lunedì 30 aprile 2012

Dettaglia sulla fuga di Chen e arrivo delegazione Usa


(Fonte Al Jazeera)

L'attivista Hu Jia ha rivelato alla Reuters i dettagli della fuga di Chen Guangcheng. Il dissidente avrebbe scavalcato un altro muro grazie alla complicità della notte. "Abbiamo parlato di come lui fosse riuscito ad arrampicarsi sulla recinzione nel cuore della notte, di come fosse caduto oltre 200 volte ferendosi senza riuscire a rialzarsi. Ma ha continuato ad andare avanti. Mi ricordo che ha detto di aver impiegato 20 ore per superare tutti quegli ostacoli e raggiungere le persone che lo stavano aspettando," per poi essere scortato per 500km sino a Pechino, ha riferito Hu in una'intervista telefonica all'agenzia di stampa britannica.

Nella giornata di ieri  Kurt Campbell, assistente del Segretario di Stato Usa per l'Asia Orientale e il Pacifico, è atterrato a Pechino per una visita fuori programma. Nessuna dichiarazioni ufficiale circa le motivazione dell'arrivo improvviso della delegazione americana -a pochi giorni dalla trasferta di Hillary Clinton e del Segretario al Tesoro, Timothy Geithner prevista per mercoledì prossimo- ma secondo molti il viaggio cinese di Campbell confermerebbe la presenza di Chen entro le mura dell'ambasciata Usa a Pechino.
Nei due giorni di colloqui tra Pechino e Washington l'attenzione verterà principalmente sulle usuali questioni economiche (bilancia commerciale e apprezzamento dello yuan in prims), ma non mancherà di toccare la crisi del Sudan, la vendita di armi a Taiwan, l'Iran, la questione coreana nonché le schermaglie tra la Cina e gli altri paesi asiatici riguardo alla questione del Mar Cinese Meridionale, continuamente motivo di tensioni nell'area Asia-Pacifico.

ASCOLTA IL SERVIZIO DI FRANCESCO RADICIONI SUL CASO CHEN

domenica 29 aprile 2012

Dissidente Hu Jia interrogato per più di 24h a Tongzhou

Dopo più di 24 ore d'interrogatorio, il dissidente Hu Jia è stato rilasciato. Nella giornata di ieri, 17.30 ora locale, era stato condotto presso il commissariato di Tongzhou, distretto a sud-est di Pechino, presumibilmente per alcune domande sulla fuga di Chen Guangcheng, l'attivista cieco fuggito dalla sua casa-prigione domenica scorsa. Si ignora se sarà sottoposto agli arresti domiciliari.(link)

A dare l'allarme era stata la moglie Zeng Jinyan che tramite Twitter ha continuato a pubblicare aggiornamenti sulla sorte del marito. (ore 17.00 胡佳还在中仓派出所,实质上是国保在盘问。没有任何新的消息: Hu è ancora nella stazione di polizia per un interrogatorio sulla sicurezza dello Stato. Non si hanno nuove notizie)
Commissariato di Tongzhou, la macchina che ha prelevato Hu
Hu Jia ha trascorso la notte tra sabato e domenica su una sedia, sebbene gli siano stati forniti cibo e medicine. Anche Zeng è stata richiamata nella tarda mattinata di domenica per rispondere ad altre domande. "Ne ho abbastanza di queste conversazioni infinite accompagnate da cibo e alcol."aveva scritto su Twitter, aggiungendo che non sapeva come fare con il loro bambino.

Ore 15.00: siamo davanti alla stazione della polizia. La situazione sembra tranquilla solo tre macchine ferme stazionano sul lato opposto della strada; sono giornalisti di una televisione di Hong Kong sul posto dalle prime ore della mattina. Nessuna traccia della stampa occidentale. Raccontano di strane dinamiche: Zeng Jinyan sarebbe vista entrare ma mai uscire, nonostante le informazioni via Twitter riferiscano sia a casa a "leggere un libro".

Poco prima dello scattare delle 24 ore, intorno alle 17.20 una macchina nera si posteggia in attesa davanti al commissariato. Arrivano due auto della polizia più un furgone; uomini delle forze dell'ordine salgono in macchina. La Honda nera si dirige verso il retro dell'edificio. Alle 18.45 Hu Jia viene prelevato e scortato via, mentre il furgone della polizia viene verso di noi, si ferma. La troupe di Hong Kong si disperde in un vicolo; due funzionari ci seguono mentre tentiamo di allontanarci. Ci chiedono i documenti e vogliono spiegazioni sul perché della nostra presenza sul posto e delle tante foto. Dopo una lunga "chiacchierata" ci lasciano andare, intimandoci a girare alla larga da certi posti.
Intanto su Twitter Zeng conferma la notizia: "接到胡佳电话说:刚结束拘传,在派出所副所长的车上……Ho ricevuto la telefonata di Hu Jia: l'interrogatorio è appena finito sono sulla macchina del vice-capo del commissariato..” Tweet di @Fradicioni batte Zeng Jianyan di 1min "Strani movimenti auto polizia davanti Commissariato di Tongzhou. Fermati giornalisti per controllo passaporti. #HuJia FORSE trasferito."

Grazie ad una dritta veniamo a conoscenza dell'indirizzo di Hu Jia. Dopo mezz'ora siamo davanti allo Ziyou Cheng (自由城), ironia della sorte vuole che il compound dell'attivista cinese si chiami proprio "La città della libertà". Guardiani all'ingresso sbarrano l'entrata. L'abitazione è presidiata da agenti della polizia. I due poliziotti, quelli della precedente "chiacchierata", sembrano meno disposti a scherzare di quanto non lo fossero al primo incontro. Il messaggio è chiaro: "siete liberi di venire a studiare o a lavorare in Cina ma non dovete mantenere comportamenti contrari alla legge".
La scorta si prepara a seguire il dissidente
Intanto su Twitter la moglie di Hu Jia ringrazia la comunità del web per l'appoggio morale e il sostegno dimostrato, ora la vita dei coniugi Hu può tentare di nuovo di raggiungere una parvenza di normalità. ("过去一天里谢谢大家关注和帮忙,继续把“非正常生活”“正常化”). In realtà non è chiaro se il dissidente verrà sottoposto a qualche tipo di sorveglianza speciale.

Hu Jia, noto attivista impegnato nella difesa dei diritti umani e dei malati di AIDS, era stato rilasciato nel giugno 2011 dopo più di 3 anni e mezzo di reclusione per "tentata sovversione del potere dello Stato". Negli ultimi giorni si è conquistato l'attenzione dei madia per via della sua implicazione nella fuga dell'avvocato cieco Chen Guangcheng, suo intimo amico e, secondo diverse voci a lui vicine, al momento rifugiato presso l'ambasciata americana di Pechino.
Compound Ziyou Cheng

venerdì 27 aprile 2012

Il dissidente Chen sfuggito agli arresti domiciliari.

                                 
                                          (The Dongshigu Redemption, Crazy Crab)

AGGIORNAMENTI

Sono passate 24 ore dalla notizia della fuga di Chen Guangcheng ed è già caccia al rumors.
Da ore sulla rete si vociferava che il dissidente fosse volato a Washington portato in salvo da funzionari americani. All'atterraggio, previsto per le ore 19.21 del 27 aprile, una mezza dozzine di media outlet è rimasta a bocca asciutta: di Chen nemmeno l'ombra. Ma questo non ha arrestato la cesoia di Pechino e parole sensibili quali UA898 e altri nomi di voli della United Airlines sono stati bloccati su Sina Weibo,scrive The Epoch Times. Stessa sorte per le iniziali del dissidente "GC" (Guang Cheng 光诚 = luce+verità) e i vari caratteri per "uomo cieco" ( 盲人, 瞎人). (link)





(Pubblicato su Dazebao)


L'improvvisa fuga dell'attivista Chen Guangcheng si rivela un'altra bella gatta da pelare per Pechino, già finito sotto i riflettori della comunità internazionale a causa del recente scandalo nel quale sono invischiati l'ex segretario del Partito di Chongqing, Bo Xilai, e la sua famiglia.
E, ora che gran parte dei dissidenti cinesi continua a sostenere che Chen si trova in salvo tra le braccia della diplomazia statunitense, c'è il rischio che l'ultimo imprevisto possa creare tensioni alla vigilia della visita del Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e del Segretario al Tesoro, Timoty Geithner, in Cina tra pochi giorni per l'annuale "dialogo economico e strategico" tra i due Paesi.

"E' chiaro che Chen è stato condotto dai suoi sostenitori in un posto sicuro e non c'è posto più sicuro dell'ambasciata americana" ha affermato ieri Hu Jia, precisando di averlo incontrato “nelle ultime 72 ore”.
La notizia è stata confermata anche da China Aid: Chen è sotto la protezione di Washington. “Sono in corso colloqui di alto livello tra funzionari statunitensi e cinesi” hanno fatto sapere dall'ong con base nel Texas. “E' un momento cruciale per la diplomazia Usa sulla questione dei diritti umani” -ha spiegato Bob Fu, presidente dell'associazione- “data la notorietà di Chen l'amministrazione Obama deve prendere saldamente le sue parti o rischia di perdere credibilità come difensore della libertà e dello Stato di diritto.”

L'ambasciata americana continua ad osservare un rigoroso no-comment, ma per molti l'avvocato cieco di Dongshigu è già un secondo Fang Lizhi, altro famoso attivista -deceduto di recente- che, dopo aver appoggiato le proteste studentesche di piazza Tiananmen, per un anno trovò rifugio presso la sede diplomatica Usa a Pechino prima di essere costretto all'esilio nel 1990.

Chen Guangcheng, noto dissidente cinese, è fuggito dalla sua casa-prigione nella quale si trovava agli arresti domiciliari dal 2010. L'uomo sarebbe scappato domenica scorsa dalla cittadina di Dongshigu, provincia dello Shandong, ma la notizia è stata resa nota soltanto nella notte tra giovedì e venerdì da alcuni attivisti politici.

Sulla sorte attuale di Chen nessuno ha certezze. Secondo quanto assicurato in una conversazione telefonica alla BBC da Bob Fu, il dissidente in questo momento è in un posto sicuro al 100%, dove è stato condotto da He Peirong, un'altra attivista che si è lungamente battuta per la sua liberazione.  "Posso soltanto dirvi che non si trova nell'ambasciata americana di Pechino e non è nemmeno nello Shandong" aveva dichiarato ieri ad AP He.

