venerdì 30 dicembre 2011

Pyongyang conferma la linea dura verso Seoul


Se dopo la morte di Kim Jong-Il qualcuno avesse riposto ancora qualche speranza in un cambiamento nella linea politica di Pyongyang, da oggi probabilmente dovrà cominciare ad aprire gli occhi: la Corea del Nord ha riallacciato i primi contatti con il mondo esterno dalla morte del "caro leader", lanciando un messaggio di belligeranza e rinnovando il suo atteggiamento provocatorio nei confronti del Sud Corea.

E' dallo scorso 17 dicembre, data della morte del leader nordcoreano, che i riflettori di tutto il mondo sono puntati sul suo terzogenito e successore, Kim-Jong-Un; un ragazzo ventenne di cui la stampa internazionale ha voluto sottolineare -forse un po' ingenuamente- la formazione occidentale, come se l'essere appassionato di basket e gli studi in Svizzera ne potessero aver ammorbidito la rigida educazione ricevuta dal padre.

Ed ecco arrivare una prima doccia fredda. "In questa occasione, vogliamo dichiarare con fermezza agli sciocchi politici e al governo fantoccio della Corea del Sud che non vi sarà alcun cambiamento da parte nostra" questa la secca dichiarazione della Commissione di difesa nazionale,-l'organo superiore dello Stato nordcoreano- riportata venerdì mattina da un'emittente televisiva di Stato. Dimessi gli abiti di lutto, quest'oggi la presentatrice indossava un rosso scuro, quasi a riflettere i toni del messaggio di sfida di cui si è fatta portavoce.

D'altra parte, da quando nel 2008 il governo conservatore di Lee Myung-bak ha assunto le redini della Corea del Sud interrompendo ogni rapporto con il suo vicino naturale, Pyongyang ha sfoderato più volte un ampio repertorio di intimidazioni, minacciando di trasformare Seoul "in un mare di fuoco".

"Non tratteremo mai con l'amministrazione di Lee Myung-bak"- ha ribadito la nota rilasciata questa mattina- "il mare di lacrime di sangue del nostro popolo e dei nostri soldati seguirà il regime fantoccio sino alla fine. Poi le lacrime si trasformeranno in un mare di fuoco vendicativo che brucerà tutto".

Nel 2010 lo sbarramento d'artiglieria messo in atto da Pyongyang nell'isola del Mar Giallo, Yeonpyeong, causò per la prima volta dalla fine della Guerra di Corea (1950-53) nuove vittime tra i civili del Sud. E nonostante le ripetute smentite, su Pyongyang incombe anche l'accusa di un tentativo di affondamento ai danni di una nave da guerra sudcoreana, durante il quale all'inizio di quest'anno morirono 46 marinai.

E sebbene del delfino di Kim Jong-Il si sappia ben poco, a parte i già citati stereotipi, anche dalle parti di Seoul sono ben pochi a credere in una possibile apertura della nuova leadership guidata dal "Comandante Supremo" e da suo zio Jang Song-thaek. "Sarebbe stupido aspettarsi un cambiamento nella politica adottata dal Nord nei nostri confronti" ha dichiarato Chung Young-tae, analista presso l'Istituto di Unificazione Nazionale della Corea, un think-thank del governo sudcoreano.

Storia di una morte annunciata quella di Kim Jong-Il -il cui stato di salute faceva presagire da tempo un cambio al vertice- che nonostante gli allarmismi diffusi dai media internazionali, non sembra aver scosso più di tanto il Sud Corea. Si alla mobilitazione delle Forze Armate e alle dovute misure di sicurezza, ma senza intralciare la libertà dei cittadini e l'operatività delle tante società straniere che danno dinamismo alla metà capitalista della penisola coreana.

(Pubblicato su Dazebao)

mercoledì 28 dicembre 2011

La rivolta di Wukan secondo Hu Deping


La rivolta di Wukan, per la sua durata e per il suo insolito "lieto fine" (link), continua ad attirare l'attenzione della stampa, tanto entro i confini nazionali quanto all'estero. Il 22 dicembre il Quotidiano del Popolo pubblicava un editoriale dal titolo "What Does Wukan's Turn' Mean for Us" che, come spesso accade in Cina, ha subito dato vita ad un acceso dibattito sulla rete. Un intervento particolarmente autorevole non è passato inosservato alle menti attente di China Digital Times: Hu Deping, figlio di Hu Yaobang- uno dei migliori alleati di Deng Xiaoping nonchè ex Segretario Generale del Pcc- ha partecipato alla diatriba online con grande trasporto, analizzando la questione delle espropriazioni forzate e cercando di fare luce sulla genesi del problema.

"Dal periodo delle riforme e dell'apertura, la questione dei diritti di proprietà è stata da subito uno dei problemi più pressanti. Io personalmente la prendo molto sul serio e ritengo che i prezzi di vendita e il valore dei terreni rurali debbano essere equivalenti a quelli dei terreni demaniali. Perché ci sono stati tanti casi di espropriazioni forzate nel nostro Paese? Questo è dovuto al fatto che la conoscenza della gente riguardo al sistema delle terre contadine ha subito enormi cambiamenti; molti credono che i terreni rurali appartengano allo Stato. 
Ho parlato con alcune persone di questo. Qualcuno mi ha detto che la terra è dello Stato, e quando io ho  controbattuto che in realtà appartiene alla collettività rurale, mi è stato risposto che anche la collettività è dello Stato, il quale a sua volta è di proprietà del Partito. Questo modo di vedere si discosta molto da una corretta comprensione del sistema contrattuale delle famiglie contadine. La variazione di tale linea di pensiero ha portato alle demolizioni forzate delle abitazioni  rurali e affonda le sue radici nel concetto di "urbanizzazione dei contadini"... (continua su China Digital Times)

martedì 27 dicembre 2011

A Natale si stringe il giro di vite sui dissidenti cinesi


A pochi giorni dalla condanna a 9 anni di carcere per il dissidente cinese Chen Wei, il giro di vite messo in atto dal governo cinese ha fatto un'altra vittima: Chen Xi, nome noto nel panorama politico per aver partecipato al movimento democratico di piazza Tiananmen, e già finito dietro le sbarre nel 96' e nel 2005, dovrà ora scontare 10 anni di prigione, come reso noto ieri da una Ong cinese per i diritti umani.

Galeotti furono ben 36 saggi critici verso il Partito, comparsi su alcuni siti Internet stranieri. Alla fine del processo, che è durato solo poche ore, l'attivista avrebbe affermato: "Sono rispettoso delle leggi quindi accetto il verdetto della Corte. Non ricorrerò in appello ma mi dichiaro innocente". Chen era stato arrestato a febbraio durante la "campagna di pulizia" attuata dal  governo cinese in seguito alla manifestazione pacifica dei "gelsomini", episodio che ha messo in moto il tritacarne di Pechino.

Le ultime condanne effettuate dalla Corte cinese ai danni dei dissidenti hanno suscitato l'indignazione di diverse organizzazioni per i diritti umani. Nicholas Bequin di Human Rights Watch ha accusato aspramente le autorità di aver approfittato del periodo natalizio per far passare inosservato il nuovo giro di vite: "Il trucco funziona molto bene perché intorno a Natale le attività diplomatiche sono tutte ferme", ha dichiarato Bequin. "Prima che i diplomatici saranno tornati alle loro scrivanie, nel frattempo le cose saranno andate avanti".

Il 16 dicembre Gao Zhisheng, avvocato per i diritti umani scomparso nel nulla per 20 mesi, è stato condannato a 3 anni di carcere con una sospensione di 5 anni. Le autorità hanno affermato che si trova in prigione, ma ai suoi familiari non è stato concesso di vederlo né di avere notizie sulle sue condizioni di salute. L'uomo avrebbe violato i termini della libertà vigilata alla quale era stato sottoposto cinque anni fa, in seguito all'accusa di sovversione ai danni dello Stato.

Poi la settimana scorsa è stata la volta di Chen Wei. Stesso capo d'accusa, ma pena più severa: nove anni di reclusione per lui che, come Chen Xi, oltre ad essere un veterano del movimento democratico dell' 89, lo scorso febbraio ha diffuso su Internet un appello in cui incitava il popolo cinese a partecipare al raduno dei "gelsomini" made in China. Ma i suoi trascorsi non finiscono qui. Chen è infatti uno dei firmatari della Charta 08, il documento ideato dal premio Nobel Liu Xiaobo, nel quale veniva richiesta una riforma in senso democratico dello Stato e l'abolizione del regime a partito unico.

A sei settimane dalla rivolta dei "gelsomini", ammontava a 47 il totale degli attivisti messi a tacere dal governo cinese. Lo scorso marzo il sito web China Geeks, aveva segnalato la scomparsa di 24 dissidenti, mentre altri 18 erano già stati messi in manette. Oggi la lista nera si è allungata: i paladini dei diritti umani finiti dietro le sbarre o ai domiciliari sono saliti a 50.

"Uccidere i polli per terrorizzare le scimmie" è la strategia utilizzata dal Partito per dissuadere le "teste calde" che minano la stabilità del Paese con le loro idee rivoluzionarie. E a Natale, si sa, si sacrificano "i polli più grassi": proprio il 25 dicembre di due anni fa la scure del governo cinese si è abbattuta su Liu Xiaobo.

(Pubblicato su Dazebao)

mercoledì 21 dicembre 2011

Nuova leadership nordcoreana, arriva il placet di Pechino.


"Un grande leader e un buon amico del popolo cinese, che ha contribuito notevolmente allo sviluppo del socialismo": attraverso le parole del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Liu Weimin, Pechino ha dato la sua benedizione a Kim Jong-un, delfino del defunto "caro leader" nordcoreano e che, come confermato questa mattina dalla Reuters, governerà la Corea del Nord affiancato dallo zio e dall'esercito. 

Dalla dittatura di un uomo forte ad un governo collettivo. I militari hanno giurato la loro fedeltà all'erede di Kim Jong-Il, mentre la Cina si è subito dichiarata pronta ad accogliere la sua visita in qualsiasi momento: "Pechino dà il benvenuto ai leader della Corea del Nord che vogliano visitare la Cina quando lo desiderino" ha riportato martedì una nota ufficiale del ministero degli Esteri, mentre la presenza degli alti papaveri cinesi alle esequie del "caro leader" è alquanto improbabile dato che - secondo quanto specificato dalle autorità di Pyongyang- nessuna delegazione straniera potrà prendervi parte, nemmeno il fedele alleato.

