan, dove gruppi separatisti locali minacciano la riuscita del progetto. (Reuters)

Putin incontra Xi Jinping a margine del G20 di Hangzhou (Xinhua)

Formata joint venture sino-kazaka per stabilire un hub per la produzione e distribuzione di fertilizzanti a Chongqing, nel Sichuan. Quanto prodotto verrà venduto nella Cina sudoccidentale, in Giappone e nel Sud-est asiatico. Secondo l'accordo, la potassa arriverà nella megalopoli del sud attraverso il Chongqing-Europe railway system passante per il Xinjiang. La Kazakhstan Potash Corporation e il Chongqing Agricultural Production Material Group svilupperanno una base logistica che prevede l'integrazione di strade, ferrovie e trasporti fluviali. (People's Daily)

Lo sviluppo del TAPI spetterà a compagnie cinesi e giapponesi, rispettivamente incaricate di costruire le pipeline e di sviluppare il giacimento turkmeno. (Tribune)

Durante una recente riunione della Kazakhstan-China Border Railroads Commission, Cina e Kazakistan si sono impegnati a aumentare il carico di merci transitanti lungo la ferrovia che attraversa il confine sino-kazako fino a 11,5 milioni di tonnellate nel 2017. Nel 2015 il volume commerciale tra i due paesi è stato di 7 milioni di tonnellate. (The Time of Central Asia)

Oltre la metà degli investimenti destinati dalla Cina alle infrastrutture sono da considerarsi un ostacolo alla crescita economica, non un catalizzatore come Pechino va declamando. E' quanto emerge da uno studio della Oxford University, che mette in guardia gli altri paesi in via di sviluppo dal seguire il modello cinese. Un terzo dei 28,2 trilioni di dollari di debito accumulati da Pechino nel 2014 è da attribuirsi proprio a progetti infrastrutturali. (Financial Times)

E' diventata operativa la prima linea merci Cina-Afghanistan che in 15 giorni da Nantong (Jiangsu) raggiunge il porto di Hairatan, al confine con l'Uzbekistan - via mare ci si impiegano tra i due e i tre mesi. Il servizio prevederà l partenza di due treni al mese. (Xinhua)
- Un commento del giornalista Wade Shepard, che è impegnato in ricerche sul campo per un libro sulla nuova via della seta (Forbes)

I lavori per la sezione russa della superstrada Shanghai-Amburgo cominceranno nel 2018 (Russia Beyond The Headelines)

A che punto è la nuova via della seta a 3 anni? Secondo quanto annunciato da Xi Jinping durante un simposio sulla One Belt One Road ad agosto, sono ormai oltre cento i paesi e le istituzioni che hanno aderito al progetto, di queste 34 hanno siglato accordi intergovernativi di cooperazione attirando investimenti da parte delle aziende cinesi in 49 paesi per un tottale di 15 miliardi di dollari nel 2015. (The Diplomat)


giovedì 8 settembre 2016

A Hong Kong trionfano le nuove forze politiche


È un voto per il cambiamento quello che domenica ha sancito un rimpasto sostanziale del Legislative Council (Legco), l'organo legislativo monocamerale di Hong Kong; si tratta della prima chiamata alle urne dalle proteste democratiche del 2014, con un'affluenza del 58 per cento, superiore al picco del 55,6 per cento registrato nel 2004.

Quattro veterani democratici si apprestano a lasciare il loro posto per far strada a giovani localisti fautori di un'autodeterminazione della regione amministrativa speciale. Tra i nuovi nomi compaiono il candidato indipendente Eddie Chu Hoi-dick, con 84mila preferenze nei Nuovi Territori occidentali, oltre a due altri moderati pro-democrazia: il giovanissimo Nathan Law Kwun-chung (23 anni), insieme a Joshua Wong tra i leader del movimento studentesco di Occupy Central, e Lau Siu-lai, docente della Polytechnic University. Grande successo anche per il neonato Youngspiration, che con la vittoria di Yau Wai-ching (25 anni) e Sixtus ‘Baggio’ Leung (30 anni) diventa il terzo partito dopo il Democratic Party e il Civic Party, mentre la debacle dei moderati di Third Side e Path of Democracy sembra confermare l'inarrestabile polarizzazione del Porto Profumato.

Nel complesso l'opposizione ha conservato 19 dei 35 seggi nelle circoscrizioni geografiche, di cui tre finiti nelle mani dei localisti, e otto nella circoscrizione funzionale, soggetta al voto di un elettorato più piccolo, che si compone di organi e di persone provenienti da diversi settori funzionali.

