venerdì 27 maggio 2016

Hipster con caratteristiche cinesi


Si chiamano wenyi qingnian (abbreviato in wenqing), amano l'arte, la letteratura esistenzialista, il cinema indipendente. Vogliono una vita benestante, ma anche appagante spiritualmente. Sono glihipster cinesi, o meglio ciò che a loro più si avvicina oltre la Muraglia. Ma con le immancabili caratteristiche locali che rendono ogni prodotto elaborato dalla magmatica società cinese originale anche quando di derivazione occidentale.

Il termine ha quattro cinque anni di vita ed è di difficile definizione; addirittura differisce a seconda delle aree del Paese prese in esame. Lo stesso Baidu Baike (sorta di Wikipedia «in salsa di soia») lo analizza associandolo alle parole della scrittrice e musicista Guo Xiaohan: «Sono la tipica wenyi qingwen. Amo la poesia, i romanzi, la musica indie, il cinema europeo, la fotografia, scrivere per il mio blog, i gatti, fare giardinaggio, cucire, preparare dolci e creare borse ecologiche». Molti degli hobby di Guo sono passioni condivise trasversalmente dalla variegata categoria dei wenqing, spiriti liberi animati da un romanticismo nostalgico che punta a esorcizzare il consumismo in cui si crogiola la Cina «dell'arricchirsi è glorioso».

Oltre al disinteresse per l'attivismo politico, la provenienza sociale è una delle caratteristiche che meglio distingue i wenqing dagli hipster occidentali. Come scrive Rob Schmitz in Street of eternal happiness, i wenqing appartengono alla generazione dei figli unici post anni '80, la prima ad essere cresciuta nella Cina del benessere economico post-Mao. La prima ad aver sperimentato l'agguerrita competizione sociale scaturita dalla necessità di accaparrarsi una fetta di quel benessere per poter coltivare i propri interessi. Niente a che vedere con gli hipster generati dal ventre della middle class urbana americana; «un movimento aristocratico di disprezzo della passività mainstream» - in opposizione a certi aspetti della modernità, come l'omologazione, e in accettazione di altri, come la sessualità libera, l'arte popolare, l'uso di droghe e alcolici - mollemente sconfinato nella vasta famiglia dei radical chic.

I wenqing appartengono ad una piccola borghesia apertamente critica verso i griffatissimi nuovi ricchi (tuhao) plasmati dalle riforme economiche di Deng Xiaoping. Per molti di loro il rifiuto delle convenzioni si traduce nella decisione di lasciare un impiego ben retribuito (ma poco soddisfacente) nelle grandi città per per cercare una vita più tranquilla in provincia, dove l'aria è meno inquinata, il cibo più sicuro e dove riescono a trovare consimili disposti a condividere i loro interessi culturali.

E' questo il caso di una coppia di Pechino che, a bordo della sua Polo arancione, nel 2013 ha lasciato la capitale per stabilirsi a Dali, nella provincia sud-occidentale dello Yunnan, un polmone verde lontano dalle colate di cemento della Cina costiera. «Non siamo in cerca di opportunità di business», scrivevano sul loro blog, «vogliamo semplicemente vivere in una piccola città, vicino a montagne e corsi d'acqua, per condurre una vita pacifica, respirare aria fresca, bere una tazza di tè preparata con neve sciolta e mangiare alimenti naturali. Molti a casa ci ammirano e invidiano. Ma tutto quello che possiamo dirvi è che anche voi potete fare lo stesso».

Il post si chiudeva con un saluto pregno di significato:
«Addio Pechino.
Addio Pm 2,5 [polveri sottili].
Addio vita frenetica di città.
Addio».

Due anni più tardi la loro storia è diventata un libro: «Lasciare Pechino per Dali: quello che vuoi con chi vuoi». Ma nel settembre 2014 un ultimo messaggio ha messo un punto all'esperienza bucolica dei due. La coppia ha di lì a poco rifatto fagotto per tornare a Pechino. E la motivazione non ha proprio nulla di romantico. «Un'improvvisa opportunità di lavoro» ha indotto la famiglia ad abbandonare lo Yunnan. Come spiega Schmitz, infatti, dopo aver messo in piedi le loro attività bohémien (librerie, caffetterie letterarie, gallerie d'arte adibite alla degustazione di vini) per attrarre turisti «via dalla pazza folla», molti wenqing si trovano non soltanto a rimpiangere i servizi delle megalopoli d'origine, ma anche i loro vecchi salari. L'iniziale entusiasmo per lo scambio reciproco e la condivisione delle loro aspirazioni culturali non di rado sfocia in un'agguerrita competizione tra colleghi per spolpare gli avventori di passaggio.

Niente di strano quindi se il fenomeno dei giovani intellettualoidi sta generando reazioni di ammirazione da parte di alcuni, di derisione da parte di altri. Secondo i più critici il passo che separa iwenqing dai «2B qingnian» (letteralmente «gioventù di scemi») è breve.

Ciò che ancora salva i wenqing - spiegava tempo fa l'Atlantic - è la loro dedizione all'imposizione di una controcultura anti-mainstream, che deriva sostanzialmente dalla mancata esperienza della disillusione maturata nella società americana in seguito alla degenerazione modaiola delle sottoculture hippie e punk; l'anti-fashion svuotato della carica anticonformista e riconvertito nel fashion. Al contrario, nonostante tutto, in genere i wenqing sembrano conservare ancora la convinzione di poter battere la società dei consumi sguainando versi di Rilke, ascoltando musica classica e immergendosi anima e corpo in tutte quelle attività mirate ad elevare lo spirito.

Un'utopia da cui si sono invece allontanati i «2B qingnian», un'altra nicchia di recente formazione che riunisce giovani «alienati» ormai a corto di speranze. Come nel caso dei diaosi (i «perdenti» di umili origini, con un salario misero, senza una casa di proprietà, in continua ricerca di una donna e sempre inchiodati davanti al pc), la condizione di «2B qingnian» si traduce nell'accettazione passiva davanti all'incapacità di cambiare lo stato delle cose. Sono entrambe etichette accettate con velate sfumature autoironiche e di autocommiserazione da quanti si considerano incapaci di reagire alle pressioni sperimentate in famiglia (dove matrimonio e procreazione vengono avvertiti come un obbligo sociale) e nel mondo del lavoro (dove le opportunità d'impiego sprofondano lentamente assieme alla crescita del Pil). Ebbene, c'è chi a tutto questo preferisce rispondere riaffermando quasi orgogliosamente il proprio status di outsider.

(Pubblicato su China Files)

giovedì 26 maggio 2016

Rassegna: Dispacci dalla Silk Road Economic Belt


WANG YI IN ASIA CENTRALE: (People's Daily)
- Il ministro degli Esteri cinese Wang Yang e il suo omologo kazako riaffermano la partnership strategica comprensiva tra Pechino e Astana (Xinhua)
- Il Kirghizistan si appresta ad ospitare la delocalizzazione di fabbriche cinesi sul proprio territorio con il duplice scopo di promuovere l'industrializzazione locale e aiutare il gigante asiatico ad alleggerire l'eccesso produttivo. Anche se non sono stati rivelati i dettagli del progetto, qualcosa di simile è stato avviato in Kazakistan nel 2014. (SCMP)
- Tra i punti salienti della visita di Wang Yi a Tashkent - durante la quale ha avuto modo di incontrare il presidente uzbeko Karimov e i ministri degli Esteri uzbeko e tagiko - la stampa riporta anche l'accenno ai colloqui per l'istituzione di una zona di libero scambio con il Tagikistan. (Xinhua)
A margine del vertice SCO, Wang Yi ha inoltre sottolineato come ormai gli investimenti cinesi in Uzbekistan abbiano raggiunto i 6 miliardi di dollari, ovvero a quanto ammonterebbe il giro d'affari di Mosca nel paese, stando alle stime ufficiose dell'ambasciatore russo Vladimir Tyurdenev. (Strait Time)