"Siamo convinti che Kim Jong-un si adopererà per costruire un forte Paese socialista e per mantenere la pace nella penisola coreana" ha poi aggiunto Liu Weimin, mentre il presidente Hu Jintao, sccompagnato dal futuro Grande Timoniere, Xi Jinping, ha mostrato il proprio cordoglio per la perdita del "caro leader" recandosi presso l'ambasciata nordcoreana a Pechino. Hu ha manifestato la propria convinzione che la politica di consolidamento delle relazioni di partenariato tra i due Paesi continuerà a rafforzarsi sotto la guida del nuovo “primo uomo” di Pyongyang con la stessa intensità dimostrata in passato.

La visita è stata rinnovata questa mattina dal Comitato permanente del Politburo, ghota del Partito comunista cinese, con in testa il primo ministro Wen Jiabao e il vicepremier Li Keqiang.

Nessun cambiamento di rotta, dunque: con il suo "placet" al delfino di Kim Jong-un, il Dragone conferma il proprio sostegno a Pyongyang. Un sostegno tanto più importante, alla luce della situazione disastrosa che il "caro leader" ha lasciato in eredità al proprio figlio. Un Paese sull'orlo della carestia, che dopo il taglio degli aiuti economici di Seoul e Washington ha riposto le sue uniche speranze nella Cina. Nell'ultimo anno e mezzo Kim Jong-Il si era recato a Pechino ben quattro volte, nonostante la sua riluttanza a varcare i confini del proprio "regno".

Da parte sua Pechino, continua rivestire il ruolo di mediatore nei rapporti tra la Corea del Nord e gli altri paesi coinvolti nei Colloqui a Sei, volti ad arrestare la corsa all'atomica di Pyongyang. E la morte del caro leader è giunta proprio alla vigilia del terzo round dei colloqui bilaterali sul programma nucleare nordcoreano. 

"Un grande leader e un buon amico del popolo cinese, che ha contribuito notevolmente allo sviluppo del socialismo": attraverso le parole del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Liu Weimin, Pechino ha dato la sua benedizione a Kim Jong-un, delfino del defunto "caro leader" nordcoreano e che, come confermato questa mattina dalla Reuters, governerà la Corea del Nord affiancato dallo zio e dall'esercito. 

Dalla dittatura di un uomo forte ad un governo collettivo. I militari hanno giurato la loro fedeltà all'erede di Kim Jong-Il, mentre la Cina si è subito dichiarata pronta ad accogliere la sua visita in qualsiasi momento: "Pechino dà il benvenuto ai leader della Corea del Nord che vogliano visitare la Cina quando lo desiderino" ha riportato martedì una nota ufficiale del ministero degli Esteri, mentre la presenza degli alti papaveri cinesi alle esequie del "caro leader" è alquanto improbabile dato che - secondo quanto specificato dalle autorità di Pyongyang- nessuna delegazione straniera potrà prendervi parte, nemmeno il fedele alleato.

"Siamo convinti che Kim Jong-un si adopererà per costruire un forte Paese socialista e per mantenere la pace nella penisola coreana" ha poi aggiunto Liu Weimin, mentre il presidente Hu Jintao, sccompagnato dal futuro Grande Timoniere, Xi Jinping, ha mostrato il proprio cordoglio per la perdita del "caro leader" recandosi presso l'ambasciata nordcoreana a Pechino. Hu ha manifestato la propria convinzione che la politica di consolidamento delle relazioni di partenariato tra i due Paesi continuerà a rafforzarsi sotto la guida del nuovo “primo uomo” di Pyongyang con la stessa intensità dimostrata in passato.

La visita è stata rinnovata questa mattina dal Comitato permanente del Politburo, ghota del Partito comunista cinese, con in testa il primo ministro Wen Jiabao e il vicepremier Li Keqiang.

Nessun cambiamento di rotta, dunque: con il suo "placet" al delfino di Kim Jong-Il, il Dragone conferma il proprio sostegno a Pyongyang. Un sostegno tanto più importante, alla luce della situazione disastrosa che il "caro leader" ha lasciato in eredità al proprio figlio. Un Paese sull'orlo della carestia, che dopo il taglio degli aiuti economici di Seoul e Washington ha riposto le sue uniche speranze nella Cina. Nell'ultimo anno e mezzo Kim Jong-Il si era recato a Pechino ben quattro volte, nonostante la sua riluttanza a varcare i confini del proprio "regno".

Da parte sua Pechino, continua a rivestire il ruolo di mediatore nei rapporti tra la Corea del Nord e gli altri paesi coinvolti nei Colloqui a Sei, volti ad arrestare la corsa all'atomica di Pyongyang. E la morte del caro leader è giunta proprio alla vigilia del terzo round dei colloqui bilaterali sul programma nucleare nordcoreano. 

Se negli anni '90 l'attività nucleare della Corea del Nord preoccupava il Regno di Mezzo esclusivamente dal un punto vista della sicurezza nazionale, adesso la questione ha assunto più sfaccettature, andando ad abbracciare anche la sfera geopolitica ed economica. Pericolo numero uno per Pechino, il crollo del regime di Pyongyang, il quale comporterebbe l'afflusso alle frontiere di milioni di profughi nordocreani, con conseguente rischio dell'intervento statunitense, in nome dell'alleanza tra Washington e Seul.

Per quanto riguarda invece il versante economico, basti pensare che un centinaio di industrie minerarie, siderurgiche e portuali cinesi hanno già investito in Corea e che, dal 2005 a questa parte, i due "vicini naturali" sono impeganti in esplorazioni congiunte per verificare la presenza di pozzi petroliferi nel Mar Giallo. Appare piuttosto evidente che in questo contesto la stabilità politica e la denuclarizzazione della Corea del Nord diventa un requisito indispensabile per assicurare la pace e la sicurezza della regione, obiettivo che la Cina, in qualità di peace maker dell'area, sta cercando di raggiungere mettendo in atto tutta la sua abilità diplomatica. 

(Pubblicato su Dazebao)



lunedì 19 dicembre 2011

Le ultime schermaglie tra l'Aquila e il Dragone. Il NYT rievoca il fantasma dello spionaggio cinese


Distratta dall'incalzante minaccia di una Cina in continua crescita economica e abbagliata dai grandi numeri, la vista dell'Aquila per troppo tempo ha ignorato le minacce di un'intelligence cinese silenziosamente all'opera. E adesso Washington ne paga le amare conseguenze, mentre tenta di arginare il danno sguinzagliando le sue squadre anti-spionaggio visibilmente in affanno.

Tutto cominciò quando, in piena Guerra Fredda, gli Stati Uniti concentrarono le forze di F.B.I e C.I.A in un fronte unito con lo scopo di monitorare i movimenti del sovietico K.G.B. Al tempo il fantasma cinese non faceva poi troppa paura e soltanto una manciata di agenti delle forze investigative fu svogliatamente messo alle calcagna del Dragone. Il risultato fallimentare di questa campagna di controspionaggio anti-cinese ha, di fatto, permesso a Pechino di sviluppare un apparato di servizi segreti in grado di spiare le mosse dell'intelligence americana, svelando i segreti dell'industria della difesa Usa e penetrando, senza troppe difficoltà, in quel paradiso dell'high tech che è la Silicon Valley.

Dalla spy-story del W-88, testata nucleare ultracompatta americana della quale negli anni '90 Pechino ha ottenuto clandestinamente i progetti di costruzione, alla recente nascita dello stealth J-20, primo caccia invisibile cinese ad immagine e somiglianza dello statunitense F-22; la Cina è riuscita a scoprire per vie oscure i dettagli più segreti della tecnologia bellica americana, considerati dagli Usa il fulcro di una leva volta a scardinare il dominio dell'aria e dei mari che Washington vanta con orgoglio da circa un cinquantennio.

Dopo la prima apparizione ufficiale del caccia cinese avvenuta lo scorso gennaio, la risposta giunta dall'altra sponda del Pacifico è apparsa come un tentativo volto a dissimulare goffamente una tranquillità ben poco credibile. "Credo che il tempo ci dirà se li abbiamo realmente sottovalutati. Io non sono convinto di ciò. Ci vorrà più tempo”- aveva dichiarato lo scorso gennaio il Viceammmiraglio Jhon Dorsett a capo dell’Office of Naval Operations for Information Dominance della US Navy, che controlla l’intelligence della marina statunitense.- Il J-20 “non è una sorpresa anche se non mi è chiaro quando l’aereo raggiungerà la sua completa operatività. [I cinesi] sono stati in grado di investire notevolmente nel rafforzamento militare e il caccia stealth non ne è che un aspetto di ciò. Il fatto che stiano facendo progressi, non dovrebbe sorprenderci”.

Una dichiarazione, questa, che è suonata chiaramente come un tentativo volto a gettare acqua sul fuoco, tanto più alla luce delle fallaci previsioni del Segretario della Difesa Usa, Robert Gates, secondo le quali il Dragone non sarebbe stata in grado di rendere operativo un proprio aereo stealth prima del 2020.

Proprio mentre la storia del caccia invisibile "made in China" la faceva da padrone sulle prime pagine delle testate internazionali, ecco giungere la condanna a 32 anni di carcere di Noshir Gowadia, ingegnere americano di origine indiana- il quale negli anni '70-'80 aveva lavorato per il colosso della difesa Northrop Grumman alla costruzione del bombardiere stealth B-2- accusato di aver aiutato Pechino a realizzare un sistema di sganciamento dei missili pressocché invisibile ai radar.

Il 10 dicembre scorso, a distanza di quasi un anno dal volo inaugurale del tanto discusso J-20, il New York Times ha proposto un lungo editoriale volto a ripercorrere tutte le principali stoccate inferte dall'organizzazione di spionaggio cinese ai danni dell'intelligence americana. Negli ultimi anni troppo preso a far fronte al "pericolo Al Qaeda", Washington- esorta l'autore- dovrà ora concentrare le proprie energie ancora più ad Est.

