lunedì 27 novembre 2017

In Cina e Asia 



Il papa in Myanmar per promuovere la pace


E’ cominciata quest’oggi la visita di Bergoglio in Myanmar, la prima di un pontefice nel paese del Sudest asiatico. Il papa incontrerà sia Aung San Suu kyi che il capo dei militari Min Aung Hlaing. Terrà poi due messe a Yangon, mercoledì e giovedì, prima di proseguire per il Bangladesh, dove incontrerà la comunità locale dei rohingya, la minoranza musulmana che vive nel confinante stato Rakhine. Lo stile “anticonvenzionale” di Bergoglio è motivo di apprensione per la comunità cristiana locale preoccupata di poter diventare bersaglio dell’estremismo buddhista, finora concentrato a difendere l’etnia maggioritaria bamar da una presunta sommersione etnica di matrice musulmana. Mentre il Santo Padre ha definito gli sfollati “i nostri fratelli e le nostre sorelle rohingya”, il cardinale Bo di Yangon ha invitato il papa a trattenersi dall’utilizzare il nome rohingya — rigettato dal governo birmano — optando per un anonimo “bengalesi”. In Birmania ci sono circa 650mila cattolici — perlopiù provenienti da stati semiautonomi non ancora del tutto pacificati — di cui 150mila attesi per a Yangon per l’arrivo del pontefice. Storicamente nel Sudest asiatico, il dilagare del nazionalismo buddhista di epoca coloniale ha colpito tanto gli islamici quanto i cristiani, considerati, per le loro idee occidentali, un elemento di instabilità politica. Le criticità del continente e il rapido aumento di cattolici (+9% in cinque anni) hanno spinto Bergoglio a visitare già altri tre paesi asiatici da quando è asceso al soglio pontificio.

Intanto, proprio oggi il quotidiano statale Global New Light of Myanmar ha annunciato che Suu Kyi tornerà presto in Cina, meta da lei scelta come primo viaggio da ministra nel 2015. La visita, che comincerà giovedì e si protrarrà fino al 3 dicembre, conferma la volontà di Naiypydaw di coltivare l’amicizia con Pechino come contraltare alle critiche dell’occidente circa la gestione delle minoranze.

Non si placano le polemiche sugli asili cinesi
Mentre ancora imperversano le polemiche per gli sgomberi dei lavoratorimigranti nella periferia di Pechino, la capitale cinese è stata travolta da un’altra ondata di malcontento. Stavolta però guidata dalla classe media dell’esclusivo distretto di Chaoyang. Nella giornata di sabato, la società RYB Education Inc, quotata a New York, ha annunciato il licenziamento di un’insegnante di 22 anni (ora sotto “detenzione criminale”) e del preside della scuola materna accusata la scorsa settimana di maltrattamenti e abusi sui bambini. Tra le accuse, quella di aver somministrato agli alunni strane pillole, oltre ad averli pungicati con aghi e costretti a svestirsi. Giovedì il governo ha avviato una campagna di verifica a livello nazionale. Quello di Chaoyang, infatti, è soltanto l’ultimo scandalo in ordine di tempo a coinvolgere il settore dell’educazione infantile in Cina. Nel 2015, un’altra struttura del gruppo RYB — che gestisce 1300 asili nido e 500 scuole elementari in oltre 300 città cinesi — con sede nel Jilin era stata colpita da accuse analoghe, mentre solo alcuni giorni fa un asilo di proprietà della nota azienda turistica Ctrip era finito nell’occhio del ciclone per maltrattamenti più lievi. Il problema, dicono gli esperti, sta nelle scarse qualifiche del personale, con circa un quarto degli insegnanti di scuola materna ad avere soltanto un diploma superiore e la metà sprovvista di un certificato adeguato per l’insegnamento all’asilo. Con il miglioramento delle condizioni di vita, oltre Muraglia, la spesa annuale pro-capite per l’istruzione privata è cresciuta rapidamente, passando dai circa 600 yuan ($ 91) del 2006 agli oltre 1.000 yuan dell’anno scorso. La storia dell’asilo di Pechino continua a tenere banco sui social anche per via di rumor su un presunto coinvolgimento di alcuni membri dell’esercito.

Nazionale cinese under-20 lascia la Germania per proteste pro-Tibet

Il tour tedesco della squadra di calcio cinese under-20 è stato sospeso fino a data da definirsi. Lo ha dichiarato ieri la German Football Association dopo che proteste pro-Tibet hanno indotto i giocatori cinesi ad abbandonare il campo durante il primo match. Il 18 novembre, l’incontro contro il TSV Schott Mainz era stato interrotto per 25 minuti quando quattro rifugiati tibetani e due tedeschi del gruppo Tibet-Initiative Germany avevano esposto delle bandiere tibetane inducendo i calciatori ad andarsene. A seguito delle proteste, tre squadre tedesche si sono rifiutate di giocare in Cina, mentre le altre sono state pagate 15.000 euro per partecipare. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lu Kang ha invitato i padroni di casa tedeschi a mostrare “rispetto reciproco”, affermando che il governo si oppone a qualsiasi “attività separatista, anti-Cina o terrorista”. In tutta risposta Reinhard Grindel, president della German Football Association, ha difeso il diritto alla libertà di espressione aggiungendo che “quando si gioca in Germania bisogna anche affrontare il fatto che chiunque può esprimere la propria opinione.” La squadra della Repubblica popolare, inizialmente attesa sabato scorso a Francoforte, avrebbe dovuto disputare un totale di 16 partite fino a maggio 2018.

Damasco pronta ad attirare investimenti cinesi in cambio di petrolio e scambi in yuan

La Cina è la benvenuta nel processo di ricostruzione nazionale, ora che la Siria è libera dalla minaccia dell’Isis. A dirlo è l’ambasciatore siriano a Pechino Imad Moustapha, che in un’intervista al South China Morning Post spiega come il governo di Assad è pronto a barattare petrolio in cambio di prestiti e a utilizzare lo yuan, negli scambi commerciali tra le due parti, venendo incontro alle ambizioni internazionali della valuta cinese. “Vogliamo siano paesi come la Russia, la Cina, l’India e l’Iran e prendere parte alla ricostruzione”, non quelli che hanno partecipato alla guerra (leggi: Stati Uniti e Turchia). Sebbene Pechino non sia mai intervenuta direttamente nel conflitto, ha più volte esercitato il proprio potere di veto in sede Onu — al fianco di Mosca — per bloccare l’implementazione di nuove sanzioni contro Damasco. Secondo Moustapha, ormai la Siria riceve aziende e delegazioni “quasi giornalmente”: “alcune di loro hanno già firmato diversi contratti mentre altre sono in procinto di firmarli”. Secondo la Banca mondiale, i costi della ricostruzione nazionale ammontano a circa 200 miliardi di dollari. Ma, per Pechino, il paese arabo non costituisce soltanto una fonte di idrocarburi. L’ambasciatore siriano ricorda come l’intelligence di Damasco sia in continuo contatto con la Cina per monitorare il flusso di uiguri in arrivo dal Xinjiang per partecipare al jihad. Stando al diplomatico, sarebbero già circa 5000 in territorio siriano.

L’ombra di Cina e India sulle legislative nepalesi


Domenica, in Nepal, sono cominciate le elezioni per il parlamento nazionale e le assemblee provinciali, le prime da quando è stata approvata la nuova costituzione nonché le prime dal termine della guerra civile che ha contrapposto per dieci anni (1996–2006) i ribelli maoisti del Partito Comunista in lotta per rovesciare la monarchia e le forze governative lealiste. Sulla base di quanto stabilito dal nuovo statuto, non solo alcuni partiti marginali verranno estromessi dai parlamenti, ma sarà anche più difficile costringere un primo ministro al prepensionamento. Una misura dettata dall’esigenza di assicurare una maggiore longevità ai futuri governi: finora nessuno è durato tanto da concludere un intero mandato. Le votazioni — che vedono l’alleanza tra gli ex ribelli maoisti e i comunisti di CNP-e UML fronteggiare la coalizione tra il centrista Partito del Congresso Nepalese e i partiti dell’etnia Madhesi, avranno ripercussioni geopolitiche non indifferenti. Nell’ultimo anno, alla guida di Kathmandu si sono susseguite leadership con ambizioni strategiche differenti, alcune più orientate verso la Cina altre verso l’India, partner storico del paese himalayano. L’interesse di Pechino per il Nepal e le sue risorse idriche si è rafforzato con l’avvio del progetto per una nuova via della seta tra Asia ed Europa — progetto da cui Delhi continua a tenersi lontana. Proprio di recente l’insoluta incertezza di Kathmandu tra i due benefattori, è costata a Pechino l’annullamento di un accordo da 2,5 miliardi per la costruzione di una diga sul fiume Budhi Gandaki.

domenica 26 novembre 2017

Weekly News Roundup: Dispatches from the Silk Road Economic Belt


Russia's Rosneft confirms oil supply deal with China's CEFC
Rosneft had signed an oil supply deal with CEFC China Energy Company Ltd, Russia’s largest oil producer said in a regulatory filing on Monday, confirming a Reuters report last week. (reuters)

Cargo train services launched between Hamburg, central China's Yichang
China launches cargo train service between Yichang of central China's Hubei and Hamburg, Germany on Monday. Carrying fresh oranges, medical gauze and packaging film, the train will be on the road for 17 days. (Xinhua)

China and Pakistan agree to push forward economic corridor plan after dam deal scrapped
Analysts say disputes over individual projects won’t get in the way as officials sign long-term plan for US$57 billion scheme. Officials from both sides were finalising a long-term plan to 2030 for the US$57 billion China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) on Tuesday as they wrapped up a Joint Coordination Committee meeting in Islamabad.(scmp)

Five biggest Chinese investments in the Pakistan arm of the Belt and Road Initiative
The US$57 billion second phase of the China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) – an ambitious plan to integrate sea and land routes across Eurasia under China’s Belt and Road Initiative – is moving along, guided by a joint cooperation panel’s decisions at an Islamabad forum. (scmp)

Pakistan rejects use of Chinese currency
Pakistan has turned down China’s demand to allow its currency to be used in the Gwadar Free Zone under the China-Pakistan Economic Corridor framework, arguing any such move would compromise its ‘economic sovereignty’(tribune)