Ma mentre Chen si trova in salvo, la sua famiglia è ancora sotto sorveglianza e avrebbe già ricevuto le minacce dalla polizia: il nipote, Chen Kegui, sarebbe stato anche picchiato, come rivelato da Yaxue Cao, una blogger entrata in contatto con alcuni parenti del dissidente.
Nella giornata di venerdì le forze dell'ordine hanno circondato l'abitazione del fratello dell'attivista, Chen Guanfu e del nipote. Il più giovane dei Chen "si è munito di una mannaia come arma di difesa. Ha accettato diverse persone ferendole" ha rivelato ad AP He Peirong. Al momento i due Chen sarebbero in stato di fermo, mentre He nella tarda giornata di venerdì He è finita agli arresti, come ha riferito ad Associated French Press (AFP) Bob Fu.

La fuga era nell'aria da tempo. Dopo il fallimentare tentativo di scavare un tunnel per evadere dalla sua abitazione, scoperto dai suoi “carcerieri”, Chen ha optato per la complicità della notte scavalcando un alto muro." Il buio non è un problema per un non-vedente", ha dichiarato Hu Jia, un altro attivista per diritti umani amico dell'avvocato cieco, "ma sicuramente deve essere caduto numerose volte".

Il sito di citizen journalism Boxun.com ha pubblicato un video video nel quale Chen rivolge un appello al premier Wen Jiabao, noto per essere la "voce buona del regime". Tre le richieste inoltrate al Partito: che le autorità centrali indaghino sui pestaggi subiti dai suoi familiari, che venga garantita la sicurezza della sua famiglia e l'assunzione di misure adeguate per debellare la corruzione serpeggiante tra i funzionari.
Il dissidente non ha esitato a fare i nomi di coloro che hanno torturato lui e la sua famiglia: Jia Yong e Zhang Shendong, tra i più assidui di casa Chen, ma compaiono anche Li Xianqing, capo dell'amministrazione della giustizia, e Zhang Jian, vice segretario addetto al controllo dell'ordine. Le violenze e i soprusi sarebbero stati attuati in nome del Partito, del quale i funzionari si sono spacciati per rappresentanti. Un'ingiustizia che - secondo quanto affermato da Chen nel suo messaggio- rischierebbe di screditare l'immagine del Partito stesso.(link)

Chen Guangcheng, 40 anni, originario della provincia dello Shandong, sei anni fa ha sfidato il diktat del governo violando la legge del figlio unico. Il frutto del suo amore, una bambina "clandestina", è stata privata di tutti i diritti civili; quanto a lui, ha scontato quattro anni e tre mesi di lavori forzati nei laogai (l'accusa ufficiale fu di danneggiamento di immobili e blocco del traffico mentre era a capo di una manifestazione), ma la sua odissea è continuata anche dopo il rilascio.

Sebbene cieco dalla nascita, Chen sembra vederci meglio di tanti altri e, una volta riassaporata la libertà nel settembre 2010, non ha rinunciato a portare avanti la sua battaglia. Sottoposto agli arresti domiciliari insieme alla moglie e alla figlia (il primogenito è stato strappato ai genitori e affidato ai nonni per ordine del giudice tutelare), la famiglia Chen era riuscita a gabbare i controlli governativi e a comunicare con il mondo esterno attraverso un "video-denuncia", diffuso in seguito da China Aid.(link)

La risposta del Partito non si è fatta attendere: lo scorso febbraio dieci funzionari locali, fatta irruzione nella residenza del dissidente, hanno pestato a sangue i due coniugi per due ore di seguito; la donna è svenuta a causa delle percosse subite. Ma non solo. La famiglia Chen è stata in seguito privata dei beni di prima necessità e dei medicinali di cui Guangcheng necessita a causa di alcuni disturbi cronici, mentre l'abitazione è stata trasformata in una prigione: sigillate le finestre, sequestrati oggetti tra i quali computer, televisione, il bastone per ciechi dell'uomo e i giocattoli della figlia. Un impianto di telecamere monitorizza ogni movimento all'interno della casa-prigione per scongiurare ogni pericolo di fuga; misure precauzionali, queste, che alla luce dei nuovi accadimenti sembrerebbero essersi rivelate insufficienti.

Chen, che nel 2005 aveva denunciato i metodi poco ortodossi per il controllo delle nascite adottati dalle autorità nella contea di Linyi - che vanno dalle percosse agli aborti coatti - ha messo in luce un bilancio agghiacciante: nella provincia dello Shandong, in un solo anno, sarebbero state imposte oltre 7mila sterilizzazioni forzate. Oggi, con un totale di 130mila denunce per aborti coatti, il nome del dissidente appare nella classifica dei "100 uomini che hanno dato forma al mondo", stilata dal Time.

Lo scorso ottobre, entro i confini della Grande Muraglia la rete ha dimostrato la sua solidarietà nei confronti dell'attivista, pubblicando online oltre 210 fotoritratti in venti giorni, contraddistinti tutti dagli occhi coperti a simboleggiare quella menomazione fisica che non ha, tuttavia, impedito a Chen di vedere le ingiustizie che lacerano il suo Paese. "Supportiamo Guangcheng, aiutiamo Guangcheng" è il nome della campagna lanciata su internet diventata il leitmotiv dei microblog in salsa di soia, mentre il polverone mediatico si è spostato dal web alla carta stampata, innescando una querelle che ha visto quotidiani dalle inclinazione più liberali opporsi agli organi di stampa governativi (leggi: Oriental Morning Post VS Global Times).

Anche la comunità internazionale è in grande apprensione per la sorte dell'attivista. Al tam tam degli ultimi tempi, che ha dato vita a quello che viene chiamato sarcasticamente dai netizen " turismo di avventura nello Shandong", ha fatto seguito un'ulteriore stretta della polizia locale: diversi amici e giornalisti stranieri sono stati arrestati o hanno subito minacce per aver tentato di avvicinarsi all'abitazione del dissidente cinese, e chiunque cerchi di entrare nel villaggio di Dongshigu fa inesorabilmente ritorno a casa con una buona dose di lividi. E lo sa bene Christian Bale, Batman sul grande schermo, allontanato a spintoni lo scorso anno mentre tentava di raggiungere la casa di Chen con una troupe della CNN.

La voce del dissenso aveva raggiunto il grande pubblico proprio grazie alla mediazione dell'Occidente: Women's Right Without Frontiers, in collaborazione con il CNN e China Aid, aveva realizzato un video nel quale era lo stesso Chen Guangcheng ha rilasciare una breve, sebbene pungente, dichiarazione d'intenti: “La cosa che possiamo fare è dominare il terrore e denunciare la loro sfacciataggine che è disumana e priva di coscienza. Dobbiamo esporre ogni loro misfatto nascosto. Per la realizzazione di questo video sono perfettamente pronto, so che possono torturarmi come fecero con Gao Zhisheng (altro dissidente cinese) ma non ho paura”.

giovedì 26 aprile 2012

Scandalo della gelatina costa il posto ad anchorman della CCTV




(Pubblicato su Dazebao)

Un'altra storia di scandali alimentari, rumors e teste che cadono. Succede in Cina, dove Zhao Pu, famoso anchorman della China Central Television (CCTV), è stato sospeso dal suo programma dopo aver pubblicato su Weibo -sorta di Twitter in salsa di soia-  messaggi di avvertimento contro l'assunzione di yogurt.
Il 9 aprile scorso Zhao aveva portato all'attenzione del web la preoccupazione circa l'utilizzo da parte di alcune compagnie cinesi di gelatina industriale nella produzione di yogurt e capsule, altamente pericolosa sopratutto per i bambini. In seguito alla richiesta di ulteriori chiarimenti, il giornalista televisivo si era limitato a spiegare che "è come se un giorno gettassi via un paio di scarpe vecchie e poi te le ritrovassi nello stomaco".

Di oggi la notizia battuta da China Business Watch della scomparsa dal piccolo schermo di Zhao, il quale avrebbe incassato senza controbattere la purga della CCTV. Ma c'è chi teme che l'incauto presentatore sia stato spedito in qualche campo di lavoro a scontare le sue colpe.

Wang Sijing, giornalista di 21st Century Business Herald- che ha chiesto spiegazioni allo staff della televisione di stato cinese- ha fatto sapere che il conduttore televisivo non sarebbe stato sospeso dal suo incarico ma solo criticato da una circolare interna e che al momento si troverebbe "in vacanza". Ma non serve avere buona memoria per ricordare che solo pochi mesi fa la stessa debole giustificazione del "congedo per ferie" era stata sfoderata dall'amministrazione cinese all'inizio del "caso Wang Lijun" per sedare le voci sulla sparizione del superpoliziotto. Una mossa poco accorta delle autorità che al tempo innescò il ritwittaggio a catena della dichiarazione ufficiale, rendendola un topic della rete. Cosa accadrà questa volta?

Il siluramento di Zhao, come da previsione, ha già suscitato forti critiche. Zhang Zhi'an professore associato di scienze delle comunicazioni presso la Sun Yat-Sen University ha affermato che "i sostenitori dell'anchorman hanno dichiarato che è dovere di un giornalista portare alla luce notizie urgenti che mettono a repentaglio gli interessi pubblici. Ma coloro che hanno sollevato la questione hanno fatto notare che non è opportuno rivelare le informazioni privatamente prima dei giornalisti che hanno seguito le indagini. Ciò rischia di ostacolare l'approfondimento della questione e di minare le regole interne all'organizzazione dei media, senza contare che un messaggio vago può suscitare facilmente il panico".
"Il pubblico e l' interesse pubblico non sono una cosa astratta" ha invece commentato Zhang Lifen, redattore di FT Chinese. "Zhao Pu ha rivelato lo scandalo della gelatina per il bene dell'interesse pubblico che è il principio alla base della professionalità di un giornalista. Tirando fuori la storia dell'organizzazione interna degli organi d'informazione si rischia di deviare dalla retta via. Ma questo importa meno a chi paga i salari".

Ha, invece, invitato alla cautela Yang Jiang, del Xinmin Weekly Daily, sottolineando la necessità di riportare i nomi delle società implicate e le relative prove. "E' inopportuno rilasciare informazioni che riguardano un intero settore. Zhao dovrebbe essere più cauto". Il commento di Yang è stato ripreso il 9 aprile stesso dal Global Times, tabloid del Partito comunista cinese.