Minimo comune denominatore della visita di Wang Yi in Asia Centrale è stato il tentativo di collegare le iniziative locali (come il piano infrastrutturale "Nuryl Zhol" kazako) al grande disegno cinese della Nuova Via della Seta. Questo vale anche quando si parla di Unione economica eurasiatica, nonostante non sia ben chiaro come un progetto esclusivo quale è l'Uee possa integrarsi con uno inclusivo come la Via della Seta. (Diplomat)


Prima visita di Xi Jinping a Heixiazi l'isola situata alla congiunzione tra i fiumi Amur e Ussuri, nella provincia nordorientale dello Heilongjiang. Dopo anni di schermaglie lungo il confine sino-russo, nel 2008 Pechino e Mosca hanno convenuto alla spartizione in parti uguali dei 335 chilometri quadrati di terreno di cui è formato l'atollo. La visita - spiegano gli analisti - ha lo scopo di rilanciare i rapporti tra le due potenze eurasiatiche dopo l'annuncio del crollo del 28,6 per cento registrato dali scambi nel 2015. (Global Times)

La Cina sta puntando a coinvolgere società estere ad investire in paesi terzi coinvolti nel progetto OBOR. "Le compagnie cinesi non necessariamente hanno i capitali e l'esperienza necessaria, soprattutto in Asia centrale, Medio Oriente e Africa. Le compagnie europee hanno più esperienza, migliore tecnologia e relazioni sociali, mentre quelle cinesi hanno i soldi". Una strategia win-win insomma. (Financial Times)

Secondo un reportage dal Pakistan di AFP, gli investimenti cinesi lungo il corridoio economico CPEC starebbero nel turbolento Balochistan da anni scosso da rivolte settarie. Se così fosse sarebbe la prima prova concreta del fatto che la presenza cinese all'estero non è necessariamente foriera di malcontento popolare, come spesso si insinua. (AFP

Il collegamento terrestre tra Yiwu e Madrid, lanciato nell'ambito della nuova via della seta, costa ai produttori di olio d'oliva spagnoli il doppio rispetto alle spedizioni via mare. Secondo El Pais, fino alla scorso marzo solo otto treni avevano compiuto il tragitto dalla Spagna verso la Cina, contro i 39 arrivati in senso opposto. (Quartz)

Entro la fine dell'anno sarà possibile effettuare la prima spedizione dalla città di Kashgar al porto pakistano di Gwadar, attraverso il corridoio economico CPEC. Lo ha riferito il portavoce dell'esercito pakistano mentre era in visita a Pechino. (Global Times)

Esperti analizzano le varie rotte rotte terrestri tra Cina ed Europa. (Global Times)

Quinto round dei colloqui a quattro tra Pechino, Washington, Islamabad e Kabul per risolvere la crisi afghana.  (Reuters)

Pechino ha in programma di estendere i collegamenti ferroviari fino a Bihar, India, per migliorare la connessione con l'Asia meridionale. Si tratterebbe di un allungamento della linea che entro il 2020 dovrebbe collegare il Tibet a Rasuwagadhi, Nepal. La ferrovia dovrebbe facilitare gli scambi commerciali con la Cina velocizzando il trasporto di merci rispetto alla tratta passante per Kolkata. (NDTV)

Bilancio dell'Unione Economica Eurasiatica (The Times of Central Asia)

giovedì 19 maggio 2016

Numero tre del PCC a Hong Kong


Si è conclusa giovedì 19 maggio la storica trasferta hongkonghese di Zhang Dejiang, numero tre nell'organigramma del Partito comunista cinese, presidente dell'Assemblea Nazionale del Popolo (il paramento di Pechino) nonché responsabile per le regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao. "Storica", si diceva, non soltanto in virtù del tempismo con cui è stata programmata: Zhang è il leader di più alto livello ad aver visitato l'ex colonia britannica dalle manifestazioni del 2014, pro-democrazia e neanche troppo velatamente anti-Pechino. Nel 1997 il Porto Profumato è tornato alla madrepatria pur conservando una certa autonomia politico-economica sotto il motto "un paese due sistemi". Autonomia che all'alba delle elezioni per il chief executive del prossimo anno sembra messa a repentaglio dalla crescente ingerenza esercitata da Pechino negli affari interni dell'isola e sfociata nel fallimento della riforma elettorale all'indomani del movimento di Occupy Central.

E' così che se sulla carta l'arrivo del leader cinese era stato giustificato dall'organizzazione di un forum sul progetto a trazione cinese One Belt One Road (alias Nuova Via della Seta), in realtà l'atmosfera di contorno lasciava presagire possibili colloqui a porte chiuse sul futuro di Hong Kong e del suo amministratore delegato Leung Chn-ying, che vede molte incognite offuscare l'eventualità di un secondo mandato. Proprio per evitare iniziative moleste da parte dei filoindipendentisti, la polizia locale ha preso misure serratissime seppur non sufficienti a occultare le varie espressioni di dissenso. Alla vigilia della visita è stato sventato un complotto con drone ordito da uno dei membri della Lega dei socialdemocratici. Lungo le strade dell'ex colonia britannica sono apparsi striscioni critici nei confronti della mainland, mentre una cinquantina di esponenti della Lega dei socialdemocratici nella giornata di martedì ha sfondato i cordoni degli agenti per raggiungere la residenza ufficiale dello chief executive Leung Chun-ying. Brevi tafferugli sono stati sedati senza l'impiego di armi. Altri hanno invece deciso di protestare più pacificamente installando tombe di carta a Tamar Park in ricordo delle vittime della Sars deflagrata nel 2003 dalla provincia cinese del Guangdong, di cui al tempo Zhang era governatore. Cinque persone, compreso il giovane leader del movimento studentesco Scholarism, Joshua Wong, sono state trattenute dalle forze dell'ordine nella giornata di giovedì.

Aumento misure di sicurezza in occasione di visite di Stato dal 2011 a oggi

Contrattempi, questi, ai quali Zhang ha reagito in maniera composta e insolitamente schietta affermando che "le illazioni su un presunto tentativo del governo centrale volto a trasformare Hong Kong in una parte della Cina continentale, o a convertire 'un paese due sistemi' in 'un paese un sistema', sono completamente senza fondamento". Ma riconoscendo apertamente l'esistenza di sacche di malcontento e forme di radicalizzazione a livello popolare, di cui è segno tangibile la moltiplicazione di fazioni politiche indipendentiste. Una "minoranza" minacciosa che Pechino spera di tenere a bada stringendo cordiali rapporti con l'ala moderata dei pan-democratici. L'incontro dietro le quinte avvenuto tra Zhang e l'opposizione ha persino ispirato un editoriale del quotidiano-bulldozer Global Times, in cui la richiesta avanzata dai pan-democratici per una sostituzione dell'attuale chief executive viene definita "legittima". E c'è già chi ci intravede la transizione verso una nuova strategia più soft mirata a contenere la frustrazione montante tra le nuove generazioni hongkonghesi. Detto questo, è necessario evitare che il legittimo sentimento localista sfoci in separatismo, ha scandito l'emissario di Pechino chiudendo le porte all'ipotesi indipendenza. Uno spauracchio con cui l'establishment cinese si trova a combattere da anni e su più fronti. Specie ora la vicina Taiwan si appresta a tornare formalmente nelle mani del Democratic Progressive Party, cordata che fa della difesa della sovranità taiwanese la propria bandiera. 

Tanto per Hong Kong quanto per l'ex Formosa, il vero dilemma consiste nel bilanciare con precisione chirurgica identità nazionale e benessere economico. L'ex colonia britannica dipende dalla mainland per forniture di acque ed elettricità, mentre la "simbiosi" economica sembra cominciare a risentire del rallentamento della crescita cinese. Secondo gli ultimi dati del Wall Street Journal, l'economia locale procede a un passo dell'0,8 per cento, pari ad una contrazione dello 0,4 per cento nel primo trimestre dell'anno, la più consistente dal 2011. I consumatori spendono sempre meno (compresi gli shopper in arrivo dal continente), le esportazioni languono, e il mercato immobiliare sta subendo una correzione prolungata.

Nel complesso, Pechino si ritiene soddisfatta del lavoro fatto dal leader Leung Chun-ying, ha dichiarato Zhang. Ma la cooperazione tra la Repubblica popolare e la regione amministrativa speciale può dare maggiori frutti, specie per quanto riguarda l'internazionalizzazione del renminbi, la valuta cinese, e l'implementazione del progetto One Belt One Road, vero cavallo di battaglia della politica estera pechinese. 