Un messaggio che acquista maggior importanza alla luce dell'agenda fitta di eventi che, il mese scorso, ha visto il presidente Usa, Barack Obama, e il Segretario di Stato, Hillary Clinton, coinvolti in una trasferta asiatica particolarmente impegnativa. Tra la partecipazione alla riunione allargata dell'ASEAN (Asia Free Trade Area), la firma del trattato TPP (Trans Pacific Partnership) siglato durante il vertice APEC (Asia Pacific Economic Coorporation), e la tappa a Camberra per l'accordo di una taskforce dislocata in Australia (che entro il 2016 si stima conterà 2500 soldati), gli Stati Uniti sembrano essere ben intenzionati a riaffermare la loro assertività nel Pacifico meridionale. La ciliegina sulla torta è arrivata all'inizio di dicembre, con la visita storica del Segretario di Stato americano in Myanmar -uno dei più fedeli alleati cinesi- la quale lascia presagire un tentativo di disgelo tra i due paesi, in rotta di collisione da oltre mezzo secolo.

"Il Ventunesimo secolo è il secolo del Pacifico" aveva dichiarato la Clinton all'apertura del vertice APEC. Affermazione, questa, che non è piaciuta per nulla al Dragone, già impegnato da mesi a difendere la sua sovranità territoriale nel Mar Cinese Meridionale, sulle cui acque- ricchissime di risorse energetiche- hanno messo gli occhi anche Vietnam, Taiwan, Malasya, Brunei e Filippine. Ad ingarbugliare ulteriormente l'assetto geopolitico dell'area, la presenza insistente dell'Aquila, che in qualità di arbitro delle parti, si impegna a mantenere la stabilità nella zona attraverso accordi di partnership con i vari rivali della Cina.

Dopo solo una settimana dalla frecciata del Segretario di Stato Usa, l'annuncio a sorpresa del ministero della Difesa cinese: “L’Esercito Popolare di Liberazione condurrà addestramenti nell’Oceano Pacifico occidentale a partire dalla fine di novembre". Semplici esercitazioni di routin, aveva tranquillizzato Pechino, ma dalle parti di Washington, probabilmente, a crederci sono stati ben pochi. E a gettare ulteriore benzina sul fuoco ci ha pensato il presidente Hu Jintao con il suo incitamento "a combattere per la sicurezza nazionale e la pace mondiale", rivolto nei giorni scorsi alla Marina cinese, la quale, pur non essendo il fiore all'occhiello dell'Esercito Popolare cinese, dagli anni '90 ad oggi ha subito una rapida modernizzazione, divenendo la terza flotta navale più importante al mondo.

"Difesa nazionale" e "rafforzamento della macchina militare" sono in cima alla lista delle priorità stilata dal governo cinese, mentre il recente botta e risposta tra Zhongnanhai e la Casa Bianca conferma il fatto che la tensione tra i due paesi continua a rimanere alta: inevitabilmente, il pressing degli Stati Uniti nella regione Asia-Pacifico è stato letto dal Dragone come un'azione di contenimento ai propri danni.

Ma non solo. Proprio mercoledì scorso, il Global Times ha reso note le nuove manovre di Pechino; e questa volta i riflettori si spostano sul Mar Cinese Orientale. Il 13 dicembre, la più grande nave pattuglia del paese ha lasciato gli ormeggi dal porto di Xiamen diretta verso le acque che separano il Regno di Mezzo dal Sol Levante e dalla penisola coreana; acque già in passato agitate dalla disputa per le isole Diaoyu (in giapponese Sengaku), che lo scorso anno ha portato alla rottura dei rapporti sino-giapponesi. Solo una misura di sicurezza per tenere sotto controllo la zona, spiegava il Global Times; ma se è vero che la storia insegna, probabilmente, la risposta dell'Aquila, anche questa volta, non tarderà ad arrivare.

E la scomparsa di Kim Jong-Il, il “caro leader” nordcoreano deceduto sabato mattina, non fa che surriscaldare ulteriormente l'atmosfera nella regione. Tra il sentito cordoglio mostrato dall'alleato cinese, e l'estrema cautela della Casa Bianca -storicamente legata a doppio filo al governo di Seoul- la questione della Corea del Nord potrebbe rivelarsi l'ennesimo banco di prova per le relazioni sino-americane.

(Pubblicato su Dazebao)

Corea del Nord: il "caro leader" è morto


Kim Jong-Il è morto; il "caro leader," che ha tenuto le redini della Corea del Nord per 17 anni, è stato stroncato da un attacco cardiaco alle 8,30 di sabato ora locale, mentre si trovava in treno per effettuare un'ispezione attraverso paese. La notizia resa nota lunedì dalla Kcna, prima agenzia di stampa di Pyongyang, è stata in seguito ripresa dalla televisione di stato, facendo in poche ore il giro del mondo

Aveva 69 anni il presidente della Repubblica Democratica Popolare di Corea che, già colpito nel 2008 da un ictus, amava eccedere nei vizi dell'alcol, della buona cucina e dei sigari. Probabilmente affetto da diabete e da malattie cardiovascolari, Kim tuttavia era apparso piuttosto in forma durante le sue ultime visite diplomatiche in Russia e Cina. "E' la più grande perdita per il Partito", ha dichiarato una presentatrice televisiva visibilmente commossa, "ed è grande tristezza per il nostro popolo e per l'intera nazione".

Intanto a Seoul, decretato lo stato di "massima allerta" per l'esercito, sono già in corso grandi preparativi per cercare di far fronte ad ogni evenienza. I soldati schierati al confine hanno proceduto alla chiusura dei valichi verso la Cina. A nord del 38° parallelo la tensione è altissima: Cina, Giappone e Corea del Sud mantengono stretti rapporti per assicurare la stabilità della penisola coreana, mentre gli Usa, storici alleati di Seoul, stanno "monitorando la situazione" al fine di "assicurare la libertà e la sicurezza degli alleati", ha affermato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney.

Pechino da parte sua ha mostrato il più sentito cordoglio per la scomparsa di quello che, oltre ad essere stato un "grande leader, è stato anche un importante amico per la Cina, dando un fondamentale contributo allo sviluppo del socialismo nella Corea del Nord, ai rapporti di buon vicinato, alle relazioni amichevoli e alla cooperazione con il nostro paese", come dichiarato dal portavoce del ministero degli Esteri, Ma Zhaoxu, in una nota telegrafica diffusa dall'agenzia di stampa Xinhua.

Successore del "caro leader" sarà il suo terzogenito, Kim Jong-un, un protagonista molto discreto, che seppur praticamente mai comparso sulla scena pubblica, lo scorso anno ha ottenuto la carica di generale, ascendendo ai vertici del Partito Comunista. Al suo fianco la zia, sorella del padre Kim Jong-Il e lo zio Jang Suang-Taek, i quali lo assisteranno nel governo del paese, difendendolo dalle rivalse del fratello maggiore ed inizialmente favorito del "caro leader", Kim Jong-nam.

Morto un leader se ne fa un altro. Ma chi sperava che con la morte di Kim Jong-Il le cose nel paese sarebbero cambiate, probabilmente rimarrà deluso; a quanto pare, nemmeno la commozione ha ammorbidito in alcun modo il regime di Pyongyang. Secondo quanto riportato dalla Kcna, infatti, ai solenni funerali di stato, in programma per il prossimo 28 dicembre, non sarà invitata alcuna delegazione straniera.

La scomparsa di Kim è giunta a pochi giorni dal terzo round dei colloqui bilaterali sul programma nucleare nordcoreano, che i governi di Corea del Nord e Stati Uniti avrebbero dovuto tenere in settimana a Pechino. Secondo alcune indiscrezioni lasciate trapelare dalla stampa sudcoreana, il regime avrebbe dovuto annunciare la sospensione del proprio programma di arricchimento dell'uranio in cambio di aiuti alimentari da parte delle Nazioni Unite.

(Approfondimenti su China Files)

sabato 17 dicembre 2011

Nuova pena di tre anni per l'attivista Gao Zhisheng


Era sparito nel nulla, di lui si era persa ogni traccia da 20 mesi. Gao Zhisheng, noto avvocato per i diritti umani, ora è di nuovo in prigione per scontare la pena di tre anni alla quale era stato condannato con una "sospensione di cinque anni". Le condanne ''sospese'' rendono l' imputato soggetto ad un periodo di ''prova'' nel quale deve rispettare una serie di condizioni e tenere in generale una buona condotta. E' quanto ha stabilito il tribunale di Pechino, secondo il quale l'uomo avrebbe violato i termini della libertà vigilata alla quale era stato sottoposto cinque anni fa, come reso noto venerdì dall'agenzia di stampa Xinhua.

Condannato nel 2006 per incitamento alla sovversione dello Stato, in questi ultimi anni, Gao è sparito diverse volte, sebbene il fratello, che lo ha incontrato l'ultima volta nell'aprile 2010 sotto la supervisione della polizia, sia sempre stato convinto che le autorità sapessero perfettamente dove egli fosse. Rene Xia, uno dei membri del China Human Rights Defenders ha affermato che la sentenza del tribunale è "la più chiara conferma del fatto che, nonostante le ripetute smentite, in questi 20 mesi Gao è stato detenuto segretamente dal governo cinese.

Oggi i funzionari hanno dichiarato che l'uomo è di nuovo dietro le sbarre, sebbene non abbiano permesso ai familiari di vederlo né abbiano rilasciato dichiarazioni sulle sue condizioni di salute.

Sparizioni e reclusioni sono diventate ormai una prassi ben collaudata, attraverso la quale le autorità mettono a tacere dissidenti e personaggi scomodi, sopratutto a partire dai timidi accenni della rivolta dei gelsomini "made in China" dello scorso febbraio. Pechino sta al momento revisionando le norme di procedura penale, e valutando una serie di provvedimenti che permetterebbero, di fatto, la legalizzazione delle "detenzioni ombra".

I paesi occidentali e l'Organizzazione delle Nazioni Unite hanno più volte fatto pressione sul Partito affinché  Gao fosse liberato, mentre Amnesty International e alcuni esperti del sistema giuridico cinese sostengono che la scomparsa del noto dissidente sia lo specchio che mette a nudo comportamenti e attività oltre i limiti della legalità già manifestati in altre occasioni dalla polizia cinese.

Gao è noto per aver sostenuto diverse questioni politicamente sensibili, nonché per aver difeso in passato alcune delle categorie più deboli come i cristiani, i minatori e la setta Falun Gong. Dopo la condanna alla libertà vigilata l'uomo è scomparso per tre volte. Durante le sue fugaci apparizioni ha raccontato ai giornalisti di essere stato torturato, picchiato con bastoni elettrici, legato con delle cinghie e incappucciato, costretto a rimanere seduto per 16 ore subendo ripetute minacce. "Devi dimenticare di essere umano, sei una bestia" gli avrebbe detto una delle guardie.

