giovedì 29 marzo 2018

Cina e Corea del Nord di nuovo come “lingua e denti”


Il blindatissimo treno verde con a bordo Kim Jong-un ha lasciato la Cina con la stessa rapidità e segretezza con la quale era giunto domenica scorsa. Dell’inaspettato incontro tra il presidente cinese X Jinping e il leader nordcoreano non ci restano che i comunicati di rito e le immagini rilasciate dai media statali. La visita, che si è consumata nel consueto riserbo concesso ai discendenti della dinastia Kim, costituisce la prima missione estera del giovane leader, anticipando strategicamente gli attesi faccia a faccia con il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il suo omologo statunitense Donald Trump. Ora spetta al presidente cinese ricambiare l’invito “al momento opportuno”, riporta l’agenzia nordcoreana KCNA.

Auspicando l’istituzione di un nuovo canale di comunicazione tra i due paesi, lo stesso Kim ha sottolineato come in passato i rispettivi leader abbiano condotto visite reciproche con la frequenza di “due parenti”. Non a caso, nel 2000, il defunto “Caro leader” Kim Jong-il decise di incontrare l’allora presidente Jiang Zemin prima di procedere con lo storico vertice intercoreano il giugno successivo. Ma per Kim Junior si tratta di un vero e proprio battesimo, dopo sette anni trascorsi dietro le quinte della diplomazia internazionale. A lui e alla sua consorte Ri Sol Ju Pechino ha riservato un’accoglienza di tutto rispetto, come dimostra la confermata presenza degli alti papaveri Wang Qishan, Yang Jiechi, Wang Huning e Wang Yi.

Secondo la stampa d’oltre Muraglia, “il meeting tra Xi e Kim apre un nuovo capitolo delle relazioni tra Cina e Corea del Nord”. “Nonostante le sfide e le difficoltà, i legami amichevoli tra Cina e Corea del Nord sono solidi e irremovibili”, ha chiarito il Global Times, quotidiano bulldozer della politica estera cinese, aggiungendo che “il partito, il governo e la società cinese rispettano la scelta politica del popolo nordcoreano, rispettano lo spirito di indipendenza e l’autonomia di cui gode la Corea del Nord e si oppongono fermamente ai tentativi degli altri paesi di interferire nel sistema politico della Corea del Nord”.

La decisione di Kim di privilegiare il vecchio alleato rivela la necessità di ricucire i rapporti deteriorati a causa dell’appoggio cinese alle sanzioni internazionali. Il duello a suon di tariffe in corso tra Pechino e Washington crea le condizioni ideali per un riavvicinamento. Nell’ultimo anno, il tentativo di rabbonire Trump sul versante commerciale ha spinto la dirigenza cinese a sfruttare il proprio ascendete sul regime del Nord come moneta di scambio. Risultato: nel 2017, le transazioni tra Pyongyang e Pechino — primo partner commerciale del Regno Eremita — sono precipitate del 10,5% rispetto all’anno precedente. Sfruttando la sponda cinese, il leader nordcoreano spera presumibilmente di ottenere un allentamento del regime sanzionatorio a cui la Corea del Nord è soggetta fin dal primo test nucleare del 2006. Da sempre, Pechino — impensierito dalle ripercussioni di un possibile collasso del paese dirimpettaio — privilegia il dialogo alla “massima pressione” sponsorizzata dall’amministrazione americana e auspica la risoluzione della crisi attraverso una doppia sospensione: lo stop ai test nucleari e missilistici nordcoreani in cambio dell’interruzione delle esercitazioni militari tra Seul e Stati uniti. Quanto sembrerebbe intenzionato a ottenere lo stesso Kim, con tutti i condizionali del caso.

“La nostra posizione coerente è quella di continuare a perseguire la denuclearizzazione della penisola, in accordo con quanto voluto dal presidente Kim Il Sung e il segretario generale Kim Jong-il”, ha dichiarato il giovane leader, aggiungendo tuttavia che il risultato finale dipende dalla “buona volontà di Washington e Seul”. In passato, durante le fallite contrattazioni, Pyongyang ha sempre vincolato un ipotetico smantellamento del proprio arsenale alla rimozione dell’ “ombrello nucleare” e della forza deterrente mantenuta da Washington al Sud. Un compromesso che la parte statunitense ha categoricamente rifiutato. Ecco che il riavvicinamento al benefattore cinese assume peso alla luce del ricambio sperimentato dall’amministrazione americana, che vede i falchi Mike Pompeo e John Bolton — fautore di un attacco preventivo contro Pyongyang — assumere rispettivamente i ruoli di segretario di Stato e consigliere per la Sicurezza nazionale.

Ma strettamente sul piano delle relazioni bilaterali, l’incontro tra Kim e Xi Jinping sancisce anche la fine delle ghiotte indiscrezioni riguardo a un presunto rifiuto nordcoreano del modello economico cinese. Negli ultimi anni si sono rincorse voci non confermate di un tentato golpe ordito dallo zio filocinese Jang Song Thaek — poi fatto giustiziare per “alto tradimento” — in collaborazione con Pechino al fine di mettere alla guida del paese il fratellastro Kim Jong-nam, morto lo scorso anno in condizioni sospette mentre si trovava all’aeroporto di Kuala Lumpur. Secondo gli analisti, la dipartita di Jang Song Thaek ha coinciso con il congelamento di una serie di progetti economici sino-coreani e l’allontanamento dalle riforme in stile cinese. Da allora le relazioni tra i due paesi sono state gestite a livello di Partito anziché attraverso i più ufficiali canali statali. Che si tratti di fatti concreti o semplice gossip sembra ormai essere acqua passata. Stando all’agenzia di stampa Xinhua, durante la sua fugace permanenza a Pechino, il giovane leader ha visitato l’Accademia cinese delle scienze, uno dei principali poli dell’innovazione “Made in China”, dimostrando ammirazione per il livello di sviluppo raggiunto dal gigante asiatico. Forse il Global Times non ha tutti i torti a parlare di un nuovo inizio.

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]

mercoledì 28 marzo 2018

In Cina e Asia



Kim Jong-un incontra Xi


E’ ufficiale. Il funzionario nordcoreano giunto in Cina a bordo del blindatissimo treno verde era Kim Jong-un. Il leader nordcoreano si è trattenuto a Pechino con la consorte da domenica a martedì. La visita (“informale”) è stata confermata questa mattina dalla tv di stato cinese CCTV,secondo la quale Kim ha incontrato il presidente Xi Jinping in due circostanze: nella Grande Sala del Popolo e presso la residenza dei dignitari stranieri Diaoyutai. “La nostra posizione coerente è quella di continuare a perseguire la denuclearizzazione della penisola, in accordo con quanto voluto dal presidente Kim Il Sung e il segretario generale Kim Jong-il”, ha dichiarato il giovane leader, secondo quanto riportato dalla statale KCNA. Kim ha inoltre aggiunto di voler creare “un’atmosfera di pace e stabilità”.

La visita giunge mentre sono in corso i preparativi per l’atteso incontro tra Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, che dovrebbe spianare la strada ad uno storico faccia a faccia tra il leader nordcoreano e Trump. Mentre l’istituzione di un canale diretto tra Washington e Pyongyang rischia di estromettere dalle trattative la Cina — vecchio alleato del Regno eremita e primo partner commerciale — , la visita di Kim oltre la Muraglia — la prima da quando ha assunto la guida del Nord — ha lo scopo di ricucire lo strappo causato dalle sanzioni e dalla linea dura, a cui Pechino si è allineato per sgonfiare la tensione con Washington sul versante commerciale. “Non c’è dubbio che la mia prima visita all’estero sia quella nella capitale cinese”, ha scandito il leader nordcoreano dicendosi determinato a portare avanti i rapporti trai due paesi attraverso le generazioni future. “E’ una scelta strategica per entrambi”, ha commentato Xi. Soprattutto alla luce delle imminenti negoziazioni con gli Stati Uniti. Ora Kim potrà fronteggiare Trump forte dell’appoggio cinese.

Gibuti nella morsa del debito

C’è Gibuti tra i paesi coperti dalla Belt and Road caratterizzati da una delle esposizioni debitorie più preoccupanti. Situato in posizione strategica sullo stretto di Bab-el-Mandeb, tra Mar Rosso e Golfo di Aden, lo stato africano è stato scelto da Pechino per ospitare la prima base militare cinese all’estero — formalmente per servire le puntellare le operazioni antipirateria. Il contratto d’affitto, con durata ventennale, è stato seguito da copiose iniezioni di capitali. In soli due anni Pechino ha concesso al governo locale prestiti per circa 1,4 miliardi di dollari, pari a più del 75% del prodotto interno lordo annuale di Gibuti. Tanto che il rapporto debito/Pil è balzato all’85%, tra i più alti tra i paesi a basso reddito. Per il think tank londinese Centre for Global Development (CGD), Gibuti è il caso più eclatante tra un certo numero di paesi poveri “che si trovano ad affrontare un rischio significativamente maggiore di default nel caso in cui vengano attuati i progetti pianificati nell’ambito della Belt and Road Initiative”. Il rischio — dicono gli esperti — è che Pechino possa ricattare il governo gibutiano concedendo una cancellazione del debito in cambio di porzioni del territorio, come già avvenuto per il Tajikistan.