(Scritto per Gli Italiani)


mercoledì 18 maggio 2016

Le nuove frontiere del femminismo confuciano


Quando lo scorso agosto l'accademico confuciano Jiang Qing si espresse a favore di un revival conservatore a base di poligamia e matrimoni combinati, il suo articolo "Only Confucianism can settle modern women" ricevette oltre 1.200 commenti. Alle accuse di quanti lo bollavano come "un moralista feudale" si sono alternate le manifestazioni di sostegno da parte dei simpatizzanti nostalgici con strascichi che hanno tenuto vivo l'alterco per mesi. "Come la democrazia, la poligamia non è il sistema migliore, ma piuttosto il meno peggiore", confermava a febbraio Qi Yihu, un altro seguace del maestro Kong (vero nome di Confucio), reiterando quanto dichiarato precedentemente da Jiang. Ovvero che, pur non essendo una prerogativa del Confucianesimo tradizionale, la poligamia costituisce un fattore stabilizzante per la società. Lo dimostrerebbe il basso tasso di rotture famigliari riportato dai Paesi islamici (sic!). Così, nei piani dei neoconfuciani, un ritorno alle antiche pratiche dovrebbe innanzitutto riuscire a contenere l'impennata dei divorzi in Cina: 58.302 lo scorso anno soltanto a Shanghai. Ma c'è anche chi è andato oltre, suggerendo di adottare nelle aree più povere del Paese la pratica dello scambio delle mogli per ovviare al gap di genere che minaccia, entro il 2020, di lasciare 30 milioni di cinesi in età da matrimonio senza una compagna.

Mentre la seconda economia mondiale ha fatto passi da gigante nella tutela della donna all'interno del sacro vincolo - dopo l'abolizione del concubinato e dei matrimoni infantili del 1950, e l'introduzione del divorzio "per motivi di incompatibilità" nel 1980, lo scorso 1 marzo la Repubblica popolare si è dotata di una normativa specifica sulle violenze domestiche - il dibattito degli ultimi tempi ha riacceso i riflettori sull'escalation misogina di cui si sono resi responsabili non soltanto neoconfuciani, ma anche noti accademici e commentatori acclamati come il blogger Han Han. Va da sé che, sebbene in buona compagnia, Confucio (551 a.C. – 479 a.C) e la sua visione gerarchica della società - basata su cinque relazioni di sudditanza padre-figlio; fratello maggiore-fratello minore; principe-suddito; marito-moglie: amico più anziano-amico più giovane - siano diventati bersaglio di aspre critiche.

Nel corso della storia femminismo e confucianesimo hanno sempre seguito strade divergenti; il primo è stato esaltato quando il secondo veniva fatto a pezzi nel ricordo di una Cina "old style" umiliata dall'occupazione ottocentesca delle potenze occidentali. Tanto durante il Movimento di Nuova Cultura (4 maggio 1919) quanto durante la Rivoluzione Culturale (1966-1976), la spinta modernizzatrice è stata accompagnata da un rifiuto della tradizione confuciana unitamente alla nascita di un sentimento nazionalista e alla "riabilitazione" del gentil sesso, nell'ambito di un assorbimento selettivo di idee e valori provenienti da quell'Occidente imperialista davanti al quale l'ultima dinasta cinese era capitolata miseramente.

Ebbene, dopo decenni di oblio, da qualche anno il confucianesimo è tornato di moda tra l'establishment cinese in cerca di un nuovo collante ideologico in grado di colmare la disaffezione mostrata dalla Cina dell' “arricchirsi è glorioso” verso i valori socialisti. In un momento in cui Pechino spinge per una "grande rinascita della nazione" cinese (copyright Xi Jinping), il bagaglio valoriale da cui attingere non può che essere rigorosamente “made in China”. L'operazione di recupero era già iniziata con la trasposizione della pietà filiale in legge, per tentare di rispondere alle mancanze del welfare davanti al rapido invecchiamento della popolazione. Insomma, è quel che potremmo definire un confucianesimo riadattato al proverbiale pragmatismo cinese, da rispolverare quando le storture sociali diventano irraddrizzabili con mezzi istituzionali. Ma ci vuole abilità funambolica per evitare che il ritorno alle antiche tradizioni non sfoci nella riproduzione obsoleta di principi inapplicabili nella Nuovissima Cina.

È in questo complesso rimpasto ideologico che si inserisce una corrente di pensiero declinata alla rivalutazione del confucianesimo in chiave femminista, alla faccia di Jiang Qing & Co. Qui il ruolo della donna diviene quello di un "individuo socialmente connesso" al di fuori delle mura domestiche in un processo di reinterpretazione dei classici che - pur rasentando l'eterodossia - guarda caso, finisce per collimare perfettamente con l'agenda di Pechino. Ma facciamo un passo indietro. Confucio era davvero misogino?

Secondo Li-Hsiang Lisa Rosenlee, docente dell'Università delle Hawaii nonché autrice di "Confucianism and Women", il Confucianesimo di epoca pre-imperiale non presentava l'interpretazione in voga alle nostre latitudini del binomio yin-yang come espressione di femminilità e mascolinità. Nei testi pre-Han lo yin e lo yang erano parte di sei forze cosmiche (qi) "non gerarchiche né distinte su basi sessuali". È soltanto con la necessità di legittimare il figlio del Cielo (l'imperatore) che nei primi testi Han (206 a.C. al 220 d.C.) compare la contrapposizione tra l'asse yang-tian-nan (yang-Cielo-maschio) e quello ritenuto inferiore del yin-di-nü (yin-Terra-donna).

Né vi è traccia nei Diaoghi, il testo più noto della scuola del Maestro, di una sistematica discriminazione al di fuori del contesto matrimoniale, anche se la famiglia - sentenziava Confucio - è la riproduzione in scala minore della società. Stemperata la presunta misoginia del saggio di Qufu, il passaggio successivo consiste nell'adattare l'antica filosofia al processo di emancipazione femminile. Come?

"A differenza della predominante deontologia e dell'utilitarismo kantiano, l'etica della sollecitudine confuciana e quella propria del femminismo condividono alcune somiglianze importanti nel pensiero e nel ragionamento morale. Entrambe credono in un sé relazionale, basano gli obblighi morali sui rapporti umani. Entrambe sottolineano le disposizioni empatiche (ren) negli agenti morali e le connessioni interpersonali tra l'agente morale e il paziente morale", spiega a Left Li Chenyang, autore di The Sage and the Second Sex: Confucianism, Ethics, and Gender, nonché professore di filosofia presso la Nanyang Technological University di Singapore. "Per queste ragioni, nonostante le loro differenze, l'etica confuciana e la cura femminista possono essere collocati sullo stesso spartito a bilanciare la deontologia astratta e l'etica utilitaristica impersonale." Un rinnovato confucianesimo, arricchito di una sensibilità moderna, può aiutare le donne a raggiungere la parità di genere, suggerisce Li con il consueto pragmatismo cinese. "Ma si tenga presente che la parità di genere confuciana non azzera le diversità tra i sessi. L'armonia famigliare può essere raggiunta mantenendo la differenza di genere, purché questa non sfoci in disuguaglianza. Certo, questo non vuol dire che il confucianesimo sia l'unica dottrina in grado di aiutare le donne. Altre valide teorie etiche, sociali e politiche possono essere di sostegno".

È il grande ritorno delle sanjiao (le tre antiche scuole confuciana, taoista e buddhista di cui l'ateo governo di Xi Jinping si è fatto moderatamente promotore) ma non solo, dal momento che Li apre alla commistione di tradizioni native e straniere. Un punto, questo, che mette zizzania tra conservatori e liberal. Già nel 2010 il piano per la costruzione di un'imponente chiesa protestante a Qufu, il villaggio di nascita di Kong, deragliò in seguito all'insorgere xenofobo di un pugno di confuciani radicali. Da oltreconfine arrivano idee perniciose in grado di corrodere l'integrità nazionale, si pensa nei palazzi del potere in piazza Tian'anmen, da cui ultimamente sono partite direttive particolarmente restrittive nei confronti delle ideologie d'oltre Muraglia. La convinzione che la parità di genere sia un prodotto dell'Occidente è sfociata l'8 marzo 2015 nell'arresto di cinque giovani femministe, trattenute dalla polizia più di un mese - senza accuse formali - per sospetti contatti con "forze straniere".

