venerdì 30 marzo 2012

Birmania al voto, già si parla di irregolarità


AGGIORNAMENTI

Nel giro di una settimana sarà reso noto l'esito ufficiale delle suppletive birmane che, tra le 6 della mattina e le 4 del pomeriggio di domenica ora locale, vedranno la partecipazione di più di sei milioni di persone aventi diritto al voto.
45 sono i seggi contesi (37 per la Camera bassa, 6 per il senato, 2 per le camere regionali), 17 i partiti contendenti, di cui quattro protagonisti assoluti: il Partito per l'unione, la solidarietà e lo sviluppo (Usdp) della giunta militare che nel 2010 ha ottenuto l'80% dei seggi, la Lega Nazionale per la Democrazia di Aung Saan Su Kyi, la Forza Democratica Nazionale ( NDF) guidata da leader separatisti dell'NLD e la Lega per la Democrazia delle Nazioni Shan (SNDP), rappresentante il secondo gruppo etnico più consistente del paese.
Suu Kyi corre per un posto alla divisione di Yangon che le darebbe la possibilità di proporre una serie di riforme volte a modificare l'assetto statale.

Al Jazeera ha riportato la presenza di osservatori stranieri a Kawhmu, distretto di Yangon, sebbene non sia concessa loro la possibilità di effettuare controlli all'interno delle cabine elettorali, né sarà loro permesso di assistere al conteggio finale.
" Sono qui per osservare il processo nel suo insieme e per parlare con gli elettori di ogni eventuale irregolarità riscontrata" ha dichiarato l'inviato dell'emittente araba. "Quello che stiamo sentendo è che diverse persone si sono lamentate per la manomissione delle schede e per l'intrusione nelle cabine elettorali  di alcuni funzionari che avrebbero cercato di costringerle a votare per un determinato partito. Questo non è certo il migliore degli inizi, ma qualcosa del genere, la NLD e la sua leader, certo se la dovevano aspettare."

(Al Jazeera)

1 aprile, elezioni storiche per il Myanmar

(Pubblicato su Dazebao)

Conto alla rovescia per le elezioni parlamentari suppletive del Myanmar. Domenica 1 aprile i cittadini in 45 municipi si recheranno alle urne per procedere all'assegnazione dei 48 seggi delle Camera lasciati vacanti dai deputati che hanno ottenuto incarichi di governo. Le aspettative sono altissime: l'appuntamento costituirà un importante banco di prova per saggiare l'effettiva volontà della giunta di portare avanti un processo di democratizzazione. Due le principali novità.

La prima, ovviamente, consiste nella partecipazione della leader della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), nonché Premio Nobel per la Pace, Aung Saan Su Kyi, tornata in libertà il 13 novembre 2010 dopo 15 anni di arresti domiciliari. L'NDL è stato iscritto ufficialmente come partito lo scorso 5 gennaio e con i suoi candidati si propone di fronteggiare la formazione di governo, il Partito per l'Unione, la Solidarietà e lo Sviluppo (Usdp).
Il 26 marzo la "Lady di Rangoon" aveva dovuto interrompere la sua campagna elettorale a causa di un malore, mentre si trovava nelle isole Mergui. Durante i suoi itinerari attraverso il Paese per rilanciare il proprio partito, "l'Orchidea d'Acciaio" ha lamentato "serie difficoltà" nella concessione di luoghi adeguati per i suoi incontri, e proprio l'improvviso malessere sarebbe subentrato in seguito ad un viaggio reso particolarmente stressante dal divieto imposto dalle autorità ad utilizzare un traghetto abbastanza grande da trasportare tutti suoi seguaci senza dover ricorrere a più battelli; fattore, questo, che ha triplicato la durata del tragitto.

Ma non solo. Lo scorso 10 marzo la Signora aveva accusato la giunta militare di aver censurato parte di un suo discorso nel quale la dichiarava responsabile di aver manipolato la legge elettorale ai danni dell'opposizione."Ho dovuto sottoporre il mio discorso a un controllo e un paragrafo è stato censurato", ha dichiarato il Premio Nobel per la Pace in un'intervista a Radio Free Asia, "La parte in cui si sosteneva che il governo militare aveva utilizzato regolarmente la legge per reprimere il popolo è stata censurata". Proprio in queste ore la "Lady di Rangoon" avrebbe detto in una conferenza stampa di non ritenere che le votazioni di domenica possano considerarsi "libere e giuste, se si tiene conto di ciò che è avvenuto nei mesi passati."

Insomma, nonostante i buoni propositi con i quali il nuovo governo civile sta cercando di conquistarsi le simpatie della comunità internazionale (liberazione di centinaia di prigionieri politici, sospensione dei lavori della diga di Myitsone ecc..) rimangono ancora forti dubbi sulla sua reale buona fede. La posta in gioco è alta. Si tratta niente meno che delle sanzioni economiche che incombono sul Paese dei Pavoni dal 1997, volute dall'allora presidente Usa, Bill Clinton, e sottoscritte dall'Ue (ammorbidite lo scorso febbraio da 150 milioni di euro di fondi da elargire in 2 anni)
Nonostante la visita storica del segretario di Stato americano Hillary Clinton, avvenuta lo scorso dicembre (link), le sanzioni sono state lasciate lì dove erano, nell'attesa di cambiamenti concreti; per la loro revoca occorrerà attendere il via libera del Congresso.

Intanto ulteriori riserve pesano sulle elezioni di domenica: denunce di irregolarità da parte della Nld, tensioni armate nello Stato settentrionale Kachin dove il voto non si potrà tenere in tutte le circoscrizioni, respingimento di due osservatori australiani, critiche agli standard di osservazione elettorale.

Poi però c'è l'altra grande novità, che accanto alla partecipazione di Aung Saan Siu Kyi renderà il 1 aprile 2012 una data da non dimenticare per la Birmania. Per la prima volta, infatti, il Myanmar aprirà le sue porte a media e osservatori, così da concedere una documentazione in tempo reale delle procedure elettorali. La J-School News Lab, che offre un programma di formazione per i giornalisti birmani, curerà un canale su Youtube dedicato alle suppletive del 1 aprile. Qui verranno riportati i servizi originali realizzati sul campo, le notizie battute dai mass media locali nonché dalle emittenti internazionali. Si stima che siano circa 300 i reporter stranieri dotati di regolare visto per poter entrare in Myanmar nei giorni delle votazioni. Un evento storico se si considera l'ermetismo che ha da sempre contraddistinto il governo di Naypydaw.

giovedì 29 marzo 2012

Ritratto di famiglia Bo: "l'ex imperatore rosso", la "lady di ferro", il "party boy" e il fu "Immortale"


Mentre il mistero si infittisce, la "spy story" di Bo Xilai e Wang Lijun rischia di internazzionalizzarsi coinvolgendo anche la diplomazia britannica; quella americana già c'era finita in mezzo fin dal primo capitolo della saga. Proprio ieri si era diffusa la notizia secondo la quale il superpoliziotto, prima di recarsi presso il consolato Usa di Chengdu, avrebbe fissato un appuntamento con alcuni funzionari inglesi; appuntamento al quale Wang non si è mai presentato.(link)

Intanto da giorni la stampa di tutto il mondo sta rivoltando da capo a piedi i membri della famiglia Bo, con un occhio particolarmente attento nei confronti della moglie Gu Kailai e del figlio Bo Guagua. E, dato che ormai ci sono stati propinati in ogni salsa, conosciamoli!

Bo Xilai
Ex sindaco di Dalian, ex segretario di Chongqing, ex candidato ad una delle nove poltrone che contano. Il suo siluramento, avvenuto lo scorso 15 marzo, ne ha interrotto la corsa verso il Politburo cinese, la stanza dei bottoni del governo centrale. Ma oggi rischia ben di più, se mai verranno confermate le voci su un suo coinvolgimento nella morte sospetta del britannico Heywood, trovato privo di vita lo scorso febbraio in un albergo di Chongqing. (link)
Questo è tutto quello che non è più, o che non è ancora; ora diciamo chi è Bo Xilai.
Figlio di uno degli “Otto immortali”, gli eroi della rivoluzione comunista, Bo Xilai è uno dei taizi, gli aristocratici del Partito dai natali illustri. Ma se la sua retorica rossa a suon di canzoncine rivoluzionarie ha mandato in brodo di giuggiole la fazione più conservatrice del Partito, gli altri "principi" sembrano non averla mai digerita, preferendo di gran lunga l'attuale vicepresidente Xi Jinping, e probabile successore di Hu Jintao al prossimo Congresso. In altre parole, Bo era mal sopportato anche tra i suoi pari, quanto a Hu Jintao e Wen Jiabao, non hanno mai evitato di nascondere una certa disapprovazione, tenendosi bene alla larga dalla megalopoli dell'Ovest.
Afferrate le redini di Chongqing nel 2007, ha fatto piazza pulita delle triadi locali, approfittandone per fare fuori alcuni dei suoi più acerrimi rivali. Almeno questo è quello che si dice. Nel 2009 comincia la campagna anticrimine coadiuvata dal suo braccio destro Wang Lijun. E tra uomini d'affari in manette, ricchezze espropriate, 50 funzionari sotto inchiesta, qualcuno ci ha anche rimesso le penne: Wen Qiang, predecessore di Wang a capo del Chongqing Public Security Bureau, è stato giustiziato per ordine di Bo nel 2010. Nella campagna antimafia cadono tutti, tranne le gang legate in qualche modo al segretario del partito locale, secondo il sito Boxun, vero burattinaio a muovere i fili della malavita locale.


Gu Kailai

Prima di tutto è la seconda moglie di Bo Xilai. Classe 1960 e figlia di un generale, Gu è nativa di Dalian, città del Liaoning  presso la quale l'ex re di Chongqing era stato sindaco tra il 1993 e il 2002. Benchè Bo fosse già sposato, nell'84 sboccia l'amore tra i due e Gu rimane incinta. Secondo voci diffuse dal sito Boxun, per togliere di mezzo una giornalista televisiva che voleva rendere nota la sua tresca con Bo, Gu l'avrebbe fatta internare in una clinica psichiatrica.
Dopo aver studiato legge e politica internazionale, ha fondato lo studio legale Kailai, facendo carriera grazie ad alcuni casi di alto profilo. Autrice di libri di grande popolarità quali "Winning a Case in the United States", si dice sia stato il primo avvocato cinese a vincere una causa civile negli Usa. E c'è persino chi sostiene che a finanziare i costosissmi studi del figlio (oggi studente Harvard) sia stato proprio il suo portafoglio.
Di lei aveva parlato Bo stesso pochi giorni fa durante la sessione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo, sua ultima apparizione pubblica prima della destituzione dall'incarico di segretario di Chongqing.
"Rimane essenzialmente a casa a sbrigare faccende domestiche per me. Sono molto toccato dal suo sacrificio" aveva raccontato Bo spiegando come la moglie avesse abbandonato la sua carriera da due anni.
Ora Gu è nell'occhio di un ciclone mediatico. Dalle recenti indiscrezione del Wall Street Journal, la vittima inglese, Mr. Heywood, avrebbe avuto una disputa in affari proprio con la lady di ferro di casa Bo.  L'uomo operava come consulente, grazie alla moglie cinese vantava accesso e familiarità con il clan dei Bo e avrebbe frequentato il figlio Bo Guagua sia in Gran Bretagna sia in Cina.