Il Myanmar ha un nuovo presidente

Si tratta dell’ex speaker del parlamento Win Myint, uomo di punta della Lega nazionale per la democrazia. Conosciuto per il suo carattere forte, Htin Kyaw ci si attende assumerà le redini del paese con più risolutezza rispetto al dimissionario Win Myint, considerato una marionetta nelle mani di Aung San Suu Kyi, leader di fatto. Secondo esperti consultati dal Nikkei, la nomina potrebbe sancire un ribaltamento degli equilibri del potere. C’è chi ritiene che la “Lady” cederà parte dell’autorità amministrativa accumulata in questi anni, mentre l’arrivo di una personalità risoluta alla guida del governo civile rischia di complicare il dialogo con i militari. “Non sarà in grado di trattare con pazienza”, pronostica una fonte governativa.

martedì 27 marzo 2018

In Cina e Asia



Guerra dei dazi: Cina e Usa in trattative

I vertici di Pechino e Washington sono all’opera per disinnescare la tensione provocata dall’annuncio dei rispettivi dazi. Secondo indiscrezione del Wall Street Journal e del Financial Times, la scorsa settimana sarebbe avvenuto uno scambio di lettere tra il segretario al Tesoro Steven Mnuchin, Lighthizer e il neo vicepremier cinese Liu He. Obiettivo: reprimere la guerra commerciale sul nascere. La parte americana avrebbe avanzato tra le sue richieste un incremento delle vendite oltre Muraglia dei semiconduttori made in Usa; una riduzione delle tariffe sulle automobili statunitensi e una maggiore apertura del mercato finanziario cinese agli investimenti esteri. E’ sopratutto su quest’ultimo punto la controparte cinese si starebbe affaccendando per accontentare le aspettative americane. Già entro maggio Pechino potrebbe permettere ai gruppi stranieri di assumere quote di maggioranze in società d’investimento locali. Fin dai primi annunci era parso chiaro che lo scopo delle tariffe — in fase di negoziazione — fosse più che altro quello di strappare qualche concessione alla leadership guidata da Xi Jinping. Resta da vedere se il compromesso cinese basterà ad appagare Washington, animato da finalità politiche più che propriamente commerciali. A preoccupare la prima economia mondiale è infatti il cosiddetto piano “Made in China 2025", con cui Pechino punta a conquistare la leadership mondiale nello sviluppo delle tecnologie avanzate.

La Cina dà lezione di diritti umani all’Onu

“Una comunità dal futuro condiviso per gli esseri umani” e una “cooperazione reciprocamente vantaggiosa nel campo dei diritti umani”. Sono alcune delle espressioni più controverse contenute nell’ultima risoluzione approvata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite lo scorso venerdì. La seconda promossa da Pechino e avvallata dai membri del consiglio, fatta eccezione soltanto per gli Stati uniti e pochi astenuti. Il linguaggio stesso della formulazione rispecchia la progressiva penetrazione del bagaglio ideologico cinese a livello internazionale, avvertono gli esperti. Il People’s Daily ha celebrato la risoluzione definendola una battuta d’arresto per il monopolio dell’Occidente e “un importante cambiamento nella conversazione globale sui diritti umani”. Sono sempre di più i paesi emergenti, guidati da governi autoritari, a prendere la Cina come modello politico ed economico.

Pechino farà piovere sul Tibet

La Cina sta sviluppando tecnologia militare all’avanguardia per aumentare la piovosità sull’altopiano tibetano, un’area del paese che con i suoi ghiacciai irrora alcuni dei fiumi più imponenti d’Asia tra cui il fiume Giallo, lo Yangtze, il Mekong, il Salween e il Brahmaputra. Ma che al contempo viene considerata una delle più aride al mondo, con soli 10 cm di pioggia all’anno. E’ così che il contractor della difesa China Aerospace Science and Technology Corporation sta elaborando un sistema di camere di combustione in grado di generare 10 miliardi di metri cubi di pioggia l’anno (circa il 7% del fabbisogno idrico nazionale) grazie alla formazione di ioduro d’argento, un agente con cui si inseminano le nuvole. L’area interessata dal progetto — nato inizialmente per creare condizioni atmosferiche svantaggiose in caso di conflitto con paesi rivali — sarà grande tre volte la Spagna.

Malaysia: 10 anni di carcere a chi diffonde rumors


In futuro, coloro che creano e distribuiscono informazioni false saranno soggetti a reclusione, multe fino a 500.000 ringgit (128.000 dollari), o a entrambe le sanzioni. E’ quanto prevede una proposta di legge presentata lunedì al Parlamento di Kuala Lumpur. Le nuove regole colpiranno chiunque in territorio malese o all’estero, indipendentemente dalla nazionalità o cittadinanza, purché le notizie false riguardino il paese o i suoi cittadini. La mossa segue di pochi mesi il lancio del sitoweb TheRakyat (The People) da parte del premier Najib Razak con lo scopo di combattere le fake news messe in giro dall’opposizione, vere responsabili — secondo Najib — della debacle elettorale subita nel 2013 dalla coalizione da lui capitanata. La legge arriva mentre infuria lo scandalo relativo al 1Malaysia Development Bhd, il fondo d’investimento statale da cui il premier si sospetta abbia attinto a piene mani.

martedì 20 marzo 2018

In Cina e Asia



Xi e Li per una Cina unita e prospera


Dopo due settimane di lavori, l’Assemblea nazionale del popolo — il parlamento cinese — si è conclusa quest’oggi con la promessa di un’ulteriore apertura del mercato cinese e un avvertimento diretto contro le forze indipendentiste a Taiwan e Hong Kong. Nei loro discorsi di chiusura, tanto il presidente Xi Jinping quanto il premier Li Keqiang hanno sottolineato l’impegno cinese a difendere la propria sovranità sulle due isole. In entrambi i casi, dicono i leader, il mantenimento di rapporti armoniosi è funzionale alla prosperità economica di ambo le parti. Soprattutto alla luce della nuova “Greater Bay Area”, cluster che riunisce Hong Kong, Macao, Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Foshan, Zhongshan, Dongguan, Huizhou, Jiangmen e Zhaoqing. Qualsiasi tentativo separatista incontrerà la “punizione della storia”, ha sentenziato il presidente. Sul versante politica estera, Xi ha rassicurato sulle intenzioni del gigante asiatico: “Il desiderio sincero e l’azione pratica del popolo cinese per contribuire alla pace e allo sviluppo dell’umanità non devono essere fraintesi né distorti”. Il messaggio sembra diretto agli Stati Uniti — secondo varie fonti — in procinto di applicare nuove tariffe sui beni di consumo “made in China”. Una questione che per Li richiede raziocinio non emotività.

Quest’anno l’Anp ha sancito un sostanzioso rimpasto del governo. Due “nuovi” nomi avranno un peso importante sull’economia cinese: il protégé di Xi Liu He promosso a vicepremier e Yi Gang, nominato governatore della banca centrale — che risulta potenziata sotto il nuovo assetto.

Cina: prima per uso di animali nell’industria cosmetica


La Cina continua a d essere uno dei paesi al mondo a utilizzare il maggior numero di animali nell’industria cosmetica. Secondo People for the Ethical Treatment of Animals (PETA), ogni anno nella Repubblica popolare oltre 300mila animali vengono impiegati per testare prodotti di bellezza. Tanto per avere un’idea, a livello mondiale gli esemplari sfruttati come cavie sono circa 500mila. Numeri che rispecchiano ancora una scarsa sensibilità per le battaglie animaliste oltre la Muraglia, nonostante nelle grandi città attecchisca sempre più la moda degli animali da compagnia. La causa di tutto sta in una vecchia legge che per 30 anni ha imposto alle case di cosmetica di effettuare test obbligatori sugli animali per poter esportare in Cina. Questo ha blindato il mercato ad aziende virtuose come The Body Shop, Lush, Smashbox e Fenty Beauty. La normativa è stata allentata a partire dal 2014, ma tutt’oggi anche se i marchi nazionali non sono più costretti categoricamente a testare tutti i prodotti sugli animali sono comunque in pochi quelli disposti ad archiviare una pratica che, stando al sentire comune, è ancora la più sicura per verificare la qualità di quanto venduto in un mercato colpito da frequenti scandali.

