domenica 31 marzo 2013

Retorica bellicista nordcoreana: tutti vogliono un "nemico" da odiare


Anche per Ivan Eland, direttore del Center on Peace and Liberty dell'Independent Institute, le ultime minacce della Nord Corea nei confronti di Usa, Sud Corea e -da qualche ora- anche Giappone sono mosse da fattori interni più che da reali intenzioni bellicose. Il giovane leader Kim Jong Un, a caccia di consenso sopratutto tra le forze armate, sceglie la via del nazionalismo per tenere unito il popolo nordcoreano vessato da carenze alimentari e periodiche carestie, sopratutto nelle campagne. In questo quadro si inserisce la figura del "nemico": un elemento esterno sul quale concentrare il proprio odio risulta necessario per la sopravvivenza stessa del regime nordcoreano, come lo è stato per Cuba e Iran. Poco meno di un anno fa, quando Kim Jong Un era ancora tutto da scoprire e molti confidavano sulla sua formazione internazionale per un'inversione di rotta rispetto alle aggressive politiche paterne, facevo ritorno dal mio viaggio in Nord Corea con diversi interrogativi. Sopra ogni cosa -come scrivevo nel reportage- mi aveva stupita la mancanza di una memoria storica antecedente alla Guerra di Corea, come se l'identità nazionale del popolo nordcoreano fosse stata costruita esclusivamente sulla contrapposizione all'odiato Sud. Forse non sbagliavo.

Alcuni miti da sfatare sulla Corea del Nord sull'ottimo Atlantic.

giovedì 28 marzo 2013

Due chiacchiere con Feng Yuan



(Segue da Germogli di femminismo sbocciano in Cina)

La parola all'esperta
Feng Yuan si occupa di tematiche di genere dalla metà degli anni '80. Dal 1986 al 2006 ha lavorato come giornalista presso la redazione del People's Daily, organo del Comitato centrale del Pcc, e di China Women's News. Nel 1995 ha fondato insieme ad altri diverse Ong, tra le quali Media Monitor Network for women, Beijin-Tianjin Facilitators' Team on Gender and Development e Anti Domestic Violence Network. Tra il 2006 e il 2009 è stata coordinatrice del Gender and Women's Right Program di ActionAid China, poi professoressa e direttrice del Center for Women's Studies presso l'Università di Shantou (2009-2011). Oggi è presidente di Anti Domestic Violence Network e membro di China Women's Research Society. Oltre ad essere autrice e coautrice di diverse pubblicazioni e manuali di formazione, ha ricoperto un ruolo di primo piano nella stesura del primo China Human Development Report (2009), del libro bianco sulla parità di genere in Cina (2005, Consiglio di Stato) e del rapporto stilato dalle Ong sui progressi compiuti dalla Cina nella realizzazione degli obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG).

Feng ha gentilmente risposto ad alcune domande da me postele.

Le violenze domestiche sono ancora una realtà di tutti i giorni per molte donne cinesi. Secondo un sondaggio pubblicato tempo fa dal China Daily, un terzo delle famiglie cinesi si trova ad affrontare il problema degli abusi -sia fisici che psicologici- entro le mura di casa. Una ricerca intrapresa nelle provincie del Gansu, dello Hunan e del Zhejiang ha evidenziato che un terzo delle famiglie avrebbe assistito ad episodi di violenza domestica; l'85% delle vittime sono donne. La cosa sorprendente è che solo il 5% delle intervistate ha affermato di ritenere il proprio rapporto coniugale infelice. Per molte donne le violenze sono un aspetto "normale" della vita familiare. Eppure alcune iniziative messe in atto negli ultimi tempi indurrebbero a pensare che qualcosa stia cambiando (link). 

Se le norme sociali sulle violenze cambiassero, se i servizi pubblici fossero più completi, qualificati e disponibili, la maggior parte delle vittime certamente gradirebbe ottenere maggior aiuto dalla società e sopratutto dallo Stato. Il problema non è che le donne non cercano un supporto esterno alla famiglia, il problema è la mancanza di un sostegno adeguato e di aiuto da parte del governo. Abbiamo sentito un sacco di storie e vere e proprie tragedie come quella di Do Shanshan a Pechino e di Li Yan nel Sichuan, entrambe vittime che non sono riuscite ad avere un aiuto tempestivo.

Quali sono le lacune del corpo normativo cinese che occorre colmare? Quali aspettative ripone nella nuovo leadership guidata da Xi Jinping?

I principi di parità e "uguaglianza" citati dalla legge debbono diventare realtà, occorre che siano  concreti e utilizzabili dai titolari dei diritti, come per esempio le donne. Bisognerebbe imporre ai soggetti responsabili, quali i dipartimenti di Stato e di governo ma anche i datori di lavoro, di adempiere ai propri doveri. Se la nuova dirigenza vuole veramente cambiare le cose, è necessario che prenda in considerazione i diritti delle donne e la parità di genere nel processo di formulazione delle politiche economiche e sociali.

Negli ultimi due decenni, diverse Ong si sono mobilitate nella difesa dei diritti delle donne, ma anche nel tentativo di sensibilizzare la società civile nel suo complesso, nonostante alcuni ostacoli quali vincoli finanziari e status giuridico. Quale sarà il ruolo delle Ong nella battaglia per l'emancipazione femminile?

Le Ong per la difesa delle donne hanno preso l'avvio e continuano a portare avanti attività di sostegno alla causa femminile, nonostante gli ostacoli incontrati. Al contempo le Ong hanno maggiore visibilità tra i media e il pubblico. Quello che dovremmo fare per implementare l'efficacia del nostro lavoro -oltre a richiedere riforme politiche- è rafforzare la nostra capacità di advocay e mobilitazione nel processo di stesura ed elaborazione dell'agenda politica.

Vuole spiegare in breve di cosa si occupa Media Monitor Network for women, Ong di cui è cofondatrice? 

Media Monitor Network for Women mira a superare gli stereotipi di genere e a migliorare la partecipazione femminile nel mondo del giornalismo e della comunicazione. A partire dal 1996 ha effettuato diverse ricerche ed inchieste, oltre ad aver organizzato corsi di formazione. Tra anni fa ha cominciato a pubblicare alcuni prodotti editoriali, quali il settimanale online Women's Voice, seguito poi da Voice of Feminist.

sabato 23 marzo 2013

Xi Jinping a Mosca: la parola agli esperti


(Al Jazeera intervista Victor Gao, direttore di China National Association of International Studies, Dimitry Babich, politologo di Russia Profile e Roderic Wye, analista di Catham House e senior fellow del China Policy Institute dell'Università di Nottingham. Consiglio una bella analisi su China-Us Focus e l'intervista a Leonid Savin su Eurasia)

"Penso che sia molto lusinghiero per la Russia avere il nuovo leader cinese (il neo presidente Xi Jinping, ndt) qui...ma non direi che Cina e Russia vogliano formare un qualche tipo di asse, o Dio non voglia, un'alleanza militare. Questo non avverrà per varie ragioni, principalmente, credo, perché se tale asse si formasse la Russia rappresenterebbe il partner più giovane, e questo tipo di sviluppo non si addice a Mosca al momento." (Dimitry Babich, analista politico della rivista Russia Profile)

Negli ultimi cinque anni il commercio bilaterale tra l'Orso e il Dragone è più che raddoppiato, arrivando a toccare nel 2012 83 miliardi di dollari. Eppure il volume degli scambi è ancora nettamente inferiore rispetto a quello che le due potenze conducono con altri Paesi: cinque volte minore rispetto agli "scambi virtuosi" Russia-Ue, e ancora più esiguo se comparato agli accordi commerciali stretti da Pechino e Washington. L'andamento però è crescente. Gas e oro nero daranno nuovo vigore ai rapporti tra il maggior produttore (Russia) e consumatore (Cina) al mondo di energia.