D'altra parte il conduttore della CCTV non sarebbe certo il primo giornalista a fare una brutta fine per aver diffuso rumors. Proprio lo scorso settembre Li Xiang, reporter della Luoyang TV era stato freddato nei pressi della sua abitazione con 10 colpi di arma da taglio. Un caso semplicissimo per la polizia locale che data la sparizione di portafogli, telecamera e portatile aveva potuto archiviare il tutto, avanzando il movente del semplice furto. E dopo due giorni i presunti colpevoli erano già in manette: Li Junzhao e Zhang Xiaobo, due giovani disoccupati che, secondo le autorità, “con la vittima non avevano nulla a che fare”. Forse, eppure qualcosa destò molti sospetti tra l'opinione pubblica, un particolare che non passò inosservato ai più: il reporter televisivo stava seguendo molto attivamente la questione degli scandali relativi alla vendita e al riutilizzo di olio di scolo, rilavorato e infine “magicamente” trasformato in olio da cucina, nonostante l'alta tossicità. Un giro di riciclo che si aggirava intorno ai 2 milioni di tonnellate e che avrebbe avuto come basi operative le provincie dello Shandong, Henan e Zhejiang.

Un ennesimo scandalo alimentare per il Dragone che ormai per salvare la faccia farebbe di tutto. Anche uccidere? Il popolo di internet sembrò non avere dubbi: la morte di Li, che sul suo blog aveva fatto il nome di un'azienda locale invischiata nel business dell'olio, era strettamente legata alle sue denunce.

(Leggi anche Quando i giornalisti giocano a fare i detective)


lunedì 23 aprile 2012

Il terremoto Bo Xilai arriva ad Hong Kong



Scoppia lo scandalo e Bo Xiyong lascia l'Everbright

AGGIORNAMENTI


Bo Xiyong, fratello maggiore di Bo Xilai ha lasciato l'incarico di vice presidente della China Everbright International, società quotata ad Hong Kong che opera nelle energie alternative. Dal 2003 nel consiglio d'amministrazione della compagnia, il più grande dei Bo è anche vice general manager del China Everbright Group, nel quale è entrato a far parte nel 1998. Non è chiaro se abbia abbandonato anche questa posizione.
A nulla era valso l'utilizzo dello pseudonimo Li Xueming per coprire il suo losco giro d'affari: ai media statali della Cina continentale e di Hong Kong la sua vera identità era arcinota.

"Ha deciso di dimettersi "per fare gli interessi della società e dei suoi soci" recita il comunicato rilasciato questa mattina dall'Everbright, precisando che non ci sarebbe stato alcun disaccordo con i membri del consiglio. "I recenti resoconti rilasciati dalla stampa sulla famiglia del signor Li non influenzeranno in alcun modo il normale svolgimento delle attività e delle operazioni effettuate dalla società"

Soltanto due giorni fa il colosso dell'informazione Bloomberg aveva messo nero su bianco i torbidi affari del clan dei Bo: parenti stretti dell'ex segretario di Chongqing e di sua moglie Gu Kailai ricoprirebbero ruoli di prestigio nelle più rinomate aziende del Regno di Mezzo. (link)
La freccia acuminata dall'agenzia di stampa americana era andata a colpire con precisione chirurgica il figlio primogenito di Bo, Li Wangzhi, avuto in un precedente matrimonio, noto tra gli amici per le sue tendenze pro-democrazia, ex banchiere di Citigroup- multinazionale americana di servizi finanziari- nonché cofondatore e managing director della Liaoniu Investement Limited, società istituita sulle isole Mauritius. Ma non solo. Rimestando nel torbido ne sono uscite fuori delle belle, e anche Bo Xiyong era finito sotto la lente d'ingrandimento di Bloomberg (link).

Il New York Times proprio quest'oggi ha pubblicato l'intricato albero genealogico della famiglia dell'ex "imperatore" di Chongqing. 




La saga di Bo Xilai sbarca ad Hong Kong. Secondo quanto riportato questa mattina dal South China Morning Post, Pechino avrebbe inviato una task force nell'ex colonia britannica al fine di indagare su alcune proprietà detenute dalla famiglia dell'ex segretario di Chongqing nell'isola.
Ma non solo. Le autorità puntano anche a fare chiarezza sui rapporti che legano Bo a Zhou Yongkang, il capo dei servizi di sicurezza cinesi, suo unico alleato e, secondo alcuni, responsabile di un tentativo di colpo di Stato lo scorso mese (link). "Il gruppo di lavoro incaricato di indagare la questione relativa a Bo e Zhou è già arrivato ad Hong Kong. Vogliono sapere come gli hongkonghesi vedono Zhou e i suoi legami con l'ex capo del partito di Chongqing" ha riferito una fonte.

Da accertare, secondo Pechino, le modalità attraverso le quali gli assets del clan dei Bo sono stati trasferiti ad Hong Kong e all'estero.
Bo Xiyong, fratello maggiore di Bo Xilai, risulta apparentemente come il direttore esecutivo e vice direttore generale della China Everbright International- società quotata ad Hong Kong- sotto il falso nome di Li Xueming, mentre Gu Wangjiang, sorella maggiore di Gu Kailai, negli ultimi 10 anni avrebbe tenuto l'amministrazione in almeno nove società dell'isola.

Dettagli che vanno ad intorbidire ulteriormente le acque già rese poco limpide dalle voci, circolanti da tempo, secondo le quali il miliardario Xu Ming, presidente della Dalian Shide, avrebbe aiutato la moglie di Bo a trasferire ingenti somme oltremare. Xu, salito alla ribalta nel mondo del business al tempo in cui Bo Xilai era ancora sindaco di Dalian, risulta anche essere direttore e azionista della Golden international Investement, compagnia registrata ad Hong Kong, la quale- secondo quanto riportato dal quotidiano pechinese Economic Observer- controlla quasi tutte le negoziazioni tra la Dalian Shide e le società estere.

Xu Ming sarebbe al momento sotto inchiesta. Quanto a Gu Kailai, ancora sotto indagine per l'assassino di Neil Heywood, già tempo fa il giornalista cinese risiedente in Canada, Jiang Weiping, aveva assicurato fosse in possesso di un permesso di residenza per Hong Kong e una green card di Singapore. Cosa c'è di strano? Che lo statuto del Partito vieta ai funzionari e alle loro mogli di avere passaporti stranieri o permessi di residenza fuori dalla mainland. (link)

(Fonte South China Morning Post)

Bloomberg ha scavato a fondo sul passato del figlio avuto da Bo durante il primo matrimonio, Li Wangzhi. Conosciuto con il nome americano di Brandon Li, il primogenito dell'ex segretario di Chongqing nel 2006 compariva tra i banchieri della multinazionale americana di servizi finanziari Citigroup e... leggi su Bloomberg.

domenica 22 aprile 2012

Propaganda e censura nel terremoto politico cinese

Lo scorso luglio la stampa lo "aveva fatto morire" (link), ma Jiang Zemin, l'ex presidente della Repubblica popolare cinese, sembra essere ben lungi dal voler tirare le cuoia, e ritorna inaspettatamente sotto i riflettori dei media in un momento in cui sulla scena politica nazionale incombono nubi funeste. 

E' di venerdì la notizia ufficiale secondo la quale il vecchio Jiang avrebbe avuto un incontro con l'amministratore delegato di Starbucks, Howard Shultz, e "non perchè sia un fan del caffè", ha commentato sul suo blog Bill Bishop, analista di base a Pechino. Molti sono pronti a giurare che l'ultima apparizione del "padre nobile" della Cina vada osservata attraverso il prisma degli ultimi sconvolgimenti politici innescati dallo scandalo Bo Xilai, l'ex segretario di Chongqing deposto da ogni incarico lo scorso 10 aprile. 
Un segno che il vecchio Jiang è in salute e pronto a dire la sua sul rimpasto ai vertici previsto per il prossimo Congresso del Partito, forse. 

Una strategia che rientrerebbe perfettamente nella propaganda rilanciata attraverso messaggi subliminali portata avanti negli ultimi mesi dalla stampa nazionale. 
Mai come oggi riecheggiano udibili e sonore le parole pronunciate da Hu Jintao nel 2007, quando lanciata la campagna di pulizia di internet, il segretario generale del Partito sottolineò l'esigenza di coniugare il "controllo" (guanli) all' "utilizzo" (liyong) delle informazioni circolanti sul web. Un discorso rettificato e ampliato anche alla carta stampata nel giugno dell'anno seguente, quando fu introdotta la nuova tattica volta ad "incanalare l'opinione pubblica" (link) in una direzione vantaggiosa per la leadership.

Dal giorno del siluramento di Bo Xilai, Pechino ha scatenato il suo arsenale al completo. La macchina propagandistica, declinata nelle sue molteplici manifestazioni, ha subito cominciato a fare pressing sugli organi d'informazione affinché venisse sostenuta la linea perseguita dal Partito. 
La campagna contro Bo è stata inaugurata con la notizia dell'espulsione dell'"ex re di Chongqing" dal Comitato Centrale battuta dall'agenzia di stampa statale Xinhua lo scorso 10 aprile, e accompagnata dalla conferma ufficiale del coinvolgimento della moglie Gu Kailai nell'assassinio del britannico Neil Heywood. 

Ma sebbene "la fedeltà al Partito" sia il leitmotiv più ricorrente negli editoriali spuntati come funghi sulle prime pagine dei giornali d'oltre Muraglia, tra le righe si celano anche interessanti "non detti". Ad alcuni redattori del Global Times, tabloid nazionalista che fa capo al People's Daily (Quotidiano del Popolo), sarebbe stato ordinato di condannare senza pietà Bo Xilai, ma di risparmiare le sue politiche economiche incardinate sul rilancio del walfare, portate avanti durante il periodo di "reggenza" nella megalopoli del Sichuan. Secondo alcuni da interpretarsi come un endorsement di Zhongnanhai al "modello Chongqing", riciclabile in un prossimo futuro. 

Parole dure, invece, per la stampa internazionale e le sue illazioni circa le lotte tra fazioni che agiterebbero l'Empireo cinese; l'edizione in lingua inglese del Global Times non ha risparmiato critiche sulla copertura attuata dai media occidentale sul "caso Wang Lijun".

E' dalla repressione del movimento democratico di piazza Tiananmen che la propaganda governativa non veniva dosata con tanta precisione e capillarità, scrive il New York Times. "Da lungo tempo non si vedeva un'ingerenza così diretta e ampia sui media" ha dichiarato David Bandurski, giornalista di China Media Project presso l'Università di Hong Kong.

