mercoledì 24 febbraio 2016

Il ritorno alla fantascienza in Cina


Nella mattinata del 29 agosto, alla Fiera internazionale del libro, sono state vendute 1570 copie di "The Three Body Problem" nell'edizione cinese e in quella inglese. I libri non bastavano e gli organizzatori sono stati addirittura costretti a limitare il numero di copie che ogni persona poteva acquistare. Nell'arco di sole due ore, Liu Cixin ha rilasciato quasi un migliaio di autografi. Alla fine aveva le dita della mano indolenzite. In Cina torna la fantascienza. O quella di prima non era fantascienza? China Files vi propone il long form del Zhongguo Xinwen Zhoukan tradotto in tre puntate.Capelli a spazzola, viso tondo e occhiali con la montatura nera. Sulla camicia jeans aveva appuntata una piccola spilla che, a ben vedere, era identica al trofeo in palio per il Premio Hugo. Si trattava proprio della spilletta assegnata al vincitore del premio letterario dedicato alla fantascienza. Il pomeriggio del 23 agosto, nell'ambito della 73esima edizione dell'Hugo Award, la World Science Fiction Society aveva premiato Liu Cixin e il suo "The Three Body Problem" con il primo premio. Dopo appena un paio d'ore dalla diffusione della notizia, la trilogia ha raggiunto il vertice della classifica delle vendite su Amazon in Cina.

In Cina, prima di "The Three Body Problem", i romanzi di fantascienza avevano accumulato oltre un secolo di storia, ma senza particolare successo. "Dal caos della guerra [con il Giappone], alla Rivoluzione Culturale, fino alla critica spietata, la strada della fantascienza in Cina è stata accidentata", racconta al Newsweek lo scrittore 67enne Wang Jinkang. Secondo lui, il filone della fantascienza "è nato e si è sviluppato lungo un sentiero accidentato". Solo dopo parecchi anni, Liu Cixin è riuscito finalmente ad "andare a segno".

Attualmente una versione cinematografica dell'opera di Liu è in fase di post produzione. Ma mentre i fan della trilogia sono abbastanza incuriositi dall'idea di un film, la qualità della pellicola desta parecchie perplessità. Prima che iniziasse a rilasciare autografi gli era stato domandato: "Com'è possibile che un'opera famosa come "The Three Body Problem" non passi per le mani di un regista di Hollywood?" Liu aveva risposto: "Dove eravate cinque anni fa? All'epoca nessuno era interessato a realizzare un adattamento cinematografico. In cinque anni si è fatta viva soltanto questa società televisiva. Ecco il motivo della scelta".

"In Cina, la fantascienza di nuova generazione non ha le qualifiche per ricordare il passato"

All'inizio degli anni Ottanta, Liu Cixin era già un fan sfegatato della fantascienza. Nell'inverno 1981 la lettura di "Odissea nello Spazio" di Arthur C. Clarke lo aveva letteralmente rapito. Molti anni dopo, scrisse sul suo blog di come improvvisamente, osservando il cielo stellato, ebbe l'impressione che "tutto ciò che mi circondava fosse sparito. Sotto quel meraviglioso cielo stellato ero rimasto solo, l'unico ad affrontare il gigantesco mistero incomprensibile alla mente umana".

In questi anni, Liu ha potuto leggere diversi romanzi di fantascienza pubblicati in riviste quali "Kehuan Shijie", "Kehuan Haiyang", "Kexue Shidai", "Kexue Huabao" e "Kehuan Xiaoshuo Bao" edite dall'Heilongjiang Group. Le raccolte più corpose riunivano alcuni romanzi usciti durante l'anno e li pubblicavano in "Kehuan Shenhua". Liu riusciva a trovare libri di fantascienza persino in alcune pubblicazioni letterarie mainstream, come "Remin Wenxue" o "Shi Yue". Non è un caso che alcuni studiosi chiamano il periodo che va dall'inizio delle Riforme ad oggi "l'età dell'oro della fantascienza".

In realtà, i primi autori occidentali erano approdati in Cina già all'inizio del Novecento, ma con l'impatto delle varie guerre e della Rivoluzione Culturale la loro fortuna era stata altalenante. Dopo le riforme, con il progressivo rilassamento del clima culturale, si è assistito al periodo di massimo splendore per la narrativa di fantascienza. Sebbene lo scrittore Ye Yonglie avesse terminato "A claver boy's travel to the future" nel 1961, il libro fu dato alle stampe soltanto nel 1978 grazie ad una casa editrice di libri per ragazzi. Ne furono stampate ben 3 milioni di copie.

Gli appassionati del genere avevano finalmente l'opportunità di leggere i loro romanzi preferiti, ma le condizioni di vita erano ancora piuttosto disagiate. Liu Cixin non poteva permettersi l'acquisto di tutte le riviste che avrebbe voluto e la biblioteca della scuola era piccola e non aveva testi di fantascienza. Inoltre il settore era piuttosto impervio per i nuovi arrivati. Ai tempi dell'università se un compagno di classe entrava in possesso di una rivista, la faceva circolare tra i compagni. "Aspettavo con ansia che gli altri la finissero di leggere per potermene appropriare", racconta Liu al iNewsweek, "passava di mano in mano. Prima che ti arrivasse, la rivista era già diventata vecchia".

All'epoca il cento per cento dei romanzi di fantascienza era nella categoria “libri per ragazzi”. La fantascienza era arrivata in Cina alla fine della dinasta Qing per diffondere la scienza e trasformare il paese. La funzione divulgativa era diventata la caratteristica predominante del genere. Liu se lo ricorda bene: all'epoca il romanzo di fantascienza più popolare era "Death-Pay on the Coral Island" pubblicato dal periodico "Renmin Wenxue". Amato quasi quanto "Goldbach Conjecture", ebbe un impatto sulla società considerevole. “Ne parlavamo tutti. Una situazione che purtroppo non si è mai più ripetuta", racconta Liu.

Più leggeva, più Liu aveva voglia di confrontarsi con la sua abilità. Provò a buttare giù qualcosa. Il tema centrale dei suoi primi racconti ruotava intorno all'invasione degli extraterrestri, ma non solo. Si cimentò anche con questioni ambientali e militari. Queste opere giovanili sono ancora in circolazione. Un paio ("With Her Eyes" e "Inferno") sono state rivisitate a distanza di anni. " Provo vergogna soltanto a riprenderli in mano", ricorda Liu, "l'età era quella che era: poca esperienza e poca conoscenza del settore".

Erano anni di grande fervore, poi l'entusiasmo si spense di colpo. Dopo il 1984, la Cina si cominciò a interrogare sulla natura della fantascienza: doveva essere considerata una scienza vera e propria? Oppure era una futile fantasia, una sorta di inquinamento spirituale? Alcuni pensavano che fosse solo folclore e che bisognasse diffondere soltanto la conoscenza scientifica. Quella parte di scienza "immaginaria" veniva ritenuta nociva per lo spirito. Qualche tempo dopo un giornale pubblicò in prima pagina un editoriale molto critico sull'argomento. In un battibaleno tutti i romanzi di fantascienza furono fatti sparire. "Scomparsi tutti in una notte", ricorda Liu. La fantascienza, un settore in passato vivace e prolifico, era stato spazzata via d'un colpo. "Mi sembrò un sintomo allarmante", racconta Liu. "Mi sentivo depresso, frustrato e svuotato. Come se avessero portato via una parte di me".

Si fermò. "Non c'era più nessuno disposto a pubblicare, a cosa serviva continuare a scrivere?" Alla fine del 2002, in un articolo scrisse affranto: "La fantascienza di nuova generazione non può ricordare il passato, perché in realtà noi non abbiamo un passato". Ma nel 1989 Liu fece un sogno che gli fece tornare l'ispirazione. Quell'anno era andato a Pechino per partecipare ad una conferenza sull'informatica. Pernottava in una camera da tre presso l'ostello della North China Electric Power. Una notte sognò un campo innevato che si estendeva a perdita d'occhio. “La burrasca sollevava polvere di neve, nel cielo c'era una figura sferica, non so se il sole o una stella... Emanava una luce blu accecante. Sul campo di neve avanzava un esercito di bambini. Cantavano una canzone di cui non so il nome. Procedevano con ordine." Si era svegliato con il cuore in gola e madido di sudore.

Il giorno dopo, servendosi del vecchio software WORDSTAR, cominciò a scrivere il romanzo "The Era of Supernova". Dopo una una catastrofe, i bambini sono gli unici sopravvissuti sulla terra e si ritrovano a combattere una sanguinosa battaglia nell'Antartico. Poiché ancora il genere non era benvisto, non poté scrivere un romanzo di fantascienza "pura". Doveva "portare avanti il lavoro di nascosto come un ladro". L'opera fu sottoposta a cinque revisioni e venne data alle stampe solo 12 anni più tardi.