Chinese premier's upcoming visit conducive to cooperation with CEE, SCO countries
Chinese Premier Li Keqiang's upcoming visit is of great importance to China's cooperation with the Central and Eastern European (CEE) countries and the Shanghai Cooperation Organization (SCO) countries, officials said here Tuesday. Premier Li will attend the sixth meeting of heads of government of China and CEE countries during his official visit to Hungary from Nov. 26-29, and attend the 16th meeting of the Council of SCO Heads of Government (Prime Ministers) in the Russian city of Sochi from Nov. 30 to Dec. 1. (xinhua)

Chinese company starts construction of Serbian coal-fired power plant
A Chinese company started construction on Monday of a new 350-megawatt unit at Serbia’s second largest coal-fired power plant, the first new electricity capacity in the Balkan country in nearly 30 years.The $613 million project is part of a wider deal between Serbia and China that includes expansion of a nearby coal mine and upgrade of existing capacity in the Kostolac coal-fired plant complex. (Reuters)

China completes border disarmament inspections with four countries
China has completed the last round of inspections for this year on the obligation of border disarmament agreements with Kazakhstan, Kyrgyzstan, Russia and Tajikistan, according to the PLA Daily.The newspaper reported that China and a team representing the other four countries inspected each other's border defense forces in mid-August.In 1996, the five countries signed the Agreement on Confidence-Building in the Military Field Along the Border Areas. In 1997, they signed the Agreement on the Mutual Reduction of Military Forces in the Border Areas. The agreements laid down a foundation for the establishment of the Shanghai Cooperation Organization (SCO). (global times)

China says Shanghai security bloc could soon agree on free trade area
China hopes the Shanghai Cooperation Organisation (SCO) security bloc will soon be able to set up a long-mooted free trade area, a senior Chinese diplomat said on Tuesday ahead of a summit of the grouping in Russia late next week.“We believe that with the efforts of all SCO members, including new members India and Pakistan, the goal of establishing an SCO free trade zone will definitely be achieved before long,” Assistant Chinese Foreign Minister Li Huilai told reporters. (Reuters)

China hints it can rename CPEC if India joins OBOR initiative
The Chinese foreign ministry on Thursday responded to a statement by its ambassador in India, Luo Zhaohui, who recently said Beijing is prepared to rename the China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) to address India's concerns+ . The ministry neither endorsed nor denied Luo's statement, suggesting that it was encouraging Luo to negotiate with New Delhi over the issue, while ensuring that it did not upset Islamabad either. (Times of India)

Nepal vote set to favor China over India
As Nepalese begin voting in a general election on Nov. 26, not only will they be determining their government but also which superpower -- China or India -- will gain the upper hand over the small landlocked country. (Nikkei)


China ‘to build third Hualong One nuclear reactor’ in Pakistan
China has signed a deal to build a third nuclear reactor in Pakistan, which wants to get a fifth of its electricity from nuclear by 2030. (SCMP)


Syria courts China for rebuilding push after fall of Islamic State’s strongholds

Ambassador to Beijing says Assad regime open to oil-for-loan deals or yuan-denominated transactions as it seeks to lure businesses. (Scmp)

CENTRAL ASIA

Kyrgyzstan: Notorious High-Ranking Customs Official Fired
A notorious high-ranking customs official in Kyrgyzstan has been fired in a dramatic personnel reshuffle that comes weeks after Kazakhstan complained about the volume of contraband goods flooding in from its southern neighbor.Prime Minister Sapar Isakov signed the order to dismiss Customs Service deputy chairman Rayimbek Matraimov on November 23, noting that the official’s action did not comply with government policies. Matraimov, who is known popularly (and tellingly) by his nickname “Rayim Million,” has long wielded substantial influence in the south of the country, which is a conduit for vast amounts of imported wares arriving from China.Late last month, Kazakhstan’s Prime Minister Bakytzhan Sagintayev accused Kyrgyzstan of acting as a substantial conduit for Chinese-sourced contraband and thereby causing huge financial losses to the Eurasian Economic Union, or EEU, a Moscow-led trade bloc. Failure to properly enforce import tariffs, which are apportioned among bloc members at pre-agreed rates, cost the EEU around $2.7 billion in the first eight months of 2017 alone, Sagintayev asserted. (Eurasianet)

 
How Turkey, Iran, Russia and India are playing the New Silk Roads
A pacified Syria is key to the economic integration of Eurasia through energy and transportation connections. A stable Syria is crucial to all parties involved in Eurasia integration. As Asia Times reported, China has made it clear that a pacified Syria will eventually become a hub of the New Silk Roads, known as the Belt and Road Initiative (BRI) – building on the previous business bonanza of legions of small traders commuting between Yiwu and the Levant. (atimes)

Afghanistan Betting on Transit Corridor to Europe via Caucasus
Eurasia has no shortage of ambitious, difficult-to-implement transit route projects in the works. But even in that crowded field, a $2 billion corridor connecting Afghanistan to Europe via the Caspian Sea and the Caucasus stands out.On November 15, officials from Afghanistan, Turkmenistan, Azerbaijan, Georgia, and Turkey signed an agreement in Ashgabat to build what they called the Lapis Lazuli Corridor. The aim of the agreement is to simplify customs and transportation procedures along the route, giving Afghanistan a new, relatively attractive route to ship its products to Europe. (eurasia)

Opportunities and Challenges Await Kyrgyzstan’s Incoming President
Sooronbai Jeenbekov will be inaugurated as Kyrgyzstan’s fifth president on 24 November, the victor of a tight, unpredictable, contested but ultimately legitimate election. The new leader, a loyal member of the ruling Social Democratic Party of Kyrgyzstan (SDPK), won 54 per cent of the vote and gained a majority in every province but Talas – the home of the defeated main opposition candidate Omurbek Babanov. (Crisi Group)

Iran not to exclude possibility of gas export to Tajikistan
Attraction of investments for the transit of Iranian gas to Tajikistan can be a turning point in improving economic relations between the two countries.This was stated by the Iranian parliament speaker, Ali Larijani, on the sidelines of the 10th plenary meeting of the Asian Parliamentary Assembly (APA), Iranian media outlets reported.Larijani told Vice-Speaker of the Tajikistan’s Parliament Khairiniso Yusufi that investments could be attracted, in particular, for electricity generation and water transfer from Tajikistan to Iran and sending gas from the Islamic Republic to the countries of Central Asia. (azernews)



venerdì 24 novembre 2017

Nord Corea: lo stato fisico dei disertori è indice di diffusa malnutrizione



fuggito dalla Corea del Nord ed è arrivato in Corea del Sud lunedì 13 novembre. Ma le condizioni del disertore nordcoreano, pur essendo stabili, non sono rassicuranti. A preoccupare non sono soltanto le numerose ferite da arma da fuoco riportate durante la fuga in varie parti del corpo, dalle spalle alle ginocchia. In cura da giorni presso un ospedale nei pressi di Seul, una volta passato sotto i ferri, il ventenne è risultato avere nel suo apparato digerente circa una decina di parassiti oltre a un verme cilindrico lungo quasi 30 centimetri.

“Ho più di vent’anni di esperienza come chirurgo alle spalle, ma cose così si trovano soltanto nei libri di testo”, ha commentato alla stampa internazionale Lee Cook-jong, uno dei medici del team che si sta adoperando per salvare la vita al giovane. La scopertalascia intuire le privazioni a cui è sottoposta la popolazionenordcoreana, tanto più se si considera la posizione privilegiatain cui si sarebbe dovuto trovare il ragazzo come membro — seppur in qualità di semplice sergente — dell’esercito, ovvero dell’elite locale. Non solo i militari hanno diritto a quote alimentari più generose rispetto al resto della popolazione. Ma, talvolta, ricorrono addirittura a veri e propri furti nelle campagne per placare la fame.

La Corea del Nord spende il 22% del proprio Pil nello sviluppo militare lasciando i civili ad arrabattarsi nei mercati informali spuntati dopo la terribile carestia che ha investito il Regno Eremita tra il 1994 e il 1998. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, due nordcoreani su cinque risultano denutriti e il 70% della popolazione — tra cui 1,3 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni — necessita di assistenza alimentare per sopravvivere. Secondo uno studio del 2009, i piccoli del Nord in età prescolare risultavano 13 centimetri più bassi e sette chili più leggeri dei loro coetanei sudcoreani. Colpa di un’alimentazione quasi priva di proteine e grassi essenziali. Oltre ai parassiti, nelle viscere del giovane è stato ritrovato del granoturco, ingrediente cardine della dieta nordcoreana nei periodi di magra, in quanto più economico del riso. Tra gennaio e settembre, in concomitanza con un periodo di grave siccità, le importazioni del cereale dalla Cinahanno toccato quota 49mila tonnellate, rispetto alle 3.125 registrate in tutto il 2016.

Dalla guerra di Corea ad oggi, oltre 30mila persone sono fuggite al Sud per cercare prospettive di vita migliori, la maggior parte passando per la Cina. La defezione della settimana scorsa è la quarta da parte di un soldato in tre anni ad essere avvenuta attraverso la zona demilitarizzata che divide le due Coree, ma soltanto la prima dal 2007 ad aver interessato la sorvegliatissima area di sicurezza congiunta (JSA) situata nel paese di Panmunjeom, l’unico punto di incontro tra le milizie di Seul e Pyongyang. L’ultima fuga di un militare risaliva a giugno.

Per quanto preoccupante, il caso del giovane soldato non è l’unico e sembra confermare uno stato di scarsa igiene già riscontrata su altri connazionali. Nel 2014, medici sudcoreanihanno rilevato la presenza di vermi parassiti in sette disertrici su diciassette. Le donne avevano inoltre manifestato altre patologie, dall’epatite B alla tubercolosi. Lo studio, condotto dall’ospedale di Cheonan su nordcoreani scappati oltreconfine tra il 2006 e il 2014, mostrava chiaramente una più alta incidenza di malattie infettive e parassitarie sui pazienti del Nord rispetto ai “cugini” a Sud del 38esimo parallelo. Qui, infatti, il problema delle infezioni da parassita è stato ampiamente debellato di pari passo con un generico miglioramento delle condizioni economiche. L’ultima grande epidemia risale agli anni ’60-’70, quando circa l’80% della popolazione sudcoreana risultava ancora contagiata. All’epoca, il caso eclatante di una bambina di nove anni deceduta dopo aver contratto un migliaio di vermi spinse il governo di Seul ad avviare una campagna di eradicazione a livello nazionale. Da allora il fenomeno è scomparso quasi completamente.