Bo Guagua
E' il 24enne figlio di Bo Xilai e Gu Kailai. Rientra a pieno titolo nella categoria dei "principini rossi", i rampolli delle famiglie degli alti funzionari del Partito, con formazione scolastica di stampo occidentale e una certa inclinazione verso la mondanità e la vita notturna. Per lui i genitori hanno scelto il massimo. Oxford e Harvard sul curriculum scolastico, Chen Xiaodan, nipote del noto economista  e veterano del Partito Chen Yun, nel letto. La storia tra i due si è interrotta poco prima dell'esplosione del "caso Wang Lijun" facendo presagire il collasso della casta degli Bo. E secondo alcune origliature, il fascino di Guagua non avrebbe risparmiato nemmeno la figlia dell'ex ambasciatore americano in Cina, Jon Huntsman Jr.
Ma nonostante gli sforzi di mamma e papà, il giovane playboy di studiare non ne vuole sapere. Mentre era iscritto al Balliol College di Oxford è stato sospeso a causa dello scarso impegno dimostrato. Insomma, come riportato da un giornale scolastico, Bo junior "ha rapporti tesi con i libri".
Eccelle invece nelle attività ricreative. Una volta organizzò un Silk Road Ball, con tanto di esibizione dei monaci Shaolin e conferenza presieduta niente meno che da Jeckie Chan in carne ed ossa.
Un suo compagno ha dichiarato: " era molto conosciuto per essere un "party boy". Una volta organizzò una festa nella sua stanza e comprò fiumi di champagne per ognuno dei partecipanti. "Quando è stato sospeso, l'ambasciatore cinese è venuto a Balliol per riferire che la cosa era stato molto imbarazzante per il padre."
Alle prove dei testimoni oculari si sono aggiunte le foto scandalo. Bo immortalato in situazioni disdicevoli, spettinato mentre beve e si rotola a terra assieme a delle ragazze, mentre finge di orinare davanti ad un cancello con alcuni amici: gli scatti sono rimbalzati sul web suscitando perplessità e irritazione nella comunità digitale.
Ma diciamolo, buon sangue non mente. Si perché anche l'ex imperatore rosso, il nuovo Mao, come è stato soprannominato Bo senior, predicava bene ma razzolava male. E se a parole inneggiava all'austerità del comunismo più puro, nei fatti si sa, amava le Jaguar e gli abiti di sartoria. Per non parlare di quella leziosità del telecomando con il quale dal suo ufficio di Dalian poteva azionare la fontana nella piazza antistante.

Bo Yibo
Padre di Bo Xilai e uno dei pezzi da novanta della rivoluzione comunista by Mao Zedong; in altre parole  uno degli "Otto immortali". Partecipò alla Lunga Marcia e fu ministro delle Finanze. Poi nel 1966 le sue velleità riformiste gli costarono dieci anni di carcere sotto la Rivoluzione Culturale. Morto Mao, si schierò con Deng Xiaoping per spianare la strada all'apertura economica del Paese, poi con Jiang Zemin. Acerrimo oppositore dell'estrema sinistra, fu uno dei fautori della repressione di piazza Tiananmen.
Passato a miglior vita da ben cinque anni, anche lui è stato vittima della spirale scandalistica che ha risucchiato il suo erede. Alcuni giorni fa la rete ha ripropinato alcune foto ritraenti le umiliazioni subite dall' "Immortale" durante le purghe inflitte dal Grande Timoniere.

Le sorti della famiglia Bo, al momento, sono un mistero. Dei due coniugi non si hanno notizie dal 15 marzo, mentre i cancelli del palazzo sono attentamente sorvegliati da guardie in uniforme, pronte ad allontanare visitatori indiscreti. Ora non resta che attendere fiduciosi nuovi appetitosi dettagli, sicuramente non tarderanno ad arrivare.

mercoledì 28 marzo 2012

2012, l'anno del Drago(ne)


(Scritto per la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana)

Lo scorso ottobre il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha concluso la sua sessione plenaria con una promessa: il 2012 per la Cina sarà l’anno della cultura e del soft power ( ruan quali in cinese), la capacità di uno Stato di ottenere cio’ che vuole facendo leva sulla propria attrattiva piuttosto che con il ricorso alla coercizione o a compensi in denaro” (Nye, 2005 p.34).

Ed é così che, dopo aver conquistato il titolo di seconda economia mondiale, la Cina si appresta ad espugnare l’immaginario collettivo penetrando nelle nostre menti e nei nostri cuori. Una strategia di marketing volta a promuovere un’immagine dell’ex-Impero Celeste ben differente da quella distorta riproposta dall’Occidente globalizzato e filoamericano, o almeno questo e’ quanto sembrano pensare ai piani alti di Pechino. Ce la fara’ il “Beijing Consensus”?

La partita ancora una volta e’ tutta giocata tra le due sponde del Pacifico. Fino al 2000 gli Stati Uniti hanno modellato lo stile di vita di intere generazioni grazie al sapiente dosaggio dei loro migliori brand, Mc Donalds e Hollywood in primis. Poi gli eventi dell’11 settembre e l’annus horribilis 2008 hanno cominciato a gettare ombre sul sistema americano e sull’infallibilità dei principi cardinali alla base del suo successo. I concetti di economia di libero mercato e democrazia oggi rischiano di sgretolarsi davanti alla supremazia mondiale di un Paese noto per politiche economiche “disinvolte” e scarsa tutela dei diritti umani.

E c’è chi sull’ascesa del Dragone riproietta l’ombra del Giappone anni ’80 quando, all’apice della sua potenza, il Sol Levante veniva additato come il “pericolo Giallo” mentre la Cina, per anni considerata la “malata d’Asia”, cominciava appena ad uscire dalla sua convalescenza.
Ma il paragone impallidisce davanti ai numeri macinati da Pechino, che continua senza sosta a iniettare investimenti nell’industria culturale. E lo ha fatto rilanciando l’immagine di un colosso multimediale quale l’agenzia di stampa statale Xinhua, da molti bollata come cantore del Partito e strumento di propaganda, ma fino a prova contraria in possesso di un network televisivo in grado di raggiungere 5 miliardi e mezzo di persone.
Dallo scorso maggio la Xinhua si e’ aggiudicata uno degli spazi piu’ esclusivi della Grande Mela, l’ultimo piano di un grattacielo nel cuore di Times Square, sul quale campeggia uno schermo al LED di 18 metri per 12. Obiettivo ultimo, bombardare 24 ore su 24 la piazza newyorkese con notizie sulla Cina; una missione, questa, che secondo alcune voci di corridoio costerebbe al Dragone ben 400 milioni di dollari al mese.

Nel 2010 l’agenzia di stampa ha inaugurato CNC World, canale in lingua inglese che punta a competere con colossi dell’informazioni quali Associated Press (AP), Bloomberg e Reuters. Oggi la Xinhua e’ un potentato che si regge sul lavoro di 11mila persone, ha 31 uffici in Cina, altri 107 sparsi per il globo e fornisce almeno un quarto delle informazioni riportate dai gruppi editoriali nazionali.
Ma il ruan quanli esercitato da Pechino oltrepassa i confini dell’infosfera, sconfinando in altrettanto fertili terreni. Il fascino dei caratteri cinesi ha gia’ ammaliato mezzo mondo grazie alla capillare diffusione di oltre 350 Istituiti Confucio per un totale di 5 mila insegnanti di lingua in ogni parte della Terra; e secondo recenti statistiche, nel 2015 il mandarino effettuerà il grande sorpasso sull’inglese divenendo l’idioma più studiato del pianeta.

Dai suoni alle immagini: l’appeal di Pechino contagia anche la Mecca del Cinema. Nell’ultimo anno il Dragone ha incoraggiato operazioni di fusione, acquisizione e joint venture con alcuni big dell’industria cinematografica americana, studios del calibro di Miramax hanno valicato la Grande Muraglia per sancire accordi di coproduzione con alcuni major nazionali. Il Regno di Mezzo ha chiuso il 2011 con incassi per 2 miliardi di dollari e, se le proiezioni degli esperti si dimostreranno esatte, in pochi anni la Cina diventera’ il secondo mercato cinematografico del mondo, raggiungendo entro il 2015 il traguardo dei 5 miliardi di dollari.

Tutti pazzi per il Dragone? Michael Barr, docente di Politica internazionale all’universita’ di Newcastle e autore di "Who’s afraid of China", non sembra esserne convinto. Mentre alcuni ambienti occidentali continuano ad agitare il fantasma di un “assedio cinese”, Barr rilassa i toni. La Cina non sarebbe ancora in grado di minacciare il predominio culturale e ideologico di Washington. Colpa della fama non ottimale di cui gode oltremare e di una strategia di marketing tutta da rivedere. Piuttosto, e’ entro i confini nazionali che il soft power “con caratteristiche cinesi” trova la sua massima espressione, esplicandosi in una sorta di autopromozione del Partito nei confronti della propria gente. Seppur funestato dal crescente malcontento popolare e squassato dai recenti intrighi di palazzo, Pechino ci tiene a sbandierare i successi inanellati negli ultimi 30 anni di rinascita economica. Il monito in patria risuona forte e chiaro, quanto a noi, saremo mai in grado di rinunciare alle bollicine di una lattina di Coca Cola per l’acre sapore di una tazza di tè?

martedì 27 marzo 2012

E' ancora Bo Xilai su WSJ e NYT


Continuano a fioccare le ipotesi sul coinvolgimento del businessmen britannico Heywood, morto lo scorso novembre in circostanze sospette, nel terremoto politico cinese. Un articolo pubblicato dal Wall Streeet Journal e amplificato dalla comunita’ di internet nella giornata di lunedi’, ha scatenato nuove congetture sulla possibilita’ di un’implicazione della famiglia Bo in affari sporchi.t
Sino a ieri le notizie sul misterioso Mr. Heywood erano piuttosto confuse, oggi probabilmente lo sono ancora di piu’. Ed e’ di nuovo Jeremy Page del WSJ ha fornire nuovi dettagli sull’identita’ del defunto.