Da letteratura per bambini a libri culto citati dai tycoon delle aziende che si occupano di internet e nuovi media. Dal dibattito all'interno mondo dell'accademia alle sale cinematografiche. In Cina torna la fantascienza. O quella di prima non era fantascienza? China Files vi propone la seconda parte della traduzione del long form del Zhongguo Xinwen Zhoukan."La New generation"
L'anno del suo 44esimo compleanno Wan Jinkang, al tempo ingegnere della compagnia petrolifera dello Henan Nanyang Petroleum Machinery Factory, divenne inaspettatamente uno scrittore di romanzi di fantascienza. Da giovane era appassionato di letteratura, ma non si considerava un vero e proprio fan della fantascienza. Aveva letto molti classici: Hemingway, Zhang Xianliang, Su Tong, ma anche Verne, Ye Yonglie e Zheng Wenguang. Eppure non si definiva un appassionato del genere. Nel 1978, entrò all'Università Jiaotong di Xi'an. In quegli anni alternava lo studio di ingegneria energetica alla scrittura di testi letterari. Una volta laureato, gli impegni lavorativi lo costrinsero a sospendere la scrittura. Fin da bambino era stato affascinato dalla scienza. La prima volta che si trovò davanti un manuale scientifico e scoprì che i sette colori primari sono generati da diverse frequenze di onde elettromagnetiche, rimase colpito dal fatto che questo fenomeno potesse essere così "semplice, bello e identico in ogni parte del mondo" .

Era il 1992 quando Wang Jinkang, notando che le sue storie rapivano il figlio di dieci anni, istintivamente buttò giù alcuni racconti di fantascienza che, inaspettatamente, piacquero molto al bambino. Questo lo incoraggiò a proseguire. Si impegnò a scrivere un vero e proprio romanzo: "The Return of Adam". Ma, data la sua scarsa conoscenza del genere, non sapeva nemmeno a chi proporlo. Un giorno mentre si aggirava per mercatini, trovò la rivista "Kehuan Shijie". Si accovacciò per copiare l'indirizzo di un editore a cui poter spedire il suo libro. "Kehuan Shijie" era l'unica rivista specializzata sopravvissuta nella Cina di quegli anni. L'aspra critica contro la narrativa fantascientifica aveva lasciato strascichi: gli autori di romanzi di fantascienza scarseggiavano. La vecchia generazione di scrittori, come Ye Yonglie, si era specializzata nella letteratura biografica. Nel 1984, Zheng Wenguang era rimasto paralizzato in seguito a un ictus. Non aveva retto il dolore nel vedere la fantascienza venire degradata a "corruzione spirituale della classe capitalistica".

"Kehuan Shijie" vendeva ormai solo poche migliaia di copie e riusciva a malapena a sopravvivere. Non appena ricevette la bozza di "The Return of Adam", l'editore rispose alle lettere di Wang: l'idea e lo stile non erano niente male. Volevano pubblicarlo a puntate, ma il testo doveva essere rivisto. L'originale andava bene per le scuole medie e superiori, ma lo si voleva riadattare per le elementari e le medie. "È troppo impegnativo, non si potrebbe renderlo più "leggero"?", gli avevano chiesto per iscritto. Per venire incontro alle richieste, Wang accorciò il testo da dieci a 3/4mila caratteri. L'editore si rese conto che nella riduzione l'opera aveva perso molto. Così fu pubblicata integralmente. "Kehuan Shijie" rinunciò a raggiungere il pubblico delle scuole elementari e medie e Wang prese 200 yuan di royalty.

"L'apparizione di Wang segna l'inizio di un periodo che potremmo addirittura chiamare 'l'epoca di Wang Jinkang". Vent'anni dopo, il vice capodirettore di "Kehuan Shijie", Yao Haijun, nella prefazione alla raccolta di racconti "The Reborn Giant", lo definva il pioniere della fantascienza in Cina. A lui andava il merito di "aver rivelato la lucentezza delle stelle". Dopo "The return of Adam", Wang ha pubblicato altri romanzi vincendo diversi premi. Nel 1995, "Kehuan Shijie" pubblicò il racconto "The Song of Life". Fu così apprezzato dai lettori che la rivista dedicò due pagine intere ai commenti. Profondamente commosso, Wang decise di continuare a scrivere romanzi di fantascienza.

Nel 1997, la scienza e la tecnologia raggiunsero anche i media cinesi. La pecora Dolly, la sfida tra il maestro di scacchi Kasparov e un computer, la missione Mars Pathfinder... "In un baleno la fantascienza era entrata nella vita delle masse”. "Kehuan Shijie" invitò a Pechino astronauti e scrittori americani e russi. La Conferenza Internazionale della Fantascienza attirò molti giovani appassionati e fu ripresa con interesse anche dalla stampa. La tecnologia godé di una visibilità senza precedenti. Questo ebbe una notevole influenza anche sulla produzione di Wang. Alcuni commentatori hanno fatto notare che "Wang ha sopratutto il merito di aver adattato la biologia al romanzo". Nel 2001, in "Act for God", Wang si è occupato di alimenti geneticamente modificati. Il pretesto narrativo era un'azienda americana che cominciava a commercializzare semi con un gene suicida. La particolarità di quei semi era il poter essere piantati solo una volta. L'anno successivo andavano ricomprati.

"Si tratta di un problema sociale", ha dichiarato l'autore a iNewsweek, "gli ogm sono necessari affinché il cibo sia sufficiente per tutti. Non si può far altro che proseguire su questa strada, anche se le colture muoiono senza dare frutti. Sono cose che si possono essere giuste o sbagliate a seconda dei punti di vista. Ma siamo sicuri che ciò che ci sembra meglio sul breve periodo lo sarà anche sul lungo periodo? Mi sentivo in contraddizione con me stesso." Oggi online ci sono ancora lettori che si lasciano andare a commenti critici constatando "come la trama di 'Act for God' stia diventando realtà".

Dopo che le tecniche di clonazione hanno ottenuto ampia copertura mediatica, Wang Jinkang ha scritto un romanzo dal titolo "Cancer", in cui coniuga il tema della clonazione con quello della diffusione del cancro. Nel suo racconto "le cellule tumorali diventano più resistenti del corpo umano. Una prospettiva che turba e fa pensare", commenta lo scrittore di fantascienza He Xi. Un altro libro che ha fatto molto discutere è "Life of Ants" (2007). Ambientato durante la Rivoluzione Culturale, racconta la storia di uno scienziato che inventa un siero a base di ferormoni di formica e lo sperimenta sugli esseri umani che sviluppano uno spirito di collettivismo e altruismo. Nasce una società utopica che però finisce per collassare. “È simile ad "Arancia meccanica": esplora la possibilità di costruire un modello utopico per combattere la cattiveria umana”. Secondo Yao Haijun di "Kehuan Shijie", "nella fantascienza cinese non manca quasi nessuna delle tematiche affrontate nei romanzi occidentali. Ormai c'è anche il genere anti-utopico, che in passato era del tutto assente".

In Cina la fantascienza ha ampliato la gamma delle tematiche raccontate proprio grazie agli autori della “New Generation”: Wang Jinkang, Han Song, He Xi e molti altri tra cui Liu Cixin, che ha cominciato a pubblicare su "Kehuan Shijie" nel 1999. Strano è che nessuno tra tutti questi grandi maestri della fantascienza viva nelle grandi città. Liu Cixin abita a Niangziguan, nello Shanxi; Wang Jinkang a Nanyang, nello Henan: He Xi a Zigong, nel Sichuan.

La scienza, la tecnologia come barometro sociale

Di recente, Wang Jinkang ha venduto i diritti televisivi di "Seven Layers" e altri romanzi sebbene le rendite dalle royalty non siano alte. Nel 2012, prima che scegliesse alcuni dei racconti migliori in modo da riadattarli per la tv, non era riuscito a vendere i diritti di nemmeno uno degli oltre 45 romanzi scritti fino a quel momento. L'intreccio di "Seven Layers", scritto nel 1997, ricorda un po' "Inception", la cui versione cinematografica è uscita nelle sale nel 2011. Addirittura qualcuno scherzando sostiene che il film si sia appropriato della trama del romanzo di Wang Jinkang. "In realtà, quasi tutte le opere letterarie si influenzano a vicenda. Quando ho scritto "Seven Layers" mi sono lasciato ispirare dal film americano "12:01", racconta a iNewsweek Wang. "Se [la versione cinematografica di "Seven Layers"] fosse uscita prima di "Inception" sarebbe stato meglio", commenta con rammarico.