Sono stati firmati ben 15 accordi che abbracciano tutti gli indirizzi della cooperazione russo-cinese. In particolare e’ stato raggiunto un accordo su investimenti congiunti nello sviluppo delle infrastrutture e in altri progetti nell’Estremo Oriente. Gazprom russa e la cinese CNPC hanno firmato un memorandum sulle forniture di gas russo alla Cina, che prevede la costruzione di un gasdotto lungo la così detta via orientale, con spedizioni da 68 miliardi di metri cubi l'anno a partire dal 2018. Il capo di Gazprom, Aleksej Miller, ha informato che il contratto definitivo sara’ firmato gia’ entro l’anno in corso.

Anche la Rosneft ha firmato alcuni accordi con CNPC. Le forniture di petrolio greggio alla Cina saranno aumentate di oltre 3 volte. Le due societa’ intendono inoltre collaborare nello sviluppo di alcuni nuovi giacimenti della Siberia Orientale (La voce della Russia).

Non solo energia. I due Paesi hanno lavorato spalla a spalla nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) e nel -così detto- G20, oltre ad essere membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed aver utilizzato il proprio potere di veto per bloccare le misure dell'Occidente nel conflitto siriano. Di più. 4700 km di confine condiviso e un obiettivo comune: accrescere la propria influenza regionale come contraltare al "pivot to Asia" degli Stati Uniti.


giovedì 21 marzo 2013

Germogli di femminismo sbocciano in Cina


All'epoca di Mao la teoria dogmatica della liberazione femminista partiva dall'assunto che "l'indipendenza economica" fosse il requisito essenziale per il conseguimento dell'emancipazione. Al giorno d'oggi, oltre la Muraglia, sempre più persone sono dell'idea che per una donna "avere un buon lavoro non sia importante quanto avere un buon matrimonio". E se nella Cina del boom economico il mondo del business si tinge sempre più di rosa, il divario di reddito tra uomini e donne continua ad allargarsi. Colpa della sproporzionata concentrazione femminile nel lavoro intensivo e a basso reddito, così come in settori informali che non offrono alcuna previdenza sociale o benefit.

Sin dalla fondazione della Repubblica popolare cinese, nel 1949, la legislazione è venuta in soccorso "dell'altra metà del Cielo" proteggendone diritti e interessi. Pechino ha provveduto a ratificare alcune tra le principali convenzioni delle Nazioni Unite, tra le quali la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW). Eppure nell'ultimo ventennio il gap di genere sembra aver accompagnato la crescente disparità tra città e campagna. Nelle zone rurali sebbene le donne ricoprano il 65% della forza lavoro, solo l'1-2% occupa posizioni decisionali.

Risultato: nonostante uomini e donne siano uguali davanti alla legge, il gentil sesso è ancora vittima di discriminazioni dal primo all'ultimo giorno della propria esistenza. Si comincia con gli aborti selettivi e gli infanticidi femminili, passando per le diseguaglianze d'istruzione sui banchi di scuola e di reddito sul posto di lavoro, fino ad arrivare alle discriminazione nell'età pensionistica, nell'accesso al sistema sanitario e al welfare. Alcuni fattori quali la provenienza geografica, la classe sociale, l'orientamento sessuale e l'etnia possono aggravare ulteriormente la situazione.

Nonostante le donne cinesi continuino a rappresentare "l'altra metà del Cielo" -ovvero quella "sbagliata"- è evidente che la crescente consapevolezza dei propri diritti stia portando ad una sempre minore accondiscendenza verso una società indelebilmente segnata da millenni di confucianesimo. Nel contesto di un mondo globalizzato la lotta per l'emancipazione femminile si traduce in una battaglia per la liberazione del genere umano; ne è un esempio il ruolo attivo ricoperto dalle donne nella "rivolta dei gelsomini".
Nel caso specifico della Cina, va ricordato come la rivoluzione borghese sia stata essenzialmente nazionalista, socialista ma anche femminista. Nel 1912 le suffragette cinesi invasero il nuovo Parlamento per reclamare il diritto di voto. Dopo sette anni la rivalsa femminista ispirò il Movimento del 4 maggio, movimento studentesco culturale e politico anti-imperialista, nel contesto del quale venne richiesta l'uguaglianza dei sessi, la fine della poligamia e dei matrimoni combinati, nonché l'accesso all'istruzione superiore per le donne. La legge sul matrimonio, introdotta nel 1950, oltre a stabilire l'abolizione del "capo famiglia", permise alle mogli di mantenere il loro nome da nubili e alle madri di lasciare in eredità ai figli i propri beni.

Oggi la richiesta delle donne alle autorità cinesi di attuare gli accordi internazionali sottoscritti da Pechino -così come gli articoli 33-37 della Costituzione del 4 dicembre 1982 sulle libertà individuali- si inserisce in un più ampio sforzo di riforma sociale che ha come traguardo ultimo la democrazia costituzionale. Non quella "con caratteristiche cinesi", formulata dal padre delle riforme Deng Xiaoping per giustificare le prime liberalizzazioni economiche e che il Partito, recentemente rinnovato al suo vertice, continua a sbandierare in un clima di censura e repressione serrata. Ed è forse un po' per questo "senso civico", un po' per vendetta personale, che negli ultimi mesi "l'armata delle amanti e delle seconde mogli" ha smascherato una serie di casi di corruzione, mettendo -letteralmente- in mutande alcuni funzionari, protagonisti inconsapevoli di video hard.

Le donne, il Partito e le Ong
Nell'attuale contesto politico, "il Partito comunista cinese e lo Stato continuano a svolgere un ruolo dominante nel miglioramento dei diritti delle donne e dell'uguaglianza di genere" spiegava tempo fa Cai Yiping, membro del comitato esecutivo di Develop Alternatives with Women for a New Era (DAWN), network di femministe attiviste, ricercatrici e studiose provenienti dalle economie del Sud del mondo. All China Women Federation (ACWF), organizzazione nata nel '49 per volontà del Partito, ma che dalla fine del 1995 si definisce indipendente dal governo, ha una struttura tentacolare che opera su suolo nazionale a livello provinciale, distrettuale, sino a raggiungere i più piccoli villaggi, e che ha status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Di fondamentale importanza nella mobilitazione femminile, si batte per la parità di genere e per assicurare alle donne una maggior partecipazione allo sviluppo del Paese.

Ma è dal 1995, anno in cui Pechino ha ospitato la Quarta conferenza mondiale delle donne, che una serie di Ong a tinte rosa ha cominciato a proliferare nel Regno di Mezzo; tra queste rientrano centri di studio facenti capo a Università, istituti di ricerca e organizzazioni impegnate nell'advocacy.
Rispetto alle associazioni pilotate dal governo, le Ong si sforzano di far rispettare quanto compare nel quadro internazionale dei diritti umani, monitorando gli impegni assunti da Pechino con la sottoscrizione della CEDAW e l'assunzione del Beijing Platform for Action, piano d'accordo adottato durante la Quarta conferenza mondiale delle donne. Tra le funzioni delle Ong rientra l'organizzazione di attività di formazione sulle tematiche di genere per i funzionari governativi, e la   sensibilizzazione e mobilitazione della società civile, con un occhio particolarmente attento ai giovani. Il tutto sfruttando al massimo lo sviluppo delle nuove tecnologie informatiche e di comunicazione, affinché il messaggio trasmesso raggiunga un pubblico sempre più ampio.