Per smarcarsi dall'impiccio, Li-Hsiang Lisa Rosenlee ribalta il problema. Siamo proprio sicuri che il femminismo sia prerogativa dell'Occidente? La studiosa contesta l'enfasi posta dal femminismo mainstream sul "genere" a dispetto del concetto di "cultura". Una volta ammesso che la donna non è soltanto un essere dotato di una sessualità, ma è anche il prodotto del contesto culturale in cui nasce e cresce, quando le femministe occidentali tentano di applicare al mondo cinese categorie a loro familiari come fossero universali finiscono per ridurre uno studio interculturale ad uno sostanzialmente monoculturale - senza tenere conto, per esempio, della diversità di fondo che permea la filosofia occidentale ("individuo-centrica") e quella cinese (in cui l'individuo trova massima espressione soltanto nello svolgimento del proprio ruolo all'interno della società). Secondo Rosenlee, dietro quest'approccio si nasconde un sentimento neocolonialista-imperialista in cui i valori occidentali prevalgono su tutti gli altri. Una dicotomia fallace tra Occidente "emancipato" (problem solver) e resto del mondo "tradizionale e sessista" (problem creator), a cui il femminismo confuciano risponde con il recupero pragmatico della cultura cinese e un pizzico di nazionalismo. Proprio come piace ai nuovi mandarini di Pechino.

[Pubblicato su Left]


lunedì 16 maggio 2016

Rassegna: dispacci dalla Silk Road Economic Belt


Il progetto One Belt One Road potrebbe costare a Pechino ingenti perdite. Secondo quanto riferito in privato da alcuni funzionari cinesi, i rischi derivanti da un ritardo dei ritorni economici, dall'instabilità dei paesi ospitanti e dalle difficoltà di realizzazione di alcuni progetti infrastrutturali potrebbero essere all'origine di perdite dell'80 per cento su quanto investito in Pakistan, del 50 per cento in Myanmar e del 30 per cento in Asia Centrale. (Financial Times)

Russia e Cina sono in trattative per la costruzione di una linea ferroviaria veloce tra Hunchun, nel Jilin, e Vladivostok. Si stima che il progetto avrà un costo di 60 miliardi di yuan, per un totale di 322 chilometri di rotaia. (People's Daily)

China National Petroleum Corp. ha ricevuto l'ok per procedere con la costruzione della seconda pipeline per portare petrolio russo fino alla città di Daqing, nel nordest della Cina. La condotta - che dovrebbe essere completata per il 2017- scorrerà parallelamente a quella già esistente del Eastern Siberia–Pacific Ocean oil pipeline. Le due insieme avranno una capacità annua complessiva di 30 milioni di tonnellate. Lo scorso anno l'import cinese di greggio dalla Russia è aumentato del 28 per cento rendendo Mosca il secondo fornitore di Pechino dopo l'Arabia Saudita. (Bloomberg)

La Russia si è offerta di lanciare un servizio di distribuzione di acqua fresca che dai monti Altai dovrebbe raggiungere la Cina passando attraverso il Kazakistan. Lo scopo è quello di alleviare la sete dell'arido Xinjiang. Con il rischio, però, che il fiume Ob venga privato delle sue scorte in un momento in cui la navigazione risulta sempre più spesso problematica. (Sputnik) (Siberian Times)

Quale sarà il ruolo dell'Afghanistan nella One Belt One Road? E' uno degli argomenti più dibattuti quando si parla di nuova via della seta. Posto strategicamente tra Asia Occidentale e Meridionale avrebbe tutte le carte per giocare un ruolo di primo piano nel progetto a guida cinese. Tuttavia, lo stato di perenne conflitto interno lo rende un corridoio troppo instabile. E, per il momento, gli investimenti di Pechino nel paese confermano qualche titubanza: solo 100 milioni contro i 45 miliardi
stanziati in Pakistan e i 31 miliardi in Asia Centrale. (The Diplomat)

La Cina investirà 1,9 miliardi di dollari per migliorare l'industria alimentare kazaka, candidata a divenire il nuovo pilastro dell'economia nazionale dopo il crollo dei prezzi del petrolio. A beneficiare dei finanziamenti saranno sopratutto gli impianti di lavorazione di pomodoro, carne e pollo. (Xinhua)

La chimera del giacimento petrolifero di Kashagan, di cui il governo di Astana ha dichiarato di voler riavviare i lavori nonostante gli alti costi di produzione e il crollo della richiesta del petrolio da parte di Russia e Cina. (East Journal)

Entro il 2020, oltre 700mila container viaggeranno ogni anno lungo la linea ferroviaria Cina-Kazakistan-Turkmenistan-Iran (Astana Times)

Le proteste sull'affitto dei terreni che da fine aprile agitano il Kazakistan, si placano momentaneamente grazie alla concessione di una moratoria per volere del leader Nazarbayev.  (Crisis Group)

La Asian Infrastructure Investment Bank, la banca regionale asiatica a guida cinese, e la European Bank for Reconstruction and Development hanno firmato un memorandum d'intesa per la cooperazione. Il primo progetto congiunto tra le due banche riguarda la costruzione del tratto autostradale che parte dalla capitale del Tagikistan, Dushanbe, e arriva fino al confine con l'Uzbekistan, e che rientra nel progetto di collegamento autostradale che attraverserà l'Asia centrale, regione in cui operano entrambi gli istituti. (European Bank)

Kazakistan e Xinjiang hanno siglato accordi per 2 miliardi di dollari durante una recente visita del capo del Partito locale ad Astana. L'intesa copre progetti agricoli, industriali ed energetici. (Reuters)

Il volume dei container transitati tra Cina ed Europa attraverso il Kazakistan sono aumentati del 205 per cento su base annua nel periodo gennaio-aprile 2016. La linea attraverso il Kazakistan taglia notevolemente i tempi di spedizione rispetto alla rotta marittima o a quella passante per la Russia. (Baku Network)

Il 6 maggio si è tenuta la cerimonia di avvio dei lavori per la nuova superstrada che collegherà Peshawar a Karachi per 392 chilometri, il più grande progetto infrastrutturale legato ai trasporti di tutto il corridoio economico Cina-Pakistan. Costo: 2,9 miliardi di dollari. (People's Daily)

Le autorità dello Xinjiang si sono impegnate ad assicurare all'85 per cento dei bambini in età prescolare accesso a insegnamento bilingue in mandarino e uiguro. Nell'anno in corso si prevede l'apertura di 552 asili bilingui grazie a investimenti per 1 miliardo di yuan. (Reuters)

Nasce centro per la vendita di prodotti kazaki a Yiwu, nel Zhejiang. Come spiega l'ideatore del progetto, il centro strizza l'occhio ai consumatori cinesi proponendo prodotti realizzati senza additivi artificiali. (BNews.kz News Agency)