A fare la differenza tra Nord e Sud, pare sia l’impiego diffuso di escrementi umani per concimare i terreni agricoli. Secondo quanto racconta un fuggiasco alla Reuters, “fino agli anni ’70 era lo stato a distribuire fertilizzanti chimici, ma dagli anni ’80 la produzione ha cominciato a calare tanto che negli anni ’90 il governo non ne forniva più”. E’ stato allora che i contadini hanno cominciato a ripiegare sui pozzi neri. Nel 2014, lo stesso leader supremo Kim Jong-un ha esortato gli agricoltori a utilizzare le feci umane, oltre agli scarti animali e ai composti organici. “I vegetali coltivati con gli escrementi vengono considerati più gustosi”, spiega Lee Min Bok, esperto di tematiche agricole.

Ma secondo il professor della University of Seoul Andrei Lankov, intervistato dalla Bbc, rispetto ai cittadini di paesi con un reddito pro capite analogo, come Bangladesh e varie nazioni africane, in generale lo stato di salute dei nordcoreani è migliore: “Le aspettative di vita in Corea del Nord sono ben oltre la media considerato il livello di povertà”.

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]

giovedì 23 novembre 2017

In Cina e Asia



Crisi rohingya: per gli Usa è “pulizia etnica”


Il trattamento riservato dai militari alla minoranza rohingya è a tutti gli effetti “pulizia etnica”. Lo ha dichiarato ieri Rex Tillerson spiegando che “questi abusi da parte di alcuni dell’esercito birmano, delle forze di sicurezza e dei vigilantes locali hanno causato tremende sofferenze e costretto centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini a fuggire dalle loro case in Birmania per cercare rifugio in Bangladesh”. Si tratta di una presa di posizione nell’aria da tempo. Durante la sua recente visita in Mynamar il segretario di Stato Usa si era trattenuto dall’usare il termine “pulizia etnica”, ma aveva minacciato l’introduzione di sanzioni mirate una volta appurata l’identità dei colpevoli. Secondo Tillerson la risoluzione della crisi, che ha già visto oltre 600mila rohingya lasciare il paese, è un requisito di fondamentale importanza per il riconoscimento di una transizione democratica del Myanmar.

Contemporaneamente, a Pechino, il generale Li Zuocheng rinnovava al collega birmano Min Aung Hlaing l’appoggio del gigante asiatico “davanti alla complessa e mutabile situazione sulla sicurezza regionale”: “la Cina desidera maggiori contatti tra le due forze armate nella formazione, e scambi tecnici più approfonditi per promuovere la cooperazione di difesa delle frontiere assicurando pace e stabilità lungo il loro confine comune”. Per Pechino la situazione è doppiamente sensibile. Non solo ricorda terribilmente i tentativi di sommersione etnica introdotti in Tibet e Xinjiang, ma rischia anche di minare gli investimenti economici iniettati negli ultimi anni nello stato Rakhine per via della sua posizione strategica nel Mare delle Andamane.

Vietato visitare il Vaticano
Pechino ha dato indicazioni perché nessuna agenzia di viaggio cinese mandi gruppi di turisti a visitare il Vaticano e la basilica di san Pietro adducendo come motivo la mancanza di relazioni diplomatiche tra la Cina e la Santa Sede. La direttiva, resa nota da Radio Free Asia, è stata diramata il 16 novembre e risulta confermata dall’agenzia di stampa vaticana ufficiale Asia News. Secondo un impiegato della Phoenix Holidays International Travel Agency, “ogni agenzia turistica che faccia pubblicità a queste destinazioni nelle sue brochure promozionali o in altre pubblicazioni sarà colpita da multe fino a 300mila yuan (oltre 39mila euro). La misura sembra volta ad arginare i contatti tra i turisti della laica Repubblica popolare, in crescita esponenziale, e la comunità cristiana che vive in Italia. La ripresa dei dialoghi fra la Cina e la Santa Sede ha accresciuto il flusso dei turisti-pellegrini e lo stesso papa Francesco, durante le sue udienze, si è volentieri soffermato vicino a gruppi di cinesi che sventolavano la loro bandiera rossa per salutarli personalmente e offrirsi per un selfie. Da qualche tempo Pechino e il Vaticano — che intrattiene rapporti diplomatici con Taiwan — hanno ripreso i colloqui per risolvere la questione delle nomine vescovili. E c’è chi ritiene che il bando sul turismo possa servire da incentivo ad accettare le condizioni avanzate dal governo cinese.

La lotta contro l’inquinamento lascia il Nord della Cina al gelo

La conversione verso le fonti energetiche pulite sta lasciando milioni di cinesi al gelo. Dallo scorso agosto, il governo cinese ha investito decine di miliardi di yuan in un grande progetto che prevede l’installazione di attrezzature, la costruzione di migliaia di chilometri di condotte e l’elargizione di sovvenzioni per coprire gli alti costi del gas. Stando alle promesse del ministero della Protezione ambientali, nei primi dieci mesi dell’anno tre milioni di abitazione nell’area di Pechino, Tianjin e dello Hebei sarebbero dovute essere rifornite di riscaldamenti elettrici o a gas. Ma mentre la temperatura è già scesa sotto lo zero, i ritardi nella costruzione delle infrastrutture necessarie e la carenza delle scorte ha di fatto lasciato buona parte della popolazione senza carbone e senza gas. Secondo la National Development and Reform Commission, il consumo di gas è salito del 15,2% su base annua a fronte di un aumento delle importazioni del 17,9%.

Tirocinanti 11 ore in fabbrica ad assemblare iPhone X

La Apple ha ammesso l’impiego di tirocinanti tra i 17 e i 19 anni presso uno stabilimento della Hon Hai Precision Industry, ovvero del gruppo Foxconn balzato alle cronache nel 2010 per un’ondata di suicidi. In fabbrica per l’usuale praticantato di tre mesi propedeutico al diploma, gli studenti della Zhengzhou Urban Rail Transit School si sarebbero sottoposti — su consiglio degli insegnanti — a orari di lavoro ben più duri (11 ore al giorno) rispetto a quanto consentito dalla legge cinese: 40 ore settimanali. “Abbiamo esaminato tutti questi casi e confermiamo che, mentre tutto il lavoro era volontario e compensato in modo appropriato, gli stagisti hanno fatto gli straordinari in violazione alla nostra politica”. Ma secondo Li Qiang, fondatore di China Labour Watch, “in definitiva, si tratta di esigenze di produzione. La Apple sapeva tutto da un paio di settimane fa, ma non aveva fatto nulla per risolvere la questione.” D’altronde i noti problemi di produzione registrati dal nuovo iPhone, relativamente all’approvvigionamento dei componenti, sono costati a Hon Hai un crollo del 39% negli incassi tra luglio e settembre. Nonostante un generico miglioramento, le condizioni di lavoro in Cina sono ancora bersaglio di critiche. Mercoledì Jiang Tianyong, noto avvocato per la difesa dei diritti umani, è stato condannato a due anni di prigione con l’accusa di sovversione, mentre all’inizio di quest’anno tre attivisti sono stati trattenuti dalla polizia per le loro indagini su una fabbrica di scarpe che riforniva il brand di Ivanka Trump.

Tencent vale più di Facebook — anche grazie alla censura


Il colosso tecnologico Tencent ha raggiunto un valore di mercato superiore ai 500 miliardi di dollari, diventando la prima azienda cinese a tagliare l’ambito traguardo. Questo vuol dire che la compagnia di Ma Huateng ha scavalcato il colosso dell’e-commerce Alibaba (474 miliardi) e Facebook (522 miliardi), andando ad ampliare la rosa già composta da Apple, Alphabet, Microsoft e Amazon. Proprio come Alibaba, negli ultimi anni Tencent ha ampliato il proprio business passando dalla piattaforma di messaggistica Wechat ad altri servizi, dai pagamenti online e le news fino ai videogame, che da soli hanno fruttato 5 miliardi di dollari soltanto nell’ultimo trimestre grazie al successone Honour Of Kings. E’ proprio grazie alla propria versatilità che Tencent è riuscita a inserirsi in modo pervasivo nella vita quotidiana dei cinesi, con la complicità del governo e dei molti paletti imposti alle società straniere operanti in Cina. Di queste ore la notizia che la società cinese ha ottenuto i diritti esclusivi per portare oltre Muraglia Playerunknown’s Battleground, il gioco più venduto al mondo di produzione sudcoreana. Ma a una condizione: che i contenuti “vengano adattati ai valori socialisti e alla cultura e tradizione cinese”. Quella di armonizzare i propri prodotti per aggirare la censura è la stessa strategia usata dal competitor NetEase Inc, che appena pochi giorni fa ha introdotto sullo sfondo dei suoi giochi di sopravvivenza striscioni con su scritto “salvaguardare la sicurezza nazionale, salvaguardare la pace nel mondo”.

Seul valuta l’interruzione delle esercitazioni militare con gli Usa


La Corea del Sud potrebbe decidere di interrompere le esercitazioni congiunte con gli Stati uniti a partire dal prossimo anno. Motivo? proteggere il paese da ulteriori provocazioni nordcoreane in previsioni delle Olimpiadi invernali che si terranno dal 9 al 25 febbraio a Pyeongchang. Secondo l’agenzia sudcoreana Yonhap, le decisione è nell’aria “da molto tempo” dal momento che Pyongyang ha sempre descritto le operazioni con gli Stati uniti “prove ufficiali” per un’invasione del Nord. La notizia arriva a poche ore dalla reintroduzione della Corea del Nord tra gli sponsor del terrorismo, decisione assunta da Trump e accolta con moderato supporto da Seul che ha specificato di essere favorevole nella misura in cui serva a ottenere la denuclearizzazione della penisola con mezzi pacifici. Questo, tuttavia, non ha impedito all’alleato americano di riavvicinarsi alla Cina nel corso di una serie di incontri tra i rispettivi vertici con la promessa di mantenere la linea dei “tre no”: nessun dispiegamento aggiuntivo del sistema antimissile THAAD, nessuna partecipazione al network di difesa missilistica degli Stati Uniti; nessuna creazione di un’alleanza militare trilaterale con Stati Uniti e Giappone. Un’interruzione delle esercitazioni Corea del Sud-Usa verrebbe proprio incontro alle richieste di Pechino, fautrice di una soluzione della crisi attraverso la “doppia sospensione” delle attività militari americane nella regione e dello sviluppo nucleare nordcoreano. Bocciata invece l’inasprimento delle sanzioni unilaterali aggiunte martedì da Washington contro le attività commerciali del Nord. Le sanzioni, che coinvolgono anche diverse società cinesi, stando alla Cina, sono “un metodo sbagliato per esercitare la propria giurisdizione sugli altri paesi”.