In realtà, in Cina, la fantascienza ha cominciato ad accattivarsi l'interesse dei lettori con "The Three Body Problem". Nel 2010, quando tutta la trilogia fu completata, Liu era già diventato uno dei decani del settore e lo scrittore di fantascienza più amato dal pubblico cinese. Addirittura, durante una puntata del programma della CCTV "Xiao Cui racconta" dedicata alla fantascienza, centinaia di fan invitati in studio cominciarono improvvisamente a scandire lo slogan della Earth Three-body Organization : "Eliminiamo il dispotismo del genere umano, il mondo appartiene ai Tre Corpi!" I conduttori Cui Yongyuan e Wang Xuedun rimasero sbalorditi.

Eppure all'inizio l'entusiasmo era limitato a una cerchia ristretta di estimatori, dal momento che ad interessarsi di fantascienza erano sopratutto studenti molto giovani. Anche dopo la rinascita del genere, negli anni '90, non si può dire che la situazione fosse cambiata di molto. Tuttavia, poco tempo dopo, la serie "The Three Body Problem" improvvisamente ha raggiunto una certa notorietà nel mondo dell'IT. Parecchi ad di società internet hanno cominciato ad utilizzare pubblicamente espressioni tratte da "The Dark Forest" (secondo libro della trilogia) per descrivere l'agguerrita competizione nell'Internet cinese. Ne hanno recitato persino alcune delle frasi più note. Per esempio, il fondatore di Xiaomi, Lei Jun, consiglia la parte che dice "se ti distruggo che me ne frega?". L'ad di 360, Zhou Yongyi, ha dichiarato apertamente di essere fan di "The Three Body Problem", tant'è che nell'omonimo film c'è anche un suo cameo. In seguito, "The Three Body Problem" ha fatto breccia nella comunità scientifica e nella letteratura mainstream. Il professore di fisica teorica, Li Miao, ha scritto appositamente "La fisica di The Three Body Problem", mentre la China Academy of Space Technology ha invitato Liu Cixin affinché tenesse delle lezioni. Agli occhi della letteratura tradizionale, che aveva a lungo ignorato la narrativa di fantascienza, "The Three Body Problem" era -per usare le parole di Liu- come un folle che irrompe improvvisamente in una stanza, lasciando i critici sbigottiti e incapaci di reagire.

Uno dei temi più dibattuti tra i lettori è la legge della "foresta oscura". Nel suo libro Liu dipinge un universo buio e senza speranza. L'universo è come una foresta oscura, e le varie civiltà sono alla stregua di cacciatori armati che avanzano di soppiatto, sempre pronti a fare fuori il primo stupido che si fa scoprire. In "The Three Body Problem" lo sciocco che si lascia scoprire è il pianeta terra; è per questo che il genere umano rischia l'estinzione. In "Dead End", terzo episodio della serie, sono proprio la natura umana e la benevolenza della protagonista Cheng Xin la causa del finale nefasto.

Dopo il 2000, oltre a Liu Cixin, molti altri scrittori della "New Generation" si sono occupati dei lati oscuri dell'universo e della fine del mondo, nutrendo dubbi e preoccupazioni nei confronti della scienza e del futuro dell'umanità. Da un certo punto di vista, la scienza è sempre più oscura, il futuro del genere umano sempre più fosco. Nell'opera "Escape the Mother Universe", Wang Jinkang descrive una società che ha prodotto un sistema etico e di valori basato su un'autocrazia esasperata, legami poligamici e varie storture sociali. Il nuovo libro di Han Song "Il Solista" crea un paese assurdo e orribile in cui i popoli si ritrovano prigionieri in città civilizzate. Racconta di come un ragazzo dopo aver cantato nel cuore della notte muoia senza che venga accertata la sua identità; una donna si perde in un gigantesco aeroporto; un vecchio sulla strada per ricevere un indennizzo non riesce ad arrivare alla meta.

E' interessante notare come la fantascienza del secolo scorso fosse incentrata sull'ottimismo scientifico. "Era un'epoca in cui i funzionari affrontavano lo sviluppo scientifico in maniera limpida. E' ovvio che in quel contesto la fantascienza ha subito un'influenza epocale," spiega Liu Cixin, "inoltre, gli effetti negativi derivati dalla scienza non erano ancora così evidenti come oggi. Per esempio, le questioni ambientali non sembravano tanto urgenti come adesso." Nel '900, la conoscenza del mercato della fantascienza era ancora scarsa, mentre ora con la standardizzazione e la commercializzazione del genere romanzesco si è cominciato ad adottare una prospettiva diversa nei confronti della scienza e della tecnica. Per scrivere una bella storia, capace di intrigare i lettori, è necessario descrivere un futuro cupo, "perché è evidente che se prospetti un futuro radioso esaltando i meriti della scienza, la storia non sarebbe di alcun interesse", spiega Liu ridendo.

Eppure secondo lo scrittore di fantascienza canadese, Robert Sawyer, ci sono anche altre ragioni se in Cina la fantascienza finisce sempre per descrivere la fine del mondo con toni drammatici e cupi. Nel 2014, mentre si trovava in Cina, disse che il motivo ha radici storiche ed è legato alla nazionalità. Come canadese, la sua visione del futuro dell'umanità è sostanzialmente positiva. Senza dubbio la fantascienza trae ispirazione dallo sviluppo della società, della scienza e della tecnologia. Addirittura potremmo dire che la fantascienza è il "barometro" dello stato di sviluppo del paese. Il romanzo di fantascienza è nato e si è sviluppato in Inghilterra, durante l'ascesa dell'Impero britannico. Eppure la sua seconda fase d'oro, tra gli anni '30 e '60 del secolo scorso, ha coinciso con il periodo dell'ascesa americana. Precedentemente, romanzi con sfumature fantascientifiche, come "Cat Country" di Lao She, erano stati tradotti in lingua inglese proprio con l'intento di raggiungere l'America, ma non erano riusciti ugualmente a richiamare grande attenzione. "A parte il fatto che [questi racconti] non incontravano il gusto occidentale, bisogna anche tenere conto del ruolo marginale che la Cina ricopriva a quel tempo sullo scacchiere internazionale," spiega Liu. "Oggi le nostre opere ottengono riscontro positivo anche negli Stati Uniti, e questo è in qualche modo correlato all'affermazione della Cina tra le potenze globali."

La Nuovissima Generazione

Nel 2003, Jia Liyuan, uno studente di ingegneria ambientale della Beijing Normal University, spedì alla «Kehuan Shijie» un suo scritto dal titolo «The Sniper in Leather Shoes». Scelse di usare lo pseudonimo «Fei Dao», un nome che non ha un significato particolare ma che ben si adatta ad uno scrittore di fantascienza per via del carattere «dao»,ovvero «deuterio": un isotopo dell'idrogeno che può essere usato per realizzare bombe e dà l'idea di una «forza esplosiva».
Essendo appassionato di la letteratura giovanile, Jia aveva provato a mandare qualche racconto ad alcune riviste come «Mengya» e «Beijing Wenxue» ma senza successo. Solo dopo essere riuscito a pubblicare un paio di cose su «Kehuan Shijie» si convertì alla fantascienza. Decise inoltre di entrare alla scuola di specializzazione della facoltà di letteratura dal momento che questa prevedeva, sotto la specializzazione «letteratura per infanzia», l'indirizzo «fantascienza». «E' un indirizzo che tutt'oggi ha soltanto la Beijing Normal University», spiega a iNewsweek Jia Liyuan. In Cina i libri di fantascienza si trovano in una posizione imbarazzante: non sono considerati letteratura in senso proprio, e spesso oltre a finire tra la «letteratura popolare», nella maggior parte dei casi vengono rubricati come «letteratura giovanile» o associati ad altri generi che deviano dai filoni più noti. Questo nonostante abbiano un sacco di fan. «Negli ultimi anni sono state pubblicate molte ricerche accademiche e monografie», racconta Jia Liyuan. In seguito, Jia ha alternato la scrittura di romanzi alla frequentazione di un dottorato presso la Tsinghua University con un progetto di ricerca sulla fantascienza in epoca tardo Qing.