Identikit di Heywood, le nuove “perle” del Wall Street Journal
Il nuovo tassello si chiama Hakluyt&Co, societa’ di consulenza strategica fondata nel 1995 da ex-spie dell’intelligence britannica MI6. Un portavoce della societa’ ha dichirato che il businessmen aveva fornito servizi a Hakluyt per un certo periodo di tempo, evitando tuttavia di chiarire di quali servizi si sia trattato. Secondo quanto dichiarato da Andy Browne, capo dell’ufficio di Pechino, a Deborah Kan di WSJ “Neil aveva una lunga storia nel settore della consulenza aziendale fornita alle societa’ occidentali operanti in Cina, e noi rientravamo tra queste societa’. Siamo molto dispiaciuti per la sua morte”. Tra le attivita’ svolte da Hakluyt rientrano servizi di business intelligence, due diligence e credit check.
Heywood, continua il WSJ, noto per essere un esperto di economia cinese, si sarebbe laureato alla Beijing Language and Culture University e avrebbe partecipato a diverse iniziative imprenditoriali tra societa’ straniere e cinesi, come nel caso dell’acquisto della Volvo da parte di Zhejiang Geely Holding Group Co. Avrebbe lavorato anche per Hl Consulting, societa’ cinese di consulenza finanziaria, ma cosa ci facesse nel mese di novembre a Chongqing e’ ancora un mistero. (Leggi su Wall Street Journal)

 “La Rivoluzione Culturale del nuovo Mao” secondo il New York Times
E mentre il WSJ continua a scavare nei retroscena della famiglia dell’ex segretario di Chongqing, l’altro colosso dell’informazione, il New York Times, sferra il suo attacco contro Bo Xilai proponendo un lungo e dettagliato articolo sul modus operandi del “nuovo Mao” durante la lotta antimafia sferrata nella megalopoli del Sichuan a partire dal giugno 2009. Vero e proprio “terrore rosso” quello messo in atto da Bo Xilai e dal suo braccio destro Wang Lijun durante la battaglia anticrimine. 4781 persone arrestate nell’arco di soli 10 mesi, tra cui funzionari di polizia, dirigenti d’azienda, giudici ecc…C’e’ chi ironizza sul fatto che soltanto ora il Partito stia cercando di fare luce su eventuali comportamenti illegali di Bo Xilai, solo ora dopo due anni di lotta contro la malavita condotta con ogni mezzo a disposizione. Gong Gangmo e Fan Qihang, accusati di una serie di crimini dei quali si sono dichiarati innocenti, hanno raccontato le torture subite durante quella che e’ stata definita da alcuni “una seconda Rivoluzione
Culturale”. (Leggi su New York Times)



Ombre d'oltremanica sul "caso Wang Lijun"

Un altro colpo di scena sembra aprire nuovi scenari sul siluramento di Bo Xilai, l'ex segretario di Chongqing destituito dal suo incarico lo scorso 15 marzo -secondo una registrazione privata- per aver tentato di proteggere alcuni familiari finiti sotto inchiesta.
Il governo britannico avrebbe chiesto di aprire un'indagine sulla morte sospetta di un uomo d'affari inglese potenzialmente legato alla famiglia Bo.

Neil Heywood, questo il suo nome, lo scorso novembre era stato trovato privo di vita nella sua stanza d'albergo, a Chongqing. Al tempo le autorità locali avevano provveduto a cremare il corpo senza effettuare un'autopsia, attribuendo il decesso ad "un consumo eccessivo di alcol". Una tesi quanto meno bizzarra dato che, secondo persone vicine al defunto, Mr. Heywood sarebbe stato astemio.

"Abbiamo recentemente richiesto al governo cinese di riaprire le indagini sul caso, date le circostanze sospette della morte" ha dichiarato il portavoce dell'Ufficio stranieri di Londra, aggiungendo che le autorità "sono a conoscenza di voci e speculazioni, alle quali, tuttavia, non verrà necessariamente dato credito".

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la pedina Heywood potrebbe giocare un ruolo importante nella risoluzione dell'enigma Wang Lijun, il superpoliziotto e braccio destro di Bo Xilai, che nella notte tra il 6 e il 7 si era recato presso il consolato americano di Chengdu per ragioni non accertate.

All'inizio di febbraio Wang era stato rimosso dall'incarico di capo della polizia di Chongqing per essere destinato ad incarichi di secondo piano. Il quotidiano newyorkese, citando fonti anonime vicine al caso, riporta di un litigio tra l'ex-segretario di Chongqing e il superpoliziotto, il quale avrebbe attribuito il decesso di Heywood ad un avvelenamento. Ma non solo. Le stesse voci riportano che Wang avrebbe denunciato il coinvolgimento di Gu Kailai, seconda moglie del suo padrino politico, perché invischiata in una disputa d'affari con il misterioso signor Heywood.

Il puzzle comincia a prendere una nuova forma. Per diversi esperti di diplomazia, la visita di Wang Lijun presso il consolato americano potrebbe essere giustificata dal tentativo di far recapitare alle autorità statunitensi informazioni riguardanti gli scheletri nell'armadio della famiglia Bo. Vistosi messo alla porta dai funzionari di Washington per evitare la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, Wang sarebbe poi stato costretto a consegnarsi alle autorità cinesi, nelle mani delle quali si troverebbe tutt'ora.

Ma cosa centra Gu Kailai? Seconda moglie di Bo Xilai, Gu è nativa di Dalian, città del Liaoning  presso la quale l'ex re di Chongqing era stato sindaco tra il 1993 e il 2002. Dopo aver studiato legge e politica internazionale, aveva fondato lo studio legale Kailai, facendo carriera grazie ad alcuni casi di alto profilo. Autrice di libri di grande popolarità quali "Winning a Case in the United States", si dice sia stato il primo avvocato cinese a vincere una causa civile negli Usa.
Di lei aveva parlato Bo stesso pochi giorni fa durante la sessione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo, sua ultima apparizione pubblica prima della destituzione dall'incarico di segretario di Chongqing.
"Rimane essenzialmente a casa a sbrigare faccende domestiche per me. Sono molto toccato dal suo sacrificio" aveva raccontato Bo spiegando come la moglie avesse abbandonato la sua carriera da due anni.

Per quanto riguarda l'identikit del defunto Mr. Heywood, amici e conoscenti lo descrivono come un uomo d'affari e consulente indipendente, legato alla famiglia di Bo Xilai forse in qualità di organizzatore di meeting e addetto alla gestione del business familiare. Con un passato come direttore non esecutivo di una concessionaria locale dell'Aston Martin, secondo quanto affermato dal portavoce dell'ambasciata inglese, non aveva lavorato per il governo britannico in tempi recenti.

I funzionari d'oltremanica hanno dichiarato di non essere a conoscenza di nulla di strano nella relazione del medico: "non c'era nessuna ragione di avere sospetti circa la sua morte", hanno affermato, sottolineando come la famiglia del defunto non avesse lamentato il modo in cui era stata condotta l'indagine dalla polizia locale.
Intanto il portavoce dell'ambasciata Usa si è astenuto dal commentare le voci che vedrebbero nella fuga di Wang Lijun presso la sede diplomatica americana un tentativo di rivelare segreti sul caso.

Bocca cucita anche tra la diplomazia britannica circa il coinvolgimento di Washington nella morte di Heywood. "Abbiamo sollevato la questione alle autorità cinesi, chiedendo di indagare a fondo. La risposta ci verrà data più avanti" è tutto quello che hanno fatto sapere dall'ambasciata inglese.

Lo scoop lanciato da Jeremy Page del Wall Street Journal getta nuove ombre sulla città di Chongqing e sul suo ex-imperatore rosso. Mentre l'opinione pubblica continua a ricamare sul caso, avanzando pronostici circa il futuro di Bo Xilai, da settimane milioni di utenti internet infiammano la rete con congetture di ogni genere, culminate il 19 marzo con un'ipotesi “colpo di Stato” mai confermata.

(Pubblicato su Dazebao)

sabato 24 marzo 2012

Ai Weiwei: "Il mondo deve sapere..."


"C'è un forte bisogno che il mondo capisca la Cina". Così Ai Weiwei rompe di nuovo il silenzio e lo fa rilasciando un'intervista a CBCradio, la più lunga da quando lo scorso giugno è stato rimesso in "libertà" dopo 81 giorni di detenzione.  La scorsa domenica un rilassamento nei controlli del web aveva permesso all'archistar di riappropriarsi per due ore del suo account Weibo. L'artista sembrava quasi non crederci "'Testing. Ai Weiwei. March 18, 2012," era stato il primo cauto post, seguito da uno più speranzoso: 'The moment has come. The skies have changed in China.' Ma, solo poco dopo, la scure della Grande Muraglia di Fuoco si è abbattuta nuovamente sull'account di Ai, rendendolo inaccessibile.
Poi pochi giorni fa l'archistar è tornato a parlare dalla sua abitazione, nella quale si trova agli arresti domiciliari dal momento del rilascio, sottoposto ad una forma di libertà vigilata che non gli permette di lasciare Pechino. In un vortice di sentimenti contrastanti tra rabbia e frustrazione, preoccupazione per sé e timore di coinvolgere chi lo circonda, ha raccontato delle restrizioni alla libertà impostegli dalla polizia: "Ci sei ma è come se non esistessi", ha riferito a CBC.