(Pubblicato su China Files)

lunedì 20 novembre 2017

In Cina e Asia


 Pechino pronto a risolvere la crisi dei rohingya

Pechino ha pronto un piano in tre step per risolvere la crisi dei rohingya: proclamazione di un cessate il fuoco per ristabilire l’ordine; promozione delle negoziazioni bilaterali tra Bangladesh e Myanmar; sviluppo economico dello stato Rakhine attraverso gli investimenti internazionali. La roadmap è stata presentata nel weekend dal ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in visita in Myanmar per l’Asia-Europe Meeting. Wang, che ha incontrato Aung San Suu Kyi, il presidente birmano Htin Kyaw e il capo dei militari Min Aung Hlaing, durante una prima tappa in Bangladesh aveva affermato che “la comunità internazionale non deve complicare la situazione”, alludendo alle critiche mosse dai governi stranieri e dalle organizzazione per la difesa dei diritti umani contro il governo della “Lady”, considerato troppo tollerante nei confronti delle maniere forti adottate dall’esercito per pacificare lo stato Rakhine. Secondo Wang, “lo stato Rakhine ha bisogno di sviluppo economico. E la Cina è pronta ad aiutare”. Negli ultimi anni, Pechino ha investito miliardi di dollari nell’area colpita dagli scontri etnici tra buddhisti e musulmani per la costruzione di un porto di acque profonde e una zona economica speciale. Lo scorso aprile, è entrato in funzione il tanto atteso oleodotto che pompa petrolio da Africa e Medio Oriente fino alla provincia cinese dello Yunnan facendo scalo proprio nello stato Rakhine.

Hong Kong: una persona su cinque è poverissima

Secondo l’Hong Kong Poverty Situation report, lo scorso anno 1,35 milioni di persone — ovvero il 19,9% della popolazione locale — vivevano sotto la soglia di povertà, uno 0,2% in più su base annua, nonché il livello più alto dal 2009. La soglia di povertà, fissata a metà del reddito familiare mensile medio, è di HK $ 4.000 per le famiglie composte da una persona, HK $ 9.000 per quelle di due e HK $ 15.000 per le famiglie composte da tre persone. Come spiega il Chief Secretary, Matthew Cheung, il fenomeno è da leggersi alla luce dal rapido invecchiamento della popolazione e della tendenza che vede sempre più persone anziane costrette a vivere autonomamente dal resto della famiglia. Abitare nella regione amministrativa speciale è di anno in anno più dispendioso. Lo scorso, luglio i prezzi delle case hanno superato del 40% il picco raggiunto nel 1997, l’anno del ritorno alla mainland.

La lunga mano del Pcc sulle università straniere


Pechino ha ordinato alle joint venture accademiche sino-straniere di istituire unità di partito e garantire ai funzionari comunisti un ruolo decisionale negli affari interni degli istituti. Le direttive, emesse dal ministero dell’Istruzione, interessano le oltre 2.000 università d’oltre Muraglia soggette a investimenti esteri lanciate dal 2003 a oggi, alcune con campus indipendenti (come la New York University di Shanghai) altre ospitate all’interno di strutture locali, come la University of Pittsburgh, che sorge all’interno della Shanghai Jiao Tong University.

Secondo fonti del Financial Times, i segretari di partito di ciascuna joint venture riceveranno lo status di vice-cancelliere e un seggio nel consiglio di amministrazione. La decisione, ventilata da mesi e ufficializzata dopo la fine del 19esimo Congresso, si inserisce nel novero di una serie di picconate contro la libertà accademica. Da quando Xi Jinping ha assunto la guida del paese cinque anni fa, il partito ha esteso la propria ingerenza sull’istruzione, varando curricula ideologici e rimuovendo docenti ritenuti troppo liberali.

Hong Kong come via di fuga dalle sanzioni

Secondo un’inchiesta di Financial Times, sono almeno 16 le entità ancora registrate a Hong Kong facenti capo a società sanzionate dal Tesoro americano per i loro rapporti con il regime di Pyongyang. Tra queste c’è Mingzheng International Trading, accusata di agire come società di comodo per la banca statale nordcoreana Foreign Trade Bank, coinvolta nel programma nucleare di Kim Jong-un. Proprio questo mese Washington, per la prima volta, ha escluso un istituto di credito cinese (Bank of Dandong) dai propri circuiti finanziari in quanto sospettato di ripulire fondi illeciti per conto del Regno eremita. Sette delle compagnie ancora attive nell’ex colonia britannica sono registrate a nome di tre dirigenti del gruppo cinese Dandong Hongxiang Industrial Development, sottoposto a sanzioni lo scorso anno. Il fatto è che, mentre è tenuta a osservare le risoluzioni Onu, Hong Kong non ha obblighi per quanto riguarda i provvedimenti assunti indipendentemente dagli Stati Uniti. E’ così che molte delle navi cargo coinvolte nel trasporto di merci coperte dalle sanzioni operano proprio attraverso Hong Kong, talvolta grazie a prestanomi cinesi. Secondo il gruppo di ricerca C4ADS, delle 248 società operanti con Pyongyang prese in esame, 160 risultavano registrate nella regione amministrativa speciale.

Thailandia: detenuti uiguri in fuga

Venticinque uiguri sono fuggiti da una prigione al confine tra la Thailandia e la Malaysia, scavando un buco nel muro della loro cella con delle piastrelle rotte e poi calandosi con delle coperte. Cinque fuggitivi sono stati ripresi dalle autorità mentre gli altri venti sono ancora a piede libero. Si tratterebbe dell’ultima tranche degli oltre 350 uiguri arrestati nel 2014 mentre tentavano la fuga dalla regione autonoma cinese dello Xinjiang attraverso il Sudest asiatico spacciandosi per cittadini turchi; più di 100 furono rimpatriati in Cina l’anno dopo, mentre a 175 fu concesso di partire per la Turchia. Pochi mesi dopo una serie di attacchi dinamitardi attribuiti a due uiguri — ancora a processo — colpirono Bangkok. Gli esperti sono piuttosto propensi a ritenere gli attentati una vendetta contro la deportazione di massa.

(Pubblicato su China Files)

domenica 19 novembre 2017

Weekly News Roundup: Dispatches from the Silk Road Economic Belt


Transport: Yiwu-Madrid freight route boosts EU-China trade
Tow villagers display local wine to be transported by the Yiwu-Madrid freight train at a vineyard in Valladolid, Spain, 24 Sept. 2017. The Yiwu-Madrid freight route linking Zhejiang's Yiwu, the world's largest wholesale market for small consumer goods, with the European commodity center of Madrid through northwest China's Xinjiang Uygur Autonomous Region, was launched in November of 2014. Xinhua (image: Xinhua) First trial freight train from China arrives in Slovakia: The first trial freight train arrived at the cargo port in Bratislava, the capital of Slovakia, on 13 November. The train's journey from the Chinese city of Dalian via Russia and Ukraine lasted 17 days. It is carrying goods worth over three million USD for customers throughout Central Europe. "It is a significant event for Slovakia. I think we'll not stay just in the trial operation, but we'll go further in this," said Arpad Ersek, Minister of Transport and Construction of Slovak Republic. (Xinhua)

China section of transcontinental expressway opens to traffic
The Chinese section of a transcontinental expressway project set to link western China with Western Europe has opened to traffic.A key part of the project, a 10-km section of road in the border city of Horgos in Xinjiang Uygur Autonomous Region, which connects a quarantine area with the Lianyungang-Horgos expressway, came into use on Saturday, marking the across-the-board opening of the expressway in China. (China Daily)

How the Belt and Road Project Fills a Global Governance Vacuum
Flagship development initiative provides leadership in areas where the West has withdrawn, says professor of Shanghai’s new OBOR-focused institute. (sixthtone)

Security clampdown bites in China’s Xinjiang region

Centuries ago merchants criss-crossed the deserts of Xinjiang, a crucial link for Silk Road trade into Central Asia and beyond. Today the Chinese region is in a state of virtual lockdown after the introduction of a sweeping new security regime that has affected virtually every aspect of daily life. The clampdown is unsettling not only the majority-Muslim Uighurs who have long been discriminated against in China’s westernmost region — the Han Chinese on track to displace them as the dominant ethnic group are also beginning to worry. (FT)

Has scrapped US$2.5 billion Nepal hydro dam deal with Chinese state firm hurt Beijing’s Himalayan ambitions?
Nepal has scrapped a US$2.5 billion (S$3.4 billion) deal with China Gezhouba Group Corporation to build the country's biggest hydropower plant, citing lapses in the award process, the energy minister said."The cabinet has cancelled the irregular ... agreement with Gezhouba Group to build the Budhi Gandaki hydroelectric project," Energy Minister Kamal Thapa, who is also the country's deputy prime minister, said on Monday (Nov 13) in a twitter post in Nepali after a cabinet meeting. He did not give further details. (straitstimes)

How Nepal’s cancelled dam scheme highlights country’s big debate: ally with India or China?