Mentre alla vigilia delle elezioni l'emergere di nuove fazioni politiche indipendentiste aveva accresciuto i timori di una dispersione di voti a vantaggio del fronte filocinese, alla fine dello spoglio i democratici sono riusciti a mantenere un terzo dei seggi, assicurandosi la possibilità di esercitare il potere di veto nel Consiglio. Secondo gli analisti, se è improbabile che la presenza di filoindipendentisti si traduca in un ribaltone - mentre 40 delle 70 poltrone sono assegnate attraverso elezione diretta, 30 dipendono dal voto di gruppi d'interesse vicini a Pechino -, l'inaspettato numero di candidati scomodi sarà ugualmente all'origine di notevoli grattacapi per l'establishment cinese.

Negli scorsi mesi l'Electoral Affairs Commission aveva rigettato la candidatura di sei esponenti radicali - secondo fonti Reuters - dopo aver ricevuto disposizione direttamente dalla leadership di Xi Jinping, in allarme a causa dell'ampio consenso riscosso dai giovani politicanti, meno miti della vecchia generazione di pan-democratici. Proprio sulla terraferma, - oltre alla consueta «armonizzazione» dei social network- le legislative hongkonghesi sono state raccontate dalla stampa statale in una forma edulcorata che ha lasciato poco spazio alla crescente diversificazione del panorama politico locale, mentre i report apparsi sui media esteri risultano censurati persino nella città orientale di Hangzhou, dove in questi giorni sono confluiti i principali leader mondiale per prendere parte al primo G20 «made in China». In un commento a caldo, un rappresentante dell'Hong Kong and Macao Affairs Office di Pechino ha dichiarato che l'ultima tornata elettorale non deve venire strumentalizzata per promuovere l'indipendenza di Hong Kong.

Il risultato di domenica è di primaria importanza anche per il leader locale filocinese Leung Chun-ying, che rischia di vedere l'implementazione della propria agenda osteggiata dall'opposizione (ora rinverdita) e una propria conferma per un altro mandato quinquennale sempre più in dubbio. Diversi oppositori politici hanno protestato fuori dai seggi, prendendo di mira Leung, al quale è stato scaraventato addosso un panino col tonno a simboleggiare le difficoltà economiche affrontate da molti nell'ex colonia britannica, dove il divario di ricchezza si sta ampliando vertiginosamente. Una questione già sollevata al tempo delle proteste di Occupy Central del 2014, quando l'ex colonia britannica si oppose alla riforma elettorale «farlocca» promossa da Pechino con la finta promessa di unsuffragio universale alle votazioni del 2017 per l'elezione del chief executive.

A distanza di due anni, il risentimento per la crescente ingerenza cinese è tutt'altro che sopito. L'erosione dell'indipendenza di Hong Kong, culminata nel caso dei cinque librai accusati dalle autorità cinesi di contrabbandare testi proibiti nella mainland, ha portato ad un'espansione della fazione più intransigente. Un sondaggio pubblicato a luglio dalla Chinese University of Hong Kong rivela che ormai un cittadino su sei è a favore di un divorzio dalla Cina continentale, alla quale il Porto Profumato è stato riannesso nel 1997 sotto il motto «un paese due sistemi». Una condizione di semiautonomia che le autorità cinese e britanniche promisero sarebbe perdurata fino al 2047, lasciando pesanti ipoteche sul futuro. Un futuro su cui ora le nuove generazioni pretendono di dire la loro.

(Pubblicato su Il Fatto quotidiano/China Files)

venerdì 2 settembre 2016

Il kung fu verso le Olimpiadi, tra soft power e nazionalismo


Si racconta che, quando nel 1974 gli fu diagnosticata la cataratta, Mao Zedong si trovò costretto ad abbandonare il piacere della lettura per ripiegare sui film. L'onere di selezionare le pellicole ricadde suLiu Qingtang, viceministro della Cultura vicino alla moglie del Grande Timoniere, Jiang Qing, che negli anni '60 si fece promotrice di una cultura proletaria e rivoluzionaria. Liu riporta che, dopo aver visionato biografie di grandi personaggi come Abraham Lincoln e Napoleone, Mao si sia rivolto al cinema hongkonghese di «cappa e spada» (wuxia), e che, visti Il furore della Cina colpisce ancora (1971), Dalla Cina con Furore (1972) e L'urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente (1972), si sia lasciato andare a lacrime ed elogi. «Bruce Lee è un eroe!», esclamò Mao. Tanto gli piacque Dalla Cina con Furore che se lo guardò tre volte, un «onore» che Liu non ricorda sia mai stato concesso a nessun'altro film. Come ironizza sulle colonne del China Daily il critico cinematografico Raymond Zhou, se l’aneddoto fosse stato reso noto, probabilmente Bruce Lee sarebbe finito nel pantheon delle figure modello alla stregua dell'eroe comunista Lei Feng; primo ma non ultimo praticante a distinguersi per patriottismo quel fatidico anno.