Ascolta l'intervista su China Digital Times

giovedì 22 marzo 2012

Ipotesi "golpe" infiamma il web


Golpe o non golpe? Questo è il problema. Nella notte del 19 marzo il web cinese comincia ad agitarsi; piattaforme di microblogging come Sina Weibo, QQ Weibo e la bacheca del motore di ricerca Baidu riportano di "movimenti anomali" nella capitale. Voci di truppe militari lungo la Chang'an Street, una delle principali arterie che porta a Tiananmen, il centro politico di Pechino, diventano virali sulla rete. La notizia di un colpo di mano militare, amplificata da The Epoch Times, è stata presto smentita dal portavoce del ministero degli Esteri Qin Gang che ha invitato la stampa estera alla prudenza.
Ma veri o farlocchi che fossero, nella giornata di mercoledì i commenti dei netizen contenenti parole sensibili quali "colpo di stato" sono stati prontamente rimossi dalla censura governativa. Come riportato da Bill Gertz del Washington Times, un post, citando fonti interne ai palazzi del potere, ha fatto allusione ad una spaccatura all'interno della leadership cinese riguardo alla "questione Bo Xilai", l'ex segretario di Chongqing rimosso dal suo incarico -secondo una registrazione privata diffusa alla fine della settimana scorsa- perché colpevole di aver insabbiato indagini riconducenti ad alcuni suoi familiari.
Il premier Wen Jiabao contro il ministro della Pubblica Sicurezza Zhou Yongkang, questo uno degli scenari tracciati dai cittadini di internet, avvalorato dall'ordine di Pechino inoltrato mercoledì alla pubblica sicurezza a tutti i livelli di condurre una "sessione di studio a livello nazionale"; ordine dal quale il ministro sarebbe, tuttavia, stato lasciato fuori.
Altra la tesi sostenuta da Bannedbook.org -sito che offre gratuitamente il download di libri proibiti nella mainland- secondo la quale a far tremare le stanze di Zhongnanhai, il quartier generale del Partito, sarebbe una lotta di potere tra l'attuale presidente Hu Jintao, che controlla l'esercito, e Zhou regista del formidabile apparato della sicurezza interna.
Intanto il giornale hongkonghese Apple Daily ha raccontato di uno striscione issato su una delle piazza principali di Chongqing recante scritto "Segretario del Partito Bo, noi ti amiamo e stimiamo". Gli "innamorati" e  la loro ardita dichiarazione sarebbero stati fulmineamente fatti sparire da alcuni poliziotti in borghese.
E ugualmente provocatorio è stato ritenuto il commento del professor Kong Qingdong della Peking University, il quale durante il suo show televisivo ha definito il siluramento di Bo Xilai un "colpo contro- rivoluzionario". The show must go on? Neanche per idea. Come riportato da un sito d'informazione, il programma è stato misteriosamente sospeso.
Ma il web non ha mancato nemmeno di mettere in mostra la propria vena umoristica ed irriverente: "Se avviene un colpo di stato è previsto un giorno di vacanza?" ha commentato un internauta. Molti i post scherzosi relativi alla decisione impopolare del governo cinese di aumentare il costo della benzina e del gasolio rispettivamente del 6,5% e del 7%. "Riguardo alla notizia degli spari dell'altra notte...in realtà erano i cittadini che per festeggiare l'aumento dei prezzi della benzina erano scesi in strada per sparare i fuochi d'artificio e festeggiare. Non temere per un colpo di stato!" si legge in un post su Weibo.
E poi c'è la versione dei fatti by Mingjing.com, secondo la quale Bo avrebbe tentato di mettere su un esercito privato in combutta con Zhou Yongkang che, oltre ad aiutarlo nella sua ascesa al Comitato Politico e Legislativo, lo avrebbe anche spalleggiato nell'ostacolare Xi Jinping, salvo colpi di scena successore di Hu Jintao al prossimo Congresso. Sempre secondo Mingjing, servendosi dell'aiuto del suo braccio destro Wang Lijun, Bo Xilai sarebbe riuscito ad acquistare 5mila fucili e 50mila munizioni da una fabbrica di Chongqing. Le autorità starebbero già indagando per verificare la questione.
Ma mentre le ipotesi infuriano sulla blogsfera, per le strade di Pechino la situazione sembra essere quella ordinaria, senza, nessun particolare incremento delle forze dell'ordine. Certo è che la tensione rimane alta e alcune mosse della leadership cinese hanno destato non pochi sospetti. La richiesta di giuramento al "socialismo con caratteristiche cinesi" imposta negli ultimi giorni dal partito a tutti gli avvocati è un evidente sintomo di agitazione; un provvedimento senza precedenti volto a stringere il controllo su una categoria vista con grande diffidenza, e che tradotto dal giuridichese si riduce ad un ordine impartito alla legge di assicurare la propria fedeltà al regime.
Il terremoto scandalistico messo in moto "dall'intrigo Wang Lijun" continua a far tremare il Partito, mentre le voci sul golpe, nonostante il bavaglio governativo, non accennano ad azzittirsi. Colpa dell'impenetrabilità delle dinamiche politiche cinesi, secondo Mark MacKinnon di The Globe&Mail; la battaglia a porte chiuse tra i falchi dagli occhi a mandorla risulta ancora più enigmatica delle segrete alchimie distillate dietro le mura del Cremlino.

(Fonte: Shanghaiist)
Leggi Giochi di ombre cinesi tra palazzo e web

venerdì 16 marzo 2012

Il "Tuidang", questo sconosciuto


Cominciò nel 2004 sulla scia di una serie di editoriali rivelatori pubblicati dal giornale in lingua cinese Dajiyuan (The Epoch Times), i "Nove Commentari del Partito Comunista"; oggi decine di milioni di persone alimentano la sua forza, vittime di persecuzioni e abusi o semplicemente deluse per come in Cina stanno andando le cose. Il suo nome è "Tuidang", e consiste in un movimento non violento che incoraggia i cittadini cinesi ad allontanarsi dal Partito senza, tuttavia, imporre un sistema istituzionale alternativo. Cambiamento, non rovesciamento; rinascita etica, non rivoluzione destabilizzante. In pochi lo conoscono ma sono sempre di più a seguirlo: ex-funzionari pentiti e vittime, insieme per cambiare la Cina, o meglio, per riportare in vita i valori tradizionali di una Cina che sembrerebbe ormai essere morta.

Leggi su The Epoch Times

giovedì 15 marzo 2012

Bo Xilai, uno di meno nella lotta per l'Empireo cinese



(Pubbliacto su: Dazebao)

Fine dei giochi per Bo Xilai. Questa mattina il segretario della metropoli di Chongqing è stato deposto dal suo incarico e rimpiazzato dal vice primo ministro ed esponente dell'ala riformista, Zhang Dejiang.
Una decisione certamente non improvvisa, preannunciata tra le righe nel discorso pronunciato ieri dal premier Wen Jiabao in chiusura della sessione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo. Bo, che sino a poco tempo fa veniva considerato l'astro nascente della politica cinese, oggi sembra piuttosto essersi trasformato in una stella cadente in vorticosa discesa: nessuna notizia è trapelata sulla sua sorte futura, ma sono in molti a ritenere che l'alto funzionario sia caduto in disgrazia, trascinato nel vortice dall' “intrigo Wang Lijun"(link), super-poliziotto e suo braccio destro nella campagna anti-corruzione e anti-triadi che fece cadere molte teste importanti del panorama locale.

Nella notte tra il 6 e il 7 febbraio scorso, Wang -ancora ufficialmente sotto inchiesta- aveva cercato rifugio presso il consolato americano di Chengdu per ragioni non ancora accertate. Secondo la comune "vulgata", l'ex poliziotto di Chongqing avrebbe tentato di rivelare informazioni su alcuni presunti episodi di corruzione nei quali sarebbe stato coinvolto il suo padrino politico.
Negli ultimi giorni la spy-story in salsa di soia si è arricchita di nuovi tasselli, vedendo l'entrata in scena di alcune pedine che contano della megalopoli dell'Ovest: Zhang Mingyu, un imprenditore industriale troppo curioso finito agli arresti e Weng Zhengjie, secondo alcuni il vero Al Capone di Chongqing -sebbene mai nominato nelle operazioni antimafia della coppia Bo-Wang- hanno aperto nuovi scenari riguardo l'affaire Wang Lijun.

Ma da oggi Bo, il novello Mao che con la sua retorica rossa a suon di canzoncine rivoluzionarie aveva mandato in brodo di giuggiole la fazione più conservatrice del Partito, termina la sua corsa verso il Comitato Permanente del Politburo, il ghota cinese. E la sua squalifica ha già rievocato alla mente la storia di Chen Liangyu, ex capo del Partito di Shanghai silurato nel 2006 e successivamente condannato a 18 anni di detenzione con l'accusa di corruzione.

D'altra parte l'aveva ammesso anche lui stesso la scorsa settimana ai microfoni dei giornalisti impazienti di verificare le voci su una presunta inchiesta. Glissate le domande sul suo futuro e smentiti i pettegolezzi, Bo aveva, tuttavia, concluso riconoscendo di aver commesso un "errore di giudizio" nel promuovere Wang capo della polizia locale: "questo è stato un caso di negligenza da parte mia", aveva dichiarato dopo la sua sospetta assenza ad un importante appuntamento del Congresso Nazionale del Popolo.

Ora che Bo è stato fatto fuori sono in molti a tirare un sospiro di sollievo. "La roccaforte dell'estrema sinistra è collassata. E' una grande fortuna per la Cina e per il suo popolo" ha commentato Wang Ruogu, editorialista dell'agenzia di stampa Xinhua.
E lo stesso Wen Jiabao proprio ieri non aveva usato mezzi termini quando, invitando il governo municipale di Chongqing a riflettere attentamente sul caso Wang Lijun, aveva aggiunto che le autorità "hanno preso molto sul serio la questione". "Bisogna dare una risposta alle persone", aveva avvertito, "e i risultati delle indagini dovranno reggere all'esame della legge e della storia". Una dichiarazione, questa, che contestualizzata nell'esplicita richiesta di nuove riforme e di una ristrutturazione politica -secondo il primo ministro, precondizione necessaria a scongiurare il pericolo di una nuova Rivoluzione Culturale- appare come un chiaro pollice verso nei confronti della gestione ultra-rossa targata Bo Xilai.

Osservando le "bugie" di Internet dalla Tribuna del Popolo

Il governo cinese continua a stringere la morsa sui principali mezzi di divulgazione dell'opinione pubblica, da Internet ai media ufficiali, con occhio particolarmente attento verso il brulicante mondo dei social network e dei microblog. E lo fa con ancora maggior solerzia da quando, lo scorso autunno, il Comitato centrale del Partito ha dato il via alla “wenhua tizhi gaige”, la riforma del sistema culturale che, tra nuovi e più rigidi regolamenti sui palinsesti televisivi, richiami all'ordine rivolti al mondo della carta stampata e un più severo monitoraggio del web, ha lo scopo di ricondurre la cultura sulla retta via dei dogmi socialisti.

Ed è così che lo scorso 18 maggio è nata la “Lega contro i rumori”, un gruppo spontaneo- o presunto tale- di microbloggers che ha lo scopo di ripulire il web cinese, individuando false notizie e pettegolezzi (comprese, ovviamente, le voci in grado di danneggiare l'immagine del Partito), responsabili di insinuare tra le persone diffidenza, paura e sospetto. In questi ultimi mesi, la stampa ufficiale non ha concesso sconti, bollando più volte i rumors che compaiono in rete come “droghe sociali”, non meno nocive della pornografia online o del gioco d'azzardo.

Il 7 marzo scorso, il Renmin Luntan (人民论坛) ha pubblicato un articolo dal titolo “Confusione nella divulgazione dei rumors nell’era di Weibo”; una sorta di summa dei principali commenti riportati su alcuni quotidiani nazionali, e riguardanti proprio Internet e le sue tante “bugie”.

Segue la traduzione (testo in cinese)

Il 19 febbraio un certo Liu scriveva su Weibo: “L’ospedale 252Yiyuan di Baoding, nello Hebei, ha confermato un caso di SARS”. La notizia, in seguito ripresa dai media, e’ stata ampiamente dibattuta tra i cittadini del web. Il 27 dello stesso mese, l’Ufficio di pubblica sicurezza del distretto di Xin, della citta’ di Baoding, secondo quanto disposto dalla legge , ha condannato il divulgatore di false notizie a due anni di “rieducazione attraverso il lavoro”. La notizia e’ stata immediatamente diffusa richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica. Weibo trabocca di rumors; la sua natura estremamente capillare rende molto facile la propagazione di pettegolezzi e falsita’.
Dunque, nell’era di Weibo come dobbiamo reagire ai rumors?

Varie tipologie di rumors

Wang Dawei, ricercatore per la strategia di produzione di una famosa societa’ fornitrice di servizi internet di Pechino ha suddiviso i “rumori” in tre tipologie:
1) Il primo tipo consiste nelle notizie false diffuse volontariamente. Chi le propaga si avvale della curiosita’ dei netizen, con l’intenzione di fare un scherzo, trarre qualche beneficio o  prendere in giro, diffondendole su vasta scala.
Il 16 maggio 2011, un utente di Weibo ha scritto sul suo microblog: “Hai il coraggio di mangiare il cetriolo anticoncezionale?” [...]