The question of whether Nepal should go ahead with plans to build a dam with a Chinese firm has become entwined in the wider debate about whether the country should align itself with India or China. (Scmp)


Pakistan pulls plug on dam deal over China’s ‘too strict’ conditions in latest blow to Belt and Road plans
Pakistan has decided to cancel a US$14 billion infrastructure agreement with China because it could not accept the hyper strict conditions, local media reported, in another setback to Beijing’s overseas ambitions. (scmp)


Uyghur Migrant Life in the City During the “People’s War”
This is the first of a two-part series that first appeared in Youth Circulations . The series written by Darren Byler, with photographers Nicola Zolin and Eleanor Moseman, documents how the bodies of migrants are marked, just as their communities are erased, in the often unconsidered spaces of China's "People's War on Terror." (art of life in chinese central asia)



CENTRAL ASIA

IMF advises Turkmenistan to continue reducing government spending
A representatives of the IMF stated that the economy of Turkmenistan is gradually adapting to the existence of lower prices for oil and natural gas. However, they noted that it needs to implement further measures for "macro-economic adjustment." (Ferghana News)

When An Anticorruption Campaign Isn't About Fighting Corruption
Anticorruption campaigns in Central Asia, and investigations into corruption there in general, are fascinating to observe.They are so seldom about actually fighting corruption.Corruption is a huge problem in Central Asia and authorities have regularly declared new battles against it. (Rferl)

Leaks Unveil Kazakh Officials with Offshore Links
The Paradise Papers leak shows that Sauat Mynbayev, a key in Kazakhstan’s energy sector, could have conspired to hide millions in offshore havens. (The Diplomat)

Russia Tacitly Entices Uzbekistan With Benefits of EEU, CSTO Membership
Since President Shavkat Mirziyaev’s state visit to Moscow in April 2017, bilateral relations between his country of Uzbekistan and Russia have been steadily expanding. And the frequency of subsequent bilateral exchanges suggests that this trend will most likely continue with the full support of both governments (RIA Novosti, November 2). This “new phase in Uzbek-Russian relations” was cemented during Russian Prime Minister Dmitry Medvedev’s recent official trip to Uzbekistan, on November 2–3. Between January and August 2017, 18.5 percent of Uzbekistan’s foreign trade turnover was with Russia. The latter country has regained its status as Uzbekistan’s largest trading partner, which was briefly lost to China in the recent past (Interfax, November 2). (Jametown foundation)

Controversial Railway Project Consolidates China’s Foothold in Central Asia
On November 5, a cargo train from Kokshetau, North Kazakhstan, carrying 30 containers of wheat, arrived in the Turkish harbor city of Mersin, on the Mediterranean coast. What made this event so notable was that this was the first train from Kazakhstan to use the new 826-kilometer-long Baku-Tbilisi-Kars (BTK) railway, inaugurated in the Azerbaijani capital city of Baku, on October 30. The ceremony in Kokshetau was attended by the presidents of Turkey and Azerbaijan, Recep Tayip Erdoğan and Ilham Aliyev, respectively. These heads of state were also accompanied by the prime ministers of Kazakhstan, Uzbekistan and Georgia— Bakytzhan Sagintayev, Abdulla Aripov and Giorgi Kvirikashvili (Inform.kz, November 5). (jamestown)

Majlis Podcast: People Continue To Disappear In Turkmenistan
In this latest session of the Majlis, we revisit the topic of rights abuses in Turkmenistan. Specifically, we'll be looking at the plight of those who have been imprisoned and not been heard from since. International rights groups Crude Accountability and Human Rights Watch are cosponsors of a campaign called Prove They Are Alive, which calls on authorities in Turkmenistan to show that people kept in prisons are still alive and in good health. (rferl)

venerdì 17 novembre 2017

In Cina e Asia



Commissione Usa: i giornalisti cinesi come spie

Portano avanti attività di spionaggio e propaganda e pertanto vanno trattati come agenti stranieri. Nel presentare il suo rapporto annuale al Congresso, la U.S. China Economic and Security Review Commission si è scagliata contro i reporter d’oltre Muraglia. A finire nel mirino è sopratutto l’agenzia ufficiale Xinhua, definita “un’agenzia di intelligence incaricata di raccogliere informazioni e produrre rapporti classificati per la leadership cinese su eventi sia nazionali che internazionali”. Secondo le raccomandazioni della Commissione, le attività dei giornalisti andrebbero gestite sulla base del Foreign Agents Registration Act, legge del 1938 che richiede a partiti politici, governi e lobbisti stranieri di registrasi presso il Dipartimento di Giustizia. In fase di riforma bipartisan, una volta emendato l’Act — che ha già colpito i media russi — potrebbe venire incontro alle richieste della Commissione, che tuttavia non hanno forza di legge. Da tempo gli Stati Uniti lamentano la mancanza di reciprocità nel settore dell’informazione: mentre Pechino continua a moltiplicare gli araldi del proprio soft power all’estero, i corrispondenti americani in Cina si vedono sempre più spesso negare il rinnovo del visto o l’accesso a importanti eventi politici.

Nello stesso rapporto, la USCC ha invitato il Congresso a bloccare l’acquisto di assets da parte delle aziende statali (SOEs) e dei fondi sovrani cinesi, sopratutto quando in gioco ci sono “tecnologie o infrastrutture critiche” L’avvertimento è in linea con un progetto di legge al vaglio del Congresso che punta a inasprire il processo di revisione e approvazione degli investimenti esteri da parte del US Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS). Camera e senato voteranno la legge a gennaio.

Trattenuti 30 parenti della leader uigura Rebya Kadeer

Pechino ha preso in custodia una trentina di parenti di Rebiya Kadeer, la leader della resistenza uigura contro la sommersione etnica guidata da Pechino. A riferirlo è Amnesty International, secondo cui fratelli, sorelle, figli e nipoti della Kadeer sarebbero stati presumibilmente spediti nei centri di “rieducazione” spuntati negli ultimi tempi nello Xinjiang, la regione autonoma della Cina occidentale. Sebbene la versione di Amnesty non sia ancora stata verificata indipendentemente, voci sul proliferare di cosiddette “scuole di educazione professionale” circolano da tempo. O meglio da quando Chen Quanguo è diventato il nuovo autoritario segretario del Xinjiang. Sarebbero circa 2000 i detenuti perlopiù appartenenti ai gruppi minoritari degli uiguri, kazaki e kirghisi, “colpevoli” di avere trasgredito le norme sulla registrazione degli smartphone, di avere parenti all’estero o di essere troppo religiosi.

Ex membro della Conferenza consultiva del popolo, Rebiya Kadeer è stata imprigionata nel 1999 con l’accusa di aver rivelato segreti di stato e rilasciata nel 2005, anno in cui si è trasferita negli Usa da dove continua a portare avanti la sua lotta contro la repressione cinese.

Taiwan destinata a fallire come la Catalogna

Taiwan impari dal fallimento delle pretese indipendentiste della Catalogna. Il monito è giunto ieri per bocca di Ma Xiaoguang, portavoce del Taiwan Affairs Office, l’agenzia responsabile per la fissazione e l’attuazione delle linee guida e delle politiche relative all’ex Formosa. Letteralmente: “Il fallimento del referendum della Catalogna dimostra che la tutela del sovranità nazionale e dell’integrità territoriale è un interesse nazionale di primaria importanza per est o ovest. Per questo anche Taiwan è destinata a fallire”. Nei giorni scorsi Pechino ha espresso a più riprese piena solidarietà nei confronti di Madrid, a cui la leadership cinese si sente vicina per via delle similitudini con le questioni tibetana, xinjianese e taiwanese. Ma mentre le prime due sono più facilmente gestibili in casa propria, le velleità indipendentiste di Taipei hanno implicazioni più ampie. Secondo quanto affermato da Xi Jinping durante la visita di Trump oltre la Muraglia, Taiwan continua ad essere la spina nel fianco delle relazioni sino-americane. Da quando la filoindipendentista Tsai Ing-wen ha assunto la guida dell’isola, Pechino ha sfoderato tutte le sue armi diplomatiche per isolare Taipei dalla comunità internazionale. Proprio pochi giorni fa, la Repubblica di Cina si è vista chiudere le porte di un meeting sui cambiamenti climatici tenutosi in Germania.

Il colpo di stato in Zimbabwe non rallenterà l’avanzata cinese in Africa


I rapporti tra Pechino e lo Zimbabwe rimarranno solidi nonostante il golpe “pacifico” con cui i militari hanno sovvertito il governo del 93enne Robert Mugabe. E’ quanto previsto dagli analisti consultati dal Scmp. La Cina è la prima fonte di valuta estera nonché principale partner commerciale di Harare. Oltre ad addestra e rifornire lo Zimbabwe di armi, ha investito nella costruzione di scuole, ospedali, centrali elettriche e uffici governativi. Tant’è che durante una visita di stato nel 2015, Xi Jinping ha definito il paese africano “un amico per tutti i tempi”. Appena pochi giorni fa il generale Constantino Chiwenga, capo dell’esercito, era stato a Pechino per un “normale scambio militare come accordato tra i due paesi”. Mentre è improbabile che la leadership cinese sia stata informata sulle macchinazioni delle forze armate, la fine di un governo percorso da continue tensioni politiche è sicuramente di conforto per il business d’oltre Muraglia.

Human Rights Watch condanna la terapia di “conversione sessuale”

In un rapporto, realizzato sulla base di 17 testimonianze, HRW descrive la pratica di “conversione sessuale” a cui sono sottoposti omosessuali e bisessuali — spesso per volere delle famiglie — in ospedali pubblici e cliniche private cinesi. La terapia, che comprende la somministrazione di farmaci e in almeno cinque casi accertati l’imposizione di elettroschock, viola la Mental Health Law del 2013, in base alla quale le strutture mediche non possono ammettere il ricovero di persone a cui non sia stato diagnosticato un qualche disturbo mentale. Oltre la Muraglia, l’omosessualità è stata declassificata come malattia mentale nel 2001, ma tutt’oggi la comunità LGBT cinese — che vanta 70 milioni di membri — non ha vita facile. Un sondaggio condotto lo scorso anno dal United Nations Development Programme su 300mila soggetti attesta che circa la metà dei rispondenti è stata vittima di discriminazioni legate all’orientamento sessuale.

Crisi rohingya: Tillerson chiede chiarezza

Al momento “non è consigliabile” sottoporre il Myanmar al peso di nuove sanzioni economiche. Tuttavia, è necessario effettuare investigazioni “credibili” sulle “atrocità commesse dalle forze di sicurezza e dai vigilantes durante le recenti violenze nello stato Rakhine”; i responsabili potrebbero essere sottoposti a pene mirate. E’ quanto dichiarato dal segretario di Stato americano Rex Tillerson durante i colloqui avuti mercoledì con il generale Min Aung Hlaing e Aung San Suu Kyi, la leader di fatto costretta dalla costituzione a governare in tandem con i militari. La visita di Tillerson in Birmania arriva a stretto giro dalla pubblicazione di un controverso report interno, in cui il Tatmadw (l’esercito) viene assolto da qualsiasi responsabilità nella crisi umanitaria dei rohingya in corso nello stato nord-occidentale del paese. Negli ultimi anni solo raramente i militari hanno ammesso la colpevolezza di alcune “mele marce” in casi di stupro e land grabbing. A maggior ragione la sospensione del capo del Comando occidentale — che opera nello stato Rakhine — annunciata a inizio settimana è una notizia potenzialmente esplosiva. Nessuna spiegazione è stata fornita sulla ragione del “prepensionamento” del generale maggiore Maung Maung Soe, finito tra le riserve. Ma ci sono evidenti possibilità che sia da collegare alle violenze dell’ultimo anno.