Bo Xilai, membro dell'aristocrazia comunista ed ex studente di giornalismo  -fino a pochi mesi fa proiettato verso uno dei seggi del Comitato permanente del Politburo- è stato una figura polarizzante della politica nazionale degli ultimi anni. Dal suo arrivo a Chongqing nel 2007 ha subito attratto ferventi consensi, guadagnandosi il sostegno dei cittadini grazie anche ad un astuto utilizzo dei mezzi d'informazione. 

Ora uno degli obiettivi più pressanti della propaganda di Pechino sembra essere proprio quello di intimidire o conquistare i potenti alleati di Bo che ingrossano le file della sinistra più intransigente e delle alte sfere dell'esercito. 
"[I leader] sanno che ci saranno ancora diverse opinioni e punti di vista" ha spiegato un alto dirigente di un gruppo editoriale statale "quindi è necessario sfornare un gran numero di articoli per unificare il pensiero della gente."

Dall'11 aprile editoriali anonimi su Bo Xilai e Wang Lijun impazzano sui principali organi d'informazione del Paese, dal People's Liberation Army Daily, con i suoi messaggi volti a tranquillizzare le forze armate, alle piattaforme online portavoce dei pensieri e delle richieste del popolo. In testa alla classifica si piazza il People's Daily, megafono del Partito, sul quale soltanto venerdì, per la prima volta, non ha fatto la sua comparsa il nome di Bo Xilai.

Gli articoli delle scorse settimane avevano trattato l'affaire Chongqing con le pinze, astenendosi dallo scagliare attacchi espliciti contro i coniugi Bo e la politica adottata dal leader dell'ultra-sinistra nella megalopoli cinese.
"In tale modo non si creeranno particolari polemiche" ha affermato Zhang Jiang, professore di giornalismo presso la Beijing Foreign Studies University di Pechino, "questa forma di pubblicità ha lo scopo di limitare il più possibile le reazioni negative".

Secondo la vulgata ufficiale il "nuovo Mao" si sarebbe macchiato di "gravi violazioni della disciplina", mentre la panacea per i mali di Zhongnanhai in questo momento risiede nella supremazia dello "Stato di diritto socialista", scriveva il Quotidiano del Popolo alcuni giorni fa.

Ma c'è anche chi ha azzardato qualcosa in più come il capo redattore del Global Times, Shan Renping, autore giovedì scorso di un pezzo al vetriolo nel quale, senza mezzi termini, puntava il dito contro la campagna anticrimine e il revival maoista, binomio cavallo di battaglia dell'ex segretario di Chongqing.

E nella ridda di voci sulla saga di Bo Xilai, il People's Daily si è scagliato contro l'uso improprio della rete internet, causa di diffusione di rumors e pettegolezzi infondati, sebbene, come dichiarato da Li Zhuang, avvocato perseguitato da Bo, negli ultimi tempi i netizen sembrerebbero riuscire ad avere maggior margine di manovra, mentre i gestori delle piattaforme di microblogging cominciano a chiudere sempre più spesso un occhio.

Intanto sotto i colpi di attacchi hacker venerdì Boxun.com, noto sito di "citizen journalism" che negli ultimi mesi ha trattato ampiamente il "caso Wang Lijun", è stato costretto a deviare su un altro hosting service. E nonostante il mandante dei pirati della rete non sia noto, il website manager, Watson Meng, è convinto che dietro agli ultimi attacchi si celino i servizi di sicurezza di Pechino.

sabato 21 aprile 2012

Boxun.com bersagliato da attacchi hacker



Troppe ne sapeva e ne aveva dette negli ultimi mesi Boxun.com. Il sito con base negli Usa recentemente vittima di attacchi hacker (link), venerdì è stato costretto al trasferimento ad un altro hosting service, come dichiarato dal tecnico del website Watson Meng. Sebbene non sia stata ancora localizzata l'origine delle incursioni che ne avevano reso impossibile qualsiasi attività, Meng è fortemente convinto che ci siano di mezzo i servizi di sicurezza cinesi.

Fondato nel 2000 per promuovere il movimento democratico e la difesa dei diritti umani in Cina, Boxun.com si è spesso scagliato contro il Partito denunciando casi di corruzione, talvolta proponendo veri e propri scoop, in alcuni casi, invece, pubblicando notizie rivelatesi in seguito infondate.
Primo sito cinese basato sul modello del "citizen journalism" (il materiale viene fornito dai lettori stessi che rimangono in molti casi nell'anonimato) e per molti anni bersaglio di cyber-attacchi, è stato a lungo finanziato dal National Endowment for Democracy- organizzazione non profit foraggiata dal governo statunitense- sebbene oggi sia completamente indipendente, ha dichiarato Meng.

Merito e colpa di Boxun l'aver coperto ampiamente il "caso Wang Lijun", fornendo per primo dettagli e notizie sullo scandalo politico più eclatante dell'ultimo ventennio cinese. Da febbraio il traffico sul sito è aumentato del 155%- come riportato dalla società di monitoraggio di internet Alexa- in prevalenza proveniente dal Regno di Mezzo, nonostante la censura di Pechino.

"Pubblichiamo articoli che criticano il governo, per questo siamo stati accusati di avere secondi fini" ha commentato il website manager" ma in Occidente la maggior parte dei media lo fa, perché noi non possiamo?"

mercoledì 18 aprile 2012

Cina: il nuovo corso della comunicazione

(Scritto per Ferpi)

Oltre 450 mila caratteri di puro indottrinamento; il vademecum per i quadri del Partito Comunista Cinese vide la luce nell’aprile 2010 e fu subito un grande successo. L’arte di guidare l’opinione pubblica, questo il titolo del “manuale del buon funzionario”, reca una firma di tutto rispetto: Ren Xianliang, vice direttore del dipartimento di Propaganda della provincia dello Shaanxi, vice presidente dell’Associazione dei Giornalisti cinesi ed ex penna della Xinhua, l’agenzia di stampa statale che fornisce almeno un quarto delle informazioni riportate dai gruppi editoriali nazionali.


Dopo circa sei mesi l’opera era già alla sua quinta edizione; con un centinaio di copie ordinate soltanto dalla nomenklatura del partito e vendite cinque volte superiori alle aspettative. In un distillato di massime assolutamente rivoluzionarie per la grande dittatura cinese, Ren spiega come cavalcare la bestia nera dell’opinione pubblica senza bisogno di utilizzare la frusta, soltanto grazie al dialogo con i media.

“Anche se i media sono controllati dal Partito, non bisogna impartire lezione ai giornalisti, né essere loro ostili perché non sono tuoi nemici, sono tuoi alleati”. La sentenza la dice lunga su quali siano gli intenti del suo autore, il quale ci tiene a precisare come stampa e governo siano accomunati dai medesimi obiettivi. Nel tentativo di tracciare una linea più marcata tra giornalismo e propaganda, tradizionalmente fumosa entro i confine della Repubblica Popolare, Ren tuttavia non esita nemmeno a mettere in guardia i suoi lettori (leggi: funzionari) verso le insidie della stampa, fornendo utili consigli su come smarcarsi agilmente dalle domande più scomode.
In altre parole, L’arte del guidare l’opinione pubblica ha lo scopo di dettare alcune linee guida indispensabili per la formazione di un pool di professionisti della comunicazione, istruendo gli uomini di Pechino su come trattare con i media, dopo anni di rapporti tutt’altro che idilliaci.

Tutto ebbe inizio il 20 giugno del 2008. Poco prima dell’inizio delle Olimpiadi di Pechino, il presidente Hu Jintao chiamò agli ordini il Ministero della Verità (termine con il quale è stato ribattezzato dal web l’ufficio della Propaganda) per modificare la strategia di difesa contro il “pericolo informazione”. Abbandonata la repressione ad ogni costo (esplicata nel motto “guidare l’opinione pubblica”), voluta dal precedente timoniere Jiang Zemin alla luce delle proteste studentesche di piazza Tiananmen, la nuova formula dello yulun yindao, “incanalare l’opinione pubblica”, consiste in un abile lavoro di makeup volto a modellare le notizie in modo da guidarle in una direzione vantaggiosa per il Partito. E il disastro mediatico seguito alle rivolte tibetane del marzo 2008, con il conseguente deterioramento delle relazioni internazionali del Dragone, rappresenterebbe, secondo molti, lo scoglio che ha indotto Pechino ad effettuare la grande virata.

Ma che la si voglia chiamare yulun yindao, “incanalare l’opinione pubblica” o “Controllo 2.0” (con particolare riferimento alla morsa esercitata su Internet), la nuova politica ammorbidita di Zhongnanhai – il quartier generale del Partito – è ben lungi dall’essere un sentito mea culpa, mentre la stretta sull’informazione continua ad intermittenza a seconda delle agende politiche o di come spira il vento: gli ultimi scandali politici innescati dal “caso Wang Lijun” e da un’ipotesi golpe sono stati accolti dalla leadership nel silenzio più totale. Nessuna spiegazione ufficiale, ma la necessità di mettere fine alle congetture della rete ha portato all’arresto di almeno 6 persone, alla chiusura di circa una quarantina di siti web, nonché alla rimozione di oltre 210 mila post dalla metà di marzo ad oggi.

“Trasformare le tragedie in trionfi” – aveva scritto il Southern Weekend a ridosso dell’uscita del bestseller di Ren – rischia di diventare l’ennesimo espediente volto a mascherare la realtà, nascondendo sotto il tappeto le notizie sgradite. Di fatto è cambiato il nome ma non la sostanza: che si parli del “guidare” di Jiang Zemin o dell’ “incanalare” di Hu Jintao, il controllo sull’infosfera rimane una priorità alla quale il Partito sembra non essere disposto a rinunciare.

Ma se il giornale della mattina continua ad essere il megafono del Partito, quello serale, i supplementi e la stampa metropolitana, quali il Nanfang Zhoumo e il Nanfang Dushibao, riescono a portare alla luce gli scheletri nell’armadio di Pechino, denunciando casi di corruzione, scandali e abusi di quadri.
La dottrina della “stabilità del silenzio” post Tiananmen comincia a mostrare i suoi punti deboli, soprattutto a causa della rapida diffusione delle notizie via web, principale alleato dell’opinione pubblica e araldo del nascente movimento per la difesa dei diritti civili (weiquan yundong).