I primi successi ottenuti nella battaglia femminista non vanno però fraintesi, avverte Cai. Il sentiero che conduce al pieno riconoscimento di pari diritti per uomini e donne è ancora lungo, mentre erroneamente si tende a ritenere il problema archiviato alla luce delle vittorie inanellate a partire dalla metà del secolo scorso. Niente di più sbagliato. Proprio la scarsa sensibilità e l'inerzia generale sono tra i principali ostacoli incontrati da chi si batte per la causa femminile.
A ciò si aggiunge la scarsa efficacia e trasparenza dei processi decisionali: oltre a ACWF, anche altre Ong vengono invitate a prender parte a consultazioni e negoziati su questioni rilevanti, ma la misura della loro partecipazione è incerta e dipende da vari fattori quali l'apertura e l'accettazione dimostrata dai responsabili politici, nonché la spigolosità delle tematiche affrontate. Nonostante i numerosi appelli a rilassare la politica di registrazione delle Ong, status giuridico e vincoli finanziari costituiscono una barriera difficile da valicare. Solo il 10% delle organizzazioni della società civile (CSO) sono registrate come organizzazioni non-profit, le restanti o non sono registrate oppure risultano come imprese commerciali.

Se per molti la diseguaglianza di genere è figlia di una cultura fortemente patriarcale, negli ultimi tempi gli attivisti hanno dirottato i propri sforzi nel tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica verso un fattore determinante: la presenza di politiche discriminatorie istituzionalizzate, dure a morire. La Pianificazione familiare e il controllo delle nascite attuato dal governo cinese a partire dagli anni '70 -che permette alle famiglie rurali che abbiano avuto una bambina di dare alla luce un secondo figlio- hanno condotto alla svalutazione della figura femminile. Proprio la politica del figlio unico ha fatto la sua comparsa nell'agenda dell'Assemblea nazionale del popolo -il "Parlamento" cinese, riunitosi nel mese di marzo per ultimare il rimpasto ai piani alti del Pcc e delineare le priorità per la nuova leadership- pare, per il momento, senza subire particolari modifiche (la Commissione per la pianificazione familiare è stata assorbita dal ministero della Salute nell'ambito di uno snellimento dell'esecutivo cinese). Ma il dibattito continua. Ad allarmare tanto i demografi quanto la dirigenza oggi è sopratutto la carenza di popolazione in età da lavoro e lo squilibrio tra maschi e femmine: nel 2010 per ogni 118 ragazzi in età da matrimonio c'erano solo 100 ragazze. Stando a quanto reso noto alcuni giorni fa dal ministero della Salute, negli ultimi quarant'anni in Cina sono stati eseguiti oltre 330 milioni di aborti, cifre che come gran parte dei dati ufficiali emessi da Pechino potrebbero risultare sottostimate.

Uno sguardo al futuro
La nascita delle Ong in rosa si colloca tra gli anni '80 e '90 del XX secolo, ma soltanto negli ultimi dieci anni si è assistito alla diffusione di nuove forme associative: donne migranti, donne affette da HIV/AIDS, donne omosessuali ecc.. hanno dato vita a organizzazioni diverse tra loro eppure non sottoposte a differenziazione gerarchiche, amplificando la propria voce. Una strategia vincente potrebbe essere quella di stabilire una sinergia tra mondo accademico, federazioni femministe, Ong e movimenti sociali di varia natura e interesse, rivela Cai Yiping in un'intervista rilasciata ad Association for Women's Right in Development. Gender Equality Policy Advocacy Project è il frutto di un'alleanza che vede schierate fianco a fianco studiose, attiviste e membri di federazioni per la difesa dei diritti delle donne. Sebbene sussistano difficoltà di coordinamento e nella gestione delle risorse, un impegno congiunto tra vari settori accresce inevitabilmente l'impatto del messaggio trasmesso.

Occorre ripensare il ruolo della donna attraverso il filtro della globalizzazione -esorta Cai- puntare la lente d'ingrandimento sull'interrelazione tra questioni di genere e attività commerciali, genere e responsabilità sociale negli investimenti cinesi all'estero. Monitorare la situazione delle lavoratrici migranti nelle imprese transnazionali e il problema del traffico transfrontaliero di donne. Una realtà globalizzata richiede che i movimenti al femminile si riposizionino su una struttura politica ed economica globale di relazioni di potere multiple.

Stabilità ad tutti i costi
Nel gennaio 2010 la giuria del Simone de Beauvoir Prize per la libertà delle donne ha scelto di onorare due cinesi: l'avvocato Guo Jianmei e la professoressa di letteratura comparata nonché film-maker Ai Xiaoming. L'anno successivo, soltanto la prima riuscì a volare a Parigi per presenziare alla cerimonia di premiazione. All'altra vincitrice fu negato il diritto di lasciare la Cina. Nei mesi seguenti  Ai ricevette vari tipi di intimidazioni, molestie telefoniche e minacce di morte.

Guo è membro di All China Lawyers Association, vicepresidente della Beijing Association of Women Lawyers e fondatrice del Centre for Women's Law Studies and Legal Service, una Ong per la promozione della riforma del sistema giudiziario e la difesa dei diritti delle donne. Nel marzo 2011 è diventata la prima cinese a vincere l'International Women of Courage Award, presentato dall'ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton. Due mesi dopo essere stata insignita del premio Simone de Baeauvoir, l'Università di Pechino -alla quale era affiliata la sua Ong- le ha intimato di chiudere il Centro. Secondo alcune fonti, l'organizzazione sarebbe stata condannata per aver ricevuto fondi dall'estero e per essersi immischiata in casi sensibili. La foto della donna in lacrime è finita su diverse riviste nazionali. Una mano davanti al viso, sullo sfondo una scritta sfuocata: "Associazione degli avvocati per l'interesse pubblico".

Per molti il semaforo rosso del governo all'operato di Guo rappresenta l'ultimo chiodo sulla bara della società civile cinese. A partire dal 2008 parallelamente all'incremento del numero delle Ong supportate dalle autorità si è riscontrata una progressiva diminuzione delle associazioni autonome stabilite a livello di base. Nell'estate del 2009 a finire nel mirino di Pechino era stata la Gongmen, una nota lega di avvocati per la tutela dei diritti con base nella capitale. Di fatto lo Stato tollera e incoraggia la formazione di Ong nella misura in cui esse giovano alla stabilità sociale e forniscono alcuni servizi essenziali in settori dai quali le autorità si sono ormai ritirate. Vengono azzittite senza pietà, invece, quando si spingono in terreni ritenuti off limits.

A volte, nonostante tutto, rinascono dalle ceneri sotto nuove sembianze. Decisa a continuare il proprio lavoro di consulenza legale, Guo non si è data per vinta e ha fondato il Beijing Zhongze Women's Legal Counseling and Service Center. Entro la fine del 2011 Guo e i suoi colleghi avevano fornito assistenza legale gratuita a quasi 80mila persone in casi legati a questioni matrimoniali, di famiglia, diritti umani e molto altro.