Pechino stringe la morsa sul web: nel mirino Sina Weibo




Dalle semplici voci di corridoio ai fatti concreti, ciò che si temeva da tempo è diventato realtà: venerdì le autorità cinesi hanno reso noto un nuovo provvedimento in base al quale tutti gli utenti di Internet- società comprese-dovranno effettuare la registrazione sui siti di microblogging utilizzando il loro vero nome.

Banditi gli pseudonimi, dunque, ma non gli amati nickname, ai quali si potrà ricorrere una volta terminata la registrazione. Secondo quanto scritto dal South China Morning Post, tre mesi è limite di tempo concesso ai netizen per mettersi in regola, mentre per i ritardatari sono già previste sanzioni legali oltre alla perdita del diritto di pubblicare post e commenti.

La notizia non fa che confermare una tendenza osservabile da diverso tempo e in acceleramento dalla scorsa primavera, quando il profumo dei “gelsomini” arabi valicò la Grande Muraglia: il governo cinese continua a stringere la morsa sui principali mezzi di divulgazione dell'opinione pubblica, da Internet ai media ufficiali, con occhio particolarmente attento verso il brulicante mondo dei social network e dei microblog. E lo fa con ancora maggior solerzia da quando l'ultima riunione plenaria del comitato centrale del Partito ha dato il via alla “wenhua tizhi gaige”, la riforma del sistema culturale che, tra nuovi e più rigidi regolamenti sui palinsesti televisivi, richiami all'ordine rivolti al mondo della carta stampata e un più severo monitoraggio del web, ha lo scopo di ricondurre la cultura sulla retta via dei dogmi socialisti.

E in questo giro di vite “virtuale”, la prima vittima è ovviamente Sina Weibo, sorta di Twitter in salsa di soia, che recentemente ha festeggiato i 250 milioni di utenti, minacciando così di superare il suo omologo occidentale quanto a bacino d'utenza. Una piattaforma online, questa, che negli ultimi mesi ha dato spazio ad accesi dibattiti, dall'incidente dal disastro ferroviario di Wenzhou, alle tristi storie dei dissidenti, passando per gli innumerevoli scandali alimentari, sino ad approdare alle recenti rivolte del sud della Cina e ai segretissimi dati sul reale stato d'inquinamento dell'aria che Pechino si guarda bene dal rendere noti.

Unico spazio in cui i cittadini possono far sentire la propria voce, i microblog se da una parte sono considerati dal governo cinese un veicolo d'informazione potenzialmente molto pericoloso, allo stesso tempo costituiscono un'importante valvola di sfogo e danno la possibilità di tenere sotto controllo gli umori del popolo. Uno sbocco utile per tutti coloro vogliano esternare i propri punti di vista e i propri sentimenti; e meglio che lo facciano alla luce del sole, piuttosto che nascosti nell'ombra, devono aver pensato dalle parti di Zhongnanhai.

La comunità di Internet in Cina vanta più di 500 milioni di membri, aggiudicandosi il primo posto nella classifica mondiale. Un primato che rende ancora più necessario un sistema efficiente volto a controllare quel marasma di caratteri che ogni giorno si riversa sulla la rete, assicurando un controllo che, a quanto pare, il Great Firewall non riecse a garantire. Il sistema di censura del web, creato nel 1998, e che opera attraverso un filtro in grado di bloccare le parole sensibili, non ha mancato più volte di fare cilecca, inerme davanti alla velocità con la quale riescono a circolare le notizie sui microblog, molto superiore rispetto a quella di qualsiasi altro sito o piattaforma online.

Ed è così che lo scorso 18 maggio è nata la “Lega contro i rumori”, un gruppo spontaneo- o presunto tale- di microbloggers che ha lo scopo di ripulire il web cinese, individuando false notizie e pettegolezzi (comprese, ovviamente, le voci in grado di danneggiare l'immagine del Partito), responsabili di insinuare tra le persone diffidenza, paura e sospetto. In questi ultimi mesi, la stampa ufficiale non ha concesso sconti, bollando più volte i rumors che compaiono in rete come “droghe sociali”, non meno nocive della pornografia online o del gioco d'azzardo.

Proprio pochi giorni fa, Zhang Yiwu, professore di cultura cinese presso la Peking University, in un editoriale pubblicato su Huanqiu -versione online in caratteri del Global Times- metteva in guardia dal fenomeno dilagante su Weibo della violenza verbale, sottolineando come minacce e intimidazioni nella sfera virtuale rischino di trasformarsi in azioni violente nella vita reale.

Pertanto, alla nascita dell'Anti rumour league ha fatto seguito un'accesa controversia sulla natura stessa dei microblog, se siano da considerarsi alla stregua dei media tradizionali o come semplici voci di corridoio. Ma tra la ridda di voci in materia, sicuramente una cosa è certa: la creatura di Sina Corp-primo operatore di servizi microblog cinese- possiede un potere creativo e destabilizzante al contempo. Zhang Tiezhi, che scrive per la rivista taiwanese Xin Xinwen, ha affermato che: “Weibo è solo un aiuto per la lenta formazione della società civile non ancora giunta a piena maturazione. Osservare ciò che accade su Weibo non è ancora in grado di trasformare il paese, però ha già trasformato il dibattito pubblico in Cina. Passare dal dibattito pubblico all'azione, questo è il prossimo passaggio.”

Una ragione sufficiente che ha spinto il governo cinese a ribadire la propria posizione sull'infosfera. Lo scorso 28 novembre il capo dell'ufficio statale per l'informazione in Internet, Wang Chen, citava in un articolo pubblicato sul Quotidiano del Popolo le decisioni prese dal Comitato centrale di ottobre, rimarcando la necessità di monitorare con più attenzione l'opinione pubblica veicolata attraverso i microblog.

Proprio la scorsa estate Pechino aveva avuto modo di assaggiare la lama acuminata di Weibo, quando l'informazione in rete sbugiardò i primi tentativi del governo volti a ridimensionare la reale entità dell'incidente ferroviario di Wenzhou, gettando le autorità in un notevole imbarazzo.

Ed è così che nel tentativo di regolamentare il mondo sfuggente dei Twitter “made in China”, le autorità hanno assunto ancora un'altra tattica: stare al passo con i tempi, diventando a loro volta protagoniste e partecipi del fenomeno, con lo scopo di dominarlo e assecondarlo dal suo interno. Il governo e molte agenzie pubbliche hanno, infatti, deciso di mantenere i cittadini informati riguardo alle loro attività proprio aprendo account sulle piattaforme microblogging.

Secondo un rapporto riportato lunedì scorso dal Quotidiano del Popolo, solo su Weibo, sarebbero già circa 20mila gli account riconducibili ad istituzioni governative, di cui oltre 10mila facenti capo a ministeri e 9mila ad uffici provinciali. Un provvedimento, questo, che, oltre a permettere loro di rafforzare la propria immagine, ha chiaramente lo scopo di valutare le reazioni e i sentimenti in seno all'opinione pubblica.

Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: questo Weibo è davvero così pericoloso come sembra? Si e no. Diversi esperti, infatti, hanno evidenziato la presenza di un “filtro sociale”, che di fatto limita l'accesso ad informazioni e opinioni per così dire “alternative” solo ad un certo tipo di persone, con un certo tipo di interessi e dotate di un certo background culturale. In altre parole di quell'1,3 miliardi di cittadini che popolano l'Impero di Mezzo, quelli in grado di utilizzare i media in senso socialmente utile non sono poi molti.

Una constatazione che d'altra parte non sembra riuscire a dissipare i timori della maggior parte degli internauti, i quali paventano un restringimento della “zona grigia” entro la quale è lecito muoversi, pur se non pienamente legale. La strategia del “segnare punti sulla linea di campo” (ca bian qiu), ovvero la tecnica di effettuare dichiarazioni al limite tra ciò che è lecito e ciò che è illecito affermare, in un futuro non troppo lontano, potrebbe rivelarsi un'arma di difesa insufficiente.

(Pubblicato su Dazebao)

venerdì 16 dicembre 2011

"Batman sconfitto dalla polizia cinese", il video della CNN


Christian Bale, che ha rivestito i panni di Batman sul grande schermo, è stato spintonato e aggredito dalla polizia cinese mentre tentava di avvicinarsi alla casa di Chen Guangcheng, noto dissidente ormai da mesi agli arresti domiciliari. L'attore si trova in Cina per la promozione del suo nuovo film "The Flowers of war", diretto dal regista cinese Zhang Yimou e ambientato in una Nanchino anni '30. L'accesso al villaggio di Chen, in passato, era già stato vietato con le maniere forti ad altri dissidenti e giornalisti stranieri; la stessa troupe della CNN aveva subito minacce.(link)

"Piccoli giardinieri" vietnamiti coltivano cannabis in UK


Rinchiusi in una prigione di vetro per 24 ore al giorno senza un sistema di ventilazione, mangiano e dormono sotto lampade di calore, esposti costantemente agli effluvi di sostanze chimiche altamente tossiche: sono i piccoli "giardinieri" vietnamiti, adolescenti tra i 13 e i 16 anni vittime di un commercio clandestino che dall'Indocina arriva dritto sul mercato del Regno Unito. Si ipotizza che tra il marzo 2009 e il febbraio 2010, siano stati 287 i bambini spediti illegalmente dal Vietnam; più di un terzo è stato sfruttato per il commercio sessuale, mentre il 18% è stato destinato alla coltivazione della cannabis. Molti di loro sono disturbati mentalmente, hanno subito violenze e traumi emotivi; provengono da famiglie disagiate e indebitate, pertanto più facilmente manipolabili in quanto in grandi difficoltà economiche.
Secondo le stime del Child Exploitation e Online Protection Center (CEO), ogni anno circa 300 bambini- di cui la maggior parte di nazionalità vietnamita- vengono venduti clandestinamente in Gran Bretagna, e quasi un quarto finisce a lavorare negli allevamenti di marjuana.
Le autorità britanniche sono in visibile affanno davanti all'estensione di un fenomeno che sembra diventare sempre più ingestibile. Dopo le incursioni della polizia e la chiusura degli impianti, l'incubo per i piccoli giardinieri continua: trattati come criminali dalle forze dell'ordine, subiscono le ritorsioni dei trafficanti e se rispediti a casa diventano vittime delle loro stesse famiglie, che nel "fallimento" dei loro figli vedono l'incubo dell'impossibilità di saldare i debiti contratti con i gangster locali.
Oggi il 90% del commercio di cannabis nel Regno Unito è alimentato dalla produzione nazionale, e il 75% delle bande criminali in esso coinvolte proviene proprio dal Vietnam.

giovedì 15 dicembre 2011

Rivolte a Wukan: arrestato muore in circostanze sospette


E' sfociata in un'aperta ribellione la lunga disputa tra agricoltori e funzionari locali, durante la quale gli abitanti del villaggio hanno cacciato i capi di governo, alzando barricate e brandendo armi rudimentali. E' successo a Wukan, insediamento costiero della provincia del Guangdong, cuore del boom economico della Nuova Cina.

