lunedì 8 febbraio 2016

La Cina fa shopping in Europa


[AGGIORNAMENTO
-12 febbraio: Secondo il Financial Times, numerose incognite sovrastano lo shopping cinese all'estero a causa del pesante debito che affligge le società. Circa un quarto degli investimenti effettuati dal Dragone oltremare -per un valore pari a 270 miliardi di dollari- è incappato in una serie di "problemi" (ritardi, costi superiori alle aspettative fino al completo fallimento). Una tendenza particolarmente accentuata nel settore finanziario e delle risorse naturali.]


Continua la lunga marcia del colosso chimico ChemChina (China National Corporation) verso i mercati internazionali. Già presente nel Vecchio Continente con l'acquisto di una quota di maggioranza in Pirelli (per 7,3 miliardi di dollari) e nella tedesca KraussMaffei, produttore di macchinari per la lavorazione di plastica e gomma, alcuni giorni fa la società cinese ha reso noto di aver messo gli occhi su Syngenta, leader svizzero nella produzione di semi e pesticidi. L'accordo -che dovrebbe essere ultimato entro l'anno- vale 43 miliardi di dollari (480 franchi svizzeri per azione), la cifra più alta mai offerta da una società cinese per un'operazione di M&A (Mergers and Acquisitions) all'estero. Da sola l'offerta supera l'ammontare degli investimenti cinesi oltreconfine per il mese di gennaio, quando hanno raggiunto quota 22 miliardi di dollari, una cifra che segna il più forte avvio d'anno mai registrato nel settore.

ChemChina, numero 265 nella classifica Global Fortune 500, dal 2005 -escludendo Syngenta- ha già stretto accordi per più di 15 miliardi di dollari con compagnie nazionali, francesi, norvegesi e israeliane; detiene asset per 292,3 miliardi di yuan (dati di settembre) e gestisce impianti in oltre 140 paesi. Lo fa sotto la guida di Ren Jianxin, 58 anni, originario del Gansu, una provincia dell'Ovest cinese non nota per la sua dinamicità imprenditoriale. Ren, una laurea in economia presso l'università di Lanzhou, ha cominciato la propria carriera come Segretario della Lega della Gioventù Comunista del Chemical Machinery Research Institute. Nel 1984, ha fondato BlueStar Chemical Group grazie a un prestito di 10mila yuan ottenuto dall'Istituto e alla preziosa amicizia di una donna molto in alto: Gu Xiulian, capo del Ministero dell'Industria Chimica dal 1989 al 1998, nonché membro del potente Comitato Centrale del Partito comunista per 20 anni. Un "matrimonio d'affari" non desueto in Cina, dove potere politico ed economico procedono notoriamente a braccetto, che gli ha permesso di rimanere sulla cresta dell'onda per ben tre decadi. Negli anni, la BlueStar ha effettuato operazioni di M&A con oltre 100 compagnie nazionali guadagnandosi l'epiteto di "king of mergers". Dalle sue ceneri, nel 2004, è nata ChemChina, una realtà insolitamente dinamica nella galassia dei carrozzoni di Stato, nonostante sul suo bilancio pesi un debito da 156,5 miliardi di yuan, pari a circa cinque volte le CCE (disponibilità liquide e mezzi equivalenti).

"Per una versione migliorata dell'economia cinese serve una versione migliorata di azienda", ha dichiarato Ren in una newsletter diramata in occasione del Decimo anniversario del gruppo. Sebbene abbia forgiato la propria carriera sotto l'ombrello del Partito comunista, Ren non ha mai smesso di proiettare le proprie ambizioni oltre Muraglia, denunciando apertamente l'inefficacia delle società statali, noto ricettacolo di corruzione e interessi costituiti. "Lui è convinto che occorra cambiare qualcosa per rendere le compagnie cinesi sostenibili", spiega al South China Morning Post Pang Guanglian, vicesegretario generale di China Petroleum and Chemical Industry Federation, "quel cambiamento consiste nell'acquisto di brand occidentali."

"Anche se la maggior parte del nostro staff è composto da cinesi, è possibile notare che nel corso degli anni abbiamo subito una sostanziale influenza del management straniero. Per quanto ne so, siamo più aperti e internazionali rispetto alle altre società di Stato", spiega al quotidiano di Hong Kong Michael Koening, ex direttore di Bayer AG che lavora in ChemChina come consulente estero insieme a Ze'ev Goldberg, funzionario militare israeliano ed ex banchiere presso Lehman Brothers. Non è soltanto una questione di stile (il trionfo del gessato sulle mezze maniche degli imprenditori cinesi tradizionali). Si tratta dell'assimilazione di una cultura corporate mutuata dall'Occidente accompagnata da una maggiore sensibilità verso la tutela del management della società target. L'acquisizione di Syngenta non consiste in una "nazionalizzazione cinese", ha rassicurato a CNBC il direttore della compagnia svizzera.