La parola all'esperta
Feng Yuan si occupa di tematiche di genere dalla metà degli anni '80. Dal 1986 al 2006 ha lavorato come giornalista presso la redazione del People's Daily, organo del Comitato centrale del Pcc, e di China Women's News. Nel 1995 ha fondato insieme ad altri diverse Ong, tra le quali Media Monitor Network for women, Beijin-Tianjin Facilitators' Team on Gender and Development e Anti Domestic Violence Network. Tra il 2006 e il 2009 è stata coordinatrice del Gender and Women's Right Program di Action Aid China, poi professoressa e direttrice del Center for Women's Studies presso l'Università di Shantou (2009-2011). Oggi è presidente di Anti Domestic Violence Network e membro di China Women's Research Society. Oltre ad essere autrice e coautrice di diverse pubblicazioni e manuali di formazione, ha ricoperto un ruolo di primo piano nella stesura del primo China Human Development Report (2009), del libro bianco sulla parità di genere in Cina (2005, Consiglio di Stato) e del rapporto stilato dalle Ong sui progressi compiuti dalla Cina nella realizzazione degli obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG).

Feng ha gentilmente risposto ad alcune domande postele da Uno sguardo al femminile.

Le violenze domestiche sono ancora una realtà di tutti i giorni per le donne cinesi. Secondo un sondaggio pubblicato tempo fa dal China Daily, un terzo delle famiglie cinesi si trova ad affrontare il problema degli abusi -sia fisici che psicologici- entro le mura di casa. Una ricerca intrapresa nelle provincie del Gansu, dello Hunan e del Zhejiang ha evidenziato che un terzo delle famiglie avrebbe assistito ad episodi di violenza domestica; l'85% delle vittime sono donne. La cosa sorprendente è che solo il 5% delle intervistate ha affermato di ritenere il proprio rapporto coniugale infelice. Per molte donne le violenze sono un aspetto "normale" della vita familiare. Eppure alcune iniziative messe in atto negli ultimi tempi indurrebbero a pensare che qualcosa stia cambiando (link). 

Se le norme sociali sulle violenze cambiassero, se i servizi pubblici fossero più completi, qualificati e disponibili, la maggior parte delle vittime certamente gradirebbe ottenere maggior aiuto dalla società e sopratutto dallo Stato. Il problema non è che le donne non cercano un supporto esterno alla famiglia, il problema è la mancanza di un sostegno adeguato e di aiuto da parte del governo. Abbiamo sentito un sacco di storie e vere e proprie tragedie come quella di Do Shanshan a Pechino e di Li Yan nel Sichuan, entrambe vittime che non sono riuscite ad avere un aiuto tempestivo.

Quali sono le lacune del corpo normativo cinese che occorre colmare? Quali aspettative ripone nella nuovo leadership guidata da Xi Jinping?

I principi di parità e "uguaglianza" citati dalla legge debbono diventare realtà, occorre che siano  concreti e utilizzabili dai titolari dei diritti, come per esempio le donne. Bisognerebbe imporre ai soggetti responsabili, quali i dipartimenti di Stato e di governo ma anche i datori di lavoro, di adempiere ai propri doveri. Se la nuova dirigenza vuole veramente cambiare le cose, è necessario che prenda in considerazione i diritti delle donne e la parità di genere nel processo di formulazione delle politiche economiche e sociali.

Negli ultimi due decenni, diverse Ong si sono mobilitate nella difesa dei diritti delle donne, ma anche nel tentativo di sensibilizzare la società civile nel suo complesso, nonostante alcuni ostacoli quali vincoli finanziari e status giuridico. Quale sarà il ruolo delle Ong nella battaglia per l'emancipazione femminile?

Le Ong per la difesa delle donne hanno preso l'avvio e continuano a portare avanti attività di sostegno alla causa femminile, nonostante gli ostacoli incontrati. Al contempo le Ong hanno maggiore visibilità tra i media e il pubblico. Quello che dovremmo fare per implementare l'efficacia del nostro lavoro -oltre a richiedere riforme politiche- è rafforzare la nostra capacità di advocay e mobilitazione nel processo di stesura ed elaborazione dell'agenda politica.

Vuole spiegare in breve di cosa si occupa Media Monitor Network for women, Ong di cui è cofondatrice? 

Media Monitor Network for Women mira a superare gli stereotipi di genere e a migliorare la partecipazione femminile nel mondo del giornalismo e della comunicazione. A partire dal 1996 ha effettuato diverse ricerche ed inchieste, oltre ad aver organizzato corsi di formazione. Tra anni fa ha cominciato a pubblicare alcuni prodotti editoriali, quali il settimanale online Women's Voice, seguito poi da Voice of Feminist.


(Scritto per Uno sguardo al femminile)

venerdì 8 marzo 2013

La casa d'asta che "parla cinese" e "indossa la divisa"



Il principale concorrente delle rinomate case d'asta Christie's e Sotheby's "parla cinese" e "indossa la divisa". Beijing Poly International Auction, nata soltanto sette anni fa, è già il terzo grossista globale di opere d'arte, seguito da China Guardian, numero due in Cina. Nel 2011 ha fatturato 1,36 miliardi di euro attraverso l'organizzazione di sole sei aste - in media 227 milioni di euro ad asta- e ora, aperti uffici a New York e Hong Kong, si appresterebbe a fare il suo debutto in borsa.

L'obiettivo conclamato di Poly è quello di "cercare, acquistare e riportare in patria varie antichità sparse per il mondo". Poly Group ha chiesto la restituzione di due pezzi mancanti della fontana del Palazzo d'Estate, saccheggiate dalle truppe britanniche e francesi nel 1860, dopo essere riuscito a recuperare quattro dei dodici originali. Il 3 giugno 2012 ha concluso una mega vendita con "Landscape in Red", opera del pittore cinese, Li Keran, acquistata per oltre 293 milioni di yuan (quasi 36 milioni di euro) da un anonimo compratore di Pechino.

Successi che, stando a quanto affermato dal gruppo, riflettono l'ottima condizione di salute del mercato dell'arte cinese, ma che per molti è stato raggiunto soltanto grazie agli stretti rapporti che legano Poly al governo. Quello della terza casa d'aste al mondo è un business che si regge sulla vendita di pezzi approvati dallo Stato. E avere legami con il governo nel Regno di Mezzo non è roba da poco, tanto che di fatto Poly Group rappresenta una specie di "ministero delle aste", costituendo una piattaforma d'acquisto obbligata per tutti i musei cittadini e regionali.

In Cina la cosa è di dominio pubblico, in Occidente forse un po' meno: Poly Auction è costola della China Poly Group Corporation, gruppo di proprietà statale nato nel 1984 per il commercio di armi, e che oggi si occupa anche di real estate, energia, demolizioni, nonché di cultura. Come dichiarato a Forbes da Nancy Murphy, avvocato esperto di diritto dell'arte, "Poly è il 'braccio d'asta' dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLA)". Mentre Murphy ammette la possibilità che il PLA abbia scorporato la casa d'asta, e che pertanto questa sia legalmente un'entità autonoma, quanto scritto sul sito web del gruppo è una dichiarazione d'intenti che dissipa qualsiasi dubbio: "siamo la casa d'asta dell'Esercito Popolare di Liberazione. Il nostro obiettivo è quello di riportare l'arte del popolo in Cina", si legge sulla home page.