Migranti e scontenti

Secondo una ricerca condotta da John Knight, professore di economia della Oxford University e Ramani Gunatilaka, direttore del Center for Poverty Analysis in Colombo, un miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori migranti non corrisponde a un più alto livello di soddisfazione rispetto ai conterranei rimasti nelle campagne. In media lo stipendio di un mingong inurbato è ben 2,39 volte più elevato di quello di un cinese rurale. Ma quando si parla di indice di soddisfazione per la propria nuova vita chi è rimasto indietro sembra molto più appagato di chi ha lasciato il proprio luogo d’origine. Su una scala da 0 a 4, i cinesi residenti nelle campagne dominano la classifica con un 2,7, quelli nati e cresciuti in città seguono con un 2.5 mentre i migranti si assestano su un 2,4. La spiegazione di quello che gli autori definiscono “un’enigma socialmente importante”, sembra riscontrabile in un mix di fattori, discriminazione in primis. Ma il sistema che priva i mingong dei servizi di base non sembra essere l’unica spiegazione. L’incapacità di realizzare le proprie aspettative e il senso di inferiorità rispetto ai cittadini in senso proprio li renderebbe infelici e delusi. Questo tuttavia non basta a invogliarli a tornare a casa. Alcuni hanno perso il controllo sulle terre inglobate dalla spinta urbanizzatrice degli ultimi anni, altri sono ormai talmente abituati ai nuovi standard di vita da non poter accettare l’idea di ridimensionare le proprie aspirazioni. I risultati dello studio vanno letti però alla luce di un altra ricerca indipendente dello scorso anno secondo la quale l’infelicità non è un soltanto un problema dei mingong. Anche se negli ultimi 25 anni il reddito personale è quintuplicato i cinesi in media si dicono meno felici a causa dello smantellamento di quella rete di servizi sociali antecedente alle riforme economiche.

In Giappone le carceri diventano ospizi


In Giappone quasi una detenuta su cinque ha oltre 65 anni. Lo riporta Bloomberg, spiegando che si tratta perlopiù di donne anziane colpevoli di reati minori commessi per sfuggire alla povertà e alla solitudine. Molte sono finite di nuovo dietro le barre dopo un primo rilascio. La portata del fenomeno è tale da aver spinto le autorità a costruire strutture detentive apposite per anziani e ad aumentare il personale infermieristico. Una settantottenne spiega che la prigione è come un’oasi per lei: “non ho la libertà ma usufruisco di ogni tipo di relax e comfort, non mi devo preoccupare di nulla. Ci sono molte persone con cui parlare e ci servono pasti nutrienti tre volte al giorno”. Si stima che un quarto della popolazione nipponica sia agé, così come lo è il 20% dei detenuti. Le prospettive di vita per le donne sono anche più preoccupanti con il 25% destinato a vivere sotto la soglia di povertà.

lunedì 19 marzo 2018

Weekly News Roundup: Dispatches from the Silk Road Economic Belt


Security spending ramped up in China’s restive Xinjiang region
Security and surveillance spending in China’s restive Xinjiang region almost doubled last year as the country tightened its grip on millions of ethnic minority citizens, particularly Muslim Uighurs.
Public security spending rose 92 per cent to Rmb57.95bn ($9.16bn), according to local government statistics, eight times higher than the growth rate for China’s overall public security budget. Xinjiang’s security costs have increased 10-fold in the past decade, vastly outpacing the rest of the country. (FT)


Sino-Russian cooperation and exchange under the Belt and Road Initiative increases
Frozen grounds, cold winds and long nights - these can be a nightmare for any construction team. But this is what employees of the China Railway Major Bridge Engineering Group grappled with in past winters while building the China-Russia Tongjiang Rail Bridge crossing the border between China and Russia. The bridge is expected to trigger a commercial and infrastructure development boom in the cross-border economic corridor, along with a larger flow of cargo and people. (Global Times)

China launches mega aid agency in big shift from recipient to donor
China is laying the groundwork for a new aid agency to oversee its massive – and opaque – foreign aid programmes as Beijing closes in on Washington as the world’s biggest donor. (scmp)

EU, China urge Taliban to seize offer for talks: EU ambassador
China and the European Union believe the Taliban should seize Afghan President Ashraf Ghani’s offer to recognize the movement as a legitimate political group, the EU’s special envoy to Afghanistan said on Wednesday. (Reuters)

Men from Gilgit-Baltistan say their spouses are being held in ‘re-education’ camps in Xinjiang
Last week lawmakers in Gilgit-Baltistan demanded that authorities in China’s Xinjiang province
immediately release from detention at least 50 Chinese women married to Pakistani men, some ofwhom have been held for a year on vague charges of extremism. (guardian)

Tilting at Windmills: Dubious US claims of targeting Chinese Uyghur militants in Badakhshan
In early February 2018, US forces conducted airstrikes in Afghanistan’s north-eastern province of Badakhshan, supposedly targeting ‘support structures’ of the ‘East Turkistan Islamic Movement’ (ETIM), allegedly a group of Uyghur extremists hailing from China’s far west said to be focused on attacking the Chinese state. (1) United States Forces – Afghanistan claimed the strikes targeted direct cross-border threats to China and Tajikistan emanating from the ETIM in Badakhshan. AAN guest co-authors Ted Callahan (*) and Franz J. Marty (**) show that such US claims are questionable, as there is no evidence that the few Uyghur extremists in Badakhshan, about whom there is only scarce and ambiguous information, pose any direct cross-border threat. (Afghanistan Analyst Network)


CENTRAL ASIA

Rivals for Authority in Tajikistan’s Gorno-Badakhshan
The Tajik government’s control of its eastern territory, Gorno-Badakhshan, is tenuous at best. Irregulars loyal to local powerbrokers known as the Authorities have clashed with government forces in the past and may do so again if challenged. China has a growing security presence in the region.
Beijing appears to have established a security presence in GBAO. Local officials and residents say China has built an installation in a remote corner of the oblast, near both Xinjiang and the Afghan border. (.crisisgroup)

Rare Central Asian Summit Signals Regional Thaw
Four Central Asian presidents met in Kazakhstan for the first regional summit in almost a decade, a sign of improving ties following the death of divisive Uzbek leader Islam Karimov in 2016.The host, Kazakh President Nursultan Nazarbaev, described what he called a new "mood" in the region ahead of the March 15 meeting with Uzbek President Shavkat Mirziyoev, Kyrgyz President Sooronbai Jeenbekov, and Tajik President Emomali Rahmon. (rferl)

End the Weaponisation of Water in Central Asia
The US State Department has provided American universities and NGOs with grants to operate 29 such centres in conjunction with Chinese partners, such as universities.But 10 of the partnerships have "dissolved due to pressure from Chinese government authorities, with some never moving beyond signing an agreement", the State Department's Office of the Inspector General wrote in a December report that concluded the difficulties may make it necessary to "suspend" new funding for the programme.Today only around 10 centres remain active. (crisis group)

Central Asia Leaders Confab but Stop Short of Binding Commitments
A gathering of Central Asia presidents held in Kazakhstan’s capital this week culminated in a joint declaration brimming with flowery language about new beginnings.For all the chatter about the potential emergence of a new regional bloc that preceded the event, however, the statement merely reaffirmed boilerplate commitments to mutual cooperation. (Eurasianet)

As copper booms, miners take hunt to Mongolian dunes
For years Rio Tinto has been the sole international copper mine operator in Mongolia, bound closely to a country where it has bet billions of dollars on the giant Oyu Tolgoi project. Others have steered clear due to the risks of operating in a nation with an unpredictable and young democracy and judiciary, a frail economy and extreme weather.Now rising global demand for a metal used in electric cars and renewable energy, at a time of increased costs and depleted deposits in the world’s biggest copper producer Chile, is driving miners to riskier locations. (Reuters)

venerdì 16 marzo 2018

In Cina e Asia



Uiguri in protesta

La comunità uigura in giro per il mondo ha protestato contro le politiche di controllo e le detenzioni extragiudiziali messe in atto da Pechino nello Xinjiang. Sono almeno 14 i paesi — tra cui Stati Uniti, Australia e Turchia — ad aver fatto da scenario, giovedì, al malcontento della minoranza turcofona che vive prevalentemente nella Cina occidentale e in Asia Centrale. Una manifestazione è andata in scena davanti alla sede delle Nazioni Unite di New York, mentre a Istanbul e Sydney alcune donne uigure hanno protestato sventolando la tipica bandiera azzurra del Turkestan, simbolo delle istanze secessioniste della minoranza xinjiangnese. “Riesci a immaginare un luogo in cui milioni di persone vengono portate nei campi di detenzione senza il coinvolgimento dei tribunali?” chiede Seyit Tumturk, attivista con base in Turchia appoggiato dai politici locali che si batte per la fondazione di un nuovo partito politico più radicale del World Uyghur Congress. Secondo recenti dati, nello Xinjiang lo scorso anno sono stati spesi oltre 9 miliardi di dollari per la sicurezza interna, tra posti di blocco, telecamere di videosorveglianza, scanner facciali e tutto quanto necessario a scongiurare nuovi attacchi di matrice islamica come quelli sperimentati negli ultimi anni in varie città della Cina. Ma che la comunità uigura considera necessari a richiamare l’attenzione sul genocidio culturale messo in atto da Pechino contro l’etnia.