Come scrive su The Diplomat Marc Szepan, dirigente aziendale affiliato al Mercator Institute for China Studies, fino a oggi la performance delle aziende cinesi nelle M&A è stata affetta negativamente da una sostanziale mancanza di esperienza. Specie quando si è trattato di concorrere con competitor stranieri. E' così che ChemChina ha abbracciato una formula innovativa che prevede la creazione di partnership tra conglomerati statali cinesi e società di private equity nel ruolo di coinvestitori, come recentemente avvenuto tra ChemChina e AGIC Capital per l'acquisizione di KraussMaffei. AGIC Capital è un nuovo fondo ideato nel 2015 da Henry Cai (ex UBS e Deutsche Bank) come ponte tra le Pmi europee e i mercati asiatici.

La strategia di Ren ben si sposa con il piano di internazionalizzazione varato dalla dirigenza cinese al fine di assorbire know-how per la produzione di beni ad alto valore aggiunto e contrastare il rallentamento dell'economia nazionale (ai minimi da 25 anni) con un paradigma di sviluppo basato sull'innovazione. Un obiettivo che attinge nuova linfa vitale dal progetto "One Belt One Road" mirato a riportare in vita il dinamismo commerciale dell'antica Via della Seta attraverso l'Eurasia. Nonostante la grancassa ufficiale ami sottolineare la crescente partecipazione dei privati, i primi dati raccolti lungo la New Silk Road dimostrano ancora una netta predominanza delle entità statali desiderose di esportare la loro sovraproduzione oltre Muraglia. D'altronde, la riforma delle SOEs, annunciata nel dettaglio lo scorso settembre, non prevede uno smantellamento del settore. Anzi, ne auspica un potenziamento promuovendo lo snellimento dei conglomerati improduttivi attraverso l'accorpamento di aziende "doppione". Ne sono esempio le recenti fusioni di China Power Investment Corporation e State Nuclear Power Technology Corp , e quella dei giganti delle ferrovie CSR Corp. e CNR Corp. Operazioni, queste, declinate alla formazione di campioni nazionali da spedire oltremare.

Nel 2015, per la prima volta il valore delle M&A da parte di società cinesi ha superato la soglia annua di 100 miliardi di dollari. Oggi il Dragone conta per il 50 per cento delle operazioni di questo tipo nell'Asia-Pacifico, la regione divenuta più attiva nelle M&A dopo gli Stati Uniti a discapito dell'Europa. E il 2016 promette di non essere da meno, in un momento in cui la persistente altalena dei mercati azionari e la svalutazione dello yuan (la moneta cinese) incentivano la fuoriuscita di capitali. Senza contare ChemChina, dall'inizio del nuovo anno sono due le M&A transnazionali in cui compaiono aziende cinese e assegni a nove zeri: l'acquisizione da parte del colosso poliedrico Wanda Group (con un piede nell'immobiliare e l'altro nell'industria culturale) dello studio cinematografico statunitense Legendary Entertainment per 3,5 miliardi di dollari e l'acquisizione della multinazionale americana General Electric da parte di Haier Group, per una cifra pari a 5,4 miliardi.

L'intesa tra ChemChina e Syngenta non fa che confermare una progressiva diversificazione dello shopping cinese all'estero, attestando il crescente disimpegno dal settore delle materie prime, non più centrali nel nuovo modello di sviluppo sostenibile promosso da Pechino. Recentemente la statale Cofco ha sborsato 750 milioni di dollari per entrare nel gruppo hongkonghese Noble, che opera nel settore agricolo, energetico, logistico e dei minerali, mentre nel 2013 Shanghui International aveva messo le mani sul principale allevatore americano di maiali Smithfields Food per 4,7 miliardi di dollari.

Con il 20 per cento della popolazione mondiale da sfamare e solo il 7 per cento della terra arabile, il gigante asiatico è il primo consumatore e produttore di grano. Rafforzare la presenza cinese nel segmento della chimica per l'agroalimentare viene incontro agli sforzi messi in campo da Pechino per cercare di ridurre le importazioni agricole e aumentare la produttività delle imprese interne con lo scopo di soddisfare il fabbisogno di generi alimentari, i cui prezzi sono diminuiti sui mercati globali. E Ren, che come buona parte dell'attuale classe dirigente prima di scalare la vetta del successo ha trascorso i turbolenti anni della Rivoluzione Culturale nelle campagne, afferma di sapere bene "cosa vogliono i contadini e come lavorano la terra".

(Pubblicato su Gli Italiani)


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