Qualcosa nel sistema non va e qualcuno se ne è accorto da tempo. L’11 ottobre 2010 alcuni veterani del Partito quali Du Daozheng, redattore della rivista liberale Yanhuang Chunqiu ed ex direttore dell’Amministrazione generale della stampa e dell’editoria, Li Rui, ex segretario di Mao Zedong, Hu Jiwei, ex direttore del Quotidiano del Popolo, Li Pu, ex vicedirettore della Xinhua e Yu You, ex redattore capo del China Daily, firmarono una lettera indirizzata al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo nella quale, appellandosi all’articolo 35 della Costituzione, richiedevano l’abolizione della censura su internet, la libera circolazione nella mainland di libri e periodici provenienti da Hong Kong e Macao nonché la riabilitazione dei “non detti” della storia, con conseguente ammissione degli errori commessi dal Partito.

Se la strategia del bavaglio ha confermato la sua inefficienza, i piani alti del potere cominciano ad interrogarsi seriamente su possibili valide alternative. E questa volta la risposta è ad ovest.
Lo scorso settembre la prestigiosa università di Pechino Tsinghua, nota per aver formato importanti leader, tra i quali lo stesso Hu Jintao, ha organizzato un corso di crisis management e crisis communication invitando dall’estero professori ed esperti.
Il progetto finanziato dall’International Distinguished Scholars Program ha attirato dietro i banchi di scuola dottorandi, businessmen, funzionari governativi e professionisti dell’informazione.
Helio Fred Garcia, docente alla New York University e al Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo, nonché presidente del Logos Consulting Group di New York ha accolto con vivo stupore la partecipazione dinamica dimostrata in primis dai quadri del Partito.

“Sembravano veramente voler padroneggiare il processo di crisis management. Uno dei miei temi centrali è stato quello della necessità di prendere sul serio le aspettative degli stakeholder, per mantenere la fiducia facendo la cosa giusta al momento giusto” – ha scritto Garcia sul blog del Logos Institute – “Mi aspettavo che il governo avesse di default il desiderio di controllare le informazioni. E invece non ho visto nulla di tutto ciò. Sembravano veramente curiosi di sapere come vincere, mantenere e costruire la fiducia, il sostegno e l’approvazione pubblica.”

Sollecitato dal suo uditorio, Garcia ha poi trattato la questione dei social media, spiegando come la Us Food and Drug Administration utilizzi dieci account Twitter differenti, Youtube, Flickr e vari blog. “Mi aspettavo risposte del tipo ‘qua non lo possiamo fare’ e invece mi sono sentito domandare ‘come possiamo metterlo in pratica anche qua?’”

All’ammissione diretta dell’incapacità di controllare l’opinione pubblica di alcuni ha fatto seguito il sincero desiderio di imparare i segreti del mestiere per stare al passo con una caleidoscopica società in rapida trasformazione. Ciò che andava bene un tempo ora necessita di una robusta manutenzione, sembrano pensare i leader della Nuova Cina. Eppure rimane sempre il sospetto che la viva curiosità del Dragone possa sfociare in un assorbimento selettivo di idee e metodologie, dando vita ad una versione per così dire “con caratteristiche cinesi”.

Pena di morte per Bo Xilai?I messaggi subliminali del People's Daily


(Scritto per Dazebao)

Deposto dall’incarico di segretario di Chongqing, espulso dal Comitato centrale del Partito e dal Politburo, ora anche condannato alla pena di morte? Nuove nubi si addensano sul futuro a tinte fosche di Bo Xilai e questa volta sono i messaggi sibillini del People’s Daily, voce ufficiale di Zhongnanhai, a dare adito a nuove supposizioni.
In prima pagina un articolo, di poco defilato in basso a destra e firmato Ma Yong, menziona il caso di due funzionari che nel lontano 1952 vennero messi a morte con l’accusa di corruzione.

“Dalla gestione risoluta dei casi di corruzione che hanno coinvolto Liu Qingshan e Zhang Zishan al tempo della fondazione della nuova Cina, sino ad una serie di casi di investigazione su violazioni della legge o della disciplina del Partito a partire dal 16esimo Congresso del Partito...ci siamo posti l’obiettivo di costruire un Partito pulito, di risolvere in modo coerente i problemi interni al fine di conquistare la fiducia e il supporto del popolo” scriveva il People’s Daily in data 15 aprile.

Liu e Zhang, entrambi veterani distintisi durante la guerra civile e il conflitto sino-giapponese, sono stati giustiziati nel 1952 con l’accusa di corruzione per il loro operato durante il breve periodo in cui mantennero la carica di segretari di Tianjin.
Un aneddoto, spesso citato dai media della Cina continentale, racconta come a nulla fossero valse le pressioni esercitate da alcuni funzionari per un alleggerimento della pena contro la determinazione di Mao Zedong. Data la loro posizione elevata, il loro significativo contributo e l’ampia influenza esercitata, “solo con la loro esecuzione potremmo salvare 20, 200, 2000 e 20.000 altri quadri che hanno commesso a loro volta errori”, ribatte’ il Grande Timoniere.

E sebbene il quotidiano del Partito si sia ben guardato dal pronunciare il nome dell’ex uomo forte di Chongqing, la tempistica del pezzo di Ma Yong non e’ sfuggita ai molti osservatori che da mesi passano al setaccio la stampa nazionale in circa di preziosi dettagli sul “caso Bo Xilai”.
A destare qualche sospetto e’ stato quel riferimento tirato, ripescato tra le pieghe della storia, quando un passato piu’ recente avrebbe potuto fornire le storie esemplari dei due Chen finiti nelle maglie della giustizia per crimini economici. Chen Xitong, ex capo di Pechino, nel 1998 fu condannato a 16 anni di reclusione con l’accusa di corruzione e omissione di doveri d’ufficio, mentre nel 2008 Chen Liangyu, suo omologo nella metropoli di Shanghai, fece una fine analoga (18 anni per lui) per abuso di potere e per aver accettato tangenti.

D’altra parte l’articolo del People’s Daily si inserisce sulla scia dei recenti appelli dei leader cinesi volti a mettere in guardia dalle insidie della corruzione, principale spauracchio di Pechino. “La corruzione è la minaccia più grave per il Partito di governo - aveva dichiarato Wen Jiabao in un intervento pubblicato sul sito web del governo alla fine di marzo - e se la questione non verrà affrontata in maniera appropriata, la natura del potere potrebbe cambiare. Questa è la principale sfida che ci troviamo ad affrontare”. E proprio domenica scorsa il primo ministro ha lanciato un secondo messaggio, firmando di proprio pugno un editoriale dal titolo "Lasciate che il potere venga esercitato alla luce del sole".

Sebbene secondo la legge cinese la corruzione possa essere punita con la pena di morte, negli ultimi anni raramente e’ stata applicata la pena capitale a reati esclusivamente di natura economica. Ma nel caso di Bo Xilai la possibile implicazione nell’omicidio del businessmen britannico Neil Heywood -per il quale e’ al momento indagata la moglie Gu Kailai- sarebbe un aggravante sufficiente a motivare una sentenza senza pieta’. Tanto piu’ che il Chongqing Daily, megafono del governo della megalopoli del Sichuan, pochi giorni fa ha reso noto che l’ex segretario potrebbe effettivamente affrontare “accuse penali”.

Un’ipotesi che non convince Zhang Lifan, ex dell’Accademia cinese delle Scienze sociali, il quale ha sottolineato come condannare alla pena di morte quello che e’ considerato il maggior esponente della nuova sinistra getterebbe nel caos i piani alti della macchina governativa cinese a pochi mesi dal 18esimo Congresso del Partito, evento spartiacque nell’agenda politica nazionale che sancira’ il passaggio del potere ai leader della quinta generazione.

martedì 17 aprile 2012

L'epurazione di Bo Xilai getta ombre sull'esercito


(Pubblicato su Dazebao

Alcuni alti funzionari della zona militare di Chengdu, capitale provinciale del Sichuan, sono finiti sotto indagine.
La Commissione militare centrale (Cmc), che controlla le forze armate cinesi, ha sguinzagliato cinque nuclei investigativi per fare chiarezza sui rapporti che li legano a Bo Xilai, l'ex segretario di Chongqing caduto in disgrazia dopo essere stato coinvolto nel più colossale scandalo politico in salsa di soia degli ultimi vent'anni.

Che Bo fosse strettamente collegato all'Esercito Popolare di Liberazione non è certo una novità, ma la sua epurazione, avvenuta la scorsa settimana con l'espulsione dal Comitato centrale e dal Politburo per "gravi violazioni della disciplina del Partito," e l'arresto della moglie Gu Kailai, sospettata dell'assassinio del britannico Heywood, stanno continuando a gettare ombre oscure sulle forze dell'ordine locali.

Nella giornata di domenica due tra i più alti ufficiali di polizia di Chongqing sono finiti in manette per un presunto insabbiamento del "caso Heywood", come riportato dal Sunday Morning Post, mentre il Chongqing Daily, portavoce del governo municipale, ha accennato che l'ex "imperatore rosso" potrebbe affrontare accuse penali; prima volta che i media di stato si sono esposti con dichiarazioni tanto esplicite.

Alcuni giorni fa l'agenzia di stampa Xinhua aveva rivelato che il generale Guo Boxiong, vice comandante della Commissione militare centrale, di recente aveva fatto visita al Comando militare di Chengdu per intimare al personale di non ascoltare o diffondere voci sulle recenti questioni politiche. Guo ha poi invitato i soldati "a seguire strettamente le direttive della leadership del governo centrale guidata dal compagno Hu Jintao", e a prendere "precauzioni contro qualsiasi incidente rischi di disturbare la situazione complessiva".
Raccomandazioni che giungono dopo una serie di richieste di giuramento al Partito avanzate dal People's Liberation Army Daily, vero e proprio megafono dell'esercito. “Potremmo perdere la nostra direzione in questa complessa lotta per il potere politico se non abbiamo un forte orientamento politico”, si leggeva in un suo articolo pubblicato lo scorso 27 marzo.

Una fonte di stanza nella capitale provinciale del Sichuan ha raccontato che "cinque task force sono state spedite presso il Comando militare locale al fine di verificare se e in quale misura alti funzionari e soldati  siano stati coinvolti nel "caso Bo Xilai". E sebbene non siano ancora stati fatti nomi, molti elementi inducono a pensare che diversi generali fossero legati da rapporti di intima amicizia con l'ex leader di Chongqing.

Il Comando militare di Chengdu supervisiona il sud ovest del Paese compresa la città di Chongqing e le province del Sichuan, dello Yunnan, del Guizhou nonché la regione autonoma del Tibet, politicamente sensibile. La stessa fonte ha avanzato l'ipotesi che anche il 14esima armata, con base a Kunming, nello Yunnan, e fondato dal padre di Bo Xilai, Bo Yibo, sia stata sottoposta ad indagine. Proprio il giorno prima della fuga del superpoliziotto Wang Lijun presso il consolato americano di Chengdu (6 febbraio scorso), Bo aveva fatto una visita di alto profilo all'armata paterna.