Il conflitto si era intensificato lunedì in seguito alla morte in circostanze poco chiare di uno dei rappresentati scelti dai cittadini per negoziare con il partito comunista locale. Xue Jinbo- questo il nome dell'uomo -un macellaio 42enne finito in manette per le proteste che avevano già infiammato la zona a settembre- è deceduto mentre era ancora agli arresti. Sebbene le autorità abbiano giustificato la morte come un attacco di cuore, i parenti hanno dichiarato che il corpo presentava chiari segni di tortura, scriveva mercoledì il New York Times.

Ginocchia livide, narici incrostate di sangue e il pollice di una mano rotto; le dichiarazioni dei funzionari di pubblica sicurezza, secondo le quali Xue sarebbe morto a causa di alcune malattie cardiache di cui soffriva da tempo, non sembrano essere sufficienti. "Siamo stati nella camera funeraria un paio di volte, ma la polizia non ci ha voluto rilasciare il corpo" ha raccontato il genero del defunto.

Secondo quanto riferito dagli abitanti del posto, contattati telefonicamente dalla France Presse, tutte le connessioni Internet sono state rese inoperative, mentre mille agenti in assetto anti-sommossa presidiano il villaggio vietandone l'accesso.

Ancora una volta a fomentare il malcontento della popolazione è stata la questione delle espropriazioni forzate, specchio della corruzione dilagante tra i funzionari locali, e che sommata al crescente divario tra ricchi e poveri e ad un sistema giuridico lacunoso, rappresenta una delle tante gocce che hanno fatto traboccare un vaso ormai stracolmo.

Soltanto nello scorso anno sono stati ben 180 mila i cosiddetti "incidenti di massa": scioperi, sit-in, manifestazioni e scontri violenti si sono estesi in tutto il Paese a macchia di leopardo, manifestando un aumento direttamente proporzionale all'iperbolico trend di crescita dell'economia nazionale. Tutt'altra storia rispetto alla metà degli anni '90, quando gli episodi di disordine ammontavano a meno di 10.000.

"La gente non ha fede nelle procedure legali né nei media; quando subisce un torto si sente inerme" - ha affermato Martin K. Whyte, sociologo presso l'Università di Harvard.

Sebbene l'inquinamento incontrollato, i salari troppo bassi e i casi di abuso di potere da parte delle forze dell'ordine siano spesso motivo di proteste sociali, la questione relativa all'espropriazione della terra e agli sfratti rappresenta senza dubbio la piaga che affligge più dolorosamente la popolazione cinese.

Gli scontri di Wukan, d'altra parte evidenziano caratteristiche insolite quanto a durata e modalità di protesta. Tutto cominciò alla fine degli anni '90, quando i funzionari iniziarono a confiscare i terreni agricoli per far posto a nuovi parchi industriali e progetti residenziali; oltre 400 gli ettari di terra sequestrati in circa un decennio, come raccontato dagli abitanti del villaggio. Poi lo scorso settembre la scintilla che ha innescato la miccia: le autorità stabilirono la vendita coatta di un allevamento di maiali della zona con lo scopo di far spazio ad abitazioni di lusso. Un business, questo, che se da una parte ha fruttato al governo 156 milioni di dollari, dall'altra ha spinto i cittadini di Wukan ad alzare la voce, avanzando la richiesta di compensazioni più elevate e pretendendo l'elezione democratica di nuovi funzionari.

Dopo due giorni di dimostrazioni, durante i quali la folla ha preso di mira i veicoli della polizia e gli edifici governativi, le forze dell'ordine si sono lasciate andare ad una serie di brutalità "eccessive"- come testimoniato dai manifestanti- per poi approdare ad un insolito armistizio. Licenziati due leader locali del partito, le autorità di Wukan hanno proposto di negoziare con un gruppo di rappresentanti di villaggio, scelti sulla base del consenso popolare. Xue Jinbo era uno di loro.

Poi, il dietro front del governo: "Le autorità sono tornate sui loro passi e ci hanno dichiarati illegali, Xue era il nostro rappresentate più attivo e capace", ha raccontato uno dei membri della commissione temporanea locale.

Quello di Wukan non è che l'ultimo di una serie di episodi di proteste che da alcuni mesi a questa parte stanno scuotendo il sud del paese. Principali zone calde, le province del Zhejiang e del Guangdong, fucine del manifatturiero cinese. Proprio ad inizio mese, nella città di Anji alcuni operai di una fabbrica di mobili finita in bancarotta erano scesi in strada per chiedere di essere pagati. Un'altra manifestazione degenerata in atti di violenza: secondo diverse voci circolanti sul web, infatti, i dimostranti sarebbero in seguito stati accerchiati e picchiati dalla polizia locale.

Momenti di tensione anche a Shanghai dove, tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre, i lavoratori di Hi-P International -azienda di Singapore che produce componenti elettronici per Apple, Ibm e Hp- hanno incrociato le braccia per diversi giorni consecutivi, opponendosi al trasferimento della fabbrica a Suzhou -distante un centinaio di chilometri- e protestando contro il licenziamento senza corrispettivo compenso. Dodici gli arrestati per aver ostacolato il passaggio dei camion addetti al trasporto della produzione giornaliera.

Quelli citati sono solo alcuni degli esempi più eclatanti di contestazioni nel settore produttivo. Scioperi e movimenti di rivolta surriscaldano l'area del delta del Fiume delle Perle, catalizzati dal malcontento per i bassi salari, per l'inflazione galoppante, per le condizioni di lavoro insostenibili, alimentati dall'indignazione verso la corruzione dilagante e dal progressivi allargamento della forbice dei redditi. Questi e molti altri fattori hanno trasformato il Paese di Mezzo in una gigantesca polveriera che, secondo molti, non tarderà ad esplodere.

(Pubblicato su Dazebao)

martedì 13 dicembre 2011

Cina. Nuovi incidenti degli scuolabus: 3 in meno di un mese

AGGIORNAMENTI:
L'autista dello scuolabus è pienamente responsabile dell'incidente: lo hanno reso noto le autorità della contea di Fengxian, nella giornata di martedì.
"Gli esami preliminari hanno evidenziato che Hong Xu- questo il nome del conducente trentenne- non era in possesso della licenza necessaria alla guida del mezzo. Già in passato era stato sospeso perché privo di registrazione" ha dichiarato ai giornalisti Chen Likun, vice-capo dell'ufficio di pubblica sicurezza della contea. I servizi scuolabus nella zona sono tutti gestiti da singoli individui, i quali stabiliscono degli accordi con i genitori degli studenti. Pertanto spetta alle scuole la responsabilità di vigilare sul loro funzionamento, ha spiegato Chen.
Il sindaco della città, Zhang Jinghua, intanto ha fatto sapere che nessuno dei mezzi navetta per gli studenti potrà circolare sino a che le autorità non avranno effettuato controlli approfonditi sul loro stato di manutenzione.
Sebbene il vicecapo del governo locale abbia dimostrato che lo scuolabus al momento dell'incidente non era sovraccarico, uno dei parenti delle vittime ha raccontato che quello era l'unico veicolo della scuola e spesso veniva riempito con più di 70 passeggeri, pur potendone portare massimo 52.
"A circa tre chilometri dall'ultima fermata, l'autista ha scelto di fare una scorciatoia deviando per uno stretto sentiero; non lo aveva mai fatto prima" ha dichiarato un testimone, che ha perso il nipote nella sciagura.


Cina. Nuovi incidenti degli scuolabus: 3 in meno di un mese

Ammonta a 15 morti e 8 feriti il bilancio dell'incidente stradale che lunedì ha visto implicato uno scuolabus nella contea di Fengxian, nella provincia orientale del Jiangsu. Lo ha riferito Zhang Bin, vice-capo del governo locale, spiegando come, 16 degli studenti, persa conoscenza, sono stati ricoverati d'urgenza e rianimati nei due maggiori ospedali della zona.

Erano le 17:50 ora locale; il pulmino con 29 bambini a bordo, stava facendo il giro delle abitazioni per prelevare gli altri scolari, quando improvvisamente l'autista ha effettuato una brusca sterzata nel tentativo di evitare la collisione con un veicolo a pedali. Il bus è finito inevitabilmente in un fosso al margine della strada. Otto bambini sono morti sul colpo, gli altri sono deceduti in seguito al ricovero nelle strutture ospedaliere vicine, mentre il conducente è stato trattenuto dalla polizia per ulteriori indagini.

I funzionari locali hanno tenuto a precisare che la vettura, di produzione della Shaolin Auto Co., Ltd e facente capo alla scuola elementare della città di Shouxiang, non era stata sottoposta ad un sovraccarico.

Intanto, sempre nella giornata di lunedì, un altro scuolabus con 59 studenti a bordo è stato preso in pieno da un autocarro pesante, nella città di Foshan, provincia del Guangdong. 37 i feriti, come dichiarato martedì dalle autorità del posto, di cui 7 in condizioni gravi. Il pulmino e i camionisti sono stati messi sotto osservazione dalle forze dell'ordine per accertamenti.

Ironia della sorte, gli incidenti di lunedì sono giunti ad un giorno di distanza dall'inizio di una campagna di sicurezza sugli scuolabus, lanciata dal Consiglio di Stato cinese in seguito all'ondata di proteste che il mese scorso ha fatto seguito all'ormai nota sciagura avvenuta nel Gansu. Proprio il 16 novembre, il paese è stato scosso da un altro incidente stradale nel quale sono decedute 19 persone, tra cui 17 bambini in età prescolare. Nell'occhio del ciclone, ancora una volta l'autobus di una scuola -secondo le autorità- in regola, ma con a bordo 64 passeggeri contro i 9 per i quali era in realtà omologato.

Date le modalità dell'incidente, la stampa locale non ha concesso sconti, mentre il tam tam sul web ha riversato fiumi d'inchiostro sui giornali.