Una volta andato in pensione, l’anziano signor Zhong che dalle zone interne si era trasferito a Zhuhai, ha dichiarato: “noi dopo aver mangiati i cetrioli abbiamo subito visto gli effetti, e le teste e fiori di tali ortaggi che abbiamo venduto al mercato sono state usate tutte come contraccettivi. Tutte le donne che li mangiavano non rimanevano piu’ incinte, addirittura diventavano sterili o si verificavano altre conseguenze terribili.”
Rimpallato sulla rete, alle ore 21,00 del secondo giorno il post del vecchio Zhong era stato gia’ condiviso 12.085 volte.

2) La seconda tipologia comprende I rumors generati involontariamente, occasionalmente, riguardo persononaggi pubblici e conosciuti ai piu’. Notizie lette erroneamente il cui significato viene travisato, ingigantito e messo in risalto.

3) Nella terza categoria rientrano quegli avvenimenti di grande impatto sociale che suscitano un alto grado di attenzione nell’opinione pubblica, e che, a causa della mancanza di fatti concreti, innescano una serie di supposizioni e ipotesi.
Nel contesto di modernita’ in cui viviamo, la circolazione di notizie false avviene senza dubbio ad una velocita’ sempre maggiore, e la sua capacita’ di mietere vittime e’ assai piu’ elevata.

Perche’ nell’era di Weibo si generano tanti rumors?
La velocita’ impiegata nello smentire le falsita’ non e’ paragonabile a quella della loro diffusione.

La rapidita’ con la quale si diffondono le notizie su Weibo e’ di gran lunga superiore a quella degli altri canali informativi, dalla fase di compilazione, all’elaborazione sino ad arrivare alla fase di propagazione, tutte le tappe sono di piu’ facile realizzazione e permettono alle notizie di raggiungere in un baleno migliaia di persone. Tuttavia, la velocita’ di diffusione dei rumors e della loro smentita non sono minimamente paragonabili. Poiche’ il popolo di internet e’ animato dalla curiosita’ e dal gusto per il romanzesco, spesso la quantita’ delle smentite che vengono ripostate sul web rappresenta solo un decimo di quella delle delle false notizie; solo l’1%.
Inoltre la diffusione attraverso la condivisione dei post rende particolarmente difficile una smentita punto per punto, che sia in grado di raggiungere tutti coloro abbiano gia’ letto la notizia falsa.
(fonte: Guangming Ribao光明日报)

La perdita del senso di responsabilità nei confronti della propria identità 

I mezzi di divulgazione hanno subito grandi cambiamenti, e i citizen ora si sentono alleggeriti della responsabilita’ derivante dal proprio vero nome sostituito dai nickname. I rumors non sono una novita’, ci sono sempre stati in ogni epoca, ma oggi ad essere cambiati sono i canali e i mezzi di diffusione, molto differenti da quelli tradizionali. Sulla piattaforma di Weibo le false notizie impazzano, sopratutto grazie ai numerosi passi avanti della tecnologia che ne permettono una piu’ rapida propagazione.
L’assenza di norme che imponessero di rivelare la propria identita’ ha causato la diffusione di molti “pettegolezzi” alimentati da una sorta di “mentalita’ da gregge”, il cui metodo di propagazione non e’ dissimile dall’ “effetto bagno pubblico”(澡堂效应): “Una persona che scenda in strada completamente nuda si potrebbe, ovviamente, pensare abbia qualche problema mentale, o che sia quantomeno eccentrica: ma se entra nuda in una vasca da bagno la cosa sembrerebbe assolutamente normale. Quando a farlo sono tutti, dato che tutti fanno la stessa cosa, anche gli altri seguiranno lo stesso esempio, cosi’ che inseguito diventera’ una tendenza, un fenomeno.” Questo e’ cio’ che in psicologia viene conosciuto come il fenomeno della “decentralizzazione di responsabilita’ (责任分散化).”Se molte persone agiscono allo stesso modo, alla fine finiscono per ritenersi assolte dalla responsabilita’ per il proprio comportamento. Weibo e’ uno spazio sul quale circola una quantita’ enorme di informazioni, ma dove e’ anche molto difficile riuscire a distinguere il vero dal falso, cosi’ che molte persone finiscono per perdersi nei meandri di questo mondo virtuale.
(fonte: Zhuongguo Wenhua Chuanmei wang 中国文化传媒网)

Il sistema di autenticazione e le nuove regole sul nome inducono ad abbassare la guardia

Come scrisse una volta un citizen: “meglio credere alla notizia falsa messa in giro da un utente autenticato, piuttosto che non credere a 10mila notizie vere di utenti non registrati”.
Si potrebbe dire che che il sistema di riconoscimento del nome sia gia’ ritenuto da buona parte degli internauti il sistema piu’ efficace in grado di assicurare la veridicita’ delle notizie nonché la migliore fonte di credibilita’. Shen Yang, docente presso l’Information Management University di Wuhan, ritiene che il sistema di rigistrazione di Weibo da una parte induca i riceventi ad abbassare la guardia nei confronti dei rumors, dall’altra aumenti la propensione degli internauti a ripostare le notizie, cosi’ che in tempi brevissimi le informazioni rimbalzano da un social network all’altro. E risulta ancora piu’ sorprendente la velocita’ di propagazione delle notizie sensibili riguardanti questioni di pubblico interesse non filtrate attraverso il sistema di autenticazione, le quali istigano  spesso l’opinione pubblica alla protesta.
(fonte: Guangming Ribao)

La difficolta’ di confutare i rumors nell’era di Weibo

L’operatore di Weibo ha il dovere di rafforzare l’amministrazione.
E’ necessario che sia chiaro che quando gli operatori internet aggiungono la "V" e segni simili vuol dire soltanto che hanno accertato l’identita’ dell’utente, ma cio’ non significa assolutamente che stiano assicurando allo stesso tempo anche la veridicita’ delle notizie che verranno pubblicate da quell’account. Inoltre gli utenti che su Weibo verranno contrassegnati dalla “V” non necessariamente sono come si potrebbe immaginare;  l’identita’ di alcune persone, sebbene recante la “V”, potrebbe comunque consistere in un “camuffamento”. Il professor Wu Fei ha commentato cosi’ la questione delle falle nell’organizzazione amministrativa: “Il miglior controllo per quanto riguarda l’accertamento delle informazioni consiste nell'aperta concorrenza di mercato tra i vari operatori. Il sistema di controllo piu’ efficace e l'operatore che l'ha messo in atto sarà quello che alla fine raggiungerà maggiore credibilità. E solo i media che hanno credibilità riusciranno ad ottenere una porzione di mercato più consistente. Ma anche il mercato attraversa periodi di fallimento, ed è in quei momenti che una partnership tra governo e aziende acquista una forza di controllo indispensabile.
Weibo applica diverse pene per coloro che diffondono rumors, ma poiché incapaci di comprendere le leggi, molti utenti hanno sollevato sentite obiezioni a riguardo. Secondo alcuni, dovrebbe essere fissata un'udienza in modo da dare alla parte interessata la possibilità di difendersi, mentre molte sono le domande ricorrenti tra i cittadini. L’operatore ha una capacità di giudizio adeguata? Il programma è sufficientemente trasparente? Verrà data la possibilità di ricorrere in appello? Ci sarà una corrispondenza tra colpe e pene adottate? Queste dovranno essere espresse tutte in maniera chiara. Lui (Weibo) ti controlla, ma tu non puoi a tua volta effettuare nessun tipo di verifica su di lui; e questo rappresenta un bel problema perchè ogni potere deve essere sottoposto ad un controllo.”
(fonte: Nanfang Zhoumo南方周末)

Il governo deve concentrarsi sul controllo della società virtuale

Saper gestire internet costituisce una parte fondamentale delle capacità amministrative e dell'arte del governare messa in atto dal Partito. Internet è diventato il nuovo e più importante vettore di espressione dell'opinione pubblica. La voce del web emerge da ogni strato sociale, in particolare dai livelli piu’ bassi e, in una certa misura, si puo’ dire rispecchi l’opinione popolare piu’ autentica. Nel giugno 2008, il segretario generale Hu Jintao ha sottolineato che “internet e’ gia’ diventato il centro di distribuzione dell’informazione culturale e ideologica, nonche’ il megafono della voce del popolo”.

Ma a questo punto sorge una domanda fondamentale. Bisogna espandere le funzioni amministrative del governo, permettendo allo Stato di giocare un ruolo onniscente e onnipotente nel controllo del web, intervenendo con “mano visibile” per debellare tutte le informazioni dannose, oppure bisogna incrementare il rispetto delle norme sulla comunicazione, con ancora maggior forza attraverso l’imposizione di una “mano invisibile” che regoli la nascita e lo sviluppo dell’opinione pubblica, promuovendo le facolta’ autodepurative di cui gode intenet e spingendo il popolo del web ad auto-disciplinarsi e auto-governarsi? Sul versante dell’opinione pubblica della rete, un mezzo di coercizione unitario finirebbe ancora piu’ facilmente per stimolare i conflitti e le contraddizoni in seno alla comunita’ virtuale. Per quanto riguarda quella porzione di internet in cui “cio’ che non si sa va oltre cio’ che e’ gia’ noto”, e’ necessario trovare una forza in grado di controllare e controbilanciare ogni sua parte.
                       
L’arma migliore per sconfiggere le voci false e’ la semplice verita’

Per quanto riguarda l’autenticita’ delle informazioni circolanti su internet, nel mare di notizie e commenti che affolla la rete, si puo’ dire non vi sia nessun amministratore in grado di effettuare un controllo a tappeto sulle notizie, e al momento uno dei problemi piu’ diffusi e’ proprio quello della mancanza di misure amministrative efficaci. Non resta che appellarsi alla capacita’ di autocontrollo degli utenti e alla sorveglianza reciproca tra i vari internauti, facendo si che la piattaforma di Weibo possa sviluppare funzioni “auto-correttive”, incrementando la propria trasparenza.
L’arma migliore per sconfiggere i rumors e’ la pura verita’, e bisogna permettere che tale verita’ diventi il piu’ presto possibile di dominio pubblico. Una volta il blogger di un portale internet di fama nazionale ha affermato: “La comparsa di notizie false in un certo senso rispecchia i numerosi vincoli ancora imposti sull’infosfera. La tutela del diritto all'informazione e’ una delle migliori medicine per contenere il proliferare di rumors e, per ottenere questo obiettivo, l’intervento del governo e’ chiaramente uno dei mezzi piu’ efficaci.”
(fonte: Guangming Ribao)

domenica 11 marzo 2012

Polizia cinese fa altre quattro vittime nello Xinjiang


(Pubbliacto su Dazebao)

Continua a scorrere il sangue nella provincia autonoma dello Xinjiang. Teatro dei nuovi scontri è stato Tourchi, villaggio nei pressi della città di Korla dove, il 9 marzo, alle prime luci dell'alba le forze dell'ordine cinesi hanno fatto irruzione in una casa di campagna, uccidendo quattro uomini uiguri sospettati di fabbricare una bomba.
Il raid costituiva uno dei tasselli della campagna anti-criminalità volta a "ripristinare la stabilità", voluta dell'Assemblea nazionale del popolo -sorta di Parlamento alla cinese- che proprio la scorsa settimana ha dato il via alla sua non-stop legislativa della durata di 10 giorni.
A mettere in moto le forze dell'ordine, la notizia del ferimento di un uomo mentre era intento nell'assemblaggio di un ordigno esplosivo; secondo gli agenti, sarebbe stato legato ad un gruppo terroristico sospettato di stare pianificando un attentato nella regione.