Ma i rapporti con l'esercito non si fermano qui. Secondo quanto raccontato da alcuni giornalisti di Chongqing, all'inizio della campagna anticriminalità lanciata due anni fa con lo scopo di ripulire la megalopoli cinese dalle gang mafiose, temendo per la sua incolumità, l'ex capo del Partito locale si sarebbe rifugiato per diverso tempo presso una guarnigione dell'Esercito popolare di liberazione.

Nel frattempo all'inizio di questo mese Guo Weiguo, vice capo della polizia di Chongqing, e Li Yang, capo della polizia giudiziaria municipale, sono stati arrestati con l'accusa di aver occultato alcuni dettagli sulla morte di Heywood per la quale è attualmente indagata la moglie di Bo.

Mai come in questo ultimo periodo il controllo delle forze armate si rivela di fondamentale importanza per la leadership cinese. Un commento pubblicato il 1 aprile sul sito Deutsche Welle riferiva che gli ultimi appelli lanciati dal People's Liberation Army Daily confermerebbero una lotta di potere in atto tra i corridoi di Zhongnanhai, il quartier generale del Partito.
All'eliminazione di Bo Xilai, spiega il portale d'informazione tedesco, potrebbe accompagnarsi l'ipotesi che Hu Jintao decida di continuare ad esercitare la sua influenza sul Pcc anche dopo il passaggio delle consegne ai leader della quinta generazione previsto per il prossimo autunno, mantenendo la carica di presidente della Commissione militare centrale sino al 2014 o al 2015 (percorso simile a quello tracciato dall'ex presidente Jiang Zemin che rinunciò alla Cmc soltanto dopo il 4° Plenum del XVI Congresso, nel settembre 2004).

Secondo quanto spiegato dal commentatore d'attualità Wen Zhao, il fatto che il Partito comunista cinese non sia, in realtà, un governo legittimato dal popolo, esclude la possibilità di risolvere questo periodo di crisi politica attraverso l'assunzione di decisioni giudiziarie o di procedure quali referendum nazionali.
“L’esercito svolge quindi un ruolo cruciale”, ha commentato Wen a New Tang Dynasty TV (NTDTV), con sede a New York, “Chi lo controlla [l'esercito], vincerà”.

Alla fine di marzo le voci di un colpo di mano dell'esercito avevano infiammato l'opinione pubblica gonfiando il web di congetture più o meno fantasiose. Tra le ipotesi più accreditate, quella di una spaccatura in seno ai vertici che vedrebbe Zhou Yongkang, membro del Comitato permanente del politburo e potente capo degli apparati di sicurezza nazionale, schierato contro il blocco Hu Jintao -Wen Jiabao come unico alleato di Bo Xilai.

Il budget per il 2012 destinato alla stabilità interna e gestito da Zhou, con un aumento dell'11,5% rispetto all'anno passato, ha supera quello stanziato per l'esercito toccando la soglia dei 701,8 miliardi di yuan (circa 111 miliardi di dollari).

Secondo alcune stime, come riporta The Epoch Times, l'apparato manovrato dall'alleato di Bo Xilai (sebbene da alcuni giorni si vociferi che Zhou sia stato indotto alle dimissioni) è composto da circa 10 milioni di persone, tra le quali rientrano funzionari di polizia, agenti di sicurezza nazionale e locale, forze armate, corpi speciali, servizi segreti, polizia stradale, compreso il prezioso "esercito di Internet" preposto alla censura della rete. Uno staff che supera numericamente quello dell'esercito regolare.

domenica 15 aprile 2012

Il Triangolo che scotta e le prossime mosse della "Signora"

, lDopo il trionfo ottenuto da Aung San Suu Kyi durante le ultime elezioni parlamentari (la Lega nazionale per la democrazia si è aggiudicata 43 seggi su 44), ora tutti gli occhi sono puntati sulle prossime mosse diplomatiche della Signora. A quale degli incombenti vicini di casa deciderà di fare visita per prima? All'India, Paese dove la madre fu inviata come ambasciatrice e dove lei stessa studiò frequentando il Jesus and Mary Convent School e il Lady Shri Ram College, o la Cina, principale finanziatrice e protettrice politica di Myanmar, il cui braccio soffocante, tuttavia, comincia a lasciare il Paese senza respiro. La scelta è ardua.
Nel 1992 l'assegnazione a Suu Kyi del Jawaharlal Nehru Award for International Understanding per volere del governo di Delhi condusse ad un periodo di congelamento dei rapporti con la giunta militare birmana. Diversi anni e un approccio più realistico hanno permesso alle autorità indiane di riavvicinarsi a Nayipidaw. Per oltre un decennio la Tigre ha sfidato le critiche della comunità internazionale, puntando a stringere legami sempre più stretti con la grande "isolata".
Ma mentre New Delhi può dire di aver raggiunto un certo "equilibrio" nei rapporti con il Paese dei pavoni, Pechino continua ad esercitare un'influenza decisamente superiore, offrendo un'amicizia che rappresenta la salvaguardia più efficace contro le sanzioni dell'Occidente. Ma cosa più importante, sottolinea The Times of India, la Cina è ancora in grado di tenere la Tigre al guinzaglio minacciando  la politica interna nazionale con la sua influenza potenzialmente destabilizzante.
L'ingerenza dei Paesi occidentali e l'aria di riforme che aleggia su Myanmar comincia ad impensierire notevolmente il Dragone, mentre rimane alta la tensione nelle zone dove vivono le minoranze Karen e Kachin, al confine con la Cina e ancora solidamente pro-Pechino. Alcuni comandanti Kachin ritengono che la ripresa dei conflitti a fuoco dopo 17 anni di tregua sia da attribuirsi al desiderio della giunta birmana di ampliare il proprio controllo sulle aree interessate dai progetti energetici cinesi (link).

Con 55 milioni di abitanti, una posizione strategica e risorse naturali immense, la Birmania stuzzica gli appetiti di molti. Per il momento all'India non resta che godersi la sua piccola vittoria: il primo ministro Manmohan Singh sarà tra i primi leader esteri a recarsi a Yangon dopo le elezioni di questo mese.

(Fonte The Times of India)

sabato 14 aprile 2012

AUTOCRITICA

BUON WEEKEND A TUTTI E SCUSATE PER I NUMEROSI ERRORI DEI POST PRECEDENTI. HO APPENA SCOPERTO CHE BLOGSPOT SPESSO NON HA SALVATO MODIFICHE E CORREZIONI. SE NE VEDETE ALTRI SEGNALATEMELO, GRAZIE!

venerdì 13 aprile 2012

"Enemies of Internet", non solo Pechino


Google, Partito comunista, Facebook, internet, censura, Asia, "registrazione nome utente", sistema monopartitico.  Scansionati i vari tags, il risultato più immediato elaborato dal nostro motore di ricerca neuronale è ovviamente uno: Cina. Ma se è stato così sino a questo momento da giugno potrebbe non essere un esito poi tanto scontato.

Venerdì scorso il ministero dell'Informazione e delle Comunicazioni vietnamita ha rilasciato una prima bozza di legge in base alla quale tutti i grandi operatori e le aziende fornitrici di servizi internet- Google e Facebook compresi- dovranno collaborare con il governo per rimuovere le informazioni dai loro siti, qualora risultanti sgradite.

Le nuove norme, che se approvate diventeranno operative dal prossimo giugno, "avrebbero gravi implicazioni per i netizen e per le società internet", ha dichiarato mercoledì il Viet Tan Reform Party con base negli Usa, che spinge per l'attuazione di riforme e la difesa dei diritti in Vietnam.

Il Vietnam conta 30 milioni di utenti web. Al momento sono già previste alcune restrizioni tecniche per quanto riguarda l'accesso a diversi siti stranieri, come nel caso del social network di Zuckerberg ancora molto popolare entro i confini nazionali. Le ultime misure però, secondo quanto riferito dal Viet Tan, sono "radicali, di difficile attuazione e danneggerebbero sia i provider che gli utenti". Inoltre "la scarsa chiarezza della lingua utilizzata nel documento porterebbe a molteplici interpretazioni e ad un'attuazione arbitraria da parte delle autorità".

Secondo le nuove norme, le società di internet "che forniscono piattaforme di social network dovranno assumere l' impegno scritto di seguire le leggi locali sulla censura e rimuovere le informazioni, comprese quelle contro il governo vietnamita, dannose per la società e la sicurezza nazionale o che istighino alla violenza".
Saranno tenute, inoltre, a stabilire in Vietnam dei data center perché, spiega il Viet Tan, la mancanza di centri elaborazione dati è ciò che, sino ad oggi, ha permesso a Yahoo, Google, Microsoft e Facebook di evitare la cesoia di Hanoi.

Altra grande novità, l'obbligo per tutti gli internauti di registrarsi con il proprio vero nome, un provvedimento che da alcuni mesi è stato adottato anche da Pechino e che limita drasticamente la libertà di blogger e commentatori del web. Ma non solo. La bozza di legge impone anche che tutti i siti  d'informazione vengano approvati dalle autorità e aderiscano alle norme vigenti sulla stampa locale, pena l'arresto.

Negli ultimi anni Hanoi ha messo in manette oltre una dozzina di blogger e giornalisti con l'accusa di "sovversione"; una politica dal pugno di ferro che, secondo Reporters Without Borders, gli è valsa il titolo di "Enemy of Internet."

Leggi anche Rapporto 2012 di RSF sulla cyber censura

Chongqing hotpot, gli ultimi "ingredienti"

                                                          (Chongqing hotpot di Crazy Crab)

Il calderone di Chongqing continua a bollire, sempre più piccante e ricco di ingredienti. Le ultime dalla stampa internazionale sul clan dei Bo e la morte di Heywood.

The New York Times
Wall Street Journal
China Files
BBC
AgiChina

mercoledì 11 aprile 2012

Bo Xilai fuori dal CPC e Gu Kailai indagata per omicidio


(Pubbliacto su Dazebao)

L’ex segretario di Chongqing, Bo Xilai, espulso dal Comitato centrale del Partito (CPC) e la moglie Gu Kailai indagata per omicidio.