In un articolo scritto prima della pubblicazione di «The Era of Supernova», Liu Cixin, in quanto nato negli anni '60, si definisce un estimatore della fantascienza di prima generazione. Ma oggi che i fan della New Generation anni '80 sono cresciuti e cominciano a scrivere a loro volta è diventato necessario trovare una nuova definizione. Da qui il termine «Nuovissima generazione», che racchiude tutti quegli esponenti che si sono formati proprio leggendo «The Three Body Problem». Nel dicembre 2010, Li Jun, laureato alla Peking University e appartenente alla generazione anni '80, ha pubblicato per 17 giorni di fila una fanfiction ispirata a «The Three Body Problem» con il nome di penna «Bao Shu». La storia, che riprende il tema del testo originale del genere umano devastato dagli alieni, ha ricevuto feedback positivi dopo essere stata pubblicata dalla casa editrice della Tsinghua e sul blog di Liu Cixin su Baidu. In seguito Liu Cixin ha ammesso che «tutto quello che avrei voluto scrivere io lo ha scritto lui. Bao Shu è veramente un talento». E' così che Li Jun ha raggiunto la fama diventando uno scrittore di professione.

Bao Shu è quello che può considerarsi un vero fa di «The Three Body Problem». Ha cominciato a seguire la trilogia fin da quando è uscito il primo racconto su «Kehuan Shijie». La lettura lo emozionava ed esaltava, sebbene provenisse da studi filosofici. Si era specializzato nello studio di Jürgen Habermas e Jacques Derrida. Poi, si era reso conto che la filosofia e la fantascienza avevano una marea di punti in comune. «Entrambe prendono in esame ambiti molto differenti dalla vita reale di tutti i giorni, questioni complesse e sfuggenti come il tempo e lo spazio, l'universo, l'anima umana, l'essenza della storia; tutti argomenti considerati piuttosto astratti».  Da piccolo, ciò che più amava leggere era la collana «Hundred Thousand Whys», sopratutto il volume di astronomia. Ancora ricorda come era fatta la copertina; c'era su la foto di Marte ripreso da una sonda americana. Spesso si incantava a guardarla fantasticando su come dovesse essere visitare quel pianeta. Proprio come Bao Shu, molti degli scrittori della «Nuovissima generazione» sono cresciuti leggendo «Hundred Thousand Whys» e «Kehuan Shijie», e guardando film hollywoodiani di fantascienza. Sono stati profondamente influenzati da cartoni, fumetti e dalla cultura hongkonghese e taiwanese. Al tempo in cui viveva a Nianziguan, nello Shanxi, Liu poteva comunicare con il mondo esterno soltanto attraverso cellulare e casella di posta elettronica, mentre oggi gli scrittori della «Nuovissima Generazione» si servono di diverse chat di gruppo su WeChat per discutere di fantascienza con altri scrittori e ammiratori. A differenza di quello che succedeva in passato ormai anche i lettori, possono facilmente interagire con gli autori.

Il 1999 è stato un anno che si è distinto per un evento fuori dal normale: quell'estate, durante l'esame di ammissione all'Università è uscito come tema per la prova di lingua cinese la traccia «Se la memoria fosse trasferibile». Appena a luglio «Kehuan Shijie» aveva pubblicato un articolo con un titolo molto simile, così che i genitori degli studenti scoprirono quanto in realtà potesse essere utile leggere riviste di fantascienza. «Molti decisero di abbonare i propri figli a «Kehuan Shijie», racconta a iNewsweek Chen Qiufan, scrittore classe '81. Nel gennaio 1997, a 16 anni, Chen aveva pubblicato il suo primo romanzo breve su «Kehuan Shijie» dal titolo «Esca», vincendo il primo premio giovani al Jules Verne Award. Nel 2000, dopo essere riuscito ad entrare alla Peking University, ha continuato a scrivere occasionalmente di fantascienza ottenendo non pochi premi. Dopo la laurea ha lavorato prima per Google e poi per Baidu; ora è in una società per l'innovazione tecnologica che si occupa anche di «realtà virtuale e motion capture». Ormai su Weibo si definisce «scrittore di fantascienza per diletto» riuscendo a dedicare alla scritture soltanto un 20 percento del proprio tempo.

«La società con cui lavoro si occupa di cose piuttosto all'avanguardia, è abbastanza inerente all'ambito dei miei interessi», spiega Chen, «inaspettatamente ci sono molti punti in comune con la fantascienza». Secondo Chen, stiamo vivendo un periodo particolarmente incoraggiante per l'innovazione e l'imprenditorialità, «non provare a buttarcisi dentro sarebbe un peccato». Come nel suo lavoro, anche quando si occupa di fantascienza affronta tematiche collegate all'innovazione. Citando «Ex Machina» e altri film di recente uscita, spiega come l'intelligenza artificiale sia ormai un argomento molto ripreso dal mondo della fantascienza: «da una parte riflette quanto discusso nei circoli scientifici e tecnologici, dall'altra è la proiezione delle preoccupazioni più intime della gente. Molti sono intimoriti dall'idea di una forma di intelligenza sovraumana.» Chen come molti altri giovani scrittori ha affrontato il tema dell'intelligenza artificiale in diversi racconti.

Commentando l'opera di Bao Shu, «Ruins of Time», lo scrittore Han Song definisce l'opera «ricca di informazioni e nozioni avveniristiche». Il romanzo descrive la realtà come un flusso temporale immobile sempre allo stesso punto, dove ogni giorno si ripete come il giorno prima. Secondo Liu Cixin, gli scrittori di «Nuovissima generazione» cresciuti nell'era di internet hanno un curriculum di studi migliore e una conoscenza più vasta. E cosa più importante: hanno meno ostacoli mentali, sono più dinamici, hanno una visione più ampia». Il loro punto debole è la loro giovane età e la relativamente scarsa esperienza di vita, ma in futuro tutto questo può essere facilmente colmato. Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un rapido sviluppo di internet; l'IT ha persino dato vita ad una branca della fantascienza, «il cyber punk» di cui «Matrix» è l'esempio più lampante. La sua caratteristica principale consiste nel mettere in discussione l'esistenza del mondo: «forse che il mondo in cui viviamo esisteva già nel programma di un computer?», si domanda Liu. E' un argomento di cui non ha mai scritto ma si dice molto interessato. «Quando avrò l'opportunità, scriverò qualcosa», dice.

Chen ritiene che Liu Cixin e Wang Jinkang abbiano subito pesantemente l'influenza della fantascienza sovietica e dell'"età dell'oro», mentre nella scrittura di Han Song si percepisce di più l'influsso della nuova corrente. Volendo generalizzare, potremmo dire che gli scrittori più anziani hanno a cuore la Nazione, danno attenzione alle grandi epoche storiche, e si occupano di questioni complesse come il destino dell'universo. Nel caso dei nati negli anni '80, invece, sembra che le loro storie abbiano strettamente a che fare con la loro vita privata, e presentano un taglio più personale. I loro racconti sembrano impacchettati appositamente per essere commercializzati. Tra il 2011 e il 2012, Chen Yilu, Chen Qiufan, Bao Shu, Guo Jingming e Fei Dao, chi prima chi dopo, hanno tutti firmato con «Zuishi Wenhua». «Zuishi» è piuttosto specialistica, ha una posizione più commerciale, ha una visione molto diversa da quella delle case editrici tradizionali statali, «spiega Chen Qiufan, «Il volume delle vendite è decisamente cambiato». A partire da Liu Cixin, la fantascienza cinese ha cambiato mezzo di espressione passando dalla rivista al best-seller, e quei giovani scrittori che hanno deciso di collaborare con «Zuishi» hanno buone probabilità di rientrare nella seconda categoria.

Una volta, in occasione di una conferenza Wang Jinkang ha dichiarato che gli autori di mezza età, quelli più noti, continuano a osservare il futuro rimanendo ancorati ad una visione del passato. Se He Xi, Han Song, Liu Cixin e vari coetanei guardano al futuro con la prospettiva del presente, i giovani invece sono già tutti proiettati verso il futuro. «Si muovono in una dimensione molto distante dalla vita concreta, spiega a iNewsweek, «Quando ho scritto «Life of Ants» ho interiorizzato la prospettiva di una persona che ha vissuto la Rivoluzione Culturale e la vita di campagna, ma i giovani di oggi non hanno sperimentato nulla di questo e il loro sguardo è rivolto in avanti».