"Leggendo di questa tragedia orribile, mi sento come se ogni cosa avesse perso colore e sapore. Su questo territorio di riti, la morte della nostra gente ormai non suscita nessuna compassione. In migliaia e migliaia di anni, è sempre stato così" ha commentato un netizen sul portale 163, a pochi giorni dall'accaduto. "Perché solamente gli asili di campagna hanno simili primati mondiali di sovraccarico? Proviamo a metterci nei panni di tali scuole: questo asilo conta oltre 750 iscritti, nelle zone rurali poi non si possono adoperare autobus troppo grandi (in quanto le strade sono strette e risulterebbe difficoltoso girare). Se si usasse un modello di furgone da nove passeggeri, per ogni viaggio, oltre all’autista e ad una maestra, si potrebbero trasportare solo 7 bambini. Per riuscire a far arrivare tutti gli studenti a scuola prima delle 9, e tenendo presente che ogni giorno si possono fare non più di quattro viaggi, un bus potrebbe trasportare appena 28 bambini al giorno. Fate un po’ i conti, per portare 750 persone quanti mezzi sarebbero necessari? 28! Quale asilo potrebbe essere così ricco da poterseli permettere? E comunque, i soldi ricavati dal trasporto andrebbero tutti alle aziende petrolifere statali. Salviamo i bambini di campagna!" (link)

Intanto il premier cinese, Wen Jiabao, ha esortato le amministrazioni governative ad assumere "rapidamente" norme di sicurezza al fine di migliorare gli standard dei trasporti scolastici, scriveva questa mattina il Global Times. Ma, probabilmente, le parole del Primo Ministro non basteranno a smorzare il malcontento sociale che, ormai da mesi, infiamma la rete.

(Pubblicato su Dazebao.it)

domenica 11 dicembre 2011

Cina. In aumento la discriminazione sul lavoro


(Pubblicato su: Dazebao.it)

Semaforo rosso per gli over 28 nei servizi pubblici e professionali. In Cina, la discriminazione sul lavoro varca i confini delle fabbriche, prendendo piede nei settori più disparati.
Se per decenni infatti- come riportato dal China Labour Bulletin- i proprietari delle industrie hanno negato l'accesso alle linee di produzione a tutti coloro avessero superato il trentesimo anno d'età, un recente studio condotto dalla China University of Political Science and Law (CUPL) ha messo in luce una situazione ben più allarmante.

Dati alla mano, nel corso del 2011, 9.762 posti di lavoro offerti da sei differenti agenzie governative sono stati assegnati sulla base di requisiti di età e condizioni di salute particolarmente selettivi. Per  ognuno dei 92 incarichi stabiliti dal corpo di polizia dell'aviazione civile, sono stati richiesti candidati non oltre i 28 anni, come riportato il 21 novembre dal Beijing Times.

Stesso tetto massimo, quello scelto per la campagna di assunzione lanciata lo scorso mese dalla Shenzhen Securities Exchange (SZSE), una delle tre borse valori della Cina continentale, in cui lo staff professionale, composto da legali, informatici e contabili, è stato rigidamente selezionato in base all'età: ancora una volta via libera solo agli under 28, con grande indignazione degli eliminati.

Ma l'azione di discriminazione messa in atto dalla famosa piazza finanziaria cinese non si può certo dire sia passata in sordina. Una Ong di Shenzhen si è scagliata contro i metodi di assunzione adottati dalla SZSE e contro le restrizioni imposte nell'accesso alle cariche pubbliche, mentre molti professionisti del settore hanno rincarato la dose, sottolineando come l'esperienza lavorativa non dovrebbe essere penalizzata quanto, piuttosto, considerata una “ricchezza”.

“Non vi sono motivazioni scientifiche per le quali una persona, compiuti i 29 anni, non possa essere in grado di ricoprire una posizione pubblica” ha dichiarato al Global times Wang Zhenyu, vice-direttore del Centro di ricerca sulle politiche pubbliche della CUPL.

Ma cos'è che rende i giovani una “merce” tanto gettonata? Semplice. Come affermato da alcuni responsabili per le risorse umane, i giovani professionisti accettano salari più bassi, sono disposti a fare turni di lavoro più lunghi e hanno una maggior flessibilità di orari rispetto ai loro omologhi più attempati, magari con tanto di mogli e figli a carico.

Ma quella dell'età non è che una delle tante forme di discriminazione messe in atto nel settore dei pubblici impieghi. Sesso, altezza, etnia, salute, status sociale e affiliazione politica vanno ad ingrossare le fila dei requisiti fondamentali in grado di determinare il successo o l'insuccesso di un candidato. Secondo quanto emerso da un'intervista rilasciata da alcuni dipendenti, l'accesso a diversi reparti dei servizi pubblici sarebbe limitato soltanto ai membri della Lega della Gioventù Comunista (LGC), che, tanto per avere un'idea, rappresenta la principale organizzazione politica giovanile presente nel Regno di Mezzo.

Il rapporto rilasciato dalla China University of Political Science and Law, ha rivelato che oggi il 19,1% dei posti di lavoro è limitato ai membri della LGC o del Partito, il 15,6% degli uffici pubblici accetta una candidatura solo in base al sesso, l'11,5% impone restrizioni su fattori quali lo status sociale o il tipo di hukou (particolare sistema di registrazione che distingue le famiglie in “rurali” e “non rurali”), mentre soltanto lo 0,4% esige dagli aspiranti impiegati particolari caratteristiche fisiche.

E poi ci sono i più esigenti, come una fabbrica della città di Dongguan (provincia del Guandong), la quale nel suo annuncio per il reclutamento del personale ha specificato che il candidato deve possedere un'età compresa tra i 20 e 30 anni, deve avere una vista al di sopra degli 8 decimi, godere di buona salute, essere esente da malattie infettive, avere una certa altezza e, dulcis in fundo, deve possedere una background culturale adatto al proprio sesso (scuola secondaria tecnica o scuola secondaria a tempo pieno per le donne; collegge di quattro/cinque annni più specializzazione in scienze e ingegneria per gli uomini).

A poco o nulla è servita, dunque, la legge varata nel 2007 sulla promozione dell'impiego, in base alla quale un datore di lavoro può essere sottoposto a denuncia qualora in fase di colloquio effettui discriminazioni per sesso, razza, religione o handicap fisici. Secondo Lu Jun, direttore di una Ong per la promozione dei diritti, il fenomeno della discriminazione ha subito un'impennata durante il 2011 in seguito ad una direttiva -emessa dalle agenzie governative e approvata dai ministeri della Salute Pubblica, delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale- la quale stabilisci i requisiti fisici che i candidati devono soddisfare.

Ma, a questo punto, ci si potrebbe chiedere: “Che importanza può avere se uno zoppica o non ha un volto perfetto, quando fa richiesta per lavorare in una stazione di polizia o in un pubblico ufficio?” A ragion di logica, una risposta sensata stenta ad arrivare.

Cina, Myanmar e Laos insieme per la sicurezza del Mekong


Si è tenuta ieri, nel porto di Guanlei -sudovest della provincia cinese dello Yunnan- la cerimonia per il lancio del pattugliamento congiunto che vedrà le forze di polizia di Cina, Laos e Myanmar impegnate a sorvegliare il Mekong. La creazione di questa squadra speciale ha segnato il ripristino dei servizi di trasporto internazionale sull'arteria fluviale più importante dell'Indocina, sospesi in seguito agli attacchi pirati di alcuni trafficanti che lo scorso 5 ottobre avevano assaltato due navi da carico battenti bandiera cinese, sterminandone brutalmente l'intero equipaggio (link). Situato nel punto in cui convergono le linee di confine di Thailandia, Laos e Myanmar, il "Triangolo d'oro" è considerato una zona nevralgica quanto a produzione e smercio di oppiacei, seconda soltanto alla "mezzaluna d'oro" afghana, e pertanto frequentemente scenario di attività criminali.

venerdì 9 dicembre 2011

Huang Yasheng: La democrazia ostacola la crescita economica?


La Tigre e il Dragone a confronto: cosa ha permesso alla Cina di mantenere per vent'anni un trend di crescita economica a due cifre, che l'india, la nuova promessa asiatica, è ancora lontana dall'eguagliare? Lo ha spiegato lo scorso luglio Huang Yasheng, economista di origine cinese, durante il Ted (Technology, Entertainment, Design), una conferenza che si tiene ogni anno a Monterey, California, e ogni due anni in altre città del mondo. Il discorso di Huang finisce inevitabilmente sulla questione "democrazia", andando a toccare l'influsso positivo/negativo che i regimi autoritari  hanno avuto sullo sviluppo di alcuni paesi dell'Asia.

(Video sottotitolato in italiano)

mercoledì 7 dicembre 2011

Delhi vs Google, "storie di ordinaria censura"

Ci risiamo. Un'altra storia di Google, censura governativa, “rumors” e blog incriminati. Questa volta però, a sorpresa, la location non è la solita Cina- che con il colosso di Mountain View ha notoriamente trascorsi burrascosi- bensì l'India, il gigante asiatico n°2, considerato da molti la più grande democrazia del mondo. Il copione d'altra parte è assai noto, basterebbe giusto sostituire qualche numero e un paio di nomi. La nostra storia potrebbe grosso modo cominciare così: “C'era una volta un sovrano dispotico e autoritario (Delhi/Pechino) che teneva a bada i suoi sudditi (cittadini) con il pugno di ferro e combatteva chiunque lo ostacolasse (Internet/media) a colpi di censura...”

India, 5 dicembre. Le agenzie di sicurezza governative inondano Google -che nel paese si stima conti 121 milioni di utenti- con richieste di rimozione di tutti quei contenuti responsabili di mettere in cattiva luce i leader politici, mentre il ministro delle Comunicazioni e dell'Information Technology, Kapil Sibal, propone un filtraggio a tappeto di tutto il materiale online. Circa sei settimane fa, proprio Sibal aveva convocato nel suo studio di Nuova Delhi i rappresentanti legali dei principali provider di Internet e Facebook, a causa di alcune malignità comparse su una pagina del social network di Zuckerberg, le quali avevano come oggetto niente meno che il presidente del Partito del Congresso Indiano, Sonia Ghandi. “Una cosa inaccettabile”- come dichiarato dal ministro delle telecomunicazioni- che mette in luce la necessità di monitorare in maniera sistematica tutto il materiale, ancora prima che venga caricato sul web, attraverso un lavoro di pre-screening.

