mercoledì 28 marzo 2012

2012, l'anno del Drago(ne)


(Scritto per la Federazione Relazioni Pubbliche Italiana)

Lo scorso ottobre il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha concluso la sua sessione plenaria con una promessa: il 2012 per la Cina sarà l’anno della cultura e del soft power ( ruan quali in cinese), la capacità di uno Stato di ottenere cio’ che vuole facendo leva sulla propria attrattiva piuttosto che con il ricorso alla coercizione o a compensi in denaro” (Nye, 2005 p.34).

Ed é così che, dopo aver conquistato il titolo di seconda economia mondiale, la Cina si appresta ad espugnare l’immaginario collettivo penetrando nelle nostre menti e nei nostri cuori. Una strategia di marketing volta a promuovere un’immagine dell’ex-Impero Celeste ben differente da quella distorta riproposta dall’Occidente globalizzato e filoamericano, o almeno questo e’ quanto sembrano pensare ai piani alti di Pechino. Ce la fara’ il “Beijing Consensus”?

La partita ancora una volta e’ tutta giocata tra le due sponde del Pacifico. Fino al 2000 gli Stati Uniti hanno modellato lo stile di vita di intere generazioni grazie al sapiente dosaggio dei loro migliori brand, Mc Donalds e Hollywood in primis. Poi gli eventi dell’11 settembre e l’annus horribilis 2008 hanno cominciato a gettare ombre sul sistema americano e sull’infallibilità dei principi cardinali alla base del suo successo. I concetti di economia di libero mercato e democrazia oggi rischiano di sgretolarsi davanti alla supremazia mondiale di un Paese noto per politiche economiche “disinvolte” e scarsa tutela dei diritti umani.

E c’è chi sull’ascesa del Dragone riproietta l’ombra del Giappone anni ’80 quando, all’apice della sua potenza, il Sol Levante veniva additato come il “pericolo Giallo” mentre la Cina, per anni considerata la “malata d’Asia”, cominciava appena ad uscire dalla sua convalescenza.
Ma il paragone impallidisce davanti ai numeri macinati da Pechino, che continua senza sosta a iniettare investimenti nell’industria culturale. E lo ha fatto rilanciando l’immagine di un colosso multimediale quale l’agenzia di stampa statale Xinhua, da molti bollata come cantore del Partito e strumento di propaganda, ma fino a prova contraria in possesso di un network televisivo in grado di raggiungere 5 miliardi e mezzo di persone.
Dallo scorso maggio la Xinhua si e’ aggiudicata uno degli spazi piu’ esclusivi della Grande Mela, l’ultimo piano di un grattacielo nel cuore di Times Square, sul quale campeggia uno schermo al LED di 18 metri per 12. Obiettivo ultimo, bombardare 24 ore su 24 la piazza newyorkese con notizie sulla Cina; una missione, questa, che secondo alcune voci di corridoio costerebbe al Dragone ben 400 milioni di dollari al mese.

Nel 2010 l’agenzia di stampa ha inaugurato CNC World, canale in lingua inglese che punta a competere con colossi dell’informazioni quali Associated Press (AP), Bloomberg e Reuters. Oggi la Xinhua e’ un potentato che si regge sul lavoro di 11mila persone, ha 31 uffici in Cina, altri 107 sparsi per il globo e fornisce almeno un quarto delle informazioni riportate dai gruppi editoriali nazionali.
Ma il ruan quanli esercitato da Pechino oltrepassa i confini dell’infosfera, sconfinando in altrettanto fertili terreni. Il fascino dei caratteri cinesi ha gia’ ammaliato mezzo mondo grazie alla capillare diffusione di oltre 350 Istituiti Confucio per un totale di 5 mila insegnanti di lingua in ogni parte della Terra; e secondo recenti statistiche, nel 2015 il mandarino effettuerà il grande sorpasso sull’inglese divenendo l’idioma più studiato del pianeta.

Dai suoni alle immagini: l’appeal di Pechino contagia anche la Mecca del Cinema. Nell’ultimo anno il Dragone ha incoraggiato operazioni di fusione, acquisizione e joint venture con alcuni big dell’industria cinematografica americana, studios del calibro di Miramax hanno valicato la Grande Muraglia per sancire accordi di coproduzione con alcuni major nazionali. Il Regno di Mezzo ha chiuso il 2011 con incassi per 2 miliardi di dollari e, se le proiezioni degli esperti si dimostreranno esatte, in pochi anni la Cina diventera’ il secondo mercato cinematografico del mondo, raggiungendo entro il 2015 il traguardo dei 5 miliardi di dollari.

Tutti pazzi per il Dragone? Michael Barr, docente di Politica internazionale all’universita’ di Newcastle e autore di "Who’s afraid of China", non sembra esserne convinto. Mentre alcuni ambienti occidentali continuano ad agitare il fantasma di un “assedio cinese”, Barr rilassa i toni. La Cina non sarebbe ancora in grado di minacciare il predominio culturale e ideologico di Washington. Colpa della fama non ottimale di cui gode oltremare e di una strategia di marketing tutta da rivedere. Piuttosto, e’ entro i confini nazionali che il soft power “con caratteristiche cinesi” trova la sua massima espressione, esplicandosi in una sorta di autopromozione del Partito nei confronti della propria gente. Seppur funestato dal crescente malcontento popolare e squassato dai recenti intrighi di palazzo, Pechino ci tiene a sbandierare i successi inanellati negli ultimi 30 anni di rinascita economica. Il monito in patria risuona forte e chiaro, quanto a noi, saremo mai in grado di rinunciare alle bollicine di una lattina di Coca Cola per l’acre sapore di una tazza di tè?

Nessun commento:

Posta un commento

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...