Gli Usa vogliono registrare gli Istituiti Confucio come “agenti stranieri”: è braccio di ferro culturale


Una nuova bozza di legge è stata presentata alla Camera dei rappresentanti con lo scopo di costringere gli Istituti Confucio a registrasi presso il dipartimento di Giustizia come “agenti stranieri”. Su pressioni del repubblicano Joe Wilson, il Congresso avrebbe al vaglio una revisione della Foreign Agents Registration Act (FARA), legge di epoca nazista pensata per combattere la propaganda straniera che oggi risparmia per una non precisata “bona fide” i soggetti che conducono attività accademiche e scolastiche. Sebbene, la mossa rivelata da Foreign Policy sia ufficialmente finalizzata ad assicurare una maggiore trasparenza, difficilmente lascerà Pechino indifferente. Negli ultimi anni, gli Usa sono diventati sempre meno ospitali nei confronti degli istituti, considerati un cavallo di Troia del “soft power” cinese all’estero. La Cina d’altronde non è rimasta a guardare. Secondo il dipartimento di Stato tra il gennaio 2016 e l’aprile 2017 sono state rilevate 150 interferenze in attività culturali e diplomatiche. A fare le spese sono sopratutto gli American Centres for Cultural Exchange (ACCs), strutture finanziate dal governo statunitense ospitate all’interno delle università cinesi. Il dipartimento di Stato aveva stanziato fondi per la gestione di 29 centri ma nel frattempo 10 partnership sono state cancellate su pressione delle autorità cinesi e solo una decina sono ancora operanti.

Anche Hong Kong valuta i tre anni di carcere per chi non rispetta l’inno cinese
Tre anni di carcere a chi insulta l’inno nazionale cinese. Anche a Hong Kong. La proposta è al vaglio del parlamento locale, dove la fazione filocinese è numericamente predominante. Lo scorso novembre, modifiche del codice penale cinese hanno aumentato la pena per il mancato rispetto dell’inno da un periodo di detenzione di 15 giorni a tre anni nei casi più gravi. La legislazione sul rispetto della “Marcia dei volontari” era poi stata inserita nella Basic Law in attesa che la regione amministrativa la adattasse alle proprie necessità. Si tratta di una misura che aumenta la tensione con la mainland, sempre più “protettiva” nei confronti della propria sovranità sull’isola. Non è insolito sentire fischi contro l’inno cinese durante le partite di calcio da parte della tifoseria di hongkonghese. Il tutto accompagnato da bandiere di epoca coloniale. Secondo la proposta, la legge dovrà essere accompagnata da un’adeguata campagna d’informazione sulla “storia e lo spirito” dell’inno.

Ridimensionate le esercitazioni Usa-Corea del Sud

Con il clima di distensione creatosi nelle ultime settimane tra Corea del Nord e Corea del Sud, Washington e Seul hanno optato per una linea morbidaanche per quanto riguarda le esercitazioni militari congiunte annuali. Anche in vista dei probabili colloqui di maggio tra Kim Jong-un e Donald Trump, la durata delle esercitazioni sarà ridotta. Le esercitazioni Key Resolve e Foal Eagle erano state già rimandate per non farle coincidere con le Olimpiadi invernali di Pyeongchang.

mercoledì 14 marzo 2018

In Cina e Asia




Pechino annuncia una mega riforma degli apparati amministrativi

Pechino ha annunciato una massiccia ristrutturazione di uffici, agenzie e ministeri, la più radicale dal rimpasto diretto nel 1998 dall’allora premier Zhu Rongji. Al vaglio del parlamento, la riforma prevede una riduzione dei ministeri sotto il Consiglio di Stato a 26 (8 in meno) e la chiusura di sette agenzie non ministeriali. A uscirne ridimensionata nelle sue funzioni sarà la potente National Development and Reform Commission, l’agenzia fin’oggi incaricata di sviluppare e gestire le politiche economiche e di sviluppo. Tra le novità più rilevanti va citata la fusione della China Banking Regulatory Commission (CBRC) e la China Insurance Regulatory Commission (CIRC) che dovrebbe di riflesso assegnare più potere decisionale alla banca centrale a capo della quale — si vocifera — verrà piazzato il braccio destro di Xi Jinping Liu He. Dal rimescolamento nascono anche, tra gli altri, i nuovi ministeri per la Gestione delle Emergenze, delle Risorse naturali, dell’Agricoltura e gli Affari rurali, e dell’Ambiente ecologico. La Commissione per la pianificazione delle nascite (incaricata in passato di supervisionare la politica del figlio unico) verrà rimpiazzata da una Commissione per la Salute. Nascono inoltre un ufficio per la Gestione dell’Immigrazione, un’agenzia per lo Sviluppo e la Cooperazione internazionale e un’altra dedicata a supervisionare la condizione dei veterani dell’esercito. Il tutto servirà — come spiega oggi lo stesso Liu He sul People’s Daily — a eliminare la sovrapposizione delle funzioni dei vari enti governativi con il fine ultimo di “rafforzare la governance di lungo termine del partito”. Ecco che l’accentramento degli organi amministrativi si inserisce in un piano di più ampio respiro volto a cementare la presa della guida comunista “su ogni aspetto della vita”.

Pechino allenta la presa sull’Europa?

La Cina avrebbe intenzione di ridurre la portata del controverso summit “16+1” lanciato nel 2012 per rafforzare i rapporti con l’Europa centro-orientale nell’ambito del progetto Belt and Road. Secondo fonti diplomatiche della Reuters, il vertice di quest’anno — che si dovrebbe tenere a Sofia — potrebbe essere posticipato, mentre in futuro potrebbe essere organizzato con cadenza biennale anziché annuale. La decisione sembrerebbe rispondere alle preoccupazione dell’Ue sull’assertività cinese nel quadrante attraverso l’iniezione di capitali in settori sensibili. Ma, stando alle indiscrezioni, giocherebbe a sfavore anche la lentezza con cui procedono gli accordi sotto il format “16+1”. Tanto che qualcuno ipotizza un ritorno alle negoziazioni più su base bilaterale. Negli ultimi anni la generosità cinese è stata vista di buon grado dai partner al di fuori dell’Ue (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Montenegro e Serbia) incapaci di accedere ai fondi comunitari. Ma lo tsunami finanziario non si è verificato ovunque come sperato e i costi politici annessi agli investimenti cominciano a infastidire i partner regionali. Il tutto mentre l’Ue ha al vaglio un nuovo quadro mirato a bloccare le acquisizioni cinesi nei segmenti strategici.

Il braccio di ferro tra Cina e Usa rilancia la vendita di armi

La rivalità tra Cina e Stati Uniti fa volare la vendita di armi sui mercati internazionali. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute(SIPRI), nel periodo 2013–17 l’export cinese è arrivato a contare per il 5,7% del commercio globale, in salita di più di un terzo rispetto al 4,6% del 2008–12. Il report segue di pochi giorni l’approvazione dell’aumento della spesa militare dell’8,1% passando dai 151 miliardi di dollari del 2018 ai 175, annunciati, per il 2018, pari al 1,26% del Pil. Il gigante asiatico è il secondo paese a investire di più nella difesa dopo gli Usa. Secondo il SIPRI, la vendita di armi ai paesi asiatici è oggi uno dei mezzi più utilizzati da Washington per contenere l’avanzata cinese, come dimostrano le recenti partire di armi consegnata a India, Giappone e Vietnam, due delle nazioni con cui Pechino è ai ferri corti per questioni di sovranità. Specularmente, i paesi con cui gli States hanno raffreddato i rapporti — come Venezuela, Pakistane Thailandia — si sono progressivamente direzionati verso Cina e Russia. Secondo quanto lasciato intuire pochi giorni fa da Zhu Huarong, presidente del fornitore statale China South Industries, l’industria della difesa punta a sfruttare il progetto Belt and Road per incrementare le proprie vendite lungo oltreconfine. Un piano che vede la megalopoli di Chongqing rivestire un ruolo di primo piano grazie alla sua posizione strategica in prossimità degli snodi logistici verso Ovest.