Intanto, la testimonianza di un militante fuggito in Bangladesh fa luce sull’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), il gruppo armato dietro gli ultimi assalti contro le forze dell’ordine. Secondo il 28enne — che smentisce qualsiasi legame con il terrorismo internazionale — 5mila guerriglieri dell’Arsa il 25 agosto hanno preso parte a quella che egli definisce “un’insurrezione organizzata”: “ogni compagnia comprendeva tra i 500 ed i 1000 Rohingya armati di bastoni e coltelli, insieme ad una manciata di squadre addestrate che avevano pistole e bombe a mano”. Almeno 150 di loro avrebbero trovato rifugio nei 15 campi profughi di Cox’s Bazar, in Bangladesh.

mercoledì 15 novembre 2017

Tpp, l’intesa sopravvive anche senza Usa


La Trans-Pacific Partnership (TPP) sopravviverà anche senza gli Usa. Ma con un nuovo nome: Comprehensive and Progressive Agreement for the TPP (CPTPP). Un’intesa di massima sul nuovo accordo  è stata raggiunta nel weekend, a margine del vertice Apec di Danang (Vietnam), dopo tre giorni di tribolate consultazioni a livello ministeriale tra gli 11 Paesi superstiti (Giappone, Australia, Canada, Messico, Singapore, Malaysia, Vietnam, Cile, Perù, Nuova Zelanda e Brunei). Secondo quanto affermato dal ministro del Commercio e dell’industria vietnamita Tran Tuan Anh, il trattato conserverà elevati standard commerciali e ambientali sebbene si procederà alla sospensione di 20 disposizioni, di cui 11 riguardanti la proprietà intellettuale .

La firma finale potrebbe arrivare già il prossimo anno, una volta raggiunta l’intesa su quattro aree ancora da definire, mentre occorrerà attendere la ratifica di almeno sei Paesi perché l’accordo entri pienamente in vigore. “C’è ancora molto lavoro da sbrigare, ma parecchi progressi sono stati fatti quest’oggi”, ha commentato il ministro del Commercio canadese Francois-Philippe Champagne, citando l’automotive e la protezione dei posti di lavoro tra i nodi insoluti. Proprio le resistenze di Ottawa – già alle prese con il NAFTA – e l’accidentale defezione del premier Justin Trudeau hanno rischiato di far deragliare i colloqui.

Anche se ritoccata e ribattezzata, in linea di principio, la partnership si impegna a mantenere validi i principi raggiunti nel febbraio 2016, quando a guidare le negoziazioni dell’allora TPP c’era ancora Washington. L’idea di fondo è quella di un mercato comune sulla falsariga dell’Unione Europea, in cui il consolidamento dei legami economici tra i Paesi firmatari avviene attraverso il taglio dei costi delle esportazioni e l’eliminazione delle tariffe sui prodotti industriali e agricoli. Ma per Donald Trump, che ha inserito il ritiro degli Stati Uniti tra le sue priorità da presidente, l’accordo mette a rischio posti di lavoro in America e implica uno spostamento della produzione verso i mercati emergenti.

“Continueremo ad andare avanti, ma saremo ben felici di accogliere nuovamente gli Stati Uniti se decideranno di tornare indietro”, ha affermato Ichiro Fujisaki, ex ambasciatore nipponico a Washington, ribadendo l’impegno del Giappone (l’economia numero uno dei superstiti “Ocean’s Eleven”) nel farsi promotore delle future contrattazioni.

Senza la superpotenza, l’accordo – che rimane ugualmente il più imponente della storia – vede alleggerirsi il proprio peso a livello globale, arrivando a contare per il 13,5% del Pil mondiale, rispetto al 40% vagheggiato originariamente. Mentre la semplice sospensione del capitolo su copyright e IP – fortemente voluto dalla precedente amministrazione – lascia potenzialmente spazio a un reinserimento degli States, il nuovo inquilino della Casa Bianca non sembra nemmeno lontanamente intenzionato a valutare tale possibilità. Rinnegando la passata partecipazione americana alle sinergie multilaterali, Donald Trump ha ribadito alla platea Apec che gli Stati Uniti non tollereranno più di “essere sfruttati a vantaggio di altri” attraverso l’apertura del proprio mercato senza precondizioni.

Un discorso dalle sfumature protezionistiche a cui il presidente cinese Xi Jinping ha risposto rinnovando l’impegno dell’ex Celeste Impero nel sostenere un mondo multipolare sempre più aperto e globalizzato. La competizione tra le due sponde del Pacifico non potrebbe essere più agguerrita. Da anni, Pechino ha in cantiere una propria versione della TPP, la Regional Comprehensive Economic Partnership, che ingloba sette membri del trattato trans-pacifico e, secondo la legge del contrappasso, ignora la prima economia mondiale.

Secondo l’ex viceministro del Commercio Wei Jianguo, il peso dell’economia cinese (che conta per il 15% del Pil globale) renderà innocue le ripercussioni di una possibile finalizzazione della nuova TPP a 11. In compenso, gli Usa perdono quello che fino allo scorso anno è stato considerato il “Cavallo di Troia” del “Pivot to Asia” statunitense, lanciando in pasto agli alleati asiatici l’evanescente idea di una partnership “dell’Indo-Pacifico”, in cui – almeno idealmente – le democrazie regionali (Usa, India, Giappone e Australia) acquistano prominenza a discapito della Cina (vero fulcro dell’Asia-Pacifico).

Tra gli altri player del quadrante domina l’incertezza. Il vertice Apec si è concluso sabato con una dichiarazione congiunta in cui si auspica non solo una maggiore apertura dei mercati ma anche una correzione delle “pratiche commerciali sleali”, la sospensione dei sussidi statali e un miglioramento della funzione della World Trade Organisation’s (WTO) nella risoluzione delle controversie . Un raro compromesso che, malgrado tutto, strizza l’occhio alle richieste di Trump. Perché se il lunatico presidente americano ispira poca fiducia, l’idea di un ordine globale interamente plasmato da Pechino è fonte di anche maggiori preoccupazioni.

(Pubblicato su Il Fatto quotidiano online)

Quanto è pericoloso un selfie tra “barbari”



La strada che divide Lanzhou, capitale della provincia centro-settentrionale del Gansu, da Linxia costeggia terrazzamenti agricoli, le sabbiose pendici dell’altopiano del loess e una distesa interminabile di moschee: centinaia di moschee, sormontate da cupole arabeggianti o coperte dai tipici tetti spioventi mutuati dalla tradizione cinese. Poi il pullman comincia a salire e le mezze lune cedono il posto alle variopinte bandiere della preghiera tibetane e alle sommità dorate dei monasteri buddhisti. Appena un centinaio di chilometri separano la “piccola Mecca cinese” dalla nostra destinazione finale. Ma è completamente un’altra Cina quella che ci accoglie a Xiahe, cittadina a 3000 metri sul livello del mare, sede fin dai primi anni del XVIII secolo della più grande struttura buddhista dell’Amdo, una delle tre regioni culturali tibetane oggi collocata fuori dai confini della regione autonoma (TAR), in quello che si è soliti chiamare “Tibet storico”. Un Tibet più tollerante nei confronti dei visitatori stranieri e della libertà di culto di quanto non lo sia Lhasa, epicentro degli scontri tra han (l’etnia maggioritaria cinese) e tibetani che nel 2008 costarono la vita a decine di persone.

Qui i cartelloni propagandistici inneggianti all’armonia interetnica che tappezzano la musulmana Lanzhou vengono sovrastati dai colorati mandala realizzati sul momento nei piccoli laboratori artistici che circondano il monastero di Labrang, il cuore pulsante di Xiahe. Un modesto presidio della polizia, mirato allo smaltimento del traffico più che all’ordine pubblico, ci rammenta che le tensioni etniche registrate negli scorsi anni sono ormai sopite. Tanto da permettere ai negozianti locali di esporre immagini del Dalai Lama — un “secessionista” secondo Pechino — con l’implicito endorsement delle autorità locali.

Percorrendo verso est la Renmin Jie, l’arteria che attraversa la città, fa capolino tra i palazzi una vecchia moschea del XIX secolo pensata per accogliere la comunità musulmana degli hui, qui confluita in seguito all’ondata migratoria in arrivo da Linxia due secoli fa. Sottoposto negli anni a numerose ristrutturazioni, oggi dell’edifico originario non resta che il minareto, mentre ruspe e transenne preannunciano la nascita di un complesso nuovo di zecca.

Discendenti sinizzati dei commercianti arabi giunti nell’ex Celeste Impero lungo l’antica Via della Seta, nel passaggio dall’impero alla repubblica, gli hui si sono prestati al ruolo di intermediari politici e culturali tra i popoli di frontiera, fautori dei grandi movimenti separatisti della storia cinese e il governo centrale. Tutt’oggi vengono considerati la “faccia buona” dell’Islam d’oltre Muraglia in contrapposizione alla problematica etnia turcofona degli uiguri, concentrata nella vicina regione autonoma dello Xinjiang e ritenuta responsabile di una serie di attacchi terroristici avvenuti in varie parti del paese a partire dagli anni ’90. A Xiahe — dove gli hui rappresentano soltanto il 10% della popolazione locale in massima parte tibetana — l’uso del velo per le donne è tollerato laddove nello Xinjiang viene severamente bandito per mezzo di una draconiana legge antiterrorismo, che punta a soffocare qualsiasi velleità secessionista.