Durante il weekend, oltre 12mila funzionari e uomini d'affari provenienti da 37 paesi e regioni sono confluiti nella città di Xi'an, nello Shaanxi, per presenziare alla Silk Road International Exposition, meglio nota con il vecchio nome di 20th Investment and Trade Forum for Cooperation between East and West China (ITFCEW). In passato il forum è servito ad attrarre investimenti nelle province della Cina interna e gli accordi interprovinciali sono saliti dai 29 miliardi di yuan del 1997 ai 790 miliardi del 2013. Da quando Pechino ha lanciato il progetto nuova via della seta gli investimenti diretti in 49 degli oltre 60 paesi coinvolti sono lievitati a quota 14,8 miliardi di dollari nel 2015, pari al 12,6 per cento del totale di quanto dalla Cina all'estero, mentre il commercio bilaterale ha raggiunto i 995,5 miliardi di dollari. Lo scorso anno lo Shaanxi ha promesso di investire 236 milioni in Asia Centrale. La cooperazione spazia dal settore agricolo all'ingegneria petrolchimica passando per le costruzioni. Proprio quest'ultimo settore si profila tra i più promettenti "considerati gli ampi territori, la popolazione numerosa e il rapido sviluppo". Lo scorso maggio la Shaanxi Construction Engineering Group Corp ha vinto un appalto per la costruzione di un parco industriale e 10mila appartamenti a prezzi accessibili. (Xinhua)

sabato 14 maggio 2016

La Rivoluzione Culturale ai tempi di Weibo


Il 1 giugno 2012, una foto in bianco e nero diventa trending topic su Weibo, il Twitter cinese. Due coppie fissano con sguardo vitreo l'obiettivo: sopra ci sono il noto critico d'arte Fu Lei e sua moglie, sotto il vicedirettore dell'università di Pechino, rinomato studioso di marxismo, Jian Bozan e consorte. L'immagine è accompagnata da una breve annotazione firmata dall''utente Shi Dan Shi Yan: «Di quanti suicidi durante la Rivoluzione culturale, alcuni erano amanti decisi a seguire il percorso verso la morte insieme, ennesima prova dell'immensa sofferenza e crudeltà dell'epoca». Il post, che prosegue con un elenco di illustri coniugi suicidi, nel giro di un paio di giorni è stato condiviso 4.696 volte ricevendo 1.131 commenti in un raro laissez-faire della censura online nei confronti di uno dei capitoli più bui della storia cinese.

Raramente il «Grande Fratello» cinese permette all'opinione pubblica di toccare questioni che rischiano di compromettere l'operato del Partito agli occhi dei posteri. Altrettanto raramente capita che i cinesi, alle prese con una quotidianità scandita da inquinamento, scandali alimentari e licenziamenti si interessino di quanto avvenuto ormai cinquant'anni fa. Cionondimeno, da qualche tempo la Rivoluzione Culturale, rientra - insieme alla Grande carestia fine anni '50 - tra quella ristretta lista di eventi che, seppur rubricati come «sensibili», risultano ormai parzialmente sdoganati. Lo scorrere del tempo ha creato quel distacco temporale sufficiente a squarciare il velo di omertà che invece avviluppa piazza Tian'anmen, una ferita ancora troppo fresca per permettere un'analisi lucida. Ma sia bene inteso, il dibattito - quando permesso - segue perlopiù traiettorie definite dall'alto. Talvolta asseconda a sua insaputa l'agenda politica del momento. È così che anche una foto patinata può rappresentare ben più di una semplice provocazione della rete se letta alla luce del trambusto politico in corso.

Pochi mesi prima che le coppie suicide rimbalzassero sui social, nel marzo 2012, la Rivoluzione culturale era stata chiamata in causa dall'allora premier uscente Wen Jiabao, in riferimento al caso eclatante dell'ex segretario del Partito di Chongqing Bo Xilai, piuttosto popolare nella megalopoli del sud-ovest per via di un revival maoista a base di «canzoni rosse», ma finito al centro di uno dei peggiori scandali della storia cinese. O forse, semplicemente fatto fuori proprio per via di quella sua popolarità invisa ai leader in pectore alla vigilia del rimpasto al vertice sancito dal Diciottesimo Congresso del Partito il novembre successivo. In quel contesto, la scelta di rivangare gli orrori del decennio delle guardie rosse doveva servire a disintegrare l'immagine del «novello Mao» e a rilanciare non ben definite «riforme politiche» per scongiurare un altro periodo di caos e violenza.

Il clima politico era caotico al punto tale da permettere al magazine Southern People Weekly di uscire con una prima pagina sulla Grande carestia, quando a morire per la fallimentare implementazione del Grande balzo in avanti furono tra i 17 e i 45 milioni di persone. Un periodo che la storiografia ufficiale ricorda sbrigativamente come «i tre anni di difficoltà». Punto.

Negli ultimi anni, la pazienza dei gendarmi della rete verso la memoria storica della blogosfera si è rivelata altalenante. Periodi di relativa tolleranza hanno lasciato il posto a fasi di chiusura ermetica. Mentre nel febbraio 2013 il caso del signor Qiu, l'ottuagenario del Zhejiang arrestato dopo trent'anni per un omicidio perpetuato all'epoca per ordine delle guardie rosse, infiammava l'internet cinese, circa un anno dopo la Rivoluzione culturale risultava tra i termini bloccati su Sina Weibo quando associata al nome di Song Binbin, la figlia del generale Song Renqiong, uscita allo scoperto dopo oltre tre decadi per chiedere pubblicamente scusa per aver contribuito all'uccisione del vicepreside della sua scuola di allora. La mano dei censori «po' esse piuma e po' esse fero», ma quando debba essere una o l'altra lo sanno solo nelle segrete stanze di Zhongnanhai, il Cremlino cinese.

Come emerge da uno studio dell'Università del Massachusetts, in realtà il web sembra seguire piuttosto pedissequamente la vulgata ufficiale data in pasto all'opinione pubblica dalla leadership. Ovvero quella cucita sulla base della «Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro partito, dalla fondazione della Repubblica popolare cinese», adottata dalla sesta sessione plenaria dell'Undicesimo Comitato Centrale del Partito comunista cinese del 27 giugno 1981. Prima ammissione pubblica degli esiti nefasti della Rivoluzione culturale - in quanto portatrice di «disordine e catastrofi al Partito, allo Stato e al popolo» - seppure cristallizzata in una formula capace di salvare in extremis l'eredità ideologica del Partito, sminuendo gli errori di Mao rispetto al determinante contributo devoluto dal Grande Timoniere alla rivoluzione comunista; affibbiando gran parte della responsabilità alla scellerata Banda dei Quattro, messa a processo proprio nel 1981.

Questa è la versione ripresa da libri scolastici, serie televisive e media statali; praticamente l'unica in grado di raggiungere la generazione dei balinghou, i nati negli anni '80 che costituiscono la fetta più consistente del popolo della rete - secondo il «Statistical Report on Internet Development in China» nel 2012 il 30 per cento dell'internet cinese era composto da studenti di cui il 64 per cento under 35. Nella narrazione edulcorata dalla propaganda di regime, la Rivoluzione Culturale viene ritratta come un generico «periodo di caos», talvolta agitato come un fantasma in riferimento all'eventuale assunzione di un sistema multipartitico di stampo occidentale, vero anatema di Pechino. («Multi-party China 'Will Bring Chaos'» diceva Wen Jiabao). Ma raramente viene lasciato spazio al racconto diretto delle sofferenze patite dai superstiti.

«Le nuove generazioni credono soltanto alle dichiarazioni ufficiali: alcuni pensano che contraddire la linea ufficiale sia perfino un'eresia», commentava su Foreign Policy lo scrittore Murong Xuecun all'indomani di un dibattito online in cui la Grande carestia veniva bollata come falso storico sulla base di prove strampalate. «Il popolo cinese ha vissuto in un sistema oscurantista che è stato progettato per rendere le persone stupide, favorire l'odio reciproco e degradare la loro capacità di pensare in modo critico e di capire il mondo», si lamentava lo scrittore. E quanto sia efficace la strategia censorea di Pechino lo dimostra il vuoto creato intorno al massacro dell''89; un evento che - secondo quanto riporta Louisa Lim in The People's Republic of Amnesia: Tiananmen Revisited - viene associato alla celeberrima foto del «rivoltoso sconosciuto» soltanto da 15 universitari di Pechino su 100.

«[I giovani] non si prendono il disturbo di controllare i dettagli», continua Murong, «quando il governo dichiara che l'artista Ai Weiwei è una brutta persona, odiano Ai Weiwei. Quando il governo dice che gli Stati Uniti sono il nemico, odiano gli Stati Uniti. E quando lo scorso settembre il governo ha dichiarato che il Giappone stava usurpando la sovranità cinese, si sono riversati per le strade e hanno devastato le automobili giapponesi». Il riferimento è alla follia distruttrice seguita all'escalation tra Tokyo e Pechino sulle isole contese Diaoyu/Sekaku, quando nell'agosto 2012 proteste di piazza anti-nipponiche - inizialmente incoraggiate da Pechino - sfociarono in violenze incontrollate. Tra una bandiera giapponese in fiamme e una macchina sfasciata, nel mezzo della folla inferocita non mancò nemmeno di riapparire qualche ritratto di Mao in segno di critica verso la leadership allora al potere, considerata troppo permissiva in politica estera; il nazionalismo è forse uno dei «Frankenstein» meglio riusciti del regime cinese.