In effetti, Poly sembra aver preso vita dalla necessità di ricondurre a casa i "tesori" delle dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911), sottratti all'epoca dell'aggressione straniera, cavalcando l'onda di un nazionalismo che cova dal tempo delle Guerre dell'oppio. Allo stesso tempo, la sua ambizione internazionale -della quale sono sintomo le nuove sedi di Hong Kong e New York- la accomuna in qualche modo agli Istituti Confucio, per i detrattori di Pechino "cavalli di Troia" del soft power cinese nel mondo. E certamente i rapporti che la legano a doppio filo al PLA non aiutano a farne un esempio di trasparenza.

Per chi non lo sapesse, l'esercito in Cina non fa capo al ministero della Difesa, ma è sotto il diretto controllo della Commissione Militare Centrale, organo del Partito e pertanto soggetto a dinamiche opache. Fin dall'inizio della politica delle riforme e dell'apertura, il PLA mostrò subito un certo fiuto per gli affari, tanto che molti tra i primi capitalisti cinesi a lanciarsi nel business transnazionale indossavano la divisa. Alla fine degli anni '90, l'impero commerciale dell'Esercito valeva 50 miliardi di yuan (oltre 6 miliardi di euro), e tutt'oggi come allora, nonostante il monitoraggio sempre più serrato da parte del governo per arrestare il pericoloso binomio armi-denaro, il PLA continua ad essere ad alto rischio corruzione.

Non desta stupore, quindi, l'opinione diffusa che il ricavato degli acquisti fatti da Poly vada a oliare la macchina militare del Dragone. Non solo. Come mette in evidenza Forbes, la casa d'asta più famosa della Cina avrebbe anche una certa familiarità con il racket, oltre ad essere sospettata di gonfiare i prezzi e manipolare le vendite di oggetti falsi. Secondo Murphy, infatti, circa l'80% dei pezzi presentati da Poly e da altre rispettabili case d'asta cinesi, quali Guardian, è da considerarsi fake. Una tendenza che ha registrato una netta crescita negli ultimi dieci anni e che oggi interessa non solo l'antiquariato, ma anche l'arte contemporanea.

Poly si difende così: "La chiave del nostro successo è il grande supporto dello Stato, che assicura forti risorse finanziarie ed elevata credibilità" ha dichiarato a Le Figaro Jia Wei, direttrice della sezione Modern and Contemporary Art di Poly, sottolineando che il gruppo è nato "in un momento perfetto". "Dal 2000 l'interesse per l'arte contemporanea non ha smesso di crescere. L'attaccamento delle persone al denaro e al successo sta gradualmente lasciando il posto alle emozioni e alla cultura" ha dichiarato Jia.

In un ottica meno ottimistica, ma ben più realistica, l'assalto al mercato dell'arte è da attribuirsi, piuttosto, alla recessione globale e alla perdita di appeal del mattone, appesantito da nuove e più sostanziose tasse per sgonfiare la bolla speculativa. "I cinesi hanno molti soldi e vogliono investire. I mercati mondiali sono in discesa e l'arte è il nuovo investimento che va per la maggiore" ha commentato Huang Hung-jen, scelto da Poly per aprire l'ufficio di Taipei, per via della sua decennale esperienza nelle case d'asta di Taiwan. La campagna anti-corruzione, lanciata dal neo segretario del Partito Xi Jinping, e l'inasprimento delle sanzioni contro l'evasione e i reati finanziari hanno spinto i ricchi cinesi a nascondere i loro soldi il prima e il meglio possibile. "Comprano meno case, macchine e gioielli, e pompano il loro denaro nell'arte. E' una tattica molto intelligente" ha commentato Huang.

Stando alle stime di Artprice, con 4,79 miliardi di dollari di vendite, nel 2011 la Cina è diventata il principale mercato d'arte del pianeta, superando Stati Uniti e Regno Unito. E Poly, che ha la sua sede centrale a Pechino, detiene un monopolio virtuale in casa, in quanto i grossisti stranieri, quali Christie's e Sotheby's, si sono visti concedere l'ingresso nell'ex Impero Celeste soltanto di recente. I prezzi migliori fanno il resto. "Se hai bisogno di vendere un importante vaso cinese o un dipinto, scoprirai di ottenere un prezzo più vantaggioso da Poly piuttosto che da Christie's" ha dichiarato ai microfoni del Global Post Sergey Skaterschikov, fondatore di Skate's Art Market Reserach. Il rischio per chi compra, però, è quello di spendere molto più del valore effettivo delle opere. Perché?

Secondo uno schema ben collaudato di transazioni combinate, Poly - ma pare non sia la sola a prestarsi a queste messe in scena- si accorda con il venditore perché il suo pezzo raggiunga un determinato prezzo. Chi vende offre quanto stabilito con la casa d'asta, fissando un nuovo (falso) valore all'opera. Alla fine -come spiegato da Murphy-  il venditore, in realtà, pagherà solo una piccola commissione al grossista, mentre il finto acquisto farà accrescere il valore del pezzo fino a dieci volte quello effettivo. A questo punto il venditore potrà provare a rimpiazzare l'opera ad un prezzo più alto, o, come spesso accade in Cina, a regalarla a qualche funzionario invece della tradizionale mazzetta. Un ottimo modo per alimentare la spirale corruttiva senza lasciare traccia. "E' un governo comunista e un governo corrotto e pertanto non vuole che rimangano prove cartacee, con il rischio che qualcun'altro le intercetti. Ma quando invece regali a qualcuno un rotolo, nessuno potrà dire si tratti di una tangente da cinque milioni di dollari" ha spiegato a Forbes una fonte che ha chiesto di rimanere anonima.

Sembra che il sistema riportato sopra controlli anche l'art exchange, una borsa in cui gli investitori acquistano azioni di opere d'arte o quote di fondi di investimento, in previsione di una rivendita. Le ripercussioni della pratica messa in atto da Poly oltrepassano la Muraglia. Succede, infatti, che colossi del settore ben più rispettabili, si accodino alle stime del gruppo cinese, prendendole come punto di riferimento per quotare opere simili; così che persino il valore di pezzi battuti, per esempio da Sotheby's, rischierà di essere ragionevolmente messo in discussione.

Nonostante i sospetti diffusi, il modus operandi poco ortodosso di Poly rimane tutto da dimostrare. Da parte sua, il gruppo cinese nega ogni accusa, ostentando (a parole) "onestà" ed "equità" nei confronti dei propri clienti. Ma se per i collezionisti e gli appassionati Poly costituisce un investimento ad alto rischio, per gli uomini d'affari -che comprano i pezzi per poi regalarli allo Stato-  la casa d'asta è un ottimo canale attraverso il quale compiacere Pechino. Lo sa bene Stanley Ho, magnate del gioco d'azzardo di Macao, che nel 2007 ha sborsato circa 8,9 milioni di dollari per un bronzo della dinastia Qing, poi donato al museo privato di Poly di Pechino. L'acquisto, per quanto esoso, riuscì ad assicurare ai suoi 17 figli nuove licenze per l'apertura di altri casinò, consentendo a Ho di difendere il proprio impero delle case da gioco minacciato dall'avanzata della statunitense Las Vegas Sands Corporation, presente nell'ex colonia portoghese dal 2004.