Gli annali imperiali, tuttavia, ci raccontano un passato turbolento, inframmezzato da insurrezioni sanguinose. Come fa notare Francesca Rosati in “L’Islam in Cina”, i primi a ribellarsi al governo Qing non furono i turchi musulmani bensì i dungan hui, ovvero i musulmani immigrati nello Xinjiang dalle regioni più interne della Cina a seguito delle rivolte islamiche scoppiate nelle vicine province nordoccidentali, i quali lavoravano come commercianti, contadini e militari. Con 10 milioni di vittime, la rivolta dei dungan (1862–1877) — mirata alla creazione di un Emirato islamico cinese nella valle dell’fiume Giallo e nelle regioni di Gansu, Ningxia e Shaanxi -viene considerata la quarta “guerra civile” più cruenta della storia cinese.

Sebbene, negli ultimi anni, l’attenzione dei media internazionali si sia concentrata soprattutto sui travagliati rapporti tra gli han e le altre 55 minzu (etnie) in cui è divisa la popolazione cinese (di cui ben 10 di religione musulmana), non sempre il rapporto tra le varie minoranze è stato contraddistinto da una solidale resistenza contro la sinizzazione forzata con cui Pechino punta a controllare/omologare le “entità aliene” entro i confini del Regno di Mezzo.

Schermaglie tra “barbari” si fanno risalire fino alla dinastia mongola degli Yuan (1271–1368), quando , i musulmani — definiti da Gengis Khan “schiavi” nonostante il loro riposizionamento al vertice dell’amministrazione in chiave anti-han — furono vittime di crudeli discriminazioni, tanto da decidere di appoggiare la ribellione han che portò alla dissoluzione della dinastia mongola e all’avvento dei Ming (1368–1644).

Frizioni tra musulmani — per ragioni dottrinali ed economiche — sono ben documentate in varie epoche storiche. Un vecchio detto uiguro invita a “proteggere la religione, uccidere gli han e distruggere gli hui” tanto che tutt’oggi le due minoranze islamiche praticano in luoghi di culto differenti.

Il Gansu, con la sua storica posizione lungo le rotte carovaniere verso l’Asia Centrale, è sempre stato territorio di incontro/scontro tra popoli differenti. Stando ai racconti di strada, oggi come all’epoca, l’apparente quiete che regna per le strade di Xiahe è una tregua tutt’altro che granitica.

“In generale, la situazione a Labrang e nel Gannan (Gansu meridionale) è tesa seppur meno che in altre zone della Cina”, spiega al Manifesto Paul Nietupski, coautore di “Muslims in Amdo Tibetan Society: Multidisciplinary Approaches” , “il governo centrale sta cercando di ‘modernizzare’ e ‘standardizzare’ ad ogni costo le identità minoritarie in tutto il paese, talvolta attraverso l’imposizione di un immaginario tradizionale, come nel caso del Tempio di Confucio costruito presso le grotte buddhiste di Yungang”

La presenza musulmana a Xiahe è diventata stabile nel 1854, quando il terzo Jamyang (la massima autorità religiosa a Labrang) concesse ad alcune famiglie hui ed han di prendere dimora presso il monastero. Poi, con la cruenta repressione dei regnanti Qing (1644–1911) contro le rivolte islamiche deflagrata a Linxia nel 1885, il numero dei nuovi arrivati in cerca di rifugio e opportunità di scambi commerciali cominciò a crescere rapidamente. Per i forestieri non fu difficile amalgamarsi alla popolazione autoctona, arrivando persino ad accettare l’autorità del Jamyang con offerte, corvée e la richiesta di benedizioni.

“I musulmani in particolare svolgevano tradizionalmente commerci di pellame e carni, e ricoprivano spesso il ruolo di xiejia, un titolo popolare sin dalla dinastia Ming (1368–1644) nell’ambito del commercio di tè e dei cavalli, poi evoluto durante l’epoca Qing nella più poliedrica funzione di collettore delle tasse sul grano dai tibetani per conto del governo, mediatore di dispute legali tra i tibetani (per i quali la lingua cinese non era intelligibile) e le autorità imperiali, censore della popolazione e delle terre, e infine supervisore dei commerci contro il traffico illegale di merci pregiate”.

I primi sintomi di una crescente ostilità tra tibetani e hui cominciarono ad emergere in seguito all’occupazione del monastero di Labrang (1917) da parte di Ma Qi, comandate musulmano, alleato dei nazionalisti del Guomindang, che assoggettò le tribù locali a colpi di mitragliatrice. L’esploratore austriaco Joseph Rock racconta di come le teste di “giovani donne e bambini” furono utilizzate dai conquistatori islamici per decorare gli accampamenti militari. E’ forse anche per questo che, alla vigilia delle Olimpiadi del 2008, le violenze innescate dalle proteste dei monaci buddisti contro le politiche etniche di Pechino non risparmiarono nemmeno i commercianti hui di Lhasa e la loro moschea, in un tutto contro tutti che trascende la semplicistica retorica han vs minoranze etniche tanto in voga sulla stampa occidentale.

“In generale i tibetani e i musulmani di Xiahe tendono a mescolarsi, in parte perché ciò giova agli affari, in parte perché fare altrimenti è molto illegale”, spiega Nietupski, “storicamente, i tibetani di Xiahe sembrano avere coabitato con i musulmani Linxia meglio che con i musulmani di altre aree del paese. Anche qui, tuttavia, permane una tensione latente tenuta sott’occhi dai governati han. Semplicemente, un conflitto aperto tra musulmani e tibetani non sarebbe tollerato”.

Il confine che separa l’espressione religiosa da quella politica è quantomai sottile. Ultimamente, il crescente interesse per un “Islam universale” ha acceso i riflettori sull’eventualità che prima o poi gli hui — proprio come gli uiguri — possano cominciare a considerarsi prima di tutto musulmani, ponendo la loro ‘cinesità’ in secondo piano. Circa 300 hui vivono nella città sacra di Medina, in Arabia Saudita, mentre recentemente, 200 cinesi di origine centro asiatica (soprattutto uiguri), in Egitto per motivo di studio, sono finiti in custodia su richiesta di Pechino. Intanto, avvisaglie di una crescente islamofobia si fanno strada sul web cinese senza distinzione etnica.

La leadership punta ad edulcorare gli animi promettendo alle regioni occidentali una fetta di quel benessere materiale monopolizzato dalle province costiere nelle ultime tre decadi. Tanto il Gansu quanto il Xinjiang sono al centro del colossale progetto con cui la Cina mira a restaurare una nuova Via della Seta attraverso l’Eurasia a base di infrastrutture e scambi commerciali. Ma perché questo avvenga la stabilità è un prerequisito fondamentale, e poco importa se essa sia spontanea o indotta a forza.

“Han, tibetani, hui e uiguri sono una cosa sola”, sostiene convinto un commerciante uiguro trasferitosi nella città-oasi di Dunhuang, 1000 chilometri a nord di Xiahe, per scappare alla “terribile povertà del Xinjiang”. Un ottimismo difficilmente ravvisabile nelle parole di Arafat, venditore di qiegao, tipico dolce xinjiangnese a base di frutta secca. Me ne offre un pezzo mentre mi racconta di come sia fuggito alle restrizioni imposte nella sua città d’origine: controlli all’ingresso dei centri commerciali e divieto di barba per gli uomini e velo per le donne. Poi armato di smartphone spiaccica la sua faccia alla mia. Ci scambiamo i numeri di telefono per condividere quel buffo selfie. Mentre mi cerca invano su WeChat il suo sguardo si fa corrucciato. “Non ti trova. Non ti può trovare”, spiega un passante han incuriosito dalla mia presenza, “gli uiguri non possono comunicare con l’estero. E’ una questione di sicurezza”. Arafat sembra realizzare come quel nostro curioso incontro rischi di costargli guai seri. Con fare concitato cancella il mio numero, il nostro selfie e qualsiasi prova incriminante di quel bizzarro incontro tra “barbari”.

(Scritto per il manifesto)

lunedì 13 novembre 2017

In Cina e Asia



Se la Tpp diventa CPTPP


La Trans-Pacific Partnership sopravviverà anche senza gli USA ma con un nuovo nome: Comprehensive and Progressive Agreement for the TPP(CPTPP). Il nuovo accordo — che prevede la sospensione di 20 disposizioni, perlopiù riguardanti la proprietà intellettuale — verrà siglato una volta raggiunta l’intesa su quattro aree ancora da definire. Questo, tuttavia, non fermerà Pechino dallo sponsorizzare i suoi accordi multilaterali (leggi: Free Trade Area of the Asia-Pacific e Regional Comprehensive Economic Partnership). Il peso dell’economia cinese renderà innocue le ripercussioni di una possibile finalizzazione della nuova TPP a 11, ha affermato l’ex viceministro del Commercio Wei Jianguo. Come dichiarato da Xi Jinping, la posizione di Pechino continua ad essere favorevole nei confronti della globalizzazione e delle relazioni inclusive a dispetto della spinta protezionistica americana. Il vertice Apec si è concluso sabato con una dichiarazione congiunta in cui si auspica non solo una maggiore apertura dei mercati ma anche una correzione delle “pratiche commerciali sleali”, la sospensione dei sussidi statali e un miglioramento della funzione della World Trade Organisation’s (WTO) nella risoluzione delle controversie — in modo da accontentare le richieste di Trump.

Quanto alla nuova strategia di Washington nella regione, Pechino si è detto tranquillo ma desideroso di apprendere meglio cosa comporta l’insistenza dell’amministrazione Trump nel rinominare l’Asia-Pacifico come “Indo-Pacifico”, un termine utilizzato fin dal 2010 dalla marina indiana che punta a riunire Asia Orientale, Asia meridionale e Sudest asiatico sotto lo stesso ombrello.

Incontri


L’Apec ha inoltre fatto da sfondo ad alcuni incontri bilaterali, tra cui il faccia faccia tra Xi Jinping e il presidente sudcoreano Moon Jae-in declinato all’ufficializzazione della distensione tra i due paesi dopo un anno di gelo. Il sistema antimissile Thaad (vero pomo della discordia) e la ripresa del dialogo con Pyongyang mirato alla denuclearizzazione della penisola coreana sono stati tra i temi toccati dai due. Ugualmente cordiale lo scambio con Shinzo Abe, nel corso del quale i due leader si sono impegnati a sancire “un nuovo inizio” per le relazioni Cina-Giappone, in un momento di tensione per la regione scossa dalle provocazioni nordcoreane. All’offerta di reciproche visite di Stato, tuttavia, ha fatto seguito l’incontro tra il premier nipponico e l’inviato taiwanese James Soong. Il meeting è avvenuto a stretto giro dagli impliciti ammonimenti di Xi riguardo contro il recente riavvicinamento tra Tokyo e Taipei. Ad Abe la possibilità di aggiustare il tiro durante il suo imminente incontro con il premier cinese Li Keqiang, durante il quale con ogni probabilità verrà sollecitata l’organizzazione di un trilaterale con Moon Jae-in entro fine anno.