Come emerso dall'interrogatorio dei 21 sospettati coinvolti nell'operazione, la polizia avrebbe fatto irruzione nella casa uccidendo un ragazzo di 21 anni di nome Nesrullah. Il funzionario responsabile del raid ha dichiarato che i sei uomini inviati in un primo momento hanno richiesto l'aiuto di rinforzi dopo che un aggressore ha tranciato le braccia ad uno dei poliziotti. "Avevamo trovato il covo di Nesrullah e del suo complice, si tratta di una fattoria nel villaggio di Towurchi, vicino alla città di Korla" ha raccontato Ghulamidin Yasin, ufficiale di polizia. "Quando siamo arrivati nella stanza c'erano due donne e otto bambini. Abbiamo chiesto dove fossero gli uomini e loro ci hanno risposto che non erano in casa. Ma dai loro volti si capiva chiaramente che stavano mentendo. Abbiamo circondato il deposito e quando eravamo ormai pronti a fare irruzione, un uomo è uscito fuori brandendo un'ascia e ha tagliato una mano ad uno dei nostri compagni."
Una volta scoperta la presenza di altri uomini nella casa, alcuni dei quali avevano cominciato a gettare delle bottiglie contro la squadra delle forze dell'ordine, quaranta agenti sono stati chiamati a circondare l'area.

Oltre a Nesrullah, negli scontri sono rimasti vittime Nurmemet, 25 anni, Abdurehim e Abdullah, entrambi più che trentenni. "Abbiamo trovato due archi, alcuni materiali per la fabbricazione di bombe e guantoni da pugilato. Sembrava come se stessero preparando un attacco armato" ha dichiarato Yasin. Thoti Ibraim è il nome dell'uomo rimasto ferito durante la fabbricazione dell'ordigno esplosivo. "Ibraim avrebbe giustificato l'accaduto raccontando dell'esplosione di un serbatoio di gas, ma il medico non ci ha creduto ed è venuto subito a raccontarci tutto" ha specificato il funzionario.

Episodi di violenza sono ormai pressoché all'ordine del giorno nello Xinjiang. Lo scorso mese nella città di Kargilik, prefettura di Kashgar, vicino alla frontiera con il Pakistan, nove uomini armati di asce e coltelli hanno ucciso tredici persone prima che la polizia riuscisse ad intervenire aprendo il fuoco. Il bilancio finale degli scontri è stato di 20 vittime; sette freddati dai colpi delle forze dell'ordine, due gli uomini presi in consegna. Ad innescare la miccia fatale sarebbero stati ancora una volta gli attriti tra uiguri -minoranza turcofona e musulmana che copre il 45% della popolazione della regione- e cinesi han, etnia maggioritaria in Cina, ma non nello Xinjiang.

Da anni gli uiguri lamentano la politica del pugno di ferro messa in atto da Pechino con lo scopo di reprimere la loro identità linguistica e culturale. Allo stesso tempo il governo cinese sta cercando di incrementare la presenza dell'etnia han nella regione concedendo agevolazioni fiscali a chi sia disposto al trasferimento. Oggi la popolazione del Xinjiang si aggira intorno ai 21 milioni di abitanti, di cui 9 milioni uiguri. Indipendenza e la fondazione di un nuovo Stato, il Turkestan Orientale, è quanto richiesto da quello che la leadership cinese ha bollato come "un piccolo gruppo di terroristi e separatisti".

La situazione nella provincia occidentale dello Xinjiang, negli ultimi anni, è diventata la spada di Damocle di Pechino. Nel luglio 2009 una marcia di protesta della minoranza uigura sfociò in scontri armati, terminando con un bilancio di 184 vittime di cui in buona parte di etnia han. E sebbene da quel momento i controlli governativi siano stati intensificati, la zona continua ad essere soggetta a sporadici focolai di rivolta.

Restrizioni sulla pratica dell'Islam, molestie per mano della polizia cinese, discriminazioni sul lavoro; sono queste alcune delle gocce che hanno fatto trabboccare il vaso della popolazione turcofona dello Xinjiang, mentre Pechino continua a puntare il dito oltre i confini del Regno di Mezzo. Secondo le autorità cinesi, gli autori degli attacchi terroristici che nel mese di luglio causarono decine di feriti a Hotan e Kashgar avrebbero pianificato le loro mosse in un campo di addestramento situato nel Pakistan; ma nonostante gli addetti ai lavori siano propensi a confermare la natura programmatica delle violenze della scorsa estate, tuttavia hanno anche messo in risalto la scarsa sofisticatezza degli autori. ( armati di coltelli e alla guida di automobili killer ad Hotan, di ordigni primitivi a Kashgar).

Da tempo il governo cinese attribuisce le violenze nello Xinjiang ad un gruppo chiamato Movimento Islamico del Turkestan Orientale il cui leader Abdul Haq al-Turkistani, divenuto nel 2005 membro del consiglio esecutivo di Al Qaeda, è rimasto ucciso durante un attacco in Pakistan due anni fa. Il nucleo terroristico del Turkestan avrebbe anche ammesso la responsabilità per l'esplosione di un autobus a Shanghai che nel 2008 costò la vita a tre persone, nonché per una serie di episodi di violenza che hanno colpito le città di Canton e Wenzhou. Voci, queste, che Pechino non  ha confermato né smentito.

E' da quel lontano 11 settembre, quando l'attacco alle Torri Gemelle mise in ginocchio gli Stati Uniti, che il pericolo terrorismo perseguita il Dragone. E secondo un recente sondaggio, con oltre 7.000 condanne, la Cina ha conquistato la medaglia d'argento nella “caccia al terrorista”, preceduta soltanto dalla Turchia. Ma considerando che nel Regno di Mezzo il termine “terrorista” viene sottoposto ad una dilatazione semantica che finisce per abbracciare anche i seguaci del Dalai Lama e della Fulan Gong, non sono in pochi a ritenere che l'allarme Al Qaeda sia stato spesso utilizzato per colpire le scomode voci del dissenso

sabato 10 marzo 2012

10 marzo 1959


("Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo.")


L'Accordo dei Diciassette Punti, noto ai cinesi come Trattato di liberazione pacifica del Tibet, è un trattato che fu firmato a Pechino il 23 maggio 1951 dai delegati del Tibet e della Repubblica Popolare Cinese con il quale i rappresentanti tibetani riconobbero la sovranità cinese sul territorio tibetano.
Il governo di Lhasa si vide costretto a sottoscriverlo dopo l'invasione del Tibet Orientale, noto come Kham occidentale, da parte dell'Esercito Popolare di Liberazione cinese avvenuta il 6 ottobre del 1950, e la successiva minaccia che l'invasione si sarebbe estesa in tutto il Tibet in caso di mancata accettazione dell'accordo stesso.

I punti principali dell'accordo prevedevano:
1 il riconoscimento della sovranità cinese sul territorio tibetano, del quale veniva sancito ufficialmente l'ingresso nella neonata Repubblica Popolare Cinese
2 l'istituzione in territorio tibetano di un comitato militare e amministrativo nonché di un quartier generale di comando della regione militare gestiti dal governo di Pechino
3 le garanzie cinesi sull'autonomia regionale del Tibet nelle questioni interne e la salvaguardia della locale cultura
4 un piano di riforme da parte del governo cinese che si impegnava ad inserirle gradualmente nella vita del paese
5 il graduale inserimento delle forze armate tibetane all'interno dell'esercito cinese
la gestione dei rapporti del Tibet con l'estero da parte del governo cinese

Venne siglato da una delegazione di cinque rappresentanti del neoeletto Dalai Lama (cui spettava sia il potere politico che religioso in Tibet) guidata dal governatore dell'occupato Tibet Orientale Ngapoi Ngawang Jigme, e dalla delegazione cinese guidata dal plenipotenziario Li Weihan, ministro della commissione per gli affari delle nazionalità, completata da due gerarchi militari e dal responsabile politico per gli affari del sud-ovest.

In seguito, specialmente dopo la rottura dei rapporti tra il governo cinese ed il Dalai Lama, avvenuta nel 1959 contestualmente alla sua fuga ed all'autoesilio in India, esponenti del governo tibetano avrebbero denunciato l'unilateralità dell'accordo, stilato dai cinesi senza acconsentire alcun emendamento ai delegati tibetani, dichiarando che questi erano presenti per negoziare e non per firmare, ed avrebbero attribuito l'invio del telegramma del 24 ottobre non al Dalai Lama ma all'inviato cinese in Tibet delegato all'attuazione dell'accordo e ai rapporti con la corte tibetana.
La difficoltà di comprensione del reale valore dell'accordo è accentuata dal conflitto interno che si generò tra l'ala intransigente tibetana, di cui facevano parte il Primo Ministro Lukhangwa ed i ribelli che si organizzarono autonomamente contro i cinesi, ostile al trattato nella sua integrità, e la posizione dello stesso Dalai Lama e di una parte degli ecclesiastici vicina al patriarca, che negli otto anni di permanenza in Tibet dopo la firma dell'accordo tentarono senza successo di assecondare il piano cinese per acquisire dei vantaggi alla causa nazionale, e scongiurare la continua minaccia di invasione integrale del paese.
Secondo il tibetologo ed antropologo americano Melvyn Goldstein, se da un lato l'accordo può essere definito valido da un punto di vista giuridico, perché fu firmato dai convenuti senza che questi venissero obbligati con la violenza fisica, dal punto di vista formale le obiezioni in merito all'effettiva autorità dei delegati tibetani a sottoscrivere il documento sono reali e ne compromettono la validità.

L'accordo dei 17 punti fu un diktat imposto dal governo di Pechino, dopo che l'esercito cinese aveva sbaragliato le esigue guarnizioni tibetane di frontiera ed occupato la capitale della regione tibetana del Kham occidentale Chamdo, che si trova nella parte orientale dell'attuale Regione Autonoma del Tibet, del quale è la terza città in ordine di grandezza.
L'occupazione militare cominciò il 7 ottobre 1950 contro un paese praticamente privo di infrastrutture, di telecomunicazioni, di industrie e dotato di un esercito composto di soli 8.000 uomini che svolgeva principalmente le funzioni solitamente riservate alla polizia.
I cinesi giustificarono tale atto con la necessità di sradicare dal territorio, su cui rivendicavano la sovranità, il sistema feudale basato sulla servitù della gleba e sullo schiavismo, anacronistici elementi inaccettabili dalla linea politica del governo di Pechino. Pur riconoscendo l'esistenza di tale sistema in Tibet, le autorità di Lhasa controbatterono che esso era vietato dalle leggi ed erano state programmate delle iniziative per estirparlo, aggiungendo che comunque il tenore di vita delle popolazioni era accettabile perché nessuno aveva mai patito la fame.