Poi lunedì scorso un secondo incontro con gli executives dei colossi della rete ha ribadito l'intenzione del governo di stringere ulteriormente la mordacchia. Sibal -secondo le indiscrezioni messe in circolazione da due anonimi funzionari di alcune compagnie di Internet- avrebbe proposto la creazione di un apposito corpo di vigilanza della rete, incaricato di segnalare manualmente, piuttosto che attraverso strumenti più tecnologici come filtri di parole sensibili, i contenuti ritenuti denigranti o diffamatori.(link)

La notizia, riportata dal New York Times il 5 dicembre, è rimbalzata sulla stampa nazionale, sollevando un polverone mediatico di proprozioni gigantesche. La storia è stata fomentata ancora di più dall'evidente cronicità della situazione, la quale ha indotto i media locali a puntare i riflettori su quella che è ormai una prassi da tempo consolidata: le autorità pressano regolarmente i fornitori dei servizi Internet -Google, Microsft, Yahoo e Facebook- perchè venga occultato qualsiasi contenuto possa risultare “offensivo” agli occhi dei politici.

La conferma è giunta proprio dai dati rilasciati dal motore di ricerca Usa. Un rapporto pubblicato di recente sul sito di Google dimostra che, tra giugno e luglio dello scorso anno, sono state recapitate 282 richieste di censura ai danni di piattaforme online, e il mittente è sempre lo stesso: la polizia indiana. Nei sei mesi successivi le pressioni si sono ulteriormente intensificate in seguito all'ordine di eliminare 236 profili e community dal social network Orkut, perchè “critici nei confronti di un politico locale.” Il tentativo di monitoraggio del web si è fatto più serrato tra gennaio e giugno 2011, come dimostrano le pretese avanzate dal governo indiano di ottenere i dati personali di 2.439 utenti; mille in più rispetto ai precedenti sei mesi.

Il Rapporto sulla trasparenza compilato dal colosso di Mountain View evidenzia 142 richieste di censura inoltrate dalle forze dell'ordine indiane, nella seconda metà del 2009. “La maggior parte delle richieste verte su contenuti ritenuti diffamatori”, spiega il rapporto. Ma la smentita delle autorità non si è fatta attendere. “Noi non ci occupiamo di controllare i contenuti politici” ha dichiarato Damayanti Sen, vice-commissario della polizia di Calcutta, “ci sono delle organizzazioni apposite per questo. Interveniamo sui provider di Internet solo nel caso in cui arrivino reclami e specifiche segnalazioni di attività criminali”.

Ma, come scrive The Times of India, queste lamentele, dopo aver raggiunto in passato proporzioni allarmanti, sono progressivamente scomparse; almeno nella regione nord-orientale del Bengala. Nel 2007 Buddhadeb Bhattacharjee, membro del Politburo del Partito Comunista Indiano e del Parlamento del Bengala Occidentale, vantava non meno di tre profili fasulli su Orkut, prontamente rimossi da Google in seguito alle richieste della polizia.

Ciò su cui, però, le autorità hanno preferito glissare è il fatto che le pressioni esercitate da Delhi sul noto motore di ricerca statunitense, negli ultimi tempi, sono aumentate a livello esponenziale. Tra gennaio e giugno di quest'anno è stata richiesta la chiusura di 236 community e 19 blog di Ortuk, al fine di contenere le critiche in chiave anti-governativa circolanti sul web, mentre sarebbero in totale soltanto 19 i siti finiti nel mirino per la diffusione di materiale pornografico o per l'appropriazione di false identità.

Ma Mountain View sembra averne abbastanza. Il Rapporto sulla trasparenza ha evidenziato che mentre nel 2009 il 77% del materiale segnalato dalle autorità è stato "diligentemente" sottoposto a censura, nella seconda metà del 2010 Google ha ritenuto opportuno far calare la scure solo sul 22%. “Gran parte dei contenuti- ha dichiarato un portavoce della società- non violavano le norme comunitarie né le leggi locali”.

Intanto nella comunità virtuale timore e malcontento la fanno da padroni, mentre comincia a farsi strada un'inquietante domanda: "Ci stiamo forse avviando verso una democrazia made in China?" sembrano ormai chiedersi in molti.

martedì 6 dicembre 2011

Cina avvolta nella nebbia, l'allarme degli esperti


Traffico paralizzato, ritardi nei voli aerei e superstrade chiuse. Succede in Cina. Da domenica scorsa la nebbia non dà tregua alle regioni settentrionali, centrali e orientali del paese dove la visibilità si è ridotta a meno di mille metri, scendendo in alcune zone anche al di sotto dei 200 metri, come riportato ieri dal Centro Metereologico Nazionale (CMN). Il CMN ha emesso il codice giallo, il secondo più alto sulla scala di quattro livelli del sistema di segnalazione meteorologico nazionale.

Secondo quanto riportato dal Beijing Capital Airport, nella giornata di lunedì circa 219 voli sono stati cancellati, mentre 118 hanno subito ritardi di ore. Ma il problema non è circoscritto esclusivamente al traffico aereo. Nella provincia costiera dello Shandong 10 superstrade sono state chiuse, anche se -come rassicurano le autorità competenti- l'arrivo di aria fredda previsto per i prossimi giorni dovrebbe aiutare a disperdere la coltre di nebbia.

Intanto gli esperti cominciano a manifestare una certa preoccupazione per gli effetti che l'alto tasso di particelle sottili, presente in concentrazioni più elevate nel nord della Cina, potrebbe causare sulla salute dei cittadini. Malattie respiratorie, infezioni polmonari e cancro sono tra i principali rischi. "Anche se riusciremo a mantenere bassa la percentuale dei fumatori si prevede che i casi di cancro continueranno ad aumentare nei prossimi 20-30 anni; e il crescente inquinamento atmosferico potrebbe essere il principale responsabile" ha dichiarato Shi Yuankai, vicepresidente dell'Istituto per la Ricerca sul Cancro dell'Accademia Cinese di Scienze Mediche.

Nella capitale cinese, in un decennio, il tasso di cancro ai polmoni è aumentato del 60% -sebbene il fenomeno del tabagismo sia rimasto tutto sommato controllato- mentre nella Cina continentale la percentuale di mortalità, a causa di questa malattia, è aumentata del 465% negli ultimi 30 anni.

E a finire sul banco degli imputati è di nuovo lui: il particolato PM2,5 del quale solo l'ambasciata Usa rilascia quotidianamente i dati, con grande irritazione di Pechino che cerca in ogni modo di tenere segreto il reale stato di salute dell'aria. (link) I veri "arrabbiati", però, sono i cittadini, i quali sembrano averne abbastanza delle valutazioni "ammorbidite" delle autorità cinesi. 4,4 milioni i commenti sull'inquinamento postati negli ultimi giorni sul microblogging Sina, mentre i rivenditori di mascherine anti-smog stanno facendo soldi a palate. (link)


lunedì 5 dicembre 2011

Zhang Yin, che trasformò la carta straccia in oro

(Pubblicato su Uno sguardo al femminile)

Ogni giorno cumuli di carta straccia, scatole di cartone e materiale da imballaggio prendo il largo dal porto di Los Angeles diretti verso le coste cinesi. Un viaggio oceanico della durata di poco più di un mese che si conclude con una nuova partenza, questa volta in senso inverso. Dopo un accurato processo di riciclaggio, quei rifiuti tornano sull'altra sponda del Pacifico sotto nuove e più invitanti sembianze; ora come contenitori dei prodotti “made in China” si riversano sul mercato a stelle e strisce, pronti per essere rivenduti ai consumatori americani.

Un ciclo senza fine, dal valore di 3,8 miliardi di dollari, abilmente diretto da una regista d'eccezione: Zhang Yin - conosciuta in cantonese come Cheung Yan- questo il nome della regina del business “ecologically correct”, balzata agli onori della cronaca nel 2006 per aver conquistato il primo posto nella classifica dei paperoni nazionali stilata da Hurun, sorta di Forbes alla cinese. Prima donna ad ottenere l'ambito riconoscimento, con un capitale stimato intorno ai 3,5 miliardi di dollari (oggi schizzato oltre la soglia dei 5 miliardi), in un solo anno è passata dalla trentaseiesima posizione alla testa della lista, lasciandosi alle spalle la vasta schiera di tycoon in pantaloni che affollano il Regno di Mezzo.

Zhang- che nel 2010 ottenne anche il titolo di self-made woman più ricca al mondo, con largo vantaggio sulle più note americane Oprah Winfrey, Martha Stewart e l´autrice di Harry Potter, Joanne K. Rowling- è la fondatrice e principale azionista della “Nine Dragon Paper”, il colosso della carta riciclata, che oggi conta 1.700 impiegati e possiede una capacità produttiva annua di nove milioni di tonnellate di contenitori di cartone e materiale da imballaggio. Sebbene la facoltosa “chairwoman” abbia dovuto presto cedere lo scettro ad altri miliardari cinesi-quest'anno a salire in cima al podio, con un patrimonio da 9,3 miliadi di dollari, è stato Liang Wengen, cofondatore della società di macchine utensile Sany- tuttavia, secondo i dati raccolti dalle dogane, la filiale americana della “Nine Dragon Paper” continua ad essere la prima esportatrice in assoluto dagli Usa verso la Cina; un record, questo, che l'azienda di Zhang conserva gelosamenta da ben dieci anni consecutivi.

L'impero costruito su pile di carta straccia resiste nonostante i venti di default che spirano dal Nuovo Continente; e anzi, la sua ambiziosa imperatrice punta a renderlo ancora più grandioso, aspirando ad incrementarne la capacità produttiva sino al traguardo degli 11,45 miliardi di tonnellate annui.

I tempi in cui le donne cinesi erano sottoposte alla tortura dei piedi fasciati sembrano ormai distanti anni luce: oggi la bussola dell'emancipazione femminile segna Est. Le donne d'affari dei paesi emergenti, per lo più asiatici, stanno effettuando il grande sorpasso sugli uomini e le colleghe occidentali, come dimostra la classifica compilata da Forbes nella quale sette delle quattordici milionarie “fai da te” provengono proprio dall'ex Impero Celeste. Ma non solo. In Cina ben il 32% dei senior manager appartiene al gentil sesso, contro soltanto il 23% degli Stati Uniti e il 19% del Regno Unito.