Xi presidente sine die: La principale fonte di dissenso arriva dalle università straniere

Li abbiamo fin’oggi considerati la testa di ponte del nazionalismo cinese nel mondo. Eppure, gli studenti cinesi si stanno rivelando una delle principali fonti di dissenso nei confronti della riforma della costituzione, che — approvata domenica con oltre il 99% dei consensi — prevede la rimozione del limite dei due mandati. Prima ancora che il parlamento ufficializzasse la manovra, nelle principali università estere, dagli Stati Uniti all’Australia passando per l’Europa, sono cominciati ad apparire manifesti con su scritto “Xi non è il mio presidente”. La campagna è stata ripresa su Twitter dall’account @StopXiJinping, curato da anonimi studenti cinesi. Fatta eccezione per pochi coraggiosi come Wu Lebao, iscritto all’Australian National University, che alla BBC motiva il proprio gesto con la necessità di sensibilizzare i propri coetanei sui cambiamenti in corso oltre la Grande Muraglia. Anche se la riforma ha innescato diversi commenti sarcastici sul web cinese, è piuttosto raro che il disaccordo verso le autorità scaturisca dalla giovane diaspora cinese. Sopratutto perché molti degli espatriati sono destinati presto a tornare in Cina per attingere alle crescenti prospettive lavorative. Proprio negli ultimi tempi, i riflettori mediatici si sono spostati sulla Chinese Students and Scholars Association, organizzazione ufficiale incaricata di supportare gli studenti durante il loro soggiorno oltreconfine ma che gli analisti sospettano sia sempre più coinvolta nell’esportazione del soft power cinese nel mondo, come messo in rilievo da un’accesa campagna contro il Dalai Lama. Secondo Foreign Policy, alcune delle manifestazioni pro-Pechino sarebbero state finanziate direttamente dal governo cinese.

Amnesty: “l’esercito birmano militarizza lo stato Rakhine”

L’esercito birmano sta militarizzando le aree dello stato Rakhine colpite dalla campagna di bonifica volta a stanare i militanti dell’Arsa, la sigla autrice degli attacchi terroristici dello scorso agosto. Lo ha dichiarato Amnesty international citando come prova nuove immagini satellitari. 350 villaggi sono stati dati alle fiamme durante le operazioni del Tatmadaw mentre alcuni sarebbero stati rasi al suolo dai bulldozer in tempi molto più recenti, tra dicembre e febbraio. Secondo l’organizzazione internazionale, case e moschee avrebbero lasciato il posto a basi e strutture militari. In un caso, la popolazione locale è stata appositamente allontanata dalle proprie abitazioni in quella che Amnesty definisce un’operazione di “land grabbing”. Circa 700mila rohingya sono stati costretti a fuggire oltre il confine con il Bangladesh nel 2017. Mentre l’accordo raggiunto tra Naypyidaw e Dacca difficilmente sfocerà in un rimpatrio dei rifugiati in tempi brevi, non si placano le accuse di connivenza dirette dalla comunità internazionale contro il governo di Aung San Suu Kyi. E non solo. Secondo gli esperti di diritti umani presso le Nazioni Unite, Facebook ha rivestito “un ruolo determinante” nella diffusione di “acrimonia, dissenso e conflitto tra la popolazione” dando voce al nazionalismo buddhista.

lunedì 12 marzo 2018

Weekly News Roundup: Dispatches from the Silk Road Economic Belt



Exclusive: China may pare back 'divisive' eastern Europe summits
China is considering paring back annual summits with eastern European countries that have fueled concerns in western capitals that Beijing is seeking to divide the continent, according to three European diplomats. (Reuters)

'Gray-listing' pushes Pakistan further into China's orbit
Pakistan is set to become increasingly reliant on Chinese loans and investment now that the Financial Action Task Force, an inter-governmental anti-money laundering watchdog, has initiated a process to place the country back on a counter-terrorist financing watchlist, political and financial analysts say.
(Nikkei)

Pakistan Refutes IMF Report as It Eyes Bonds, China Funding
Pakistan’s de-facto finance minister refuted an International Monetary Fund assessment that the country’s economy was deteriorating and said plans to issue dollar bonds or Chinese-currency bonds haven’t been firmed up.The IMF in a statement this week said the South Asian nation’s economy faces continual “erosion” and its widening external and fiscal imbalances mean that “risks to Pakistan’s medium-term capacity to repay the fund have increased” since completion of a three-year $6.6 billion bailout program that ended in Sept. 2016. (bloomberg)

B&R initiative boosts Caucasus economies
The Caucasus region, which comprises Georgia, Armenia and Azerbaijan used to be an important region along the ancient Silk Road. The B&R initiative which comprises both land-based Silk Route and the oceangoing Maritime Route is aimed at not only boosting trade but also ensuring a comprehensive upgrade of infrastructure, business opportunities and with it, greater influx of tourists. Despite being an unconventional destination, Chinese travelers still venture into the region to experience something different from what they are used to. So what, who and how is China engaged
with in the Caucasus Region? (Global Times)

China's Zijin Mining interested in Serbian copper mine RTB, Belgrade says
China’s Zijin Mining Group Co. Ltd. has expressed interest in buying loss-making Serbian copper miner and smelter RTB Bor, which the Balkan state has been trying to sell for the past decade. (Reuters)

China’s belt and road plan is a major debt risk for weak economies, report says
China’s “Belt and Road Initiative” creates the potential for debt-sustainability problems in some of the world’s weakest economies, according to the Centre for Global Development. The infrastructure project – aimed at forging new economic links with Europe, Asia and Africa – puts Djibouti, Kyrgyzstan, Laos, the Maldives, Mongolia, Montenegro, Pakistan and Tajikistan “at particular risk of debt distress”, researchers at the Washington-based research institute said in a report on Sunday.
(scmp)

A Summer Vacation in China’s Muslim Gulag
How one university student was almost buried by the “people's war on terror.” (Foreign Policy)

Will China's Belt and Road Initiative Push Vulnerable Countries into a Debt Crisis?
Print

As China’s Communist Party paves the way for President Xi Jinping’s indefinite leadership, the international community should expect the Belt and Road Initiative (BRI)—President Xi’s signature global infrastructure plan spanning Asia, Europe, and Africa—to be further cemented as China’s primary strategy of global engagement for years to come. In a new CGD paper, we assess the likelihood of debt problems in the 68 countries we identify as potential BRI borrowers. (cgdev)

The Impact Of Gazprom’s China-Russia Gas Pipeline
Gazprom’s Power of Siberia pipeline is more than two-thirds complete. It will be delivering gas to China by the end of this year. A second pipeline is still under discussion.A report yesterday from Alex Mercouris at The Duran noted some frustration from China over the irregular liquefied natural gas (LNG) supplies coming from its contract partners in Uzbekistan and Turkmenistan. (Oilprice)

Itochu climbs aboard China's Belt and Road Initiative
Japanese company uses improved logistics to start Japan-Europe freight service. (Nikkei)

Kazakhstan getting ready for SCO Summit in Quingdao
Kazakhstan Ambassador to China Shakhrat Nuryshev has had a working visit to Quingdao, Shandong province, on March 1-3 within the framework of the upcoming participation of President Nursultan Nazarbayev in the SCO Summit in June 2018, Kazinform reporter in China reports. (kazinform)

China slows down spending on Belt and Road energy projects

China’s thirst for overseas energy investments is declining, at least by one tally. The nation’s financing for Belt and Road Initiative energy projects dropped 28 per cent to US$14.3 billion last year from US$19.9 billion, according to data released Monday by Boston University’s Global Development Policy Centre. (Scmp)



CENTRAL ASIA


Kazakhstan Grants US Access to Ports for Afghan-Bound Goods
By gaining access to Aktau and Kuryk, the United States will gain additional ways to circumvent Russia. (Eurasianet)

Uzbekistan Gives Full Backing to Tajikistan's Hydropower Project
President Shavkat Mirziyoyev told his Tajik counterpart Emomali Rahmon that Uzbekistan is willing to get involved across the board in the Tajik hydroelectric sector, and name-checked the highly contentious giant Roghun Dam. Construction at Roghun is now underway and according to optimistic Tajik estimates should begin to generate power by early as the end of this year. (Eurasianet)

Dordoi market checked for corrupt schemes
Kyrgyzstan's security service inspected #Dordoi #market for "corruption schemes." Theatricality of this is almost endearing considering that this market is one of the black holes through which #Chinese goods are re-exported in violation of #EEU rules. (24.kg)

$7.5 Billion Pipeline Has Surprise Patrons: Taliban Militants
After decades of talks, Afghanistan finally broke ground last month on a $7.5 billion gas pipeline that will run through areas controlled by the Taliban. Even more surprising: The militant group is backing the project.The Taliban “deems it its responsibility to revive foundational economic and reconstruction work in the country and asks international construction companies to help the Afghans in this regard,” Zabihullah Mujahed, a spokesman, said in a statement last month. (Bloomberg)

sabato 10 marzo 2018

La Cina è a un bivio


La Cina balla sul ciglio di un burrone: da una parte si staglia un futuro glorioso, dall’altra il caos. A dettare le sorti della seconda economia mondiale la controversa proposta avanzata durante il plenum di gennaio (ma annunciata solo domenica) dal Comitato centrale del Partito comunista cinese di emendare la costituzione, così da rimuovere il limite di due mandati per il presidente e il vicepresidente della Repubblica popolare. La revisione — una volta ratificata alle prossime “due sessioni” (l’annuale incontro parlamentare in programma per la prossima settimana) — permetterà a Xi Jinping di rimanere in carica oltre il 2023, quando scadrà il secondo mandato quinquennale. Forse per sempre. Uno scenario da tempo oggetto di dibattito tra gli analisti, allarmati dal lento scardinamento dei meccanismi di condivisione del potere introdotti dall’establishment d’oltre Muraglia con la morte di Mao Zedong.