L’epilogo del piu’ grande scandalo politico in salsa cinese degli ultimi anni e’ giunto inaspettatamente nella tarda serata di martedi’, con una prima dichiarazione ufficiale del Pcc rilasciata dalla Tv di Stato CCTV e ripresa dalla stampa nazionale, Xinhua e People’s Daily per primi.

“Il compagno Bo Xilai ha violato gravemente la disciplina”. La notizia stringata riferisce che il Comitato Centrale del Partito ha deciso, secondo la costituzione del Partito e le disposizioni sulle “ispezioni disciplinari”, che Bo debba essere rimosso dal Politburo e dal Comitato Centrale per essere sottoposto ad indagini. D’altra parte, alcuni commentatori hanno evidenziato come l’utilizzo del termine “compagno” induca a pensare che l’ex capo di Chongqing sia ancora da considerare un membro del Pcc e che la sua “sospensione” possa essere solo temporanea.

La risonanza data alla questione ha gettato molti esperti nella confusione: dopo settimane di silenzio, i vertici di Pechino hanno rivelato gli scottanti retroscena del “caso Wang Lijun” che da tempo alimentava supposizione e congetture, tanto sul web che sulla carta stampata. Tutto aveva indotto a pensare che la leadership cinese stesse riservando per Bo un’uscita di scena in sordina.

Sino a poco tempo fa considerato una stella nascente del Partito e proiettato ad uno dei seggi del Comitato permanente del Politburo, il “nuovo Mao”, come era stato soprannominato per la sua linea populista e la “campagna rossa” che aveva allietato la megalopoli di Chongqing a suon di canzoncine e messaggi rivoluzionari, ora rischia grosso.
Oltre all’annuncio della sua espulsione dall’Empireo della politica cinese, i media statali non hanno esitato nemmeno a rendere noti i nuovi sviluppi delle indagini sulla morte di Neil Heywood, il cittadino britannico misteriosamente trovato privo di vita lo scorso autunno nella sua stanza d’albergo a Chongqing.

Lo scorso mese una notizia bomba del Wall Street Journal per prima aveva fatto luce sulla questione, evidenziando come l’uomo fosse strettamente legato alla famiglia Bo per aver assistito il figlio Bo Guagua nei suoi studi oltremanica, nonche’ per aver gestito gli affari dei coniugi. Negli ultimi tempi, pero,’ Heywood, che aveva lavorato anche per una societa’ legata ai servizi segreti britannici, avrebbe confessato ad alcuni amici stretti di “sentirsi in pericolo” a causa di alcune divergenze con Gu Kailai su alcuni “interessi economici”.

In seguito all’esplosione del “caso Wang Lijun”, braccio destro dell’ex uomo forte di Chongqing che nella notte tra il 6 e il 7 febbraio aveva chiesto asilo politico presso il consolato statunitense di Chengdu, le autorita’ del Regno Unito avevano chiesto alla polizia cinese di riaprire il fascicolo Heywood, troppo pieno di incognite sospette: un “decesso per abuso di alcol” e una frettolosa cremazione che non aveva convinto parenti e conoscenti del defunto.

E ora che Pechino ha deciso di rendere pubblico il futuro dell’”ex imperatore rosso” la Xinhua ha potuto confermare le voci di corridoio: “Secondo quanto emerso dalle investigazioni, ci sono sufficienti prove per dichiarare che Neil Heywood sia stato ucciso. Bo-Gu Kailai e Zhang Xiaojun (un domestico di casa Bo) sono fortemente sospettati di aver compiuto il crimine” e’ quanto si legge sul website dell’agenzia di stampa statale. E questo e’ propabilmente cio’ che spinse il superpoliziotto Wang Lijun a recarsi presso la sede diplomatica americana nel mese di febbraio.

He Qinglian, economista e commentatore politico, ha scritto su Twitter che il peculiare utilizzo  del doppio cognome “Bo-Gu Kailai” ,apparso sui giornali per indicare la moglie dell’ex segretario di Chongqing, potrebbe far pensare ad un tentativo di Pechino di coinvolgere anche il marito nell’accusa di assassinio. “Ai piani alti la sensazione e’ quella di stare perdendo il controllo della situazione” ha commentato He.

Prima di dar fuoco alle polveri, innescando un terremoto mediatico di proporzioni colossali, tra i corridoi di Zhongnanhai ogni mossa e’ stata studiata a tavolino: per tutto il Paese riunioni tra i membri del Partito locali hanno preceduto l’ufficializzazione della notizia. Alcuni partecipanti hanno pubblicato le foto su Weibo, lamentando di essere stati chiamati a presenziare ai comizi anche a notte fonda. Questo genere di riunioni in piccoli gruppi su estensione nazionale sono ricorrenti in situazioni politiche particolarmente sensibili, paragonabili all’accusa di tradimento diretta a Lin Biao, spalla di Mao, durante la Rivoluzione Culturale, scrive The Epoch Times.

Un’eventuale accusa di omicidio dei coniugi Bo, entrambi figli di eroi della rivoluzione comunista, potrebbe riflettere ombre d’incertezza sul rimpasto ai vertici della macchina politica cinese in agenda per il prossimo autunno. In un momento in cui il Partito dovrebbe confermare la sua coesione interna, un’ipotesi di colpo di mano dell’esercito e i sospetti di una spaccatura tra il blocco Hu-Wen e i sostenitori dell’ex leader di Chongqing, guidati dal capo dei servizi di sicurezza Zhou Yongkang, agitano l’opinione pubblica tanto in patria quanto all’estero.

Il boato suscitato dal crollo di Bo Xilai probabilmente continuera’ a far sentire la sua eco per molto tempo. Bo e’ uno dei membri piu’ in vista della fazione del “principini rossi”, gli eredi della dinastia rivoluzionaria che, intrecciati ai ranghi dell’elite politica cinese, sono stati foraggiti dalle imprese statali e dai monopoli industriali.
Maggior esponente della “nuova sinistra,” con la sua uscita di scena il “nuovo Mao” apre la strada all’ala liberale del Partito tornata a far sentire la sua voce attraverso gli ultimi appelli del premier Wen Jiabao che, in chiusura dell’Assemblea Nazionale del Popolo, ha evidenziato la necessita’ di “riforme urgenti” per scongiurare il pericolo di una nuova Rivoluzione Culturale.

E anche se per il momento non e’ stato ancora reso noto in cosa consista il “comportamento contrario alla condotta del Partito”che e’ costato all’ex segretario di Chongqing l’espulsione dal CPC, le ultime dichiarazioni riportate dalla stampa ufficiale fanno presagire pesanti sanzioni. “Non importa chi sia, o quale sia la sua posizione” si legge in un commento pubblicato sul People’s Daily “se ha violato la disciplina del Partito e le leggi dello Stato e’ giusto che venga trattato severamente”.


Leggi il post sul blog del grande Marco Del Corona

martedì 10 aprile 2012

L'appeal culturale del Drgone è anche "word power"


(Pubblicato su Dazebao)

Non vi sono dubbi che la Cina abbia impressionato il mondo con il suo boom economico. Ma questo non e’ sufficiente”. Lo ha dichiarato Yu Guoming, professore di giornalismo presso la Renmin University di Pechino.
La questione e’ ancora una volta quella da mesi dibattuta dalla stampa internazionale: il Dragone non si accontenta di conquistare i nostri portafogli, vuole di piu’; vuole dettare le regole di un nuovo “way of life” penetrando nell’immaginario collettivo. E il “soft power” sara’ il catalizzatore del nuovo “grande balzo in avanti”; perche’ oggi la Cina, secondo potenza economica al mondo, puo’ permettersi di puntare a tanto.

La cultura sta rapidamente emergendo come indicatore cruciale della competitivita’ cinese nel mondo contemporaneo” ha affermato Yu, sottolineandeo come nella sua crescita a ritmi serrati il Regno di Mezzo in futuro non potra’ piu’ accontentarsi di esportare all’estero soltanto merci, ma dovra’ invece puntare a far conoscere il suo stile di vita e la cultura nazionale in tutto il mondo.

Secondo i dati forniti dall’Amministrazione generale delle dogane, nel 2011 l’esportazione cinese di prodotti culturali ha battuto un nuovo record raggiungendo i 18,7 miliardi di dollari, con un incremento del 22,2% rispetto all’anno precedente. E per gli esperti, i numeri continueranno a crescere sostenuti dalle politiche governative in materia di “soft power”.

All'inizio del nuovo anno, il presidente Hu Jintao aveva messo subito le cose in chiaro, firmando un editoriale apparso sul Qiushi, periodico bimensile pubblicato dal Comitato centrale del Partito. La forza culturale e’ alla base della competitivita’ cinese e sara’ determinante per stabilire il suo ruolo sullo scacchiere internazionale, aveva scritto Hu, aggiungendo come la Cina non puo’ essere “un gigante economico e contemporaneamente un nano culturale”.
Lo scopo e’ ovviamente anche quello di dare una nuova immagine del paese che non sia unicamente affiancata a prodotti di bassa qualita’ o alla minacciosa assertivita’ nel continente Asia. “Il mondo ha una grande curiosta’ e voglia di conoscere la Cina, non soltanto la sua forza economica” ha dichiarato Martyn Davies, chief executive di Frontier Advisor, societa’ leader nella ricerca e la consulenza strategica nei mercati emergenti.

E una grande prima sorpresa e’ gia’ arrivata dal mondo dell’editoria. Perche’ l’ex Impero Celeste ha una letteratura millenaria che aspetta di essere scoperta anche da quella fetta di mondo che non ha dimestichezza con i caratteri.
La presenza di buoni traduttori e’ fondamentale per permettere alle opere di scrittori cinesi di raggiungere il mercato estero” ha dichiarato Ya Ding, presidente dell’Association for the Development of China-France Exchanges.

Nel 1985 Ya fu insignito dal governo francese del Young Translators' Prize grazie alla sua versione in cinese dell’opera del filosofo Jean-Paul Sartre, “l’Age De Raison”. Gli ultimi 27 anni della sua vita li ha dedicati alla creazione di opere letterarie in lingua francese, sette in totale e tutte incentrate sulla Cina.
Il suo primo lavoro, “Le Sorgho Rouge” (titolo non nuovo nel panorama letterario cinese) pubblicato in Francia nel 1987, divenne subito un bestseller con oltre 500mila copie vendute a distanza di poco tempo dalla sua uscita.
Le persone in Europa sono appassionate di letteratura cinese, ma la mancanza di canali di diffusione e la carenza di traduttori veramente capaci fa si che molte opere continuino ad essere ignorate dai più.”
Per dare nuova visibilita’ alla produzione letteraria dell’Impero di Mezzo scrittori ed editori stanno unendo i loro sforzi. “I bestseller e le opere di famosi autori cinesi cominciano ad attrarre sempre maggiormente gli editori internazionali, perche’ i lettori d’oltremare vorrebbero leggere piu’ “storie” che riflettono la Cina contemporanea,” ha affermato Ya.