(Scritto per China Files)

mercoledì 6 marzo 2013

Shen Jilan, 12 volte presente


Shen Jilan, 84 anni, (ancora una volta) presente! Shen è l'unico membro dell'Assemblea Nazionale del Popolo (Anp) ancora in vita ad aver partecipato a tutte le sessioni dal 1954, anno di nascita dell'organo legislativo cinese. Nel 2010 dichiarò con orgoglio di non aver mai votato "no". Perché? Perché un deputato deve sempre obbedire al Pcc, spiega Shen. Una dedizione totale, quella della ottuagenaria capo del Partito di Xighou (Shanxi), che le è valsa il plauso dell'ex presidente Jiang Zemin - "un tesoro nazionale" l'ha definita il leader in pensione- e l'antipatia del popolo del web. Nota è la sua critica alla libera circolazione d'idee sull'infosfera: "Ho una mia idea. Penso che ci dovrebbe essere qualcuno a gestire Internet. Non possiamo permettere alle persone di fare quello che vogliono. La rete dovrebbe essere come il Quotidiano del Popolo. Gli stranieri stanno mettendo sotto sopra Internet e noi non dovremmo fare lo stesso. Dobbiamo utilizzare il web in accordo con i nostri principi. Non possiamo rischiare di trasformare una cosa buona in una cattiva, lasciando le persone libere di dire quello che vogliono. Il nostro è un Paese socialista sotto la guida del Partito".「我有个想法,网也应该有人管,不是谁想弄就能弄,就跟人民日报一样,外国那些人那是瞎弄的,咱不能这样,咱要按照原则去弄,不要好的弄成坏的了,想说什么就说什么,咱是共产党领导下的社会主义国家。」

Dopo gli internauti, è stata la volta dell'elettorato. "Noi veniamo scelti attraverso elezioni democratiche, non è necessario comunicare con gli elettori. (我们是民主选举 我不跟选民交流 video)", ha affermato nel marzo dell'anno scorso, rimarcando, forse inconsapevolmente, il ruolo di Parlamento-fantoccio che vede l'Anp limitarsi ad approvare quanto deciso a porte chiuse dalla leadership.

L'indice di gradimento alla fine del conclave politico è sempre molto alto, i deputati sempre molto compatti. Un esempio: nel 2008, durante il processo di rinomina del presidente uscente Hu Jintao vi furono 2956 "si", tre "no" e cinque astensioni. Raramente viene posta resistenza alla linea del Partito, per questo ha fece grande scalpore la sessione del 1992, durante la quale i delegati misero al voto il controverso progetto per la costruzione della Diga delle Tre Gole, racimolando "solo" il 67% di consensi. Nonostante la maggioranza di due terzi, l'esito inferiore alla norma assestò uno schiaffo sonoro all'allora Primo Ministro Li Peng.

(Qualcosa in più su China Hug)

martedì 5 marzo 2013

Anp: uno sviluppo che piaccia al popolo



Dalla "crescita a tutti i costi", ad uno sviluppo più controllato che lasci maggiore spazio all'interesse sociale. "Garantire e migliorare il benessere delle persone è il punto di partenza e il fine ultimo del lavoro del governo. Occorre dare la priorità ad esso, sforzandosi di rafforzare lo sviluppo sociale" è il nocciolo del discorso pronunciato dal premier uscente Wen Jiabao in occasione dell'apertura dell'Assemblea nazionale del popolo (Anp), ciò che più si avvicina ad un Parlamento in Cina. Poco meno di due ore per congedarsi e tracciare le priorità alle quali dovrà attenersi la nuova leadership cinese, in attesa di essere confermata al termine dei tredici giorni di incontri ai quali prenderanno parte quasi 3000 delegati. Il processo di transizione del potere, cominciato lo scorso novembre durante il XVIII Congresso del Partito, giungerà così a conclusione. Il legislatore cinese si limiterà di fatto ad approvare la distribuzione delle cariche già stabilita a porte chiuse, e che dovrebbe vedere il neo segretario generale Xi Jinping assumere la presidenza della Repubblica popolare e Li Keqiang succedere a Wen Jiabao a capo del governo.

Tanto i contenuti del messaggio di Wen quanto il bilancio per il 2013 presentato dal governo martedì sono il frutto di un consenso raggiunto tra Xi e il suo team. Non sono ammessi imprevisti o colpi di scena durante il "Lianghui", termine che sta a indicare i due appuntamenti che riuniscono l'Anp e la Conferenza Consultiva Politica, la massima autorità con funzioni consultive, i cui lavori sono stati aperti domenica scorsa. Il legislatore, che per massima parte è composto da membri del Pcc e che vota secondo quanto dettato dalla leadership, dovrebbe approvare una razionalizzazione dei ministeri, che verranno probabilmente ridotti da 28 a 18. Una misura volta a snellire la macchina di governo e che colpirà principalmente il ministero delle Ferrovie, ricettacolo di corruzione, da accorpare al ministero dei Trasporti, e la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, il massimo organo di pianificazione economica di Pechino, che potrebbe vedere le proprie mansioni ridimensionate.

I nuovi leader assumono le redini del Paese in un momento in cui la popolazione cinese comincia ad avvertire sempre più la labilità della crescita economica, assicurata negli ultimi anni a discapito della sicurezza ambientale e di una distribuzione equa delle ricchezze. La corruzione è il nemico numero uno da debellare: l'ho ha dichiarato più volte Xi Jinping dall'inizio del suo mandato, ponendo l'accento sulla necessità di rispettare lo Stato di diritto. "Il potere deve essere limitato da una gabbia di regolamenti" aveva sentenziato Xi all'inizio del nuovo anno. Non ha mancato di ricordarlo quest'oggi Wen, il quale ha auspicato una maggiore indipendenza degli organi giudiziari, lamentando l'eccessiva concentrazione del potere nelle mani di pochi.

Ma colpire le mele marce della nomenklatura non basta. Occorre anche aumentare la qualità della vita, riscrivendo il paradigma di crescita sostenuto per due decenni da una corsa agli investimenti coadiuvata dal governo, causa "di uno sviluppo "squilibrato, scoordianto e insostenibile". Una capacità produttiva eccessiva e il crescente divario di reddito sarebbero- secondo Wen- alla base dello scontento popolare, riflesso nella diffusione a macchia d'olio di proteste e "incidenti di massa". "Alcune persone continuano a condurre una vita dura" ha commentato il Premier.

Wen non è nuovo a questo genere di discorsi. Per tre volte ha chiesto una riduzione degli sprechi, e un potenziamento del settore dei servizi, come fonte d'occupazione, ai quali vanno ad aggiungersi la costruzione di case popolari e la promozione di programmi sociali finalizzati a consentire un aumento dei consumi interni, traino per una nuova e più equilibrata crescita. Una menzione anche ad una possibile riforma dell'hukou -il rigido sistema di registrazione che vincola la popolazione al proprio luogo d'origine limitandone l'accesso ai servizi di base- passo obbligato per incrementare il processo di urbanizzazione a sostegno dello sviluppo economico.

Obiettivi per il 2013: mantenere una crescita economica del 7,5%, stesso tetto stabilito per l'anno passato, che tuttavia si è concluso al di sopra delle aspettative con un 7,8%. La spesa pubblica complessiva aumenterà del 10%, toccando quota 13,8 trilioni di yuan (circa 1700 miliardi di euro). In leggero calo il budget per la Difesa, che raggiungerà i 720 miliardi di yuan (88,8 miliardi di euro), lievitando del 10,7%, rispetto al +11,2% dello scorso anno. Cifre che, tuttavia, non convincono pienamente gli analisti, secondo i quali gli investimenti di Pechino nel settore militare sarebbero ben più massicci. Nella giornata di ieri Fu Ying, portavoce dell'Anp, aveva preventivamente anticipato qualsiasi accusa, spiegando che "rafforzando la sua capacità di difesa, Pechino assicurerà maggiore stabilità nella regione e porterà più pace nel mondo". Una manovra precauzionale volta a tenere testa all'avanzata Usa che, con un bilancio per il Pentagono di 534 miliardi di dollari, continua ad essere il Paese al mondo che spende di più in armamenti.