Già nel dicembre del 1950 si registrarono le prime violenze contro la popolazione della zona occupata e dei territori tibetani in mano cinese prima dell'invasione, nelle province del Sichuan, Qinghai, Gansu e Yunnan, a cui non era stato riconosciuto il privilegio dell'inserimento graduale delle dure riforme del nuovo governo cinese. La resistenza in questi territori implicò la soppressione dei monasteri lamaisti i cui monaci si posero spesso a capo delle rivolte contro le truppe di occupazione.
Nel 1951 iniziò la guerriglia tibetana contro gli invasori, che - in settembre - avevano militarizzato e incorporato nell'amministrazione cinese il territorio occupato, a cui venne dato il nome di "territorio a statuto speciale di Qamdo"

Nell'ambito del programma di cinesizzazione dei territori conquistati, dal 1952 il governo di Pechino promosse un trasferimento di popolazione han all'interno del territorio tibetano,[12] sia incentivato che coatto, che fu una delle cause scatenanti la rivolta tibetana di Lhasa del marzo del 1959, soffocata dai cinesi in un bagno di sangue.
Questi scontri provocarono nello stesso mese la fuga e l'esilio in India del Dalai Lama e del suo governo,[12] nonché la rottura dell'accordo da parte dei cinesi, che occuparono militarmente anche il resto del Tibet.
Si giunse così alla denuncia dell'accordo dei 17 punti sia da parte cinese che da parte tibetana. Il Dalai Lama proclamò che la firma fu estorta con la forza ed i cinesi dichiararono illegale il governo tibetano il 28 marzo 1959. Quasi contemporaneamente il Dalai Lama formò un nuovo governo provvisorio in esilio che si installò nel 1960 a Dharamsala in India.
Dopo gli scontri di Lhasa e l'esilio della corte tibetana ci fu una svolta nel rapporto tra il governo centrale cinese ed i territori tibetani occupati: fu cancellato il programma di inserimento graduale delle riforme che furono imposte fin dall'inizio con la forza. La repressione con cui le truppe cinesi fecero rispettare tali disposizioni assunse proporzioni mai viste prima. La religione fu considerata contraria ai principi di tale riforme e fu imposto l'ateismo di Stato.
Dal 1962 venne quasi del tutto revocato l'utilizzo negli atti pubblici della lingua tibetana, della quale fu decretata la cessazione dell'insegnamento a livello scolastico. Dal 1963 l'ingresso nel Tibet venne precluso agli stranieri con un divieto che durò fino al 1978.
Sebbene mai abrogato, questo trattato venne semplicemente "congelato" dai cinesi a partire dal 1959 dopo la fuga in India del Dalai Lama, e perse a tutti gli effetti d'efficacia a partire dal 1965 con l'istituzione della TAR, la Regione Autonoma del Tibet, che rappresenta la decadenza delle residue autonomie tibetane ed il completo assoggettamento al controllo centrale di Pechino che tuttora perdura.

(Fonte: Wikipedia)

Pyongyang attacca Seul a colpi di post


Mentre al 38° parallelo tutto tace, la battaglia tra le due Coree si consuma sul web. Più esattamente su Sina Weibo, clone cinese di Twitter, dove il 7marzo ha fatto la sua prima comparsa un account pro-Pyongyang denominato "Today Korea".  "@TodayKorea officially starts its account today. Sorry, but we don't follow anyone" scriveva nel suo post inaugurale.
Impossibile verificare la paternità del messaggio perché il suo autore, come specificato, non si sottoporrà alle procedure di autenticazione. D'altra parte ci sono buone probabilità che si tratti di una bufala, come ha spiegato un esperto di relazioni internazionali al Southern Daily. E non ci voleva certo un esperto per dirlo.
Vero o falso che sia, Today Korea si è già guadagnato 500.000 fan e molti commenti. Ma cosa scriverà mai questo fantomatico rappresentante del governo nordcoreano? Auguri a tutte le donne cinesi per l'8 marzo e complimenti ai "compagni cinesi che hanno finalmente compreso il fascino delle donne nordcoreane". Ma non ha esitato nemmeno a lanciare strali avvelenati contro Seul dicendo che "i soldati della DRPK aspettano disperatamente l'ordine di attaccare", "hanno in odio i bestemmiatori del potere supremo della Corea del Nord" e "smaniano dalla voglia di scaricare proiettili e bombe" contro il palazzo del presidente sudcoreano Chungwadae e la roccaforte di Inchon.
Oltre a ciò, non mancano i riferimenti anche al nuovo leader Kim Jong-un e al Juce.
La provocazione non poteva restare impunita. Ed ecco arrivare a stretto giro di posta il commento di un presunto account del governo della Corea del Sud; @DemocraticROK si fa chiamare. "La politica populista di Kim Jong-un non è altro che uno scherzo" si legge in uno dei post. Anche la controparte di Today Korea si sottrae alla registrazione perché "si sa come vanno le cose su Weibo, questo account oggi c'è domani chissà". Poi prosegue dicendo che ha intenzione di seguire blogger come Fang Zhouzi, Han Han, Li Chengpeng, Yao Chen e l'account delle Nazioni Unite.
Comunque sia, DemocraticROK non è stato abile quanto il rivale nell'accattivarsi simpatizzanti sulla rete, riuscendo a totalizzare soltanto 10.000 fan. Decisamente più rilassati i toni e variegate le tematiche trattate dal "suddista", dalla carestia e i disertori del Nord Corea ai principali argomenti apparsi sui quotidiani sudcoreani. Solo in un finale più sbottonato lancia la stoccata: "Il governo di Kim Jong-un ha profanato il presidente Lee Myungbak e ha commesso provocazioni militari mettendo a rischio la vita del popolo coreano. Gli abitanti del nostro paese non saranno restii ad imbracciare le armi". Forse, ma intanto al 38° parallelo tutto tace.

(fonte: Shanghaiist)

venerdì 9 marzo 2012

Occhi puntati ad Hollywood, arriva il fondo cofinanziamento


(Scritto per AgiChina24)

Pechino, 09 mar. - Continua la Lunga Marcia del Dragone verso la Mecca del cinema, e a fornire ulteriore carburante sara’ un nuovo fondo per il cofinanziamento di una serie di pellicole “made in China-Usa”. Si chiama China Mainstream Media National Film Capital Hollywood Group Inc., il suo ammontare è ancora un mistero, ma dietro il nome chilometrico si nasconderebbe una somma “adeguata” ad adulare gli studios più in vista di Hollywood.

Solo poche settimane fa Xi Jinping, attuale vicepresidente e - salvo colpi di scena - successore di Hu Jintao al prossimo Congresso, aveva svelato l’intenzione di Pechino di concedere ai film stranieri un accesso agevolato al box office nazionale e percentuali maggiori sugli incassi dei biglietti.

Cosi’, se la Cina vuole imparare da Hollywood come realizzare pellicole di successo in grado di rivaleggiare con i piu’ noti Blockbuster, gli studios americani, da parte loro, pianificano strategie di penetrazione per espugnare la Grande Muraglia. Con un aumento del 30% in piu’ rispetto all’anno precedente, il Dragone ha chiuso il 2011 con incassi per 2 miliardi di dollari e, se le proiezioni degli esperti si dimostreranno esatte, in pochi anni la Cina diventera’ il secondo mercato cinematografico del mondo, raggiungendo entro il 2015 il traguardo dei 5 miliardi di dollari.

E mentre i botteghini cinesi abbattono record d’incassi, dall’altra parte dell’Oceano l’industria del cinema continua ad affondare, registrando per il secondo anno consecutivo un trend in netta discesa. Solo 10,2 miliardi di dollari di entrate, con afflusso nelle sale in rapido calo e vendite di DVD ridotte ai minimi termini. Piu’ che ovvia una virata dei filmmaker americani verso le prospere sponde cinesi.

A intonare il canto delle sirene questa volta e’ stato Yang Buting, ex presidente di China Film Group Corporation, uno dei due big del mercato dell'entertainment nazionale, il quale ha reso nota l’intenzione di Pechino di contribuire alla produzione di pellicole per tutti i gusti, in grado di far gola tanto al pubblico cinese quanto a quello internazionale. “La Cina ha una storia millenaria e una cultura ricchissima”- ha dichiarato Yang durante l'ultima Film Financing Conference tenutasi a Los Angeles  - “ma dobbiamo riconoscere che rispetto all’industria cinematografica americana abbiamo ancora molta strada da percorre in termini di sceneggiatura, produzione marketing e distribuzione”.

Nell’ultimo decennio Pechino ha centellinato la distribuzione delle pellicole d’oltremare, permettendo ogni anno la proiezione nelle sale di soli 20 film stranieri, gran parte dei quali prodotti con budget stellari e rigorosamente targati Hollywood. Sforzi mirati a convogliare la distribuzione nazionale in un sistema strettamente controllato, che limiti la quota estera del ricavato sulle vendite dei biglietti tra il 13,5% e il 17,5%.

Regole del gioco oltremodo severe per l'Aquila, che dal 2007 preme per un allentamento delle restrizioni. E dopo anni di corte spietata da parte degli studios americani finalmente il Dragone sembra starci. Proprio il mese scorso, durante la sua visita di Stato negli Usa, Xi Jinping ha reso noti i nuovi numeri: 14 film stranieri in più all'anno, purchè in 3-D o in formato Imax per il grande schermo, e un innalzamento al 25 % della quota degli introiti sui biglietti. Ma non solo. Il governo cinese sta anche incoraggiando operazioni di fusione, acquisizioni e joint venture con società nazionali come partner di maggioranza.
Pechino ha già lanciato l'esca: la formula della coproduzione da’ la possibilità di eleudere il sistema delle quote, garantendo così una percentuale piu’ alta sulla vendita dei biglietti; “fino al 43% di tutte le entrate del box office”, ha precisato in un'intervista Yang.

Il 2011 si è rivelato un anno di importanti successi: a sbarcare nell'ex-Impero Celeste sono state prima Relativity Media (The Social Network, Bridesmaids) e Legendary Entertainment (Inception, The Hangover). Ultima arrivata la DreamWorks, produttrice della serie di “Kung Fu Panda”, il film d'animazione definito dai media “lettera d'amore di Hollywood alla Cina”. Secondo fonti del governo cinese il nuovo studio di Shanghai, DreamWork East, diventerà un conglomerato sino-americano specializzato in film d'animazione, del quale la creatura di Spielberg detiene il 45% delle azioni, spartendosi la torta con altre tre società cinesi.

E mentre i filmaker americani a corto di contante vanno a caccia di soci nell'Impero di Mezzo, i mayor d'Oltre Muraglia non stanno certo a guardare. A fine gennaio il tycoon cinese Bruno Wu insieme alle società cinesi Harvest Global Investment e Pacific Allience Group aveva cercato di mettere le mani su Summit Entertainment (produttore di “Twilight”) e Colony Capital, che controlla Miramax. Ma il risiko cinematografico di Pechino si è concluso con un nulla di fatto e lo “studio dei vampiri” ha preferito salassare Lions Gate Entertainment, che sborsando 413 milioni di dollari si è aggiudicato l'acquisto di Summit.  “Gli investitori cinesi non erano mai stati così vicini a comprare una casa cinematografica di Hollywood” ha dichiarato al Financial Times una delle persone coinvolte nelle trattative. Il consorzio cinese sarebbe ancora in contatto con Miramax e, sempre secondo il quotidiano britannico, avrebbe messo gli occhi su un gruppo di studios ancora più in alto di Summit.