All'epoca dei fatti, blogger e commentatori internazionali paragonarono i disordini ad una «nuova Rivoluzione culturale», a testimoniare come il decennio 1966-1976 sia ormai diventato semplicisticamente sinonimo di caos e orrore. Lo stesso attivismo 2.0 viene spesso associato al lavoro di vigilanza delle guardie rosse più che a un sano sistema di check and balance. Specie quando prende pieghe controverse come nel caso del «motore di ricerca di carne umana», un processo di screening «manuale» di dati personali attraverso la collaborazione in rete che negli scorsi anni è sfociato non di rado in una forma di «cyberlinciaggio» terribilmente simile alla pubblica gogna cui venivano sottoposti i presunti controrivoluzionari ai tempi del Grande Timoniere.

E se in questo adattamento in chiave moderna i netizen sono le nuove guardie rosse 2.0, i tweet pubblicati su Weibo costituiscono la versione digitale dei dazibao, i poster affissi sui muri con cui la pancia del paese soleva criticare le istituzioni. Con il rischio, s'intende, che in questo gioco di continui rimandi si finisca per assecondare la strategia delle autorità, riducendo uno dei capitoli più controversi della storia nazionale ad un'etichetta da appiccicare con la colla per fini di propaganda o di mera narrazione giornalistica.

Cosa ne sarà della vera Rivoluzione culturale, quella vissuta e conservata nel ricordo di un numero sempre più esiguo di cinesi? Zhang Lijia, scrittrice, giornalista e autrice di Il socialismo è grande!: memorie di un'operaia della Nuova Cina, lancia un messaggio di speranza.

«In Cina ogni parte della storia che mette in cattiva luce il Partito comunista, come la Rivoluzione culturale, non viene raccontata in maniera appropriata. Molti giovani cinesi sanno molto poco del loro paese. È una vera tragedia», ci dice Zhang, «eppure da qualche tempo stiamo assistendo ad un'insolita propensione al dibattito sia un online che offline. Questo non soltanto per via di un accesso più facilitato a internet. La Cina è sempre più aperta al mondo. I cinesi di estrazione più elevata viaggiano, hanno amici stranieri, vanno a studiare all'estero, leggono libri in inglese. Alcuni aggirano la censura con i vpn. Mi è capitato di ricevere diversi articoli e storie sulla Rivoluzione culturale via WeChat. Molti sono stati eliminati nel giro di pochi istanti. Ma nell'era di internet è praticamente impossibile bloccare la circolazione delle informazioni, e alla stessa velocità con la quale spariscono rispuntano come nulla».

Alla facciaccia del «Grande Fratello».

(Pubblicato su China Files)

venerdì 13 maggio 2016

Al vaglio legge contro propaganda russo-cinese


Mentre i media internazionali seguono minuziosamente le provocazioni rimpallate tra Cina e Stati Uniti nel Mar cinese meridionale col timore che un passo falso possa innescare uno scontro a fuoco, a Capitol Hill la guerra è già iniziata e si disputa a colpi di soft power.

Lo scorso 16 marzo, un disegno di legge bipartisan, il Countering Information Warfare Act (S.2692), è stato introdotto in Senato con l'intento di difendere la prima potenza mondiale dalla propaganda estera e dalle operazioni di disinformazione lanciate dai governi stranieri. «Inclusi Federazione Russa e Repubblica popolare cinese». Come si legge sul sito del Congresso, l'CIWA riconosce i progressi inanellati dagli altri player globali nel «controllo delle informazioni per raggiungere obiettivi nazionali a scapito di Usa e alleati» . La controffensiva messa in campo prevede lo sviluppo di una  «strategia per contrastare la disinformazione e la propaganda estera, e affermare la leadership nello sviluppo di una narrazione strategica basata sui fatti». Obiettivo da raggiungersi sopratutto - chiarisce la bozza-  «proteggendo e promuovendo una stampa libera, sana e indipendente in quei paesi vulnerabili alla disinformazione straniera» .

Il provvedimento, sponsorizzato dai senatori Rob Portman (repubblicani) e Chris Murphy (democratici), già sottoposto ad una doppia lettura in Senato, è stato inoltrato al Committee on Foreign Relations, la commissione permanete incaricata, tra le altre cose, di supervisionare e finanziare piani di aiuto all'estero, oltre alla vendita di armi e alla fornitura addestramento ai paesi amici.

La bozza prosegue specificando che, entro e non oltre 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, verrà istituito un centro specifico (il Center for Information Analysis and Response) sotto il controllo del Segretario di Stato in coordinamento con il Segretario alla Difesa, il Direttore dell'Intelligence nazionale, e la Broadcasting Board of Governors, l'agenzia federale bipartisan responsabile per tutti i mezzi di comunicazione non militari finanziati dal governo degli Stati Uniti; compresi Radio Liberty e Radio Free Asia, le due emittenti specializzate nella copertura di notizie sulla condizione dei diritti umani nell'area ex sovietica e in Asia, con occhio particolarmente attento a quanto succede nelle regioni autonome cinesi di Tibet e Xinjiang, dove la libertà di movimento dei giornalisti stranieri è piuttosto limitata.

L'iniziativa di Washington ricalca l'istituzione da Parte dell'Unione Europea di una piccola unità all'interno del European External Action Service, mirata a contrastare la vulgata del Cremlino diffusa attraverso media outlet sponsorizzati dal governo russo, quali RT e Sputnik. Fin qui, niente di eclatante. Come spiega su The National Interest Claire Chu, esperta di sicurezza dell'American University, tutto il periodo della Guerra Fredda ha visto l'Occidente e il blocco sovietico spararsi vicendevolmente bordate ideologiche. La vera novità del Countering Information Warfare Act (S.2692) sta nel primo esplicito tentativo di risposta ad una minaccia cinese, in un momento in cui Pechino e Mosca sono sempre più allineati nella difesa dei rispettivi interessi nell'Asia-Pacifico e nel presentarsi al mondo come valide alternative al modello statunitense basato sulla difesa di valori (non per tutti) universali.

Mentre la prima economia del mondo «manca ancora di un meccanismo di coordinamento tra le varie agenzie governative in risposta alle minacce non convenzionali», la Cina si sta ingegnando in ogni modo per colmare il vantaggio tecnologico degli avversari spostando l'attenzione su tutti quei mezzi che, come vuole la strategia militare tradizionale cinese, permettono di sottomettere il nemico senza nemmeno dover arrivare a imbracciare le armi. Dagli attacchi hacker a un utilizzo sempre più sofisticato degli organi d'informazione che ormai operano su scala globale grazie alla presenza di uffici all'estero e alla distribuzione di inserti allegati ai grandi nomi del giornalismo a stelle e strisce, come New York Times e Washington Post.

L'Esercito di Liberazione Popolare (PLA) - spiega Chu - combina la guerra psicologica e quella mediatica alla manipolazione del diritto internazionale (lawfare) non solo per disturbare le capacità dei competitor nel controllo delle informazioni, ma anche per influenzare i processi decisionali dell'audience nazionale e internazionale con lo scopo di raccogliere supporto in favore delle operazioni militari di Pechino. E' così che nell'ambito della recente riforma dell'esercito, la prima del genere dagli anni '50, il PLA si è dotato di tre nuove unità tra cui la Strategic Support Force, definita eloquentemente dagli analisti d'oltre Muraglia come un «information warfare service» volto a coniugare funzioni civili e militari.

Arringando l'Atlantic Council, think tank americano con cinquant'anni di storia alle spalle, il senatore Portman ha spiegato che il gigante asiatico «ogni anno spende miliardi di dollari per affinare la propria propaganda estera...l'espansione delle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale [in acque contese con i sodali di Washington] è soltanto l'ultimo esempio di come la disinformazione può essere sfruttata [da Pechino] con successo per cogliere gli Stati Uniti e i loro alleati impreparati».