(Pubblicato su Internazionale/China Files)


martedì 23 febbraio 2016

Chi vende e compra più armi? Ecco la top ten del SIPRI


Secondo i dati contenuti nell'ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute),  le importazioni di armi in Cina, tra il 2011 e il 2015, sono calate del 25% rispetto al quinquennio precedente, un segnale per l'istituto di maggiore fiducia rispetto al passato sulla capacità di sviluppare sistemi d'arma sempre più sofisticati, anche se Pechino rientra tra i maggiori importatori nella regione. Al contempo, le esportazioni di armi cinesi sono quasi raddoppiate nello stesso periodo, permettendo al gigante asiatico di superare la Francia nei volumi.


lunedì 22 febbraio 2016

Il Drago d'acciao


[AGGIORNAMENTI:
29 febbraio: Secondo il Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, la ristrutturazione dell'industria dell'acciaio e del carbone comporterà il licenziamento di 1,8 milioni di lavoratori, circa il 15 per cento della forza lavoro complessiva. Un fondo da 100 miliardi di yuan dovrebbe facilitare la riassunzione in altri comparti.
25 febbraio: La ristrutturazione industriale è sulla buona strada. Lo ha dichiarato il ministro dell'Industria e dell'Informazione Tecnologica cinese, annunciando che nel periodo 2011-2015 sono state eliminati 91 milioni di tonnellate di capacità obsoleta nell'industria del ferro e 94,8 milioni di tonnellate in quella dell'acciaio.
24 febbraio: Martedì scorso, il ministro del Commercio cinese, Gao Hucheng, ha dichiarato in conferenza stampa che "quello della sovrapproduzione dell'acciaio è un problema globale che richiede la collaborazione e gli sforzi di tutti i paesi [... ] la Cina salvaguarda il proprio diritto a difendere il business cinese in accordo con le leggi della World Trade Organisation.]


La sovrapproduzione dell'industria pesante cinese sta causando "danni di vasta portata" per l'economia mondiale, a causa della capacità in eccesso registrata dalle acciaierie cinesi, "completamente disconnessa" da quella che è la reale domanda di mercato. E' quanto emerso da un rapporto pubblicato lunedì dalla camera di Commercio Europea in Cina (Euccc), giusto a pochi giorni dall'avvio di un'altra investigazione anti-sovvenzioni lanciata da Bruxelles sulle importazioni di acciaio cinese, dopo che l'eccesso di forniture ha portato a un crollo dei prezzi globali e a un'ondata di licenziamenti.

E' stato un mese turbolento per i rapporti tra la seconda economia mondiale e il Vecchio Continente,proteste dei siderurgici andate in scena a Bruxelles con l'intento conclamato di bloccare il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato (MES). Da mesi l'Unione Europea è spaccata più che mai sull'assegnazione a Pechino del MES, che -se approvato- renderebbe illegale l'introduzione di dazi sul Made in China, esportato a prezzi ben al di sotto dei costi reali di produzione. A rimetterci sarebbero sopratutto le piccole e medie imprese di paesi come Germania, Italia, Regno Unito, Francia e Polonia.
cominciato con le accuse del colosso lussemburghese AncelorMittal (che ha pubblicamente additato il Dragone come responsabile per gli 8 miliardi di dollari bruciati lo scorso anno) e proseguito con le accese

La Cina genera più acciaio di quanto non producano gli altri quattro principali fornitori (Giappone, India, Stati Uniti e Russia) messi insieme, e conta per la metà della produzione mondiale con un export che è lievitato del 20 per cento nel 2015 in risposta ad un rallentamento della domanda interna, piombata del 5,7 per cento nei primi dieci mesi dello scorso anno. Al contempo, più del 60 per cento dell'industria locale dell'alluminio ha riportato un flusso di cassa negativo. Mettere un punto alla sovrapproduzione e alla sopravvivenza di compagnie "zombie" (quelle improduttive gravate da 12 trilioni di dollari di debiti) è diventato uno degli obiettivi primari per il Nuovo Anno della Scimmia. Le autorità centrali hanno già pubblicato un piano d'azione per eliminare nei prossimi cinque anni 100-150 milioni di tonnellate di capacità produttiva nell'industria dell'acciaio low-end; cui si aggiunge il taglio di 500 milioni di tonnellate nel settore del carbone. Due comparti da tempo finiti nel mirino delle autorità nell'ambito di una campagna anti-inquinamento particolarmente occhiuta nei confronti delle fabbriche del nordest, dove si concentra l'industria pesante cinese. E adesso divenute target della cosiddetta "supply-side reform", che si articola nello "smaltimento delle giacenze, deleverage, riduzione dei costi, e sostegno delle aree in cui la crescita è più debole".

Pechino spera, almeno in parte, di risolvere il problema esportando la propria capacità in eccesso
oltreconfine, specialmente nelle aree coinvolte dal progetto Nuova Via della Seta - Medio Oriente e Asia Centrale in testa. Tuttavia, come spiega il presidente della Euccc, Joerg Wuttke, il piano rimane una grande incognita dal momento che questi mercati non sono sufficientemente capienti da assorbire le straripanti scorte cinesi. Peraltro, se il piano è nuovo, il dilemma in realtà non lo è affatto. "Sentiamo ripetere la stessa storia da anni: 'Siamo consapevoli del problema e stiamo cercando di risolverlo'", ha dichiarato Wuttke, accennando ad un altro rapporto della Euccc risalente al 2009. "Invece il problema diventa sempre più grave. A questo punto quello che chiediamo è: avete il coraggio di mettere in atto le politiche [che avete varato]?"

Tutto è cominciato con il boom economico trainato da un modello di crescita a base di prestiti e investimenti. Un modello che ha permesso all'economia cinese di espandersi a ritmi vertiginosi per un trentennio, fino a quando la crisi globale non ha cominciato ad assottigliare le tasche dei principali acquirenti dell'export cinese. Con il crollo della domanda la sovrapproduzione ha continuato a lievitare rendendo molte aziende statali (zoccolo duro dell'industria pesante) incapaci di ripagare i debiti contratti. Diversi impianti sono stati costretti a tagliare la produzione, ma non necessariamente a chiudere. Il legame perverso intrattenuto con banche e amministrazioni locali ha permesso alle compagnie di sopravvivere. Come spiega il Washington Post, i governi provinciali dipendono a tal punto dalla tassazione di alcune industrie che hanno preferito vederle trasformarsi in "zombie" piuttosto che lasciarle fallire. Sopratutto nelle aree fortemente caratterizzate da segmenti specifici, come la "città dell'acciaio" Tangshan, nei pressi di Pechino, dove la morte definitiva del settore comporterebbe un'erosione di posti di lavoro; qui si produce in un anno più acciaio che negli States. Allo stesso tempo, -nonostante la tanto sponsorizzata transizione da una crescita "quantitativa" ad una "qualitativa" - la performance economica del "proprio orticello" continua ad essere considerata dai funzionari locali un requisito determinante per fare carriera. Specie ora che l'economia nazionale procede al passo più lento da 25 anni.

Mentre dal ricambio al vertice (novembre 2012) ad oggi la nuova leadership non ha lesinato gli sforzi per ristrutturare l'esercito e ripulire il Partito comunista dagli elementi corrotti, la stessa risolutezza non si può dire sia stata adottata nell'implementazione delle riforme economiche, riassunte nello slogan "new normal": il nuovo paradigma di sviluppo che coniuga una crescita, non più iperbolica ma medio-alta, a criteri di sostenibilità. Qualcuno guarda con speranza al secondo mandato del presidente Xi Jinping; il quinquennio 2017-2022 potrebbe portare mosse più audaci in economia. Ma, avverte Wuttke, più passa il tempo e più la situazione rischia di peggiorare, innescando un effetto a catena oltre Muraglia. L'unica soluzione, spiega, risiede nel lasciare il controllo dell'economia alle forze di mercato, come più volte assicurato dalla leadership. D'altra parte, "se il governo costituisce parte del problema, come potrebbe esserne anche la soluzione?"

(Pubblicato su Gli italiani)


giovedì 18 febbraio 2016

Disobbedienza in salsa hongkonghese: "Dagli Ombrelli" alle "polpette di pesce"


C'è "un'organizzazione separatista radicale" dietro i tafferugli andati in scena il primo giorno del Nuovo Anno lunare a Mong Kok, il quartiere popolare di Hong Kong già noto alle cronache per aver fatto da sfondo alle proteste democratiche degli "Ombrelli". Ne è convinto il Ministero degli Esteri cinese che giovedì scorso ha tentato di minimizzare la portata della "Fishball Revolution", questo il nome con cui il web ha battezzato gli scontri tra le forze dell'ordine e un pugno di riottosi scesi in campo per spalleggiare i venditori ambulanti di polpette di pesce.

Secondo la versione fornita dal Segretario di Hong Kong per la Sicurezza, Lai Tung-kwok, alcuni funzionari del Food & Environment Hygiene Department stavano perlustrando l'area per effettuare controlli sulle licenze dei venditori di street food quando sono stati circondati da una cinquantina di persone armate di mattoni divelti sul momento dai marciapiedi, bottiglie e scudi rudimentali. La guerriglia si è conclusa con oltre 100 feriti da ambo le parti e diverse macchine della polizia danneggiate, mentre nel tentativo di sedare la rivolta i funzionari della sicurezza hanno sparato in aria due colpi di avvertimento, una misura quasi senza precedenti nella regione amministrativa speciale. Una sessantina le persone arrestate, di cui 45 perseguite formalmente per "rivolta", un'accusa avanzata raramente dalle autorità locali, ma che il Segretario alla Giustizia, Rimsky Yuen, ritiene motivata dalla gravità degli eventi. Ulteriori capi d'imputazione potrebbero fare seguito nelle prossime settimane una volta concluse le indagini.