Eppure, i principali rischi per la leadership sembrano annidarsi entro i confini nazionali. Ragione per la quale, per il terzo anno di seguito, l'apparato della sicurezza interna beneficerà di una spesa maggiore rispetto alla Difesa: 769 miliardi di yuan, in crescita dell'8,7% su base annua. I numeri suggeriscono che non sono soltanto le dispute territoriali con i vicini asiatici ad impensierire Zhongnanhai, il Cremlino cinese. Proprio le agitazione popolari, fomentate dai numerosi casi di corruzione e abuso di potere, costituiscono una dolorosa spina nel fianco del Dragone. Ma non solo. L'alto tasso d'inquinamento e l'impatto ambientale, prezzo da pagare per trent'anni di crescita forsennata, sembrano essere tra le principali cause di malcontento. E quindi "in risposta alle aspettative dei cittadini che richiedono un buon ambiente di vita, dobbiamo rafforzare  l'ecologia e la tutela ambientale" ha scandito Wen "lo stato dell'ambiente ecologico influisce sul livello di benessere della gente e avrà ripercussioni anche sui posteri e sul futuro della Nazione". Sarà necessario, pertanto, ridurre il consumo energetico e se non debellare, quantomeno, arginare il problema inquinamento che sta mettendo a rischio lo stato di salute di aria, acqua e suolo.

Delusione per quanti si aspettavano qualche indiscrezione sulle riforme politiche tanto sperate, e solamente accennate dal Premier uscente in chiusura alle 29 pagine di rapporto: "la Cina è entrata in una fase cruciale delle riforme, e dobbiamo ulteriormente emancipare le nostre menti". Come, però, rimane un mistero. Wen si è limitato a dire che "il Paese dovrà impegnarsi in riforme a tuttotondo economiche, politiche, culturali e sociali". Ma questa non è certo una novità.




domenica 3 marzo 2013

Falde acquifere inquinate: qual'è l'origine del male?


Tradotto dal Nanfang Zhoumo

La notizia che a Weifang, nello Shandong, alcune fabbriche sono sospettate di aver nascosto sotto terra scarichi inquinanti ha riacceso i riflettori sul problema delle falde acquifere, suscitando grande interesse e preoccupazione tra la gente. Il Quotidiano del Popolo ha messo in evidenza l'inadeguatezza intrinseca della legislazione e come questa venga debolmente applicata, causando un peggioramento dell'inquinamento idrico. Un editoriale del Xinjing Bao, invece, spera in un acceleramento del monitoraggio delle falde acquifere da parte del dipartimento competente, così come in un rilascio dei valori del PM 2,5 e dei dati in tempo reale.

Come emerso da un rapporto della Xinhua del 17 febbraio, tempo fa alcuni internauti hanno dato la notizia su Weibo: a Weifang molti impianti chimici, fabbriche per la lavorazione dell'alcool e cartiere hanno pompato le acque reflue fino a oltre mille metri sottoterra attraverso pozzi ad alta pressione, contaminando le falde acquifere. E questa cosa ha innescato accese discussioni su Internet. A tal proposito il personale responsabile di Weifang ha risposto che la protezione ambientale della città ha già esaminato 715 società, ma che ancora non erano stati riscontrati problemi nella documentazione rilasciata. Per raccogliere ulteriori indizi, il governo locale incentiverà ad indagare, mettendo in palio 100mila yuan come premio più alto per gli informatori.

Secondo quanto scritto sul Xijing Bao il 24 febbraio, fino al 21 febbraio pare che i media non avessero ancora trovato indizi preziosi, ma sul web continuano a emergere senza sosta prove riguardo alla presenza di liquami nel terreno. Per esempio i media hanno fatto sapere che a Shouguang, città sotto l'amministrazione di Weifang, permane ancora il fenomeno dei pozzi delle acque reflue, sopratutto in un parco industriale locale.

Ma Jun, direttore dell'organizzazione per la protezione ambientale "Gongzhong Huanjing Yanjiu Zhongxin", ritiene che il dipartimento competente non dovrebbe stare a discutere "sui mille metri" (di profondità ndr). Il popolo è molto in apprensione per la questione delle falde acquifere contaminate, e ciò riflette lo stato attuale di grave inquinamento delle acque sotterranee.
Una mappa dei "villaggi del cancro" sta rimbalzando su Internet. Si pensa siano oltre 200 i villaggi in questione, molti di più rispetto a quelli dichiarati nel 12° piano quinquennale sul "Controllo dei rischi delle sostanze chimiche sull'ambiente", emesso dal ministero della Protezione Ambientale il 20 febbraio, dal quale, tra le altre cose, è emerso che ogni luogo ha i suoi villaggi del cancro a causa dell'inquinamento ambientale.

In precedenza, l'inquinamento delle falde acquifere ha causato un alto tasso di casi di cancro, e in diverse zone sono stati riportati persino casi di sterilità in ovini e bovini.

Il 21 febbraio un editoriale del Quotidiano del Popolo ha sottolineato come gli scarichi delle industrie e dei liquami siano espressamente vietati dalla "legge sulla tutela e la prevenzione dell'inquinamento idrico". Per esempio, l'articolo 35 vieta l'utilizzo di pozzi e buche d'infiltrazione per drenare ed eliminare le acque di scarico, le acque reflue ecc...
Nonostante la legge, le imprese continuano a pompare sotto terra liquami non trattati, e questo a causa di un'inefficiente applicazione dello Stato di diritto.

Le imprese responsabili di occultare gli scarichi nel terreno si nascondono ancora più di quanto non facciano quelle che inquinano in superficie. Le multe vanno dai 50mila ai 500mila yuan, ma è molto difficile riuscire a sconfiggere veramente chi inquina, anche una volta scoperto. In realtà, il ministero della Protezione Ambientale nell'applicazione della legge, consapevolmente o inconsapevolmente, non riesce a ridurre i costi della violazione delle normative da parte delle fabbriche. Le testimonianze della popolazione spesso risultano inutili. L'inadeguatezza intrinseca del corpo normativo si aggiunge alla fragilità con la quale viene attuata la legge, lasciando che il fenomeno della contaminazione delle falde acquifere peggiori sempre di più.

In un commento del Quotidiano del Popolo si legge che per rendere l'acqua pulita è necessario che il governo stabilisca e modifichi tempestivamente i criteri le norme in materia, rendendo più rigida l'applicazione della legge; le aziende dovrebbero rispettare più rigorosamente le normative vigenti, e assumersi la responsabilità sociale al massimo delle proprie capacità. Il popolo, da parte sua, dovrebbe avere il diritto di partecipare al processo di formulazione delle politiche ambientali e di monitorare eventuali comportamenti in violazione della legge.