(Pubblicato in forma ridotta su il manifesto)

martedì 10 maggio 2016

Corea del Nord: si chiude il sipario sul Congresso


Al quarto e ultimo giorno di Congresso - il primo dal 1980 a questa parte - Pyongyang ha rinnovato l'intenzione di rafforzare il proprio arsenale nucleare per scopi difensivi, contravvenendo alle risoluzioni adottate dall'Onu in risposta ai vari test nucleari e missilistici. La decisione - formalizzata durante il consesso- conferma di fatto la posizione mantenuta in precedenza dal governo nel presentare la Corea del Nord come «una potenza nucleare responsabile».

Proprio nel weekend il leader nordcoreano Kim Jong-un - insignito ieri della rara carica di presidente del Partito - aveva affermato durante un'arringa durata tre ore che il ricorso ad un intervento nucleare da parte di Pyongyang sarà contemplato solo in caso di un'aggressione straniera. Specificando la volontà di «migliorare e normalizzare le relazioni con i paesi in passato ostili, purché si dimostrino amichevoli e rispettino la sovranità nazionale». Una dichiarazione interpretata dalla stampa internazionale come un ramo d'ulivo offerto a Stati uniti e Corea del Sud, a cui tuttavia Seul ha risposto freddamente anteponendo la rinuncia formale allo sviluppo del programma nucleare come garanzia per la ripresa di «colloqui genuini» tra le rispettive forze armate.

Pyongyang e Seul sono tecnicamente ancora in guerra dagli anni '50, quando la Guerra di Corea si concluse con una tregua e non un trattato di pace. Da allora le relazioni bilaterali hanno registrato alti e bassi, precipitando, in seguito al test nucleare di gennaio, ad un nuovo minimo storico confluito nellachiusura della zona economica speciale di Kaesong, il complesso industriale simbolo del riavvicinamento tra le due Coree.

Toni sostenuti anche da parte di Pechino, sempre meno incline a mantenere remissivamente il ruolo di principale benefattore e storico alleato del Regno Eremita. Le buone intenzioni del leader nordcoreano sono state sminuite anche dalla stampa cinese. Nella giornata di lunedì, il Global Times, tabloid della politica estera cinese affiliato all'ufficialissimo People's Daily, ha puntualizzato che «l'atteggiamento [di Pyongyang] non è cambiato né le grandi contraddizioni con il mondo esterno sono state risolte», mentre il ministero degli esteri cinese ha invitato il governo nordcoreano a «mantenere il passo con i tempi», trattenendosi a fatica dal disconoscere urbi et orbi lo status di potenza nucleare sbandierato dal vicino asiatico.

Dall'approvazione delle ultime sanzioni internazionali, Pyongyang non ha dato il minimo segno di voler sospendere l'espansione del suo arsenale. Anzi. Stando ai non molto attendibili comunicati ufficiali, da marzo a oggi la Corea del Nord pare sia riuscita prima a miniaturizzare una testata nucleare (sufficientemente piccola da essere montata su un vettore), poi a eseguire un lancio missilistico da un sottomarino. Anche se i preparativi per un quinto test nucleare, evidenziati dalle riprese satellitari, sembrano per il momento posticipati.

«Fintanto che gli imperialisti persisteranno nella loro minaccia nucleare e in pratiche arbitrarie,continueremo a mantenere la linea strategica che prevede simultaneamente la ricostruzione economica e il potenziamento della forza nucleare autodifensiva, sia in termini di qualità sia di quantità». E' quanto approvato durante il Congresso, stando al resoconto fornito ieri dall'agenzia di stampa statale KCNA.

Come pronosticato dai media internazionali, il Congresso si sta rivelando una piattaforma privilegiata per il rilancio del byungjin (letteralmente «linee parallele»), ricetta a base di nucleare e sviluppo economico lanciata nel 2013 che probabilmente passerà alla storia come il marchio di fabbrica del governo del giovane Kim; così come il juche («autosufficienza») e il songun («prima l'esercito») lo sono stati del nonno Kim Il-sung e del padre Kim Jong-il. Oltre ai progressi collezionati nello sviluppo dell'atomica, il leader nordcoreano ha annunciato l'avvio di un piano quinquennale per rilanciare l'economia, che è troppo chiamarlo «riforme». Sebbene non siano stati forniti dettagli, Kim ha chiesto una maggiore attenzione all'automazione industriale, alla meccanizzazione dell'agricoltura e a un aumento della produzione di carbone e dell'export di materie prime, tra le principali fonti di guadagno per il regime in barba alle sanzioni.

Almeno nella capitale, negli ultimi anni si sono avvertiti segnali di una modesta ripresa (aumento del traffico e dei ristoranti; incremento nella vendita di articoli di consumo come smartphone, prodotti elettronici e vestiti alla moda), mentre la banca centrale della Corea del Sud ha calcolato la crescita nordcoreana intorno all'1% nei passati tre anni. Stime, queste, che tuttavia non comprendono il fiorente mercato grigio all'origine di una piccola imprenditoria privata.

Modernizzazione e successi economici hanno allietato i 128 reporter invitati a «coprire» il consesso. Il virgolettato è d'obbligo dal momento che, mentre presso la Casa della Cultura 25 aprile i 3000 delegati si riunivano a congresso, i giornalisti stranieri venivano sballottolati da una fabbrica tessile a una di cavi elettrici, passando per un ospedale e altri «siti modello».

L'intento doveva essere chiaramente quello di provare al mondo che la qualità della vita «nell'ultima cortina di ferro» non è poi male come racconta la stampa straniera. Così quando l'inviato della Bbc,Rupert Wingfield-Hayes - giunto sul posto nei giorni scorsi per coprire la visita di un gruppo di premi Nobel - si è permesso di dipingere quanto osservato durante le visite guidate come una specie di messa in scena, è stato trattenuto in aeroporto mentre era in procinto di tornare a Pechino con il suo team, poi interrogato per otto ore e infine espulso dal Paese senza possibilità di ritorno.

Soltanto lunedì, a lavori pressoché conclusi, una trentina di giornalisti stranieri sono stati accolti nella Casa della Cultura, appena il tempo di realizzare un paio di riprese e immortalare il sempre più potente erede della dinastia Kim. Una sfarzosa parata nel cuore della capitale ha coronato martedì la fine del Congresso sotto gli occhi di centinaia di migliaia di partecipanti.

(Pubblicato su China Files)

martedì 3 maggio 2016

Rassegna: dispacci dalla Silk Road Economic Belt


In "China's Silk Road in Central Asia: transformative or exploitative?" Sarah Lin mette in risalto le potenzialità della cintura economica terrestre, evidenziando tuttavia i limiti, prima fra tutti la più volte sbandierata alluvione di operai cinesi. Se infatti il Turkmenistan richiede tecnicamente che la forza lavoro di un progetto sia costituito al 70 per cento da dipendenti locali, e l'Uzbekistan permette che le aziende cinesi inviino solo personale manageriale (non operai), in realtà  pare che tali disposizioni vengano spesso aggirate. In Kirghizistan e Tagikistan la forza lavoro cinese è anche più visibile. In Kirghizistan, ad esempio, la costruzione di due strade (la Osh-Sary Taš-Irkeshtam e la Bishkek-Naryn-Torugart) - finanziate in parte dalla Cina - ha visto la partecipazione di un 30 per cento di lavoratori locali contro il 70 per cento dei lavoratori cinesi. Mentre il 60 per cento delle materie prime utilizzate era importato. (Financial Times)

Oltre 20 dei paesi attraversati dalla “One Belt One Road” hanno truppe statunitensi stazionate sul loro territorio o alleanze militari con gli Stati Uniti. Nella regione ci sono una decina di alleati non-NATO degli Stati Uniti. Con l’avanzare di OBOR, molti dei suoi progetti coinvolgeranno anche paesi della NATO, dal momento che l’iniziativa copre 13 dei 28 paesi membri dell’Alleanza atlantica. (Global Times)

