venerdì 9 marzo 2012

Occhi puntati ad Hollywood, arriva il fondo cofinanziamento


(Scritto per AgiChina24)

Pechino, 09 mar. - Continua la Lunga Marcia del Dragone verso la Mecca del cinema, e a fornire ulteriore carburante sara’ un nuovo fondo per il cofinanziamento di una serie di pellicole “made in China-Usa”. Si chiama China Mainstream Media National Film Capital Hollywood Group Inc., il suo ammontare è ancora un mistero, ma dietro il nome chilometrico si nasconderebbe una somma “adeguata” ad adulare gli studios più in vista di Hollywood.

Solo poche settimane fa Xi Jinping, attuale vicepresidente e - salvo colpi di scena - successore di Hu Jintao al prossimo Congresso, aveva svelato l’intenzione di Pechino di concedere ai film stranieri un accesso agevolato al box office nazionale e percentuali maggiori sugli incassi dei biglietti.

Cosi’, se la Cina vuole imparare da Hollywood come realizzare pellicole di successo in grado di rivaleggiare con i piu’ noti Blockbuster, gli studios americani, da parte loro, pianificano strategie di penetrazione per espugnare la Grande Muraglia. Con un aumento del 30% in piu’ rispetto all’anno precedente, il Dragone ha chiuso il 2011 con incassi per 2 miliardi di dollari e, se le proiezioni degli esperti si dimostreranno esatte, in pochi anni la Cina diventera’ il secondo mercato cinematografico del mondo, raggiungendo entro il 2015 il traguardo dei 5 miliardi di dollari.

E mentre i botteghini cinesi abbattono record d’incassi, dall’altra parte dell’Oceano l’industria del cinema continua ad affondare, registrando per il secondo anno consecutivo un trend in netta discesa. Solo 10,2 miliardi di dollari di entrate, con afflusso nelle sale in rapido calo e vendite di DVD ridotte ai minimi termini. Piu’ che ovvia una virata dei filmmaker americani verso le prospere sponde cinesi.

A intonare il canto delle sirene questa volta e’ stato Yang Buting, ex presidente di China Film Group Corporation, uno dei due big del mercato dell'entertainment nazionale, il quale ha reso nota l’intenzione di Pechino di contribuire alla produzione di pellicole per tutti i gusti, in grado di far gola tanto al pubblico cinese quanto a quello internazionale. “La Cina ha una storia millenaria e una cultura ricchissima”- ha dichiarato Yang durante l'ultima Film Financing Conference tenutasi a Los Angeles  - “ma dobbiamo riconoscere che rispetto all’industria cinematografica americana abbiamo ancora molta strada da percorre in termini di sceneggiatura, produzione marketing e distribuzione”.

Nell’ultimo decennio Pechino ha centellinato la distribuzione delle pellicole d’oltremare, permettendo ogni anno la proiezione nelle sale di soli 20 film stranieri, gran parte dei quali prodotti con budget stellari e rigorosamente targati Hollywood. Sforzi mirati a convogliare la distribuzione nazionale in un sistema strettamente controllato, che limiti la quota estera del ricavato sulle vendite dei biglietti tra il 13,5% e il 17,5%.

Regole del gioco oltremodo severe per l'Aquila, che dal 2007 preme per un allentamento delle restrizioni. E dopo anni di corte spietata da parte degli studios americani finalmente il Dragone sembra starci. Proprio il mese scorso, durante la sua visita di Stato negli Usa, Xi Jinping ha reso noti i nuovi numeri: 14 film stranieri in più all'anno, purchè in 3-D o in formato Imax per il grande schermo, e un innalzamento al 25 % della quota degli introiti sui biglietti. Ma non solo. Il governo cinese sta anche incoraggiando operazioni di fusione, acquisizioni e joint venture con società nazionali come partner di maggioranza.
Pechino ha già lanciato l'esca: la formula della coproduzione da’ la possibilità di eleudere il sistema delle quote, garantendo così una percentuale piu’ alta sulla vendita dei biglietti; “fino al 43% di tutte le entrate del box office”, ha precisato in un'intervista Yang.

Il 2011 si è rivelato un anno di importanti successi: a sbarcare nell'ex-Impero Celeste sono state prima Relativity Media (The Social Network, Bridesmaids) e Legendary Entertainment (Inception, The Hangover). Ultima arrivata la DreamWorks, produttrice della serie di “Kung Fu Panda”, il film d'animazione definito dai media “lettera d'amore di Hollywood alla Cina”. Secondo fonti del governo cinese il nuovo studio di Shanghai, DreamWork East, diventerà un conglomerato sino-americano specializzato in film d'animazione, del quale la creatura di Spielberg detiene il 45% delle azioni, spartendosi la torta con altre tre società cinesi.

E mentre i filmaker americani a corto di contante vanno a caccia di soci nell'Impero di Mezzo, i mayor d'Oltre Muraglia non stanno certo a guardare. A fine gennaio il tycoon cinese Bruno Wu insieme alle società cinesi Harvest Global Investment e Pacific Allience Group aveva cercato di mettere le mani su Summit Entertainment (produttore di “Twilight”) e Colony Capital, che controlla Miramax. Ma il risiko cinematografico di Pechino si è concluso con un nulla di fatto e lo “studio dei vampiri” ha preferito salassare Lions Gate Entertainment, che sborsando 413 milioni di dollari si è aggiudicato l'acquisto di Summit.  “Gli investitori cinesi non erano mai stati così vicini a comprare una casa cinematografica di Hollywood” ha dichiarato al Financial Times una delle persone coinvolte nelle trattative. Il consorzio cinese sarebbe ancora in contatto con Miramax e, sempre secondo il quotidiano britannico, avrebbe messo gli occhi su un gruppo di studios ancora più in alto di Summit.

Per Pechino, ormai si sa, il 2012 e’ l’anno del soft power: la Cina non puo’ essere un gigante economico e contemporaneamente un nano culturale, aveva sentenziato alcuni mesi fa il presidente Hu Jintao. E la conquista dell’immaginario mondiale avviene anche attraverso il grande schermo; anche nel campo dei divertimenti di massa il Dragone sembra voler dire prepotentemente la sua

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