Da quando è assurto alla guida del gigante asiatico nel 2012, il leader cinese ha rapidamente consolidato la propria posizione eliminando gli avversari politici nell’ambito di una spietata campagna anticorruzione volta ufficialmente a mondare il Partito dagli elementi depravati. Al contempo, ha collezionato una lista di titoli onorifici (tra cui “core leader” e “lingxiu”) — mai raggiunti dal suo immediato predecessore Hu Jintao — che lo pongono virtualmente alla pari di Mao e Deng Xiaoping. Con la differenza sostanziali che Xi si trova a ricoprirli in un periodo storico in cui la Cina ha ben altro ruolo sullo scacchiere internazionale. È qui che potrebbe nascondersi la vera motivazione per il prolungamento forzato della presidenza, un istituto perlopiù cerimoniale e secondario rispetto alle posizioni apicali di segretario generale del Pcc e presidente della Commissione centrale militare(CMC), non soggette a limiti temporali ed entrambe già saldamente nelle mani di Xi.

Come spiega il Global Times, “rimuovere il limite dei due incarichi può aiutare a mantenere il sistema della trinità (segretario del partito, capo della CMC e presidente) e migliorare l’istituzione della leadership del Pcc e della nazione” stessa. L’agenzia di stampa statale Xinhua aggiunge che “l’attuale struttura del Partito e delle istituzioni statali non è più sufficiente a soddisfare i requisiti per i vari compiti nella nuova era”, lanciata da Xi Jinping a ottobre durante il 19esimo Congresso del Pcc. Insomma, il “sogno cinese” prevede il raggiungimento di obiettivi di lungo termine che necessitano una guida stabile e duratura.

Contrario alla filosofia di Mao (che lasciò presto a Liu Shaoqil’incarico di capo di Stato) e Deng (leader de facto ma mai presidente), l’accentramento delle tre cariche fu adottato soltanto con il governo di Jiang Zemin (1993–2003), all’indomani del massacro di piazza Tian’anmen. Ma come chiarisce al South China Morning Post David Shambaugh, professore di scienze politiche e affari internazionali presso la George Washington University, è oggi precondizione necessaria affinché Xi possa rappresentare la Cina all’estero, interloquendo con gli altri capi di Stato da pari a pari. Compito che non sarebbe in grado di svolgere pur mantenendo gli altri due ruoli di leader del Partito e dell’esercito. Basta considerare il ciclopico progetto Nuova Via della Seta e la fitta agenda internazionale (che comprende ben 28 viaggi in oltre 50 paesi, più di qualsiasi predecessore) per capire quanto Xi abbia a cuore la gestione della politica estera.

L’emendamento della costituzione interesserà anche l’inserimento del contributo ideologico di Xi (“Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinese per una nuova era”) e il riconoscimento ufficiale della Commissione nazionaledi supervisione, il nuovo “ministero” anticorruzione preposto non più soltanto al controllo dell’integrità disciplinare dei membri del Partito ma anche dei dipendenti statali. La nascita della super-agenzia coinciderà probabilmente con la nomina a vicepresidente dell’ex zar dell’anticorruzione Wang Qishan, nonostante i sopraggiunti limiti di età. Considerato uno dei più fidati alleati di Xi, l’alto funzionario potrà così usufruire di una carica tradizionalmente poco influente ma che ci si attende assumerà maggiori poteri alla luce dei nuovi equilibri interni. L’annuncio della longevità politica di Xi arriva mentre il Partito si riunisce per un inatteso terzo plenum volto a fare chiarezza sulle nomine governative (che verranno ratificate dal parlamento la prossima settimana) e mentre il braccio destro di Xi, l’economista Liu He, si trova negli Usa per dirimere i contenziosi commerciali tra le due superpotenze. Verosimilmente, anche per ragguagliare la controparte statunitense su quanto sta avvenendo ai vertici della gerarchia comunista.

All’estero e in casa, la decisione di rimuovere il limite dei due mandati presidenziali è stata accolta contemporaneamente con speranza e preoccupazione. Mentre, secondo alcuni esperti intervistati da Bloomberg, la stabilità assicurata dall’ “assolutismo” di Xi permetterà di portare avanti le riforme economiche e finanziarie senza intoppi (contenimento del debito in primis), la mancanza di “check and balance” espone il paese a pericolosi inciampi, creando un clima di diffidenza tra la comunità del business internazionale. E non solo. In una rara dimostrazione di dissenso, il ceto intellettuale ha paragonato la concentrazione del potere nelle mani di Xi a un “tradimento”, definendola il sintomo della “sfiducia (dell’élite) nei confronti del popolo cinese“. Una lettera aperta a firma dell’ex editor del quotidiano statale China Youth Daily chiede all’Assemblea nazionale del popolo (il massimo organo legislativo) di votare contro l’estensione illimitata del mandato presidenziale, mettendo in evidenza come i limiti imposti dalla costituzione del 1982 siano fin’oggi serviti a evitare situazioni di caos e concentrazione del potere sperimentate durante la Rivoluzione culturale. È inusuale assistere a critiche così dirette nei confronti della leadership cinese. Negli ultimi due giorni, tanto i media statali quanto i censori si sono impegnati a limitare il dibattito popolare dopo l’emergere di fastidiosi accostamenti tra la Cina di Xi e la Corea del Nord. Secondo il progetto Weiboscope, nella giornata di domenica la censura sul Twitter cinese Weibo ha raggiunto il picco più alto in tre mesi.

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]

venerdì 9 marzo 2018

In Cina e Asia



La via del debito


La via della seta (aka Belt and Road) crea dipendenza. E’ quanto emerge da un report del Centre for Global Development, secondo il quale gli investimenti infrastrutturali seminati da Pechino rischiano di lasciare i paesi ospitanti con montagne di debiti da ripianare. Il problema si pone sopratutto nel caso di Djibouti, Kyrgyzstan, Laos, Maldive, Mongolia, Montenegro, Pakistan e Tajikistan. Secondo un rapporto pubblicato da Bloomberg a ottobre, dei 68 paesi inclusi nel progetto a guida cinese, 27 hanno un debito sovrano in territorio “junk”. Altri 14, tra cui l’Afghanistan, l’Iran e la Siria, non sono stati valutati o hanno ritirato le loro richieste di rating. Il think tank consiglia di incrementare le sinergie con gli istituiti di credito internazionale come la World Bank. Nel suo rapporto presentato al parlamento in questi giorni, Pechino ha rivelato di aver firmato più di 100 accordi con 86 paesi e organizzazioni nell’ambito dell’iniziativa.

Cina: la spesa per la sicurezza interna continua a crescere

Pechino ha incrementato consistentemente la propria spesa per la sicurezza interna. A un ritmo maggiore rispetto alla crescita economica e all’aumento del budget per la difesa. Secondo quanto rivelato dal ministero delle Finanze a margine dell’Assemblea nazionale del popolo, nel 2017 agli apparati interni è andato il 6,1% della spesa pubblica, ovvero circa 1,24 trilioni di yuan (196 miliardi di dollari) contro gli 1,02 trilioni andati all’esercito, in crescita del 12,6% su base annua. A fare la parte del leone è la regione autonoma dello Xinjiang, dove sono stati spesi oltre 90 miliardi di dollari tra posti di blocco, telecamere di videosorveglianza, scanner facciali e tutto quanto necessario a scongiurare nuovi attacchi di matrice islamica. Le autorità hanno smesso di pubblicare i numeri della sicurezza nazionale nel rapporto annuale a partire dal 2013, a causa dei commenti spinosi della stampa sulle implicazioni della spesa nella repressione della società civile (il dato dello scorso anno compare soltanto in un grafico relativo al budget complessivo anziché nel testo)

A quanto ammontano davvero gli investimenti cinesi in Africa?


Cina e Africa. Un binomio ormai quasi scontato quando si parla dell’attivismo imprenditoriale cinese in giro per il mondo. Ma a quanto ammontano davvero gli investimenti cinesi nel continente? Gli esperti mettono in dubbio l’attendibilità di una delle fonti più citate negli ultimi tempi: l ‘Africa Investment Report‘ pubblicato dal Financial Times a settembre. Secondo lo studio nel 2016 Pechino ha iniettato nel continente 36 miliardi di dollari, pari al 39% degli investimenti cinesi all’estero per quell’anno. Ma secondo gli esperti si tratterebbe di conclusioni inesatte. I dati risultano sovrastimati, come dimostrano i casi del porto di El Hamdania, in Algeria, e di una “nuova capitale” egiziana a est del Cairo, dove le compagnie cinesi sono pronte a costruire ma non necessariamente a investire e dove non entra in gioco la cessione della proprietà come nel caso del porto del Pireo. In realtà, secondo Thierry Pairault, gli IDE cinesi in Africa sono modesti e stanno diminuendo di anno in anno. Le cifre del ministero del Commercio cinese, parlano di 2,4 miliardi nel 2016, in calo del 19% rispetto ai 2,9 miliardi nel 2015. Ma difficilmente i numeri basteranno a placare i sospetti della comunità internazionale.