Un bilancio

Intanto oggi Trump è a Manila dove, a margine del summit Asean, sta avendo colloqui con Turnbull e Abe, cioè Australia e Giappone, i due più fidati alleati degli Stati Uniti nel Pacifico. Ha già detto che farà un bilancio del suo viaggio asiatico mercoledì alla Casa Bianca. Salvo colpi di scena e al netto della retorica con cui probabilmente infiocchetterà la sua spedizione, l’impressione è non ci siano stati grandi cambiamenti sui due dossier che più gli stavano a cuore: Corea del Nord e deficit commerciale. Era abbastanza scontato l’appoggio giapponese alla linea dura verso Pyongyang, perché Abe ha un proprio interesse ad agitare lo spettro nordcoreano per superare la costituzione pacifista del Giappone. Ma in Corea del Sud e Cina, nonostante i grandi cerimoniali, Moon Jae-in e Xi Jinping non si sono accodati alla linea dura di Washington.

A Pechino si sono invece siglati 253 miliardi di dollari di accordi commerciali, un record il cui significato però non va ingigantito: la Cina ama queste cerimonie di firme quando ospita qualche leader straniero, ma spesso si tratta di accordi già siglati precedentemente oppure di memorandum d’intesa che poi possono essere revocati. Si consideri anche che il deficit statunitense con la Cina arriverà a fine anno a una cifra compresa tra i 350 e i 500 miliardi di dollari. Diversa la questione che riguarda la vendita di armamenti, quelli tirano sempre: Trump sarebbe riuscito a piazzare ordini per 69 miliardi in Giappone e si parla di esportazioni anche in Corea del Sud.

Capiremo più a freddo se il presidente statunitense sia riuscito invece a sciogliere la contraddizione tra “America First”, da un lato, e tutela degli interessi degli alleati asiatici, dall’altro. Questi colloqui finali con Australia e Giappone servono anche a quello. Cina e Russia, ma anche Corea del Sud, stanno alla finestra, ma non con le mani in mano: Pechino e Seul hanno già precisato congiuntamente che la questione nordcoreana va risolta pacificamente.

Calma piatta nel Mar cinese meridionale

Corea del Nord, terrorismo, pirateria e crimine transnazionale sono i dossier su cui si soffermeranno i leader dell’Asean durante il vertice in corso a Manila (13–14 novembre). Per il momento nulla è stato detto sul Mar cinese meridionale, teatro di scontro tra Cina e vicini rivieraschi. Ma fonti di GMA News Online pronosticano la ripresa delle negoziazioni per il tanto atteso codice di condotta, di cui un quadro di massima è stato raggiunto lo scorso agosto.

Nel weekend Xi Jinping ha rassicurato Duterte che la Cina lavorerà con i paesi del Sudest asiatico “per salvaguardare la pace, la stabilità e la prosperità nella regione del Mar Cinese Meridionale”. Come precedentemente affermato alla stampa, durante il bilaterale il presidente filippino ha sollevato le preoccupazione dei vari paesi asiatici “su come dovremmo comportarci nei mari che oggi sono militarizzati, col timore che un errore possa sfociare in uno scambio di colpi di arma da fuoco”. Proprio domenica, incontrando il presidente vietnamita Tran Dai Quang ad Hanoi, Trump, che finora si è mantenuto cauto sulla questione — pur moltiplicando le operazioni di libera navigazione nel tratto di mare conteso — si è addirittura offerto come mediatore delle dispute: “Se posso essere d’aiuto a mediare o arbitrare, per favore fatemi sapere”.

L’intelligenza artificiale vera protagonista del Singles’ Day

25,4 miliardi i dollari. E’ il nuovo record totalizzato dall’11/11, il Black Friday cinese organizzato dal colosso dell’e-commerce Alibaba. A metà giornata, il volume di merce scambiata aveva già raggiunto la cifra complessiva totalizzata lo scorso anno: 18 miliardi. Numeri a parte, l’ultima edizione si è distinta sopratutto per il protagonismo delle nuove tecnologie. Dalle consegne per mezzo di robot e droni fino a Tmall Smart Selection, sistema di algoritmi che studiando i comportamenti online dei consumatori è in grado di consigliare ai rivenditori su quale prodotti puntare di più, fino a Dian Xiaomi, la chatbot che interloquisce con i clienti in caso di bisogno. Almeno apparentemente, la progressiva automatizzazione non dovrebbe togliere lavoro a nessuno andando a sopperire piuttosto la carenza di forza lavoro a fronte del vorticoso aumento degli ordini.

Tutto rientra perfettamente nei piani di Pechino. Entro il 2030, l’industria AI cinese dovrebbe raggiungere i 150 miliardi di dollari.

Joint-venture sino-estere per una propaganda più persuasiva

Non solo partnership tra testate statali ed esteri ma anche coproduzioni televisive. Ecco come Pechino sta cercando di trasformare la narrazione del paese asiatico oltremare. L’esempio più lampante è il documentario in tre parti trasmesso da Discovery Channel (in collaborazione con il China Intercontinental Communication Center) “China: Time of Xi”, andato in onda subito dopo la riconferma del presidente cinese alla guida del partito sancita dall’19esimo Congresso. Il programma descrive con ammirazione il nuovo ordine globale tracciato dalla leadership di Xi, con un plauso particolare alla Nuova Via della Seta. Deontologia a parte, la cooperazione è di natura tipicamente win-win: le risorse economiche e la vastità del mercato cinese fanno gola ai media internazionali, che dal canto loro ricompensano Pechino sfoderando uno storytelling più credibile e autorevole rispetto a quello dei mezzi d’informazione locali. Si tratta di una diversificazione rispetto agli usuali strumenti propagandistici: inserti e annunci con cui da anni i media governativi si sono insinuano tra le pagine dei più noti giornali stranieri dal Wall Street Journal al New York Times.

(Pubblicato su China Files)

domenica 12 novembre 2017

Weekly News Roundup: Dispatches from the Silk Road Economic Belt



General Electric, China's Silk Road Fund to launch energy investment platform
General Electric Co and a Chinese state fund set up for the Belt and Road trade initiative plan to jointly establish an energy infrastructure investment platform, China’s government said. The announcement came on the sidelines of a state visit to Beijing by U.S. President Donald Trump, who has been looking to rev up U.S.-China trade. “The two sides will jointly invest in electric power grids, new energy and oil and gas, in countries and regions along the Belt and Road,” SAFE said. (Reuters)

Syria-China diplomatic relations
As the Syrian government regains control over vast swaths of territory from ISIS and with de-escalation zones now established in four areas across the country, China’s cautious economic approach towards Syria seems to be slowly, but decisively, changing, Fadi Esber writes. The reconstruction of Syria will cost hundreds of billions of dollars, and China wants its share of the pie. In July, Beijing announced a US$2 billion dollar plan to build an industrial park in Syria for 150 Chinese companies, although few details about the project were revealed. Then, in August, Chinese companies participated in the 59th Damascus International Fair. That was preceded by a Syria Day Expo organized by the Syrian embassy in Beijing, with hundreds of Chinese specialists in attendance. More revealing, however, about China’s understanding of the situation on the ground – and its intentions to carve out a significant Chinese role in post-conflict Syria – was a recent visit by the Chinese ambassador in Syria to Manin, a small town just north of Damascus. (Asia Times)

Russia, China discuss plans for Harbin-Vladivostok express link
The 380 kilometer project is being costed at US$19 billion. One expert warns, however, that western sanctions Russia may scupper its implementation (atimes)

Opinion: China can cope with any bumps along the way on ‘Belt and Road’
Beijing has long experience dealing with countries involved in its massive trade initiative and the idea that it’s not prepared for problems is misleading, writes Raffaello Pantucci (scmp)
Families of Uyghur Police Officers Among Those Detained in Xinjiang’s KashgarFamily members of ethnic Uyghur security personnel in northwest China’s Xinjiang region, who authorities had previously considered “off limits,” are among those now being detained as part of “stability” measures the officers have been tasked with enforcing, according to sources. (RFA)

China's Xinjiang region closed 112 coal mines by end-October

China's Xinjiang region shut 112 coal mines with an annual capacity of 11.45 million tonnes by the end of October, the official Xinhua news agency reported on Sunday (Nov 12), citing officials from the regional government's energy bureau. (Reuters)


CENTRAL ASIA


Uzbekistan, Tajikistan Power Grids to Reunite in Boon for the Region

In the latest heartening indication of improving energy cooperation in Central Asia, Uzbekistan is pledging to reintegrate its electricity grid with that of Tajikistan.Efforts have over the past decade gone in the other direction, with Uzbekistan and Kazakhstan taking the lead in the late 2000s by pulling out of the Soviet-built regional electricity grid. Eso Sadullayev, head of strategic planning at state-run Uzbekenergo, told Uzbek media that Tashkent has already put the required infrastructure into place to reverse that trend. (eurasianet)

Golden Boy Bishimbaev Goes On Trial In Kazakhstan
Though just 37 years old, Kuandyk Bishimbaev has already been Kazakhstan's deputy minister of industry and trade, deputy chairman of the sovereign wealth fund Samruk-Kazyna, chairman of the national holding company Bayterek, and economy minister.But his current title is court defendant, as his trial got under way on November 7.Bishimbaev is accused of accepting bribes when he was head of Bayterek, but there is far more to this story than allegations of an official engaging in corrupt practices. (rferl)

Central Asia corruption
As the investigation into US President Donald Trump’s alleged ties with Russia gains momentum, separate inquiries are being conducted in Europe and the US into a US$2.9 billion Azerbaijani money laundering operation and slush fund that paid off European politicians and financially benefited the country’s ruling elite for two years, Alan Boyd writes. Former Soviet republics have funneled billions of dollars into lobbying activities since the end of the Cold War in an effort to influence the policies of Western governments, including sanctions imposed against their own corrupt actions.

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...