Mentre l'opinione pubblica si spacca sulla natura delle proteste (eccessive per molti, giustamente motivate per altri), le autorità centrali e locali fanno quadrato attorno al motto "un Paese, due sistemi", il modello grazie al quale - dall'handover del 1997 a oggi- il Porto Profumato ha goduto di una notevole libertà di iniziativa economica e autonomia amministrativa sulla base di una mini-Costituzione di stampo anglosassone chiamata Basic Law. Una situazione che, al momento della riconsegna alla madrepatria, Londra e Pechino stabilirono sarebbe durata fino al 2047, lasciando diversi interrogativi insoluti sul periodo successivo a tale scadenza. Nel frattempo, questioni più incombenti animano l'agone politico hongkonghese: nei prossimi mesi si terranno le votazioni per il Legislative Council (Legco), il Parlamento di Hong Kong, mentre nel 2017 verrà eletto il nuovo Chief Executive, la massima carica nella gerarchia del potere locale scelta da un collegio elettorale composto da notabili vicini a Pechino, ma che stando a quanto accordato nel '97, da lì a vent'anni sarebbe dovuta essere nominata a "suffragio universale". Un punto quest'ultimo su cui la mainland ha cercato di tergiversare imponendo una riforma elettorale bocciata dal Consiglio Legislativo lo scorso giugno, in quanto avvertita da molti come un affronto ai principi democratici che animano il Porto Profumato in contrapposizione al regime comunista della terraferma. Occupy Central e il Movimento degli "Ombrelli" sono nati in risposta alla crescente ingerenza di Pechino sugli affari di Hong Kong. Nondimeno, una una serie di fattori interni sembra alimentare la mobilitazione popolare, ricordando che il rapporto controverso con la mainland non è l'unico fattore di instabilità nella Greater China.

Per quanto risulti difficile accostare le proteste democratiche (complessivamente pacifiche) ai più recenti disordini di Mong Kok (le rimostranze più cruente dai tempi delle manifestazioni anti-britanniche del 1967), alcune lamentele ritornano come una costante nelle varie mobilitazioni locali. Con il rischio che una mancata risposta dall'alto alimenti una progressiva radicalizzazione tra le frange più giovani e disagiate (alla "Fishball Revolution" sono seguiti almeno due incendi dolosi, sebbene non necessariamente collegati fra loro). Le nuove generazioni sono l'anima del dissenso, e Pechino lo sa bene. Mentre gli ex leader studenteschi dell'Umbrella Movement si apprestano a partecipare alle prossime legislative con i colori di un nuovo partito politico che promette di spingere per un referendum sul futuro di Hong Kong dopo il fatidico 2047, nuove linee guida pubblicate a gennaio dal Ministero dell'Educazione cinese mirano ad "accrescere l'educazione patriottica tra i giovani di Hong Kong, Macao e Taiwan". Seconda operazione propagandistica dopo quella fallimentare che nel 2012 vide deragliare il progetto di "educazione morale e nazionale" nelle scuole,
dopo accese polemiche.

Per Pechino è di prioritaria importanza circoscrivere la portata degli ultimi disordini affibbiando la paternità delle violenze a pochi elementi destabilizzanti. "Condanniamo fermamente questi separatisti radicali diventati sempre più violenti, che si sono anche resi responsabili di attività legate al terrore", ha dichiarato Zhang Xiaoming, Direttore dell'ufficio incarico di rappresentare il governo cinese nell'ex colonia britannica. "La giustizia prevarrà sul male", ha puntualizzato Zhang assicurando che il governo di Hong Kong gestirà la situazione "in accordo con le leggi locali". Un'affermazione quantomai inquietante se si considera che la legge locale è quella stessa che recentemente ha permesso a quattro librai specializzati in testi scandalistici sulla nomenklatura cinese di sparire da Hong Kong (un quinto dalla Thailandia) in condizioni misteriose per ricomparire nella Cina continentale. Quattro dei cinque in manette.

La natura variegata delle recriminazioni legate alla "Fishball Revolution" parrebbe trovare fondamento nel fermo di Ray Wong Toi-yeung, leader dell'Hong Kong Indigenous, che -con Civic Passion- guida la nuova cordata dei gruppi "localisti" sorti sulla scia del fallimento di Occupy Central per rivendicare maggiore autonomia dalla madrepatria, in alcuni casi persino l'indipendenza. Ma non solo. Se la conservazione dell'identità hongkonghese è il cavallo di battaglia dei "localisti", allo stesso tempo l'inettitudine delle autorità arricchisce di sfumature tutte locali le rivendicazioni delle neonate forze politiche.

Come ricorda una lettera indirizzata al South China Morning Post, in questi anni "sono state avanzate richieste legittime affinché venisse rivisto il nostro sistema educativo e sanitario, affinché venisse introdotto un sistema pensionistico universale e affrontato il problema dei mini-appartamenti e dei box gabbia. Queste richieste sono state sistematicamente ignorate. Nel frattempo a dominare l'agenda del Legco sono state 'cattedrali nel deserto', come la ferrovia ad alta velocità che raggiunge il Guangdong e il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao (sostenuti da Pechino). Non c'è da stupirsi se la sensazione di esclusione si è esplicitata in alcune espressioni estreme. La responsabilità è prima di tutto del Chief Executive, che ha ignorato gli appelli degli hongkonghesi e non è stato in grado di riconoscere i sentimenti. In secondo luogo, dobbiamo biasimare quei ministri e segretari che nei loro uffici e dipartimenti che avrebbero dovuto ascoltare e capire cosa stava accadendo. Non vi sono riusciti e hanno fallito. Le prime crepe sono cominciate ad emergere sotto l'amministrazione di Donald Tsang Yam-kuen e Tung Chee-hwa, ma il presente Chief Executive, Leung Chun-ying, li ha sorpassati sottomettendosi al volere di Pechino e degli interessi costituiti."

L'allargamento della forbice ricchi-poveri - di cui la marginalizzazione dei venditori ambulanti di Mong Kok è cartina di tornasole - domina l'elenco dei fattori di malcontento. Un malcontento che è arrivato a contagiare le forze dell'ordine, risentite dai limitati mezzi a disposizione per mantenere l'ordine pubblico davanti all'escalation del Capodanno cinese. Mentre la gravità dei fatti ha riaperto il dibattito sulla possibile (al momento smentita) introduzione di una legge anti-sovversione già presa al vaglio nel 2002 e bloccata l'anno successivo in seguito alle proteste in piazza di quanti vi intravedevano il rischio di un'ondata di repressione in stile tipicamente pechinese - il tutto accade a pochi mesi dalla revisione della Security Law cinese, che per la prima volta include anche Hong Kong e Macao stabilendo che "salvaguardare la sovranità e l'integrità territoriale della Cina è un obbligo comune di tutto il popolo cinese", regioni amministrative speciali comprese.

Proprio i cortei del 2003 sono stati presi ad esempio da Alex Lo, editorialista del South China Morning Post, per affermare la superiorità dei mezzi pacifici sulle rimostranze violente. Un pensiero condiviso non sono soltanto dai politici con il pallino della "stabilità a tutti i costi". E non è difficile capire perché. Quest'anno, durante le vacanze per il Capodanno cinese, il numero dei turisti in arrivo dalla Cina continentale ha registrato un calo su base annua del 10 per cento, mentre quello dei gruppi è sprofondato addirittura del 70 per cento. Allo stesso tempo, la sorte incerta in cui verte il modello "un Paese, due sistemi" -che durante le riforme anni '80 ha permesso a Pechino di beneficiare dell'impostazione capitalistica lasciatagli dall'amministrazione britannica proprio nel cortile di casa- rappresenta un altro fattore di preoccupazione per gli investitori. Anche per uno del calibro di Li Ka-shing. Da tempo l'uomo più ricco d'Asia (secondo il Bloomberg Billionaires Index 2014) si sta liberando a poco a poco dei propri asset in Cina e nel Porto Profumato. Mentre appena alcuni giorni fa, HSBC ha ufficializzato la volontà di mantenere il proprio quartier generale nella City di Londra, nonostante gli analisti abbiano pronosticato un risparmio di 14 miliardi di dollari in caso di trasferimento a Hong Kong.