Proprio pochi giorni fa, prima di recarsi in visita in Chad, Djibouti, Ethiopia, Kenya e Nigeria, il segretario di stato americano Rex Tillerson ha criticato l’operato cinese in Africa accusandolo di creare dipendenza e mettere a rischio le risorse naturali locali.

L’ Holocaust Memorial Museum revoca il premio ad Aung San Suu Kyi


L’ Holocaust Memorial Museum di Washington ha revocato il premio per i diritti umani consegnato ad Aung San Suu Kyi nel 2012. Allora la leader birmana, reduce da 15 anni di domiciliari, è diventata la seconda persona ad essere insignita del riconoscimento dopo Elie Wiesel, sopravvissuta all’Olocausto. La decisione è stata resa nota alla Lady per lettera nella giornata di martedì e riportata dal New York Times nella giornata di ieri. Nella comunicazione, la Lega nazionale per la democrazia viene accusata di aver ostacolato l’intervento delle Nazioni Unite nello stato Rakhine e aver incentivato “una retorica dell’odio contro la minoranza rohingya”. Mentre Suu Kyi si trova a spartire il potere con i militari, la comunità internazionale ritiene che gli sforzi del governo da lei informalmente guidato siano insufficienti a placare la crisi umanitaria. 700mila rohingya sono fuggiti in Bangladesh in seguito alle operazioni messe in campo dall’esercito per contrastare le attività dei presunti terroristi islamici nello stato Rakhine. Ad oggi, la revoca del premio costituisce l’ammonimento più duro diretto contro la leader birmana.

Nello Sri Lanka è stato di emergenza

Lo Sri Lanka ha dichiarato lo stato di emergenza per 10 giorni dopo che nelle ultime settimane lo storico odio settario tra buddhisti e musulmani è riesploso nelle zone centrali del paese. La goccia ad aver fatto traboccare il vaso sarebbe stata la morte di un autista singalese in una rissa con quattro musulmani. Da allora i nazionalisti buddhisti hanno preso di mira moschee e negozi islamici. Facebook, Viber e Whatsapp sono stati bloccati in seguito alla pubblicazione di post innegianti all’odio religioso. Mentre i rapporti sono tesi dal 2012, l’arrivo di rifugiati rohingya dal Myanmar sembra aver acuito la crisi tra i due gruppi religiosi. Reduce da 26 anni di guerra civile, tra gennaio e dicembre 2013 lo Sri Lanka ha assistito a 241 attacchi contro obiettivi musulmani. Molti sono stati fomentati dal gruppo estremista con base a Colombo Buddhist Power Force.

giovedì 8 marzo 2018

In Corea del Sud si lavorerà di meno


L’Assemblea nazionale sudcoreana (il parlamento di Seul) ha approvato con una maggioranza schiacciante — 151 a favore, 11 contrari e 32 astenuti — la proposta di ridurre le ore lavorative settimanali da 68 a 52. Ovvero 40 ore regolari più 12 ore di straordinari. Per i diciottenni, il limite sarà di 35 ore alla settimana rispetto alle attuali 40. Il lavoro nel weekend sarà ricompensato con una paga aggiuntiva tra il 50 e il 100%, a seconda delle ore.

Le nuove regole verranno introdotte nel prossimo luglio nelle aziende con oltre 300 dipendenti mentre quelle con un numero compreso tra i 50 e i 299 impiegati avranno tempo fino al 2020. I datori di lavoro che non si atterranno a quanto stabilito dalla riforma andranno incontro a pene detentive inferiori ai due anni e a multe sotto i 10 milioni di won (9mila dollari). Solo cinque settori — tra cui sanità e trasporti — saranno esonerati dalle nuove norme, rispetto ai 26 del vecchio sistema.

La svolta è l’esito di una annosa battaglia tra sindacati, legislatori e mondo del business. Il vero vincitore è il presidente Moon Jae-in, eletto lo scorso anno sulla base di un’agenda elettorale ricca di proposte mirate a innalzare la qualità della vita. Tra i primi sviluppi concreti va ricordato l’aumento dello stipendio del 16% approvato nel mese di luglio. Sebbene osteggiato dal settore imprenditoriale, il taglio dei turni lavorativi viene percepito come una misura necessaria per creare posti di lavoro, incrementare la produttività e aumentare il tasso di natalità. La Corea del Sud è oggi il paese dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ad avere le settimane lavorative più massacranti dopo il Messico, tanto che i sudcoreani si trovano a spendere sul posto di lavoro 400ore più dei loro colleghi di Gran Bretagna e Australia, nonostante percepiscano buste paga pressoché analoghe. Una situazione ritenuta in passato funzionale ad assicurare, nel breve periodo, tassi di crescita sostenuti ma che a lungo andare ha creato una serie di storture sistemiche.

Secondo Chung Hyun-back, ministro per la Parità di genere e la famiglia, i turni “disumanamente lunghi” vanno annoverati tra le cause del rapido invecchiamento della popolazione nel paese asiatico. Stando a un recente sondaggio, solo il 68% delle donne sudcoreane iscritte all’università intende sposarsi, contro l’80% dei coetanei maschi. Il paese presenta anche un netto divario retributivo di genere. A gennaio Moon ha promesso che il governo “condividerà il peso dell’assistenza all’infanzia” grazie alla concessione di un’indennità mensile per i genitori con bambini sotto i 5 anni, a cui si aggiungerà l’apertura di 450 nuovi centri di assistenza diurna.

“Se non affrontiamo il problema frontalmente, il futuro della Corea del Sud si prospetta oscuro, considerato l’allontanamento delle nuove generazioni dal matrimonio — per non parlare del parto”, ha spiegato Chung ad Afp. Ma mentre l’alleggerimento degli orari di lavoro strizza l’occhio alle politiche demografiche, i risvolti in termini di efficienza produttiva sono molto più incerti. “Stabilire orari di lavoro più brevi è un requisito necessario per il bene e la felicità [della popolazione], ma è una questione che va discussa insieme al problema della produttività del lavoro”, ha spiegato a Bloomberg Kim Tai-gi, professore di economia presso la Dankook University di Jukjeon, “senza una migliore produttività, dovremo far fronte a effetti collaterali come un calo del reddito per i lavoratori e un aumento dei costi per i datori di lavoro”.

Come evidenziano dati rilasciati dall’Ocse ad ottobre, sebbene nel 2017 l’export sudcoreano si sia espanso ai livelli più alti in sessant’anni grazie alle spedizioni di semiconduttori, macchinari e prodotti petrolchimici, la produttività industriale è ancora circa il 50% di quella dei paesi membri più performanti. Nel 2015, il valore del prodotto interno lordo della Corea del Sud per ora lavorata è stato di 31 dollari, il quinto più basso all’interno dell’Organizzazione.

Secondo uno studio del Korean Economic Research Institute, alla luce delle nuove regole le aziende saranno costrette a sborsare 11 miliardi di dollari in più ogni anno per mantenere gli stessi livelli di produzione.

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]

martedì 6 marzo 2018

In Cina e Asia



Coree: raggiunto accordo sulla visita di Moon al Nord

Pyongyang e Seul hanno raggiunto un “accordo soddisfacente” su una possibile visita del presidente sudcoreano Moon Jae-in al Nord. Lo riporta la KCNA al termine della prima maratona di colloqui tra le due parti avvenuta lunedì a Pyongyang. Durato oltre 4 ore, il meeting costituisce il primo faccia a faccia di Kim Jong-un con i capi della sicurezza e dell’intelligence di Seul da quando ha assunto l’incarico nel 2011. Secondo i media nordcoreani, l’incontro è avvenuto in un “clima compatriotico e sincero” e dimostra “la ferma volontà [di Kim] a migliorare vigorosamente” le relazioni tra le due Coree in funzione della riunificazione. La visita — che termina oggi — ha visto nuovamente la partecipazione della sorella del giovane leader, Kim Yo Jong,già protagonista della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pyeonchang. C’è chi ritiene che il suo ruolo sia stato funzionale nella distensione tra Nord e Sud. Entro la fine della settimana i funzionari sudcoreani si recheranno negli States per aggiornare l’amministrazione Trump su quanto avvenuto in questi giorni a Pyongyang. Il passo successivo è infatti la ripresa dei colloqui tra gli Usa e il regime del Nord — che però Washington è disposto a valutare solo in cambio della denuclearizzazione del Regno eremita.