Impianti chimici, metallurgici e cementifici potrebbe presto essere trasferiti dalla Cina settentrionale nel Far East russo. E' quanto stabilito nell'ambito di un accordo raggiunto ai primi di aprile, durante la visita del ministro per lo sviluppo del Far East Alexander Galushka a Pechino. Il piano - la cui fattibilità è di per sé discutibile - si inserisce nel tentativo messo in campo dal governo cinese di liberare il nord-est cinese dalle molte fabbriche inquinanti. E nonostante le rassicurazioni sul rispetto degli standard ambientali, non fa strano che la società civile russa sia già sul piede di guerra. La penetrazione cinese nella spaziosa e desolata Siberia è da anni motivo di agitazione tra la popolazione locale. Appena pochi giorni fa le autorità della provincia cinese dello Heilongjiang, al confine con la Federazione, hanno reso approvato la politica dei tre figli per le coppie appartenenti a categorie specifiche, come quelle rimpatriate dall'estero o provenienti da Hong Kong, Macao e Taiwan. (Ria Novosti)

China Exim Bank e China Development Bank hanno siglato un accordo con il consorzio Yamal LNG per un prestito da 9,3 miliardi di dollari spalmato su 15 anni per lo sviluppo dell'impianto di Sabetta, nella penisola di Yamal. (Eurasian Business)

La China Railway Cooperation sta portando avanti degli studi di fattibilità per realizzare la seconda ferrovia ad alta velocità più lunga del mondo e che dovrebbe collegare Chennai a New Delhi. (Xinhua)

La China National Petroleum Corporation (CNPC) sta considerando l'acquisizione di una quota di Rosneft del 19 per cento quando la società russa avvierà il piano di privatizzazione nei prossimi mesi. CNPC possiede già lo 0,7 per cento dal 2006. Il progetto verrà probabilmente discusso durante il prossimo incontro tra Xi Jinping e Putin. (Eurasian Business)

La Skyland Petroleum Limited ha annunciato che comincerà a distribuire petrolio e gas da Russia, Tagikistan e Georgia verso Pechino, Shanghai e le province cinesi dello Heilongjiang e del Liaoning attraverso l'oleodotto Eastern Siberia-Pacific Ocean" e il gasdotto "Power of Siberia". Skyland Petroleum svilupperà giacimenti nella Siberia orientale in partnership con compagnie cinesi private e statali. (China.org)

La Cina importerà più gas dal Turkemnistan grazie a una stazione di compressione presso il giacimento di Malai. Secondo un accorodo stretto nel maggio del 2015 tra Pechino e Ashgabat, il paese centroasiatico pomperà 65 miliardi di metri cubi l'anno entro il 2021. (Steppe Dispatches)

La città tedesca di Duisburg riceve ormai un treno al giorno dalla Cina, di cui tra i 3 e i 5 a settimana da Chongqing, due alla settimana da Wuhan e uno da Changsha. Ci sono anche treni settimanali che da Wuhan e Zhengzhou arrivano ad Amburgo. E la Germania non è l'unico Paese della Nuova Via della Seta ad aver moltiplicato gli scambi ferroviari con il Regno di Mezzo. (Los Angeles Times)

L'Asia Development Bank e l'Asian Infrastructure Investment Bank hanno siglato un memorandum d'intesa a Francoforte, in occasione del 49esimo meeting del consiglio di amministrazione dell'ADB. L'accordo pone le basi per l'avvio di una serie di progetti congiunti, il primo dei quali, come anticipato da alcune fonti, consisterà nella costruzione di un tratto autostradale di 64 chilometri tra Shorkot e Khanewal, Pakistan. (Xinhua)

lunedì 2 maggio 2016

Cresce il business cinese del vino di tigre


Ogni giorno alle 14,30 un triste teatrino risveglia il decadente Parco degli orsi e delle tigri Xiongsen di Guilin, nella provincia meridionale cinese del Guangxi. Svogliati felini si esibiscono in acrobazie davanti ad un’arena pressoché vuota prima di essere rispediti in gabbie arrugginite. Segue un inframmezzo di scimmie cicliste e capre equilibriste tra i timidi applausi del pubblico.

In trent’anni di attività, mai lo Xiongsen Bear and Tiger Park fu meno popolare di adesso. Questo non sembra scoraggiare Zhou Weisen, il tycoon proprietario del parco, in procinto di trasferire baracca e burattini in un posto a otto chilometri dall’attuale e circa tre volte più grande. Se infatti il numero dei visitatori continua a precipitare, lo stesso non si può dire per le tigri ospitate nella riserva. Con oltre 1.800 esemplari, il parco Xiongsen vanta la popolazione di tigri in cattività più numerosa al mondo. Secondo recenti stime, i felini ancora allo stato brado sono in tutto solo 3.890.

Va da sé che i biglietti strappati all’ingresso (da 40 yuan ciascuno, circa 4,5 euro) non basterebbero nemmeno a nutrire una piccola parte degli animali presenti. E infatti mentre il circo rimane l’attività di facciata, a 300 chilometri da Guilin, nelle poco battute campagne del Guangxi, una fabbrica fa «buon uso» delle carcasse dei felini rimasti vittima di zuffe tra consimili o semplicemente morti di vecchiaia. Qui le ossa delle tigri vengono messe in grandi otri e lasciate a macerare nel vino di riso fino a otto anni. Quel che ne esce fuori è un liquore tonificante che molto piace alla classe media cinese, disposta a pagare tra i 320 e i 4.000 yuan per mezzo litro. Nonostante il sapore amaro, si dice curi i reumatismi e abbia proprietà afrodisiache. È il top sul mercato cinese.

Mentre il «nettare» di Xiongsen è facilmente acquistabile su Alibaba, la principale piattaforma di e-commerce cinese, buona parte della produzione raggiunge i grandi alberghi e viene servita durante i sontuosi banchetti, finiti recentemente nel mirino della campagna anticorruzione con cui la leadership cinese spera di ripulire il Partito comunista dagli elementi corrotti.

Il Parco Xiongsen non è nuovo alle cronache. Già nel 2007 un’inchiesta del South China Morning Post (tornato recentemente sul posto) aveva provveduto a rimestare nei torbidi affari del signor Zhou. Al tempo la riserva di Guilin macinava centinaia di visitatori al giorno e offriva uno show splatter in cui vitellini vivi venivano dati in pasto ai felini davanti a una nutrita folla di famigliole. Una volta terminato lo spettacolo, quanti dotati di uno stomaco sufficiente forte potevano assaggiare una serie di prelibatezze locali servite nel ristorante della riserva. Il menù includeva carne di leone (380 yuan a porzione) e di tigre (480 yuan) nonché zampe di orso (7200 yuan).

L’inchiesta sollevò un polverone mediatico tanto da costringere alla chiusura sia il ristorante sia lo shop del parco, specializzato nella vendita del vino di tigre in folcloristiche bottiglie a forma di felino. Anche la statale CCTV, nel 2014, si unì al coro di critiche dedicando a Xiongsen un reportage velenoso che ha indotto lo staff del parco a rafforzare i controlli sui visitatori, specie se stranieri.

Un inconveniente che, tuttavia, non sembra aver intimidito il losco giro d’affari. Oltre a Guilin, anche Harbin, nel nordest del Paese, dal 1986 vanta – con il placet delle autorità – una riserva di tigri che ha ormai raggiunto gli oltre 1.000 esemplari. Mentre per la prima volta in 25 anni Pechino si appresta a rivedere la legge sulla protezione della fauna selvatica, secondo il Guardian, sono grossomodo 200 le strutture di questo tipo presenti in Cina per un totale di 5.000-6.000 animali.

Mentre, infatti, l’allevamento dei felini per la commercializzazione di alcune parti risulta vietato ai sensi della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites) – di cui Pechino è firmataria – tuttavia, il governo cinese ha concesso una deroga per quanto riguarda l’allevamento in cattività difendendone l’importanza nella lotta contro il bracconaggio di esemplari allo stato brado.

E’ così che per soddisfare l’insaziabile appetito cinese per il pregiato liquore, – ma senza dare troppo nell’occhio – pare che il business si stia rapidamente espandendo nel Sud-est Asiatico, con un parco sorto proprio in una zona economica speciale al confine tra la Repubblica popolare e il Laos.

(Pubblicato su il Fatto Quotidiano/China Files)

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...