(Pubblicato su Gli Italiani)





lunedì 8 febbraio 2016

La Cina fa shopping in Europa


[AGGIORNAMENTO
-12 febbraio: Secondo il Financial Times, numerose incognite sovrastano lo shopping cinese all'estero a causa del pesante debito che affligge le società. Circa un quarto degli investimenti effettuati dal Dragone oltremare -per un valore pari a 270 miliardi di dollari- è incappato in una serie di "problemi" (ritardi, costi superiori alle aspettative fino al completo fallimento). Una tendenza particolarmente accentuata nel settore finanziario e delle risorse naturali.]


Continua la lunga marcia del colosso chimico ChemChina (China National Corporation) verso i mercati internazionali. Già presente nel Vecchio Continente con l'acquisto di una quota di maggioranza in Pirelli (per 7,3 miliardi di dollari) e nella tedesca KraussMaffei, produttore di macchinari per la lavorazione di plastica e gomma, alcuni giorni fa la società cinese ha reso noto di aver messo gli occhi su Syngenta, leader svizzero nella produzione di semi e pesticidi. L'accordo -che dovrebbe essere ultimato entro l'anno- vale 43 miliardi di dollari (480 franchi svizzeri per azione), la cifra più alta mai offerta da una società cinese per un'operazione di M&A (Mergers and Acquisitions) all'estero. Da sola l'offerta supera l'ammontare degli investimenti cinesi oltreconfine per il mese di gennaio, quando hanno raggiunto quota 22 miliardi di dollari, una cifra che segna il più forte avvio d'anno mai registrato nel settore.

ChemChina, numero 265 nella classifica Global Fortune 500, dal 2005 -escludendo Syngenta- ha già stretto accordi per più di 15 miliardi di dollari con compagnie nazionali, francesi, norvegesi e israeliane; detiene asset per 292,3 miliardi di yuan (dati di settembre) e gestisce impianti in oltre 140 paesi. Lo fa sotto la guida di Ren Jianxin, 58 anni, originario del Gansu, una provincia dell'Ovest cinese non nota per la sua dinamicità imprenditoriale. Ren, una laurea in economia presso l'università di Lanzhou, ha cominciato la propria carriera come Segretario della Lega della Gioventù Comunista del Chemical Machinery Research Institute. Nel 1984, ha fondato BlueStar Chemical Group grazie a un prestito di 10mila yuan ottenuto dall'Istituto e alla preziosa amicizia di una donna molto in alto: Gu Xiulian, capo del Ministero dell'Industria Chimica dal 1989 al 1998, nonché membro del potente Comitato Centrale del Partito comunista per 20 anni. Un "matrimonio d'affari" non desueto in Cina, dove potere politico ed economico procedono notoriamente a braccetto, che gli ha permesso di rimanere sulla cresta dell'onda per ben tre decadi. Negli anni, la BlueStar ha effettuato operazioni di M&A con oltre 100 compagnie nazionali guadagnandosi l'epiteto di "king of mergers". Dalle sue ceneri, nel 2004, è nata ChemChina, una realtà insolitamente dinamica nella galassia dei carrozzoni di Stato, nonostante sul suo bilancio pesi un debito da 156,5 miliardi di yuan, pari a circa cinque volte le CCE (disponibilità liquide e mezzi equivalenti).

"Per una versione migliorata dell'economia cinese serve una versione migliorata di azienda", ha dichiarato Ren in una newsletter diramata in occasione del Decimo anniversario del gruppo. Sebbene abbia forgiato la propria carriera sotto l'ombrello del Partito comunista, Ren non ha mai smesso di proiettare le proprie ambizioni oltre Muraglia, denunciando apertamente l'inefficacia delle società statali, noto ricettacolo di corruzione e interessi costituiti. "Lui è convinto che occorra cambiare qualcosa per rendere le compagnie cinesi sostenibili", spiega al South China Morning Post Pang Guanglian, vicesegretario generale di China Petroleum and Chemical Industry Federation, "quel cambiamento consiste nell'acquisto di brand occidentali."

"Anche se la maggior parte del nostro staff è composto da cinesi, è possibile notare che nel corso degli anni abbiamo subito una sostanziale influenza del management straniero. Per quanto ne so, siamo più aperti e internazionali rispetto alle altre società di Stato", spiega al quotidiano di Hong Kong Michael Koening, ex direttore di Bayer AG che lavora in ChemChina come consulente estero insieme a Ze'ev Goldberg, funzionario militare israeliano ed ex banchiere presso Lehman Brothers. Non è soltanto una questione di stile (il trionfo del gessato sulle mezze maniche degli imprenditori cinesi tradizionali). Si tratta dell'assimilazione di una cultura corporate mutuata dall'Occidente accompagnata da una maggiore sensibilità verso la tutela del management della società target. L'acquisizione di Syngenta non consiste in una "nazionalizzazione cinese", ha rassicurato a CNBC il direttore della compagnia svizzera.

Come scrive su The Diplomat Marc Szepan, dirigente aziendale affiliato al Mercator Institute for China Studies, fino a oggi la performance delle aziende cinesi nelle M&A è stata affetta negativamente da una sostanziale mancanza di esperienza. Specie quando si è trattato di concorrere con competitor stranieri. E' così che ChemChina ha abbracciato una formula innovativa che prevede la creazione di partnership tra conglomerati statali cinesi e società di private equity nel ruolo di coinvestitori, come recentemente avvenuto tra ChemChina e AGIC Capital per l'acquisizione di KraussMaffei. AGIC Capital è un nuovo fondo ideato nel 2015 da Henry Cai (ex UBS e Deutsche Bank) come ponte tra le Pmi europee e i mercati asiatici.

La strategia di Ren ben si sposa con il piano di internazionalizzazione varato dalla dirigenza cinese al fine di assorbire know-how per la produzione di beni ad alto valore aggiunto e contrastare il rallentamento dell'economia nazionale (ai minimi da 25 anni) con un paradigma di sviluppo basato sull'innovazione. Un obiettivo che attinge nuova linfa vitale dal progetto "One Belt One Road" mirato a riportare in vita il dinamismo commerciale dell'antica Via della Seta attraverso l'Eurasia. Nonostante la grancassa ufficiale ami sottolineare la crescente partecipazione dei privati, i primi dati raccolti lungo la New Silk Road dimostrano ancora una netta predominanza delle entità statali desiderose di esportare la loro sovraproduzione oltre Muraglia. D'altronde, la riforma delle SOEs, annunciata nel dettaglio lo scorso settembre, non prevede uno smantellamento del settore. Anzi, ne auspica un potenziamento promuovendo lo snellimento dei conglomerati improduttivi attraverso l'accorpamento di aziende "doppione". Ne sono esempio le recenti fusioni di China Power Investment Corporation e State Nuclear Power Technology Corp , e quella dei giganti delle ferrovie CSR Corp. e CNR Corp. Operazioni, queste, declinate alla formazione di campioni nazionali da spedire oltremare.

Nel 2015, per la prima volta il valore delle M&A da parte di società cinesi ha superato la soglia annua di 100 miliardi di dollari. Oggi il Dragone conta per il 50 per cento delle operazioni di questo tipo nell'Asia-Pacifico, la regione divenuta più attiva nelle M&A dopo gli Stati Uniti a discapito dell'Europa. E il 2016 promette di non essere da meno, in un momento in cui la persistente altalena dei mercati azionari e la svalutazione dello yuan (la moneta cinese) incentivano la fuoriuscita di capitali. Senza contare ChemChina, dall'inizio del nuovo anno sono due le M&A transnazionali in cui compaiono aziende cinese e assegni a nove zeri: l'acquisizione da parte del colosso poliedrico Wanda Group (con un piede nell'immobiliare e l'altro nell'industria culturale) dello studio cinematografico statunitense Legendary Entertainment per 3,5 miliardi di dollari e l'acquisizione della multinazionale americana General Electric da parte di Haier Group, per una cifra pari a 5,4 miliardi.

L'intesa tra ChemChina e Syngenta non fa che confermare una progressiva diversificazione dello shopping cinese all'estero, attestando il crescente disimpegno dal settore delle materie prime, non più centrali nel nuovo modello di sviluppo sostenibile promosso da Pechino. Recentemente la statale Cofco ha sborsato 750 milioni di dollari per entrare nel gruppo hongkonghese Noble, che opera nel settore agricolo, energetico, logistico e dei minerali, mentre nel 2013 Shanghui International aveva messo le mani sul principale allevatore americano di maiali Smithfields Food per 4,7 miliardi di dollari.