Media cinesi difendono il budget militare

L’aumento della spesa militare è proporzionato e limitato, rassicurano i mediacinesi all’indomani dell’annunciato rialzo dell’8,1% nel budget per l’anno in corso. Secondo il China Daily, “a puntare il dito contro sono i soliti sospetti”, mentre per il Global Times se Pechino volesse veramente espandere la propria forza militare dovrebbe valutare un ritocco del +20–30%. Ufficialmente la Cina spende un quarto di quanto sborsano ogni anno gli Usa, ma gli esperti ritengono che l’importo reale sia quasi pari al doppio di quanto dichiarato. Da quando Xi Jinping è diventato presidente il gigante asiatico ha cominciato a fortificare il Mar cinese meridionale e ha potenziato la propria “capacità deterrente” con nuovi caccia, portaerei e missili anti-satellite. Il tutto per far fronte a nuove sfide e insidie, fanno sapere da Pechino. D’altronde Trump ha proposto l’aumento militare più alto dal 2011 e proprio in queste ore la portaerei Carl Vinson si trova parcheggiata lungo la costa vietnamita in missione “diplomatica”. Una visita che acquista significato alla luce delle dispute territoriali tra Pechino e Hanoi. Tanto più che si tratta della nave da guerra statunitense più grande a visitare l’ex paese nemico dal 1975.

L’anticorruzione è pronta a triplicare le indagini

La nuova Commissione nazionale di supervisione — che andrà a integrare il lavoro della Commissione per l’ispezione della disciplina (CCDI) — punta a triplicare il numero dei soggetti sottoposti a indagine. Infatti, mentre la CCDI si occupa solo di controllare la condotta dei membri del Partito, la neonata super-agenzia estenderà le proprie indagini al settore statale. Un “lavoro enorme” che richiederà un aumento del personale coinvolto del 10%, ha riferito il ministro della Sorveglianza Yang Xiaodu a margine della riunione parlamentare in corso a Pechino — l’Assemblea nazionale del popolo è in questi giorni chiamata a ratificare la bozza di legge sulla base della quale opererà la Commissione. Per far fronte all’incremento dei target le autorità provinciali hanno già provveduto ad ampliare e migliorare le strutture di detenzione. Gli interrogatori verranno rigorosamente filmati e registrati in modo da evitare l’utilizzo di metodi coercitivi durante gli interrogatori. Ma mentre le nuove disposizioni servono a istituzionalizzare la campagna anticorruzione di Xi Jinping, sono ancora molti i nodi da sciogliere. A preoccupare è sopratutto la discrezionalità con cui il super-ministero opererà al di sopra di tribunali e procure.

In Cina è emergenza sangue

In Cina è più che mai emergenza sangue. A partire da questo mese gli ospedali di tutto il paese (fatta eccezione per le aree più remote) sono tenuti a interrompere il sistema delle donazioni reciproche, grazie al quale fino a oggi le strutture sanitarie hanno potuto “rabboccare” le insufficienti donazioni volontarie, che coinvolgono solo l’1,05% della popolazione. Il meccanismo si è dimostrato salvifico dal momento che ha permesso ai pazienti di usufruire delle donazioni di parenti e amici, ma — mal regolamentato — ha portato alla nascita di un lucroso mercato nero in cui trafficanti del sangue prezzolati solevano falsificare i documenti in accordo con le famiglie dei malati per comprovare un fittizio legame parentale. I più capaci sono stati in grado di guadagnare fino a 1 milione di yuan l’anno, secondo un servizio della tv dello Shandong. Mentre il problema è sotto la lente delle autorità da tempo, la morte di un uomo per un’influenza lo scorso gennaio ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica. Ma, se imbrigliare il sistema è una priorità, allo stesso tempo gli stessi addetti ai lavori lamentano l’assenza di un piano per far fronte alla nuova carenza di scorte. E’ dall’epidemia di HIV degli anni ’90 che la Cina sta cercando di normare il settore senza troppi successi.

La generazione del “nido vuoto” tra solitudine e consumismo

Hanno un’età compresa tra i 20 e i 39 anni, sono single e amano spendere, sopratutto in giochi online e programmi di livestreaming. Sono la “gioventù del nido vuoto”, giovani con stipendi da 15mila yuan al mese e una spesa mensile di 10mila. Cercano fortuna in città e vivono in solitudine. Scelgono di abitare lontano dal posto di lavoro per risparmiare sull’affitto e trascorrono le loro giornate sui mezzi pubblici, pur di non rinunciare alle grandi città. Secondo un recente rapporto stilato da Euromonitor International, è una categoria sociale che ormai ha raggiunto quota 50 milioni. Stando agli esperti, il fenomeno del “nido vuoto” viene associato alle distorsioni causate dall’urbanizzazione e dalle disparità di sviluppo tra grandi e piccole città. Quasi il 60% degli intervistati per uno studio indipendente (realizzato congiuntamente da Maimai e xiaozhu.com) ha ammesso di spendere tutti i propri risparmi per combattere la solitudine.

(Pubblicato su China Files)

lunedì 5 marzo 2018

Weekly News Roundup: Dispatches from the Silk Road Economic Belt



China upset as Interpol removes wanted alert for exiled Uighur leader
China expressed dissatisfaction on Saturday at Interpol’s decision to lift a wanted alert for an exile from its Uighur minority, a man China accuses of being a terrorist. (Reuters)

Could the SCO Expand Into the Middle East?
The Shanghai Cooperation Organization recently added India and Pakistan. Could Iran be next? (Diplomat)

China’s one-track mind in Kazakhstan

Many observers see the new dry port of Khorgos as a sign of China’s expanding influence in Central Asia. However, despite the increasing bilateral trade between China and Kazakhstan and the symbolic significance of the project under President Xi Jinping’s “iron silk road”, the dry port should be seen as the limitation, rather than the extension, of China’s railway network in the region. In the face of the unifying bloc of broad gauge networks, a Russian geopolitical obstacle, it is reasonable for China to focus on the southern route of the ‘iron silk road’ to reach Europe. This means going through Iran and Turkey, two countries with standard-gauge rail networks. In December 2017, Beijing signed a US $530 million deal with Tehran on rail, in addition to other investments and loans under the Belt and Road Initiative. (cpianalysis)
Freight train service launched between Urumqi, Naples
Thanks to a new freight train service, citizens of Naples, Italy may find it easier to buy commodities produced in northwest China's Xinjiang Uygur Autonomous Region.A train carrying tomato sauce
left Urumqi, capital of Xinjiang, for Italy's Naples on Monday morning, the first between Xinjiang
and Naples. (Xinhua)

New China-Europe train service begins with 11,000 cars
Since the first cargo train set off from Daqing city, Heilongjiang province, for Belgium last June, the new China-Europe train service tailor-made for Volvo's Daqing factory has transported 10,936 China-made Volvo cars. A one-way trip takes 18 days via the 10,887 kilometers-long route, passing through Russia, Belarus, Poland and Germany, saving 28 days compared to the traditional marine transport. (China Daily)

China's flagship port in Pakistan shackled by heavy security
The port is scheduled to start transshipment on March 7. Yet, for all the fanfare, some question Gwadar's prospects amid heavy security.Balochistan is mostly off limits to outsiders and there is no visible foreign presence beyond the Chinese. Journalists and visitors are closely monitored by  Pakistan's intelligence agencies.. (Bloomberg)

Reality Check: Is Chinese an official language in Pakistan?
The claim: Pakistan has made Chinese an official language.
Reality Check verdict: False - the Pakistani parliament passed a resolution "recommending" Chinese-language courses to be taught in Pakistan, but there's no suggestion Chinese will become an official language of the country. (BBC))

China-Pakistan Economic Corridor brings economic benefits to Pakistan: report
The report, "The economic benefits of the modern silk road: The China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) The report, which is based on research work and surveys, said that the unprecedented CPEC has provided 60,000 jobs to Pakistanis since 2015 and that it would create over 800,000 new jobs in different sectors up to 2030. (global times)


CENTRAL ASIA

Afghanistan ready to play connector role in Eurasian integration

The inauguration of TAPI – the Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India pipeline – signals Kabul is
on-board with the grand project of Eurasian integration.

Turkmenistan's Plan B: Electricity Exports
While Turkmenistan sits on the world's fourth-largest reserves of gas, those riches are worth little without markets. (Eurasianet)


World’s Longest-Imprisoned Journalist Is Freed in Uzbekistan
Uzbekistan has freed a reporter who was incarcerated for nearly two decades on sedition charges, the longest-known prison term served by a journalist, human rights advocates said Friday.The reporter, Yusuf Ruzimuradov, 64, who worked for a newspaper banned by the Uzbek authorities, had been held since 1999. (nyt)

Afghan TAPI Construction Kicks Off, But Pipeline Questions Still Unresolved
Executives and regional leaders gathered for a ground-breaking ceremony for Afghanistan's section of the Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) gas pipeline on February 23 in the western Afghan city of Herat.Herat, and uncertainty as the ceremony there approached, provide another reminder of the doubts and questions that have surrounded the TAPI pipeline for years now. (.rferl)

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...