lunedì 20 novembre 2017

In Cina e Asia


 Pechino pronto a risolvere la crisi dei rohingya

Pechino ha pronto un piano in tre step per risolvere la crisi dei rohingya: proclamazione di un cessate il fuoco per ristabilire l’ordine; promozione delle negoziazioni bilaterali tra Bangladesh e Myanmar; sviluppo economico dello stato Rakhine attraverso gli investimenti internazionali. La roadmap è stata presentata nel weekend dal ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in visita in Myanmar per l’Asia-Europe Meeting. Wang, che ha incontrato Aung San Suu Kyi, il presidente birmano Htin Kyaw e il capo dei militari Min Aung Hlaing, durante una prima tappa in Bangladesh aveva affermato che “la comunità internazionale non deve complicare la situazione”, alludendo alle critiche mosse dai governi stranieri e dalle organizzazione per la difesa dei diritti umani contro il governo della “Lady”, considerato troppo tollerante nei confronti delle maniere forti adottate dall’esercito per pacificare lo stato Rakhine. Secondo Wang, “lo stato Rakhine ha bisogno di sviluppo economico. E la Cina è pronta ad aiutare”. Negli ultimi anni, Pechino ha investito miliardi di dollari nell’area colpita dagli scontri etnici tra buddhisti e musulmani per la costruzione di un porto di acque profonde e una zona economica speciale. Lo scorso aprile, è entrato in funzione il tanto atteso oleodotto che pompa petrolio da Africa e Medio Oriente fino alla provincia cinese dello Yunnan facendo scalo proprio nello stato Rakhine.

Hong Kong: una persona su cinque è poverissima

Secondo l’Hong Kong Poverty Situation report, lo scorso anno 1,35 milioni di persone — ovvero il 19,9% della popolazione locale — vivevano sotto la soglia di povertà, uno 0,2% in più su base annua, nonché il livello più alto dal 2009. La soglia di povertà, fissata a metà del reddito familiare mensile medio, è di HK $ 4.000 per le famiglie composte da una persona, HK $ 9.000 per quelle di due e HK $ 15.000 per le famiglie composte da tre persone. Come spiega il Chief Secretary, Matthew Cheung, il fenomeno è da leggersi alla luce dal rapido invecchiamento della popolazione e della tendenza che vede sempre più persone anziane costrette a vivere autonomamente dal resto della famiglia. Abitare nella regione amministrativa speciale è di anno in anno più dispendioso. Lo scorso, luglio i prezzi delle case hanno superato del 40% il picco raggiunto nel 1997, l’anno del ritorno alla mainland.

La lunga mano del Pcc sulle università straniere


Pechino ha ordinato alle joint venture accademiche sino-straniere di istituire unità di partito e garantire ai funzionari comunisti un ruolo decisionale negli affari interni degli istituti. Le direttive, emesse dal ministero dell’Istruzione, interessano le oltre 2.000 università d’oltre Muraglia soggette a investimenti esteri lanciate dal 2003 a oggi, alcune con campus indipendenti (come la New York University di Shanghai) altre ospitate all’interno di strutture locali, come la University of Pittsburgh, che sorge all’interno della Shanghai Jiao Tong University.

Secondo fonti del Financial Times, i segretari di partito di ciascuna joint venture riceveranno lo status di vice-cancelliere e un seggio nel consiglio di amministrazione. La decisione, ventilata da mesi e ufficializzata dopo la fine del 19esimo Congresso, si inserisce nel novero di una serie di picconate contro la libertà accademica. Da quando Xi Jinping ha assunto la guida del paese cinque anni fa, il partito ha esteso la propria ingerenza sull’istruzione, varando curricula ideologici e rimuovendo docenti ritenuti troppo liberali.

Hong Kong come via di fuga dalle sanzioni

Secondo un’inchiesta di Financial Times, sono almeno 16 le entità ancora registrate a Hong Kong facenti capo a società sanzionate dal Tesoro americano per i loro rapporti con il regime di Pyongyang. Tra queste c’è Mingzheng International Trading, accusata di agire come società di comodo per la banca statale nordcoreana Foreign Trade Bank, coinvolta nel programma nucleare di Kim Jong-un. Proprio questo mese Washington, per la prima volta, ha escluso un istituto di credito cinese (Bank of Dandong) dai propri circuiti finanziari in quanto sospettato di ripulire fondi illeciti per conto del Regno eremita. Sette delle compagnie ancora attive nell’ex colonia britannica sono registrate a nome di tre dirigenti del gruppo cinese Dandong Hongxiang Industrial Development, sottoposto a sanzioni lo scorso anno. Il fatto è che, mentre è tenuta a osservare le risoluzioni Onu, Hong Kong non ha obblighi per quanto riguarda i provvedimenti assunti indipendentemente dagli Stati Uniti. E’ così che molte delle navi cargo coinvolte nel trasporto di merci coperte dalle sanzioni operano proprio attraverso Hong Kong, talvolta grazie a prestanomi cinesi. Secondo il gruppo di ricerca C4ADS, delle 248 società operanti con Pyongyang prese in esame, 160 risultavano registrate nella regione amministrativa speciale.

Thailandia: detenuti uiguri in fuga

Venticinque uiguri sono fuggiti da una prigione al confine tra la Thailandia e la Malaysia, scavando un buco nel muro della loro cella con delle piastrelle rotte e poi calandosi con delle coperte. Cinque fuggitivi sono stati ripresi dalle autorità mentre gli altri venti sono ancora a piede libero. Si tratterebbe dell’ultima tranche degli oltre 350 uiguri arrestati nel 2014 mentre tentavano la fuga dalla regione autonoma cinese dello Xinjiang attraverso il Sudest asiatico spacciandosi per cittadini turchi; più di 100 furono rimpatriati in Cina l’anno dopo, mentre a 175 fu concesso di partire per la Turchia. Pochi mesi dopo una serie di attacchi dinamitardi attribuiti a due uiguri — ancora a processo — colpirono Bangkok. Gli esperti sono piuttosto propensi a ritenere gli attentati una vendetta contro la deportazione di massa.

(Pubblicato su China Files)

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