Secondo le statistiche della General Administration of Press and Pubblication il rapporto tra le importazioni e le esportazioni di copyright e’ scivolato dal 7,2:1 del 2005 al 3:1 del 2010. Inoltre i dati dimostrano che, dall’inizio della politica di riforme e apertura sino ad oggi, oltre 1000 opere cinesi contemporanee sono state tradotte in altre lingue, di cui oltre il 90% apparteneti al genere romanzesco e alla narrativa.
Anche Pechino ce la sta mettendo tutta. Il People’s Literature, principale rivista letteraria nazionale, lo scorso novembre ha lanciato una nuova versione in lingua inglese, stabilendo un trampolino di lancio per proiettare il settore editoriale dell’Impero di Mezzo oltre oceano.

E lo scorso anno il China Publishing Group, il piu’ grande conglomerato editoriale di proprietà statale, ha esportato 544 libri d’autore, evidenziando un aumento del 124% rispetto ai 243 del 2006. Il gruppo ha anche stabilito tie-up con piu’ di 60 case editrici in 30 paesi differenti.

La Cina deve puntare sulle co-edizioni con case di paesi sviluppati, che hanno una ricca esperienza a livello internazionale. Solo cosi’ potra’ ottenere risultati di piu’ ampio respiro” ha precisato Zhang Qinghua, direttore dell’International Communication Center della Beijing Normal University, “ risultati che non potranno mai essere raggiunti attraverso canali diplomatici.”

lunedì 9 aprile 2012

I fantasmi dell'89 bussano alle porte di Pechino

Vogliono tornare in patria gli ex leader del movimento studentesco di piazza Tiananmen, da anni in esilio. Almeno per una visita.

E' quanto hanno richiesto al governo di Pechino in una lettera Wang Dan, Wuer Kaixi, Hu Ping, Wang Juntao, Wu Renhua e Xiang Xiaoji.  "Per ragioni politiche ci è stato negato il rinnovo dei passaporti, ci sono stati revocati i passaporti, o ci è stato negato l'ingresso in Cina. In breve, siamo stati privati del diritto di tornare nel nostro paese" hanno dichiarato in una corrispondenza risalente a venerdì, resa nota dal gruppo per i diritti umani China Human Rights Defenders.

Wang Dan e Wuer Kaixi sono due delle figure più rappresentative del movimento pro-democrazia dell'89, represso nel sangue dall'esercito cinese. Si stima siano state centinaia, forse migliaia le persone rimaste uccise nella dalla furia dei carri armati scatenati dal governo centrale nella notte tra il 3 e il 4 giugno; sei settimane di proteste pacifiche soffocate con la violenza. E il verdetto ufficiale fu implacabile: "Ribellione contro-rivoluzionaria," così era stato bollato il movimento studentesco, prima che il corso della storia conducesse ad un progressivo ammorbidimento.

A distanza di 23 anni i sei esiliati hanno lanciato il loro appello al governo "perché abbandoni la vecchia pratica di non permettere il rimpatrio a chi ha differenti opinioni politiche", dicendosi disposti "a discutere modalità concrete per risolvere il problema".

Wang Dan, nel 1991 condannato in prima battuta a quattro anni di carcere, fu rilasciato nel '93. A causa di alcuni scritti pubblicati all'estero, nel 1996 gli furono dati altri 11 anni; poi venne rimesso in libertà per ragioni mediche e frettolosamente spedito negli Stati Uniti, subito prima di una visita dell'allora presidente americano Bill Clinton in Cina. Il solito tempismo di Pechino.
Wueir Kaixi, appartiene alla minoranza etnica degli uiguri. Cominciò a farsi conoscere quando, ancora studente all'università normale di Pechino, durante uno sciopero della fame protestò per televisione contro il premier Li Peng. Dopo i tragici eventi dell'89 riuscì a fuggire ad Hong Kong, oggi vive a Taiwan. Hu Ping, invece, è uno dei principali contributori della rivista dissidente "Beijing Zhi Chun" ("La primavera di Pechino").

La lettera dei veterani di Tiananmen è giunta in concomitanza con la notizia della morte di Fang Lizhi, un altro famoso attivista legato al movimento dell'89 e risiedente negli Usa. Feng si è spento all'età di 76 anni. Un luminare di fama internazionale nel campo dell'astrofisica, dopo aver appoggiato le proteste studentesche, ottenne per un anno rifugio presso l'ambasciata americana. Poi nel 1990 fu costretto all'esilio. Tutto ebbe origine dai suoi scritti, dalla sua critica al maoismo e all'ideologia marxista, i pilastri del regime comunista cinese.

(Da giorni si parla di una possibile Riabilitazione del movimento dell'89 e di Hu Yaobang)

Seul teme nuovo test nucleare nordcoreano


C’e’ del marcio a nord del 38° parallelo. Alcuni rilevamenti satellitari hanno evidenziato sospetti cumuli di terra presso il sito nucleare Punggye-ri, nella contea di Kilju, propaggine nord-orientale della Corea del Nord. Secondo il governo di Seul, Pyogyang si starebbe preparando al suo terzo test nucleare sotterraneo, mentre proseguono a spron battuto i lavori di assemblaggio del missile a lungo raggio il cui lancio e’ previsto tra pochi giorni. Lo ha riferito un anonimo portavoce sudocreano nella giornata di domenica, il quale ha spiegato che il satellite ha mostrato una pila di terra, proprio in prossimita’ dell’ingresso di un tunnel. Un campanello d’allarme per gli analisti del governo della Corea del Sud, i quali hanno interpretato il rinnovato dinamismo nell’area come il segno di possibili preparativi per un nuovo test. Come scrive il New York Times, infatti, una grande quantita’ di terra e’ necessaria per sigillare una galleria prima della detonazione di un dispositivo nucleare.

Il portavoce di Seul ha cosi’ confermato le voci diffuse in prima battuta dall’ agenzia di stampa sudcoreana Yonhap e da altri organi d’informazione nazionali, mentre la notizia e’ stata messa in relazione alle complesse alchimie della politica interna.
Il Partito democratico unito, l'opposizione sudcoreana, ha accusato l'agenzi di spionaggio National Intelligence Service di aver fatto trapelare le informazioni in vista delle elezioni parlamentari di mercoledi’, con lo scopo di aiutare la frangia conservatrice puntando tempisticamente i riflettori sulla minaccia nucleare nordcoreana.
Si parla di possibili test nucleari nordcoreani da almeno un mese” ha dichiarato Park Yong-jin, portavoce del Pdu, “ci chiediamo allora perche’ il National Intelligence Service abbia deciso di portare la questione all’attenzione dei cittadini e dei media a soli tre giorni dalle elezioni”. 

La minaccia nucleare di Pyongyang era stata sollevata durante il discorso elettorale di domenica scorsa dal leader del Partito della nuova frontiera nell’intento di cementare il supporto dei conservatori.
Ma la tensione sullo scacchiere internazionale era gia’ montata dopo la notizia del lancio del satellite previsto tra giovedi’ e lunedi’ prossimo, e in programma da tempo. La risposta degli Stati Uniti e dei suoi alleati e’ stata chiara e decisa: il lancio del missile intensificherebbe l’isolamento di Pyongyang e verrebbe accompagnato da provvedimenti e sanzioni internazionali piu’ severe.
Intimidazioni che non servite a smorzare la determinazione della Corea del Nord che ha confermato i propri intenti; il razzo sarebbe gia’ in posizione, come confermato da alcuni corrispondenti di AP, tra i giornalisti stranieri ai quali sara’ concesso di assistere al lancio.
Il mese scorso il ministero degli Esteri nordcoreano aveva avvertito Washington che la sospensione degli aiuti alimentari (si era parlato di 240mila tonnellate di alimenti entro l'anno prossimo), come rappresaglia per il lancio del satellite, aveva di fatto messo un punto agli accordi siglati lo scorso 29 febbraio in base ai quali Pyongyang aveva accettato una moratoria sull’arricchimento dell’uranio, sui missili a lunga gittata e sui test nucleari.

Nel 2006 e nel 2009, durante i due precedenti test, la Corea del Nord aveva portato avanti il riprocessamento di barre di plutonio in grado di produrre materiale fissile per armi nucleari. Un'accelerata, quella dello "Stato eremita", che aveva portato i colloqui a sei ad una fase di stallo inducendo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad emettere una risoluzione volta a vietare il lancio di razzi dotati di tecnologia equivalente a quella del missile balistico attualmente in via di ultimazione.
Se il paese tentasse un terzo test, hanno spiegato gli addetti ai lavori, questa volta potrebbe usare ordigni nucleari alimentati ad uranio altamente arricchito, per la produzione del quale, come mostrato nel 2010, Pyongyang e’ in possesso di un avanzato impianto.
E nonostante la Corea del Nord continui a gettare acqua sul fuoco insistendo che il lancio del satellite e’ stato da tempo pianificato per festeggiare il centenario della nascita di Kim Il-sung, padre fondatore della Repubblica democratica popolare e nonno dell’attuale leader Kim Jong-un, a crederci sono in pochi. Dalle parti della Casa Bianca gli ultimi "esperimenti scientifici" di Pyongyang sono stati letti come una chiara copertura per lo sviluppo di missili balistici intercontinentali in grado di montare una testata atomica.

Nel frattempo la questione coreana impensierisce sempre di più i cugini asiatici. Persino l’alleato storico, la Cina, comincia a mal sopportare l’indisciplinato vicino di casa, e per bocca del suo ministro degli esteri Yang Jiechi si e’ detto molto preoccupato per la situazione della penisola coreana. Sabato scorso nella citta’ di Ningbo Yang ha incontrato separatamente i sui omologhi giapponese e sudcoreano. Come riportato dall’agenzia di stampa Xinhua, il rappresentante della diplomazia estera cinese ha espresso grande preoccupazione per gli ultimi sviluppi, e ha invitato alla calma. Ma alla strategia attendista di Pechino Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti non ci stanno piu’. Maggior aggressivita’ e’ quanto hanno richiesto al Dragone per mettere un freno una volta per tutte al comportamento provocatorio di Pyongyang.

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...