Ma se è vero che “non è tutto oro quel che luccica”, vale anche il contrario: i travagliati trascorsi della signora Zhang lasciavano presagire tutto fuorchè un finale tanto glorioso.
Yin, nacque nel 1957 a Shaoguan, nella provincia del Guandong. Primogenita di otto figli, sperimentò un'infanzia di privazioni dopo che il padre, un tenenete dell'Armata Rossa, venne messo dietro le sbarre come “controrivoluzionario”. Erano gli anni della Rivoluzione Culturale e il diktat di Mao Zedong non concedeva sconti a nessuno.

Ma le difficoltà della vita non le hanno impedito di andare avanti, anzi, hanno temprato maggiormente il suo carattere. “La carne la vedevamo solo nelle feste nazionali-racconta- ma la povertà mi ha insegnato ad apprezzare il valore delle cose”. Dopo la morte del Grande Timoniere e l'inizio delle riforme di apertura by Deng Xiaoping, la giovane Yin andò in cerca di fortuna a Shenzhen, una delle “zone economiche speciali”, testa di ponte del capitalismo occidentale oltre la Grande Muraglia. Lì iniziò a lavorare nel commercio dei derivati della carta; poi, una volta apprese le tecniche del mestiere, nel 1985 fece fagotto e con 30 mila yuan in tasca (circa 3 mila euro) partì alla volta di Hong Kong, al tempo ancora colonia britannica. In un primo momento impiegata in un'azienda di Stato cinese di import-export -ancora una volta nel settore cartario- in seguito decise di mettersi in proprio con un capitale iniziale di poche migliaia di dollari.

Ma anche l'isola del Mar Cinese Meridionale le stava troppo stretta, e nel 1990 rifece le valigie, questa volta diretta a Los Angeles. In America conobbe il suo secondo marito: Ming Chung Liu, un dentista mezzo taiwanese mezzo brasiliano, insieme al quale decise di fondare la compagnia America Chung Nam che, con filiali a New York e Chicago, dal 2001 è la più grande esportatrice di carta degli Stati Uniti. Il suo Impero stava piano piano prendendo forma. Poi, il ritorno nella madrepatria, avvenuto nel 1995, suggellò la sua supremazia assoluta nel business del riciclaggio. Tenendo per le redini i suoi “Nove Dragoni”, Zhang Yin ha cavalcato l'onda degli strabilianti successi economici della Nuova Cina. Le sue fabbriche più importanti le ha collocate a Dongguan, nel Guandong, polmone industriale del Paese di Mezzo, e a Taicang, sul delta del Fiume Azzurro, vicino alla modernissima Shanghai.

La genesi del suo successo è da imputarsi ad un'intuizione geniale, condita con una buona dose di fortuna e un innato senso degli affari: per imballare le sue merci il Dragone ogni anno utilizza 40 milioni di tonnellate di cartone, di cui 20 milioni vengono importati dall'estero, pari al 60% dell'export mondiale di carta da riciclo. Colpa della deforestazione e dello sfruttamento massiccio di legname nel settore edilizio, che oggigiorno in Cina hanno reso la cellulosa un bene preziosissimo. Da qui l'idea geniale di sfruttare le trabboccanti discariche americane della raccolta differenziata: le scatole di cartone del “made in China”, dopo essere state aperte e gettate nell'immondizia, vengono rispedite al mittente, dal produttore al consumatore, e di nuovo dal consumatore al produttore, in un lucrosissimo moto perpetuo.

Una scelta vincente, quella del “business verde”, che, oltre ad essere molto redditizia, incarna perfettamente le linee guida del XII Piano Quinquennale (2011-2015), all'insegna di uno sviluppo sostenibile e del rispetto ambientale.

Donna volitiva, di un'eleganza sobria, Zhang Yin si discosta nettamente dalla maggior parte dei baofahu- i nuovi ricchi dagli occhi a mandorla- amanti del lusso e dello sfarzo. Lei veste tailleur pastello e golf girocollo nero, impreziositi soltanto da un filo di perle e un anello di diamanti. Parla perfettamente il “politichese” e intrattiene ottimi rapporti con i vertici della nomenklatura: membro del Congresso Nazionale del Popolo, è stata tra i primi capitalisti a fare il suo ingresso nell'assemblea legislativa della Repubblica popolare cinese (Rpc). I tempi sono cambiati, e oggi il mondo dell'imprenditoria e della politica intessono rapporti sempre più stretti. “Andate e arricchitevi, perchè la ricchezza è gloria”: le parole pronunciate dal Piccolo Timoniere alla fine degli anni '70 sono un po' il leitmotiv che ha accompagnato la modernizzazione cinese dell'ultimo trentennio. Ora che i dogmi sacri del marxismo-leninismo hanno ceduto il passo al “comunismo di mercato”, anche una donna d'affari come la regina della carta riciclata può ricevere la benedizione del Partito.

E lei non se lo è fatto ripetere due volte. In qualità di parlamentare ha immediatamente avanzato due proposte di legge pro-business: una per la riduzione del tasso delle imposte sui redditi di coloro che guadagnano mensilmente più di 100 mila yuan (quasi 12 mila euro)- volta a contenere il fenomeno dilagante dell'evasione fiscale- l'altra per l'estensione della durata dei diritti di locazione sui terreni fabbricabili affittati dallo Stato alle imprese. Ma non contenta, la signora Zhang è andata oltre, azzardando a mettere bocca sulla delicata questione della violazione dei diritti umani, piaga che ormai afflige la Cina quotidianamente. Una mossa, questa, che le è costata l'ostracismo della autorità, anche se per poco. Davanti ad una “lady di ferro” e ad un patrimonio a nove zeri, persino Pechino ha preferito fare buon viso a cattivo gioco.

Dunque, cosa ne sarà del colosso della carta straccia una volta che la sua imperatrice avrà deposto la corona? Zhang Yin doveva essersi fatta la stessa domanda quando decise di strutturare l'ossatura della sua società su base familiare, piazzando figlio e marito nel consiglio d'amministrazione.

Ma...“Non basta avere il mio cognome per ottenere il comando -avverte la tycoon cinese- desidero che la Nine Dragon Paper duri cent'anni, pertanto sceglierò il mio successore in base alle sue reali capacità.” E come dubitare?!

Determinata, visionaria, figlia della Nuova Cina, per lei trovare un degno erede non sarà certo cosa facile.

A.C


venerdì 2 dicembre 2011

Li Keqiang: "Il settore sanitario necessita di nuove misure"


I progressi fatti nel settore sanitario sono buoni, ma non sufficienti. Il governo cinese aumenterà il livello delle franchigie per i piani di assicurazione medica nelle zone urbane e rurali: lo ha dichiarato il vice premier Li Keqiang, durante un incontro sull'assistenza sanitaria- convocato dal Consiglio di Stato- tenutosi martedì scorso a Pechino. Il programma di riforma ha lo scopo di consentire a tutti i cittadini di prendere parte ai piani di assicurazione medica, garantendo l'accesso universale ai servizi sanitari di base.

Attualmente l'assicurazione medica copre 1,29 miliardi di persone, circa il 95% della popolazione nazionale, mentre dal 2009 ad oggi  i prezzi delle medicine di base sono calati in media del 16,9%, scrive il China Daily.
E' dall'aprile di due anni fa che il governo cinese sta rimaneggiando il settore sanitario con l'obiettivo di colmarne le numerose lacune, e di arrestare l'ondata di pubbliche rimostranze che lamentano l'inadeguatezza del sistema.

La garanzia delle cure primarie e la riforma degli ospedali pubblici sono i pilastri di questa revisione in toto dell'health care; il sistema della medicina essenziale richiede ai medici di prescrivere soltanto farmaci di base, i quali vengono venduti a prezzi e modalità di commercializzazione standardizzati.
Il vice premier ha affermato che le riforme verranno estese a livello di villaggio attraverso il coinvolgimento di ambulatori pubblici e strutture private, sottolineando, inoltre, il ruolo chiave ricoperto dalle strutture ospedaliere di contea. Li non ha esitato ad osservare come il governo cinese dovrebbe potenziare i servizi sanitari attraverso l'applicazione di mezzi concertati.

Nel 2003 Pechino ha avviato un ambizioso programma di riforma del sistema sanitario destinato a concludersi nel 2020 e incentrato su alcuni punti cardine quali: la priorità della prevenzione e delle aree rurali, una maggior equità ed efficacia grazie al coordinamento tra meccanismi di mercato e ruolo guida del governo, e l'integrazione tra medicina occidentale e Medicina Tradizionale Cinese. Per l'implementazione della riforma, nel triennio 2009-2011, le autorità hanno incrementato il bilancio ordinario della sanità, iniettando 850 miliardi di yuan extra, pari a circa 100 miliardi di euro. Tali risorse sono destinate a finanziare il potenziamento del servizio di salute pubblica, il miglioramento delle infrastrutture e della gestione ospedaliera, con un particolare occhio di riguardo all'incentivazione dell'uso dei farmaci essenziali.

Volendo quantificare i progressi ottenuti dal settore, 830 ospedali di contea, 1.900 centri sanitari di township, oltre 1.250 centri di salute di quartiere urbani, e 8.000 ambulatori di villaggio sono stati ristrutturati o costruiti ex-novo dall'inizio delle riforme sino al 2010. Notevoli passi avanti anche nel campo della prevenzione, con l'inizio dell'immunizzazione contro il virus dell'Epatite B per 28 milioni di cinesi al di sotto dei 15 anni, e nella gestione ospedaliera grazie all'avvio di progetti pilota in sedici aree urbane. Nelle campagne, la  copertura del nuovo Schema Medico Cooperativo Rurale ha raggiunto il 94% della popolazione e il premio assicurativo minimo annuale è stato innalzato a 140 yuan pro-capite (poco più di 16 euro).

Tanto è stato fatto, ma tanto rimane ancora fare. Proprio pochi giorni fa una dozzina di malati di Aids e i loro familiari hanno presentato una petizione al ministero delle Finanze per sollecitare gli aiuti stabiliti dal governo centrale- e mai arrivati- per i bambini affetti da Hiv/Aids. Secondo le linee guida pubblicate dal ministero degli Affari Civili nel 2009, le autorità sono obbligate a fornire adeguate cure mediche, istruzione e assistenza finanziaria ai bambini malati attraverso un contributo mensile di 600 yuan (circa 70 euro). Ma a causa dell'incapacità del governo nella gestione dei costi, molte famiglie delle province dello Henan e dello Hubei di questi sussidi non hanno visto nemmeno l'ombra (link).

A.C

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...