Con il 20 per cento della popolazione mondiale da sfamare e solo il 7 per cento della terra arabile, il gigante asiatico è il primo consumatore e produttore di grano. Rafforzare la presenza cinese nel segmento della chimica per l'agroalimentare viene incontro agli sforzi messi in campo da Pechino per cercare di ridurre le importazioni agricole e aumentare la produttività delle imprese interne con lo scopo di soddisfare il fabbisogno di generi alimentari, i cui prezzi sono diminuiti sui mercati globali. E Ren, che come buona parte dell'attuale classe dirigente prima di scalare la vetta del successo ha trascorso i turbolenti anni della Rivoluzione Culturale nelle campagne, afferma di sapere bene "cosa vogliono i contadini e come lavorano la terra".

(Pubblicato su Gli Italiani)


mercoledì 3 febbraio 2016

The Show Must Go On


[AGGIORNAMENTI:
26 febbraio: L'avvocato per la difesa dei diritti umani, Zhang Kai, è apparso sulla CCTV dopo mesi di detenzione. Il 25 agosto era stato prelevato dalle autorità insieme al suo assistente mentre si trovava a Wenzhou (Zhejiang) -la legge cinese autorizza la detenzione informale fino a un massimo di sei mesi. Zhang, che in passato aveva preso le parti della comunità cristiana in Cina, ha ammesso davanti alle telecamenre di aver "infranto la legge, violato l'ordine pubblico e messo in pericolo la sicurezza dello Stato". Secondo quanto riportato da un giornalista dell'emittente statale, l'avvocato sarebbe coinvolto in una serie di raduni illegali andati in scena nella città di Wenzhou per fermare i lavori di smantellamento di alcuni edifici religiosi costruiti senza autorizzazione. Nella sua confessione Zhang ha inoltre dichiarato di aver ricevuto dei finanziamentii dalla Ong americana ChinaAid.


Cosa accomuna il libraio di Hong Kong Gui Minhai, l'attivista svedese Peter Dahlin e il giornalista finanziario Wang Xiaolu? Poco e niente, fatta eccezione per la loro recente apparizione in prima TV nella veste di rei confessi. Ultimi nomi di una lunga lista di mea culpa apparsi sull'emittente di stato cinese CCTV. Nove sono le confessioni più note trasmesse in Cina sul piccolo schermo dall'agosto del 2013, quattro coinvolgono cittadini con passaporto straniero: oltre ai più recenti casi di Gui Minhai e Peter Dahlin, il New York Times ricorda le autocritiche dell'investigatore di GSK Peter Humphrey e del venture capitalist americano Charles Xue.

Le confessioni sono state a lungo parte fondamentale del sistema giuridico cinese, con frequenti autocritiche da parte di piccoli criminali davanti alle telecamere. Una "repressione visiva" che attinge ad un repertorio di proverbi locali dal "colpirne uno per educarne cento" (copyright Mao Zedong) ad "ammazzare i polli per spaventare le scimmie". Raramente, però, tale pratica ha coinvolto figure di spicco del mondo degli affari, scriveva tempo fa la Reuters. Tantomeno stranieri. Non stupisce quindi che l'ampia portata della campagna abbia attirato la condanna dell'Unione Europea e del Dipartimento di Stato Usa.

D'altronde, la tv di Stato non è nuova a questo tipo di inciampi. Nel marzo 2013 l'emittente era finita nell'occhio del ciclone per aver trasmesso il preludio all'esecuzione del narcotrafficante birmano, Naw Kahm, e dei suoi uomini. Al tempo il noto avvocato attivista Liu Xiaoyuan aveva definito l'infelice scelta "una violazione dell'articolo 252 del codice di procedura penale della Repubblica popolare cinese" che "vieta l'esposizione in pubblico dei condannati a morte". Similmente, lo show delle confessioni in assenza di un giusto processo mina la credibilità delle autorità in un momento in cui la Cina è alle prese con una complessa riforma del sistema giudiziario finalizzata al rafforzamento del "governo della legge". Nelle riprese televisive "le accuse non vengono mai smentite, né viene lasciato spazio alle dichiarazioni dei legali. Tutto ciò viola i principi basilari del giornalismo", commenta l'avvocato Mo Shaoping ai microfoni della CNN.

L'obiettivo dei media parrebbe essere quello di sostenere l'agenda politica di Pechino, come nel caso di Dahlin finito nelle maglie dell'anticrimine mentre il gigante asiatico si appresta ad approvare una nuova legge con lo scopo di controllare l'intricato sottobosco di ONG straniere operanti sul territorio cinese. Così come la comparsa televisiva di Zhou Shifeng, fondatore di Beijing Fengrui Law Firm ("un'associazione criminale", secondo l'agenzia di stampa Xinhua), si inserisce nel clamoroso giro di vite che dalla scorsa estate ha portato alla detenzione di oltre 300 avvocati e attivisti, di cui sedici tutt'ora in manette con l'accusa di "tentata sovversione dello Stato". A finire sotto i riflettori genitori in lacrime, colleghi e accuse incrociate tra sospettati -si teme- estratte con subdoli ricatti, come il ricorso a minacce contro i famigliari e il negato accesso alle cure mediche.

Pochi giorni fa due organizzazioni per la difesa dei lavoratori (il Nanfeiyan Social Work Service Center e il Panyu Migrant Workers Center) hanno fatto causa a un giornalista della Xinhua responsabile di accuse infondate nei confronti di due attivisti.

"Siamo difronte a due questioni differenti, ovvero l'uso di autocritiche al di fuori del processo penale (ad esempio nell'ambito di un procedimento disciplinare di partito) e autocritiche che invece servono come confessioni in effettive accuse di carattere penale" ci spiega Margaret Lewis della Seton Hall Law School. "Anche se non è scritto nel codice di procedura penale, la Cina ha avuto per lungo tempo una politica informale 'di clemenza per chi confessa, severità invece per chi fa resistenza'. E, alla luce dell'elevato numero di condanne, è comprensibile che i criminali sospettati provino almeno a diminuire le accuse a loro carico e a ottenere una sentenza più mite. Allo stesso tempo la tendenza di questi ultimi anni è stata quella di ridurre le confessioni estorte, in gran parte per via di imbarazzanti errori giudiziari."

La pratica, d'altro canto, affonda le radici in una realtà sociale in cui "perdere la faccia" viene ancora considerato un disonore. Nel suo controverso "The Chrysanthemum and the Sword", l'antropologa americana Ruth Benedict distingue la "cultura della vergogna" dalla "cultura della colpevolezza", incarnate rispettivamente dalla società giapponese e da quella statunitense. Dove la prima categoria abbraccia un po' tutti i paesi caratterizzati da un forte imprinting confuciano. Il perché va ricercato in un passo dei "Dialoghi" del Maestro Kong: "Guidando il popolo con ingiunzioni amministrative e tenendolo al proprio posto attraverso il diritto penale, si eviteranno le punizioni, ma non il senso di vergogna. Guidandolo con l'eccellenza e mantenendolo al proprio posto attraverso i ruoli e le pratiche rituali, oltre a sviluppare un senso di vergogna, lo si conserverà armonioso". E l'armonia, si sa, non è qualcosa su cui Pechino tollera compromessi.

Ma è all'Unione Sovietica che tocca guardare per capire l'origine delle teatrali autocritiche e dei cappelli da asino che hanno caratterizzato gli anni della Rivoluzione Culturale (1965-1969). Il 9 settembre 2013, l'agenzia di stampa Xinhua ha pubblicato una lunga riflessione di Liu Yunshan, membro del Comitato permanente del Politburo (il ghota del potere), riguardo alla "critica e l'autocritica" nella contemporaneità cinese. Definite il riflesso dell'epistemologia e della pratica marxista, "critica" e "autocritica" sono i principi fondamentali che regolano la vita politica all'interno dei partiti marxisti. "La questione della colpa e dell'innocenza sono asserviti agli imperativi del potere politico", avverte David Bandurski, editor di China Media Project, "oggi proprio come in passato, la cultura delle confessioni non ha nulla a che vedere con la responsabilità, con un governo limpido o un sistema basato sulle leggi. E' una questione di dominio e sottomissione. Il Presidente Xi Jinping è il capo confessore della Cina. E gli altri sono ai suoi comodi."

Che la strategia stia sortendo gli effetti sperati, comunque, è tutto da vedere. "Nonostante lo spazio online sia controllato, regolato e monitorato, è interessante notare che dopo questa campagna denigratoria si sono visti diversi post [critici]...a parlare non sono stati soltanto i famigliari [dei rei confessi]", afferma Eva Pils del King's College. "Nonostante l'ecosistema di intimidazioni, una serie di messaggi sono emersi mettendo in dubbio la versione dei fatti fornita dallo Stato".


Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...