Proprio nel ’74, una troupe di artisti marziali fu inviata negli Stati Uniti per proseguire l'opera di disgelo tra le due sponde del Pacifico, inaugurata due anni prima con la «diplomazia del ping pong» di Glenn Cowan e Zhuang Zedong. Prescelto tra i fortunati «ambasciatori del kung fu», un Jet Liancora pubescente ricorda di essersi esibito in mirabolanti acrobazie nel giardino della Casa Bianca e che, ricevuto l'invito del presidente americano Richard Nixon a prestare servizio come sua guardia del corpo, gli avesse candidamente risposto: «Non voglio proteggere nessuno. Voglio soltanto difendere il miliardo di connazionali cinese»

Tra alti e bassi, sembra sia stata proprio la spiccata coloritura nazionalista ad aver assicurato al kung fu (termine che dagli anni '70 ha soverchiato l'originale wushu) i favori dell'establishment durante il secolo scorso. Mantenendosi in equilibrio tra esaltazione della Patria e sfida all'ordine costituito, nel corso della storia l'antica arte cinese è stata fida alleata delle dinastie Tang (618-907) e Ming (1368–1644), ma fiera oppositrice dei reggenti mancesi (1644-1911) nell'ambito di un movimento di rivalutazione dell'etnia dominante Han contro l'invasore straniero. «Fan Qing Fu Ming»
("combattiamo i Qing, restauriamo i Ming") era il motto delle confraternite segrete a cui erano affiliati molti noti combattenti.

Con l'istituzione della Repubblica di Cina (1912), il wushu diventò un mezzo per promuovere la cultura cinese e la difesa nazionale dopo l'umiliazione incassata ad opera delle potenze imperialiste nell''800. Venne inserito per la prima volta nei corsi scolastici e universitari; nacquero le prime associazioni, dalla Jingwu Society di Shanghai, estesa negli anni '20 a livello nazionale con ramificazione che raggiunsero in breve il Sud-est asiatico, alla Central National Skills Research Academy, fondata dai nazionalisti di Chiang Kai-shek a Nanchino al fine di avviare l'insegnamento e lo studio delle arti marziali cinesi attraverso una struttura tentacolare in grado di raggiungere 24 province.

Incoraggiata dall'agenda politica del momento, tra il 1928 e il 1931 la fascinazione per il wushu(all'epoca eloquentemente ribattezzato guoshu: «arte nazionale») contagiò l'industria cinematografica locale, portando alla produzione di oltre 227 film sul tema. Ma di lì a poco l'invasione giapponese costrinse accademia e maestri a lasciare la capitale del sud per cercare riparo nel vicinato asiatico: Hong Kong, Taiwan e Singapore divennero mete predilette della diaspora marziale, affermandosi negli anni come gelose custodi della «tradizione cinese originale»; non soltanto della scrittura in caratteri complessi, messa in soffitta sulla mainland negli anni '60, ma anche della più sofisticata arte di combattimento cinese. Sarà la Rivoluzione culturale a relegare definitivamente il kung fu nell'oblio riservato alle «pratiche feudali», fino a quando le riforme e l'apertura anni '80 non avviarono un periodo di rivalutazione delle tradizioni precedentemente considerate responsabili dell'arretratezza cui era stata relegata la Cina; non più Celeste Impero ma «malata d'Asia».

Nel 1985 si tenne il primo International Wushu Invitational Tournament, con la partecipazione di 17 paesi e regioni; poi nel 1990 nacque l'International Wushu Federation, a cui si deve l'organizzazione ogni due anni delle World Wushu Championships, competizione che riunisce praticanti da tutto il mondo ma che, guarda un po', vede proprio la Repubblica popolare dominare per numero di medaglie. Il prossimo passo è rendere il wushu uno sport olimpico alla pari del karate giapponese e del taekwondo coreano. Un riconoscimento che, con grande disappunto di Pechino, stenta ad arrivare, malgrado la popolarità planetaria riscossa dalle gesta del goffo panda Po dellaDreamworks.