Per Pechino, ormai si sa, il 2012 e’ l’anno del soft power: la Cina non puo’ essere un gigante economico e contemporaneamente un nano culturale, aveva sentenziato alcuni mesi fa il presidente Hu Jintao. E la conquista dell’immaginario mondiale avviene anche attraverso il grande schermo; anche nel campo dei divertimenti di massa il Dragone sembra voler dire prepotentemente la sua

La Cina dei laowai, tra apertura e chiusura

(Scritto per Uno sguardo al femminile)


Lo scorso febbraio si sono tenuti i festeggiamenti per il ventennale del “nanxun”, il viaggio nel Sud della Cina con il quale Deng Xiaoping volle dare nuovo vigore alle riforme di apertura giunte in una fase di stallo dopo i tragici eventi di piazza Tiananmen. La “politica della porta aperta” e l’introduzione del libero mercato rappresentarono i pilastri della politica attraverso la quale il Piccolo Timoniere ha traghettato il Paese verso una nuova era, liberandolo dai lucchetti dell’epoca maoista.

In principio fu la formula “un Paese, due sistemi“, che consentì di approdare, tra il 1984 e il 1987, agli accordi con Londra e Lisbona per il ritorno di Hong Kong e Macao alla madrepatria avvenuto rispettivamente nel 1997 e nel 1999. I due territori sarebbero diventati “zone economiche speciali” (Zes) dotate di un alto grado di autonomia nonché di poteri legislativi e giudiziari indipendenti. Una volta aperte le danze, seguirono le regioni meridionali del Guangdong e del Fujian, Zhuhai, Shenzhen, Shantou e Xiamen, per ultima poi, nel 1988, l’intera isola di Hainan insignita del titolo di provincia. Un Eldorado per gli investitori esteri, agevolati da una serie di trattamenti preferenziali, un’inesauribile fonte di carburante per la locomotiva Cina della quale avrebbe assicurato la corsa attraverso circa un ventennio.

Dal 1979, data in cui vennero ufficialmente dischiusi i cancelli, un fiume di capitali, tecnologia e modelli di gestione si è riversato entro i confini della Grande Muraglia, sospingendo l’economia cinese ad un ritmo medio annuo del 9,8. Dopo appena dieci anni, gli investimenti d’oltre mare avevano raggiunto la soglia dei 242,3 miliardi di dollari, facendo guadagnare al Dragone il secondo posto, preceduto soltanto dagli Stati Uniti, tra le mete più ambite degli affaristi internazionali. Medaglia d’argento anche per riserve in valuta estera con 140,5 miliardi di dollari, tallonando da vicino il Giappone primo della classe.

A trent’anni dalle manovre liberiste del “piccolo uomo”, i numeri si confermano in rapida crescita. Secondo quanto riportato dalla stampa nazionale lo scorso giugno, sarebbero più di 230 mila i lavoratori stranieri in Cina a possedere un regolare permesso di lavoro; una situazione, questa, che ha convinto i piani alti del potere a riprendere in mano la legge sulla previdenza sociale per fare qualche passo avanti verso l’ugualianza tra cittadini cinesi e lavoratori stranieri. Secondo il sistema di previdenza sociale della Repubblica Popolare, il quadro assicurativo comprende 5 tipologie che consistono nella pensione di base, l’assicurazione medica, quella sulla disoccupazione, sugli infortuni sul lavoro e di maternità. Tra le suddette cinque categorie, i premi per l’assicurazione di base, quella sanitaria e quella contro la disoccupazione ricadono sotto l’esclusiva responsabilità del datore di lavoro, il quale è anche tenuto a versare un fondo abitazione.

Prima della Insurance Law, entrata in vigore il 1 luglio del 2011, nessun regolamento imponeva ai dipendenti stranieri l’acquisto di assicurazioni sociali, fatta eccezione per la copertura contro gli incidenti sul lavoro. Il disegno di legge spiega più chiaramente che la partecipazione al nuovo regime assicurativo è prevista per quegli stranieri “legalmente impiegati in imprese, istituzioni pubbliche, gruppi sociali,unità private non aziendali, fondazioni, studi legali e società di revisione contabile che siano incorporati o registrati secondo le leggi cinesi”. Inoltre la bozza sottolinea che ad usufruire del nuovo regime assicurativo saranno anche i cittadini stranieri impiegati in uffici di rappresentanza cinesi o in rami di aziende estere. A differenza di quanto avvenuto in passato, quando la partecipazione era richiesta solo ai datori di lavoro delle aree urbane, oggi la normativa è stata estesa su scala nazionale.

Il 10 giugno 2011 il progetto di legge era stato pubblicato online al fine di sollecitare i commenti dell’opinione e gli esiti non sono stati probabilmente quelli sperati. Tra i principali oppositori della nuova legge, tutti coloro che avendo già pagato il premio assicurativo secondo le norme previste dalla nazione d’origine si trovavano così a dover far fronte ad una doppia spesa. Un inconveniente al quale il governo Pechino ha intenzione di porre fine attraverso negoziati bilaterali. Germania e Corea del Sud sono state le prime a beneficiare degli accordi di assicurazione sociale rispettivamente nel 2001 e nel 2003, mentre Giappone Francia e Belgio sono già in fila in attesa del loro turno.

Altro nodo al pettine, la questione dell’età pensionabile che, oltre ad essere differente in ogni Paese, rimane per molti un traguardo mai raggiunto per via di un ritorno anticipato in patria. Anche riguardo a cio’ il governo cinese ha cercato di mettere una pezza. Secondo le disposizioni transitorie, infatti, i lavoratori stranieri che lasceranno la Cina prima dell’eta’ legale prevista potranno decidere se mantenere i loro conti pensionistici, i quali verranno riattivati una volta fatto ritorno nel Regno di Mezzo, oppure chiudere il loro “insurance account” e ricevere un pagamento forfettario dei fondi pensione. In caso di decesso poi, il bilancio dei conti potra’ essere ereditato secondo quanto previsto dalla legge.

“La richiesta del pagamento dei contributi per gli stranieri in Cina e’ conforme alla prassi internazionale e mira a proteggere gli interessi dei lavoratori stessi”, ha precisato un funzionario del Ministry of Human Resources and Social Security (MHRSS), nel tentativo di gettare acqua sul fuoco.

Assorbire in maniera controllata l’ondata migratoria di cittadini d’oltre mare sembra essere divenatata una priorita’ per Pechino che, per la prima volta nella storia, nel novembre 2010 ha introdotto gli stranieri nel censimento nazionale (全国人口普查). Ma se da una parte il Dragone guarda con crescente interesse ai talenti stranieri, dall’altra il flusso di laowai (stranieri) entro i confini della Grande Muraglia viene ancora centellinato con il conta gocce. Lo dimostra la tanto dibattuta Green Card -ad immagine e somiglianza della sua omonima americana- introdotta nel 2004 con lo scopo di concedere il diritto di lavorare e risiedere in Cina per lunghi periodi senza necessita’ di visto, e che e’ ancora al centro di accese polemiche. Un privilegio per pochi magnati dell’economia, con le mani in pasta e capaci di attirare ingenti somme di capitali nel Paese.

Secondo le disposizioni attuate nell’agosto 2004 i possibili “tesserati” sarebbero dovuti essere manager dirigenti aziendali, scienziati e tecnici, investitori e i loro nuclei familiari, con una corsia preferenziale per coloro già in possesso del permesso di residenza a lungo termine (5 anni con possibilità di rinnovo). Ma, di fatto, come hanno evidenziato in molti, la Green Card è stata e continua ad essere per i più un sogno irrealizzabile. Insomma, i veri benevenuti sono capitali e know-how, quanto ai loro portatori sani l’accoglienza è decisamente meno calorosa. Nel novembre del 2005, delle 1.835 richieste solo 687 hanno ricevuto il placet di Pechino, come rilevato dal ministero di Pubblica Sicurezza, mentre il numero delle città e delle contee aperte agli stranieri aveva già raggiunto la soglia delle 2.650, pari al 95% dell’intero Paese.

E a tutti quelli che lamentano l’eccessiva severità del sistema, Cui Zhikun, direttore del Bureau ha risposto: “La Cina non vuole incentivare l’immigrazione. Le nuove procedure hanno il solo scopo di attrarre personale straniero di alto livello”. E i loro capitali, a giudicare dalle ultime misure adottate in materia di investimenti esteri. Attraverso l’Announcement [2012] N°4 rilasciato il 29 gennaio scorso, L’Amministrazione Genenerale delle Dogane cinesi ha fatto chiarezza sul trattamento privilegiato concesso alle foreign-invested partnership (FIP) per quanto riguarda l’import tax. A partire dal 30 gennaio le FIP (inclusi aumenti di capitale), rientranti nella categoria “incoraggiate” del “Foreign Investment Industrial Guidance Catalog 2011”, sono esenti dai dazi doganali sull’importazione di materie e tecnologia, accessori e pezzi di ricambio, così come stabilito dagli accordi in materia, salvo continuare ad essere soggette all’imposta sul valore aggiunto (IVA) da riscuotere al momento dell’importazione di tali prodotti.

In seguito all’aumento dei costi della manodopera nazionale, negli ultimi anni migliaia di persone poco qualificate provenienti da Vietnam, Myanmar e Africa si sono riversate nelle province del Guanxi e del Guangdong andando a riempire posizioni mal retribuite. Una situazione, questa, tutta a sfavore dei lavoratori cinesi privati di potenziali posti di lavoro, che ha messo in allarme Zhongnahai.

Ma quali poterebbero essere i rischi di una politica eccessivamente restrittiva nei confronti del fenomeno immigrazione? Oliver Pearce della rivista indipendente Caixin non ha dubbi. Da una prospettiva di lungo periodo la Cina rischia di incappare nella stessa trappola del Giappone: “l’invecchiamento della popolazione unitamente al crollo del tasso delle nascite si stanno trasformando in una bomba ad orologeria”, caricata ulteriormente dal blocco esercitato sul settore sanitario e sui lavori meno qualificati ai quali gli stranieri non possono accedere. Non solo un fattore stabilizzante, dunque, l’afflusso di stranieri se sapientemente dosato potrebbe essere in grado di alleviare diverse spine nel fianco del Dragone.

La “politica del figlio unico”, oltre ad aver attirato su Pechino gli strali di buona parte delle Associazioni per la tutela dei diritti umani, rischia di rivelarsi un’ennesima vittoria di Pirro: il crescente squilibrio tra i sessi e l’alto tasso d’invecchiamento della popolazione minacciano di creare una serie di instabilità sociali potenzialmente molto pericolose. E proprio la veneranda età del Dragone si sta rivelando uno degli ostacoli più insidiosi per la crescita economica del Paese, un ostacolo che la forza lavoro dei laowai potrebbe aiutare ad aggirare.

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...