Il 25 febbraio, la rubrica della Xinhua "Sentimenti popolari della rete", ha messo in evidenza che, proprio a causa dei problemi ambientali, lo scorso anno in diverse città tra le quali Shenfang, nel Sichuan, e Qidong, nel Jiangsu, si sono verificati "incidenti di massa" a ripetizione. Questi episodi da una certa prospettiva riflettono lo stato di paralisi in cui sono bloccati i dipartimenti dei governi locali. Osservando le foto dei fiumi più inquinati pubblicate su Internet dai netizen, molte immagini -che mostrano il problema del pompaggio delle acque contaminate da parte delle fabbriche- sono apparse su Weibo, ottenendo un'ampia diffusione. Tuttavia, sino ad oggi, sono molti i dipartimenti che non hanno fornito risposte al problema. Attualmente lo sviluppo sociale della Cina è entrato in una fase di alta sensibilità verso la protezione dell'ambiente, e ridurre i rischi ambientali vuol dire anche ridurre i rischi sociali. E' necessario che vi sia una lucida consapevolezza di questo fatto.

Cosa fare allora? Il sopra citato Xijing Bao riferisce che Ma Zhong, il direttore della School of Environment and  Natural Resources della Renmin University, ha spiegato come simili problemi relativi alle falde acquifere si sono verificati negli anni '50 anche in Giappone e in America. Al tempo entrambi i Paesi hanno reagito innalzando gli standard per gli scarichi. Ma la motivazione principale che ha portato ad una mitigazione dell'inquinamento consiste nel trasferimento delle fabbriche, una volta completato il processo di industrializzazione, così che molte fonti d'inquinamento sono sparite. Ma la Cina è ancora nel pieno del suo sviluppo industriale ed è molto difficile riuscire ad eliminare le fonti inquinanti. L'umanità non ha ancora trovato una tecnica veramente efficace per il controllo dei liquami sotterranei. Le falde acquifere si rigenerano e auto-purificano molto lentamente e una volta che vengono contaminate, la distruzione dell'ecosistema e dell'ambiente che ne deriva richiede spesso molto tempo per essere invertita.

Sulla base del "Piano sulla prevenzione dell'inquinamento delle falde acquifere" emesso congiuntamente dal ministero della Tutela Ambientale, del ministero delle Risorse idriche e da quello della Terra e delle Risorse, si prevede che -entro la fine del 2015- la Cina completerà il lavoro di ricerca e valutazione dell'inquinamento delle acque sotterranee, e che, per il 2012, verrà ultimato un sistema di monitoraggio completo delle fonti d'inquinamento idrico e di controllo e prevenzione della contaminazione delle falde acquifere.

Proprio riguardo questo progetto, un editoriale comparso il 25 febbraio sul Xinjing Bao dal titolo "Il controllo e la prevenzione dell'inquinamento delle acque sotterranee necessita di essere effettuato più rapidamente" ha sottolineato che il ritmo di questo lavoro [di supervisione] sembra non essere in grado di stare al passo con il rapido deterioramento della qualità delle risorse idriche. Occorre operare più rapidamente nell'attività di monitoraggio. Al momento la cosa più urgente da fare è accelerare il controllo e il rilascio dei dati. Bisogna rendere noti nel dettaglio e tempestivamente tutti i risultati delle indagini sulle acque sotterranee. Dal 1997, il ministero della Terra e delle Risorse conduce una valutazione sulle falde acquifere. Nel 2011 ha emesso un rapporto sullo stato delle acque di oltre 200 città cinesi, eppure i cittadini non sanno nulla di quale sia la reale situazione in ogni singola città. Non ci si può che augurare che i dipartimenti competenti controllino più velocemente il fenomeno e che pubblichino i dati in tempo reale, così come avviene per il PM 2,5.

(Leggi anche Non respirate, non bevete!)

sabato 2 marzo 2013

Esecuzione in diretta TV


(Prima parte di un servizio della BBC in quattro puntate)

Rilassarsi guardando una soap in costume, un programma di cucina, un talk show oppure le ultime ore di un condannato a morte. Nelle giornata di ieri, la TV di stato cinese CCTV è stata oggetto di aspre critiche per aver trasmesso il preludio all'esecuzione dei trafficanti di droga birmani, responsabili di aver ucciso 13 pescatori cinesi sul fiume Mekong, nel 2011. Ai telespettatori è stato risparmiato il momento del'iniezione letale, ma per qualcuno si è trattato, comunque, dell'ennesima scivolone del soft power d'oltre Muraglia, un'uscita di pessimo gusto. Gli sforzi messi in atto da Pechino per rinforzare il proprio arsenale mediatico continuano a suscitare diverse perplessità, sopratutto in Occidente.

Sulla stampa cinese, la cattura del signore della droga, Naw Kham, è stata paragonata all'uccisione di Osama bin laden da parte degli americani. Il tabloid in lingua inglese Global Times alcuni giorni fa ha rivelato che le autorità avevano preso in considerazione l'idea di sferrare il primo attacco drone cinese proprio per uccidere il trafficante. Poi avrebbero deciso di prenderlo vivo e processarlo.

Uno spettacolo inappropriato
"Due ore di trasmissione per raccontare il processo di questi criminali condannati alla pena capitale è una violazione dell'articolo 252 del codice di procedura penale della Repubblica popolare cinese" ha commentato il noto avvocato Liu Xiaoyuan "vi è una disposizione che vieta l'esposizione in pubblico dei condannati a morte". La CCTV, inoltre, sarebbe anche responsabile di aver infranto la legge emessa dalla Corte suprema del popolo, secondo la quale "la dignità delle persone non dovrebbe mai essere insultata", ha aggiunto Liu.

Simili scene, per anni riproposte con una certa frequenza sul piccolo schermo, erano quasi scomparse da circa due decenni, affiorando solo sporadicamente sui canali provinciali. Il popolo del web non sembra aver gradito il ritorno alle vecchie macabre usanze televisive. "Lo hanno legato con delle corde e fatto sfilare davanti a 1,3 miliardi di cinesi. Sono questi i diritti umani di cui parla tanto il governo?" ha scritto un utente sul Twitter cinese Weibo. "So che aver ucciso 13 persone è una cosa terribile, ma non è per nulla appropriato trasmettere in diretta un processo d'esecuzione in questo modo; va contro le regole della Corte Suprema" ha commentato un altro.

Nonostante tutto, in Cina pare che molti non disdegnino le tematiche scabrose. Dal 2006 al 2012 la televisione dello Hunan ha mandato in onda "Intervista prima dell'esecuzione", programma condotto da Ding Yu, nel quale i condannati a morte parlavano dei loro crimini, davano sfogo ai loro rimpianti, versavano lacrime di coccodrillo raccontando davanti alle telecamere le loro storie strazianti. Ed è stato subito un successone: ogni sera lo spettacolo ha incollato alla poltrona 40 milioni di spettatori, quasi la metà della popolazione dello Hunan, e 1,25 volte il numero degli americani che hanno seguito la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi.
Spesso i protagonisti dello show erano personaggi controversi, come un ragazzo gay che aveva ucciso la madre o una giovane coppia colpevole di aver freddato la nonna di lui. A dirigere il programma una spietata Ding Yu, spesso artefice di pesanti provocazioni: "sono andata a trovare tuo fratello e tua sorella. Sanno che stai per lasciare questo mondo ma non ti vogliono vedere" avrebbe detto ad un condannato, come riportato dalla NBC. La anchorwoman, d'altronde, si è giustificata così: "alcuni spettatori possono ritenere crudele chiedere ai criminali di fare un'intervista, quando sono in procinto di essere giustiziati. Ma al contrario, la verità è che loro vogliono essere ascoltati". Allarmato dalla disdicevole notorietà ottenuta dallo spettacolo all'estero (grazie ad un mega servizio della BBC), lo scorso marzo il governo di Pechino ha deciso di interromperne la programmazione.

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...