Da quando il Comitato Olimpico Internazionale (IOC) ha permesso agli organizzatori di Pechino 2008 di tenere un torneo di wushu - in parallelo ai Giochi ufficiali-, le arti marziali cinesi hanno guadagnato una spinta su scala globale, come dimostra l'espansione dell'IWUF, passata negli ultimi otto anni da 116 a 149 paesi membri per un totale di 200 milioni di praticanti. Non abbastanza, comunque, per permettere al kung fu di rientrare nella cerchia dei 32 sport olimpici. Lo scorso autunno, incassando con eleganza il mancato ingresso alle Olimpiadi di Tokyo 2020, il vicepresidente dell'IWUF ha dichiarato che «siamo contrariati ma non sorpresi [...] il 2024 sarà l'anno del wushu».

Mentre un'inclusione nei Giochi strizza l'occhio alle squattrinate federazioni in cerca di sponsor, -specie in hub emergenti come Russia e Iran-, per Pechino c'è in ballo molto di più. In un momento in cui la leadership àncora la propria legittimità politica a slogan quali «Sogno Cinese» e «Grande rinascita della Nazione», un debutto alle Olimpiadi costituirebbe un'importante vittoria diplomatica, dato il contesto tutto occidentale in cui la manifestazione è nata e si è evoluta. Se si considera la frequenza con cui l'IOC si è dimostrato suscettibile alle lusinghe dei poteri forti unitamente all'autoritarismo esercitato dal gigante asiatico in seno alle organizzazioni internazionali, la sconfitta appare ancora più inspiegabile. O, al contrario, forse molto più prevedibile. Basta pensare alla reazione allarmata suscitata alle nostre latitudini dalla moltiplicazione degli Istituti Confucio.

Oltre agli ostacoli tecnici (il wushu non nasce come sport agonistico ed è un termine generico che abbraccia 130 scuole marziali, ognuna con regole differenti), non è da escludere che il rigido controllo esercitato del governo cinese esponga il kung fu alle stesse critiche riservate ai vari «cavalli di Troia» del soft power cinese. Questo perché dalla Fondazione della Repubblica popolare in poi, per wushu(letteralmente «arte militare») si intende quell'insieme di pratiche codificate e sponsorizzate dallo Stato cinese che hanno ormai ben poco a vedere con l'antica arte celebrata nelle pellicole patinate di Hong Kong, dove patriottici combattenti cinesi solevano mettere al tappeto pugili russi e karateki giapponesi. Ad arriva nelle scuole e nelle università della Greater China - e, se l'IOC lo vorrà, alle Olimpiadi- è una rivisitazione in chiave ginnica finalizzata alla cura del corpo, non più all'autodifesa (fatta eccezione per il sanda: lo sparring). Ma la dura legge del marketing richiede siano suggestioni lontane a stuzzicare l'immaginario collettivo.

E' sul monte Songshan, presso il monastero di Shaolin, che il kung fu e il buddhismo chan (lo zen cinese) videro la luce nel V secolo d. C. - si dice per opera del monaco indiano Bodhidharma. Tutt'oggi intorno all'antico monastero, sotto il marchio Henan Shaolin Temple Industrial Development Co. fiorisce un'industria multimilionaria che conta 50 scuole, quasi 50mila studenti, e 1 milione di turisti l'anno rendendo Shaolin uno dei villaggi più ricchi della Cina. A tenere i fili di tale impero economico - che arriva ad avviluppare Londra e Berlino- è il lussurioso abate Shi Yongxin, da anni al centro del gossip cinese a causa del suo debole per automobili costose e donne di malaffare. Non male per uno che oltre a essere vicepresidente della Buddhist Association è anche membro dell'Assemblea Nazionale del Popolo, il Parlamento cinese.

Mentre gli stravizi di Shi si sono rincorsi sulla stampa internazionale attraverso circa un decennio, è soltanto lo scorso anno che l'annuncio di un accordo da 380 milioni di dollari per l'apertura di una succursale in Australia ha finalmente messo in allarme le autorità provinciali. Sembrava già di vedere il leader religioso condividere dietro le sbarre la sorte toccata negli ultimi tre anni a molti altri illustri corrotti. Poi l'inchiesta si è arenata per mancanza di prove e il caso è uscito lentamente dai radar dei media. Per il bene di Shaolin e del soft power cinese.

(Pubblicato su il manifesto/China Files)

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