domenica 22 aprile 2012

Propaganda e censura nel terremoto politico cinese

Lo scorso luglio la stampa lo "aveva fatto morire" (link), ma Jiang Zemin, l'ex presidente della Repubblica popolare cinese, sembra essere ben lungi dal voler tirare le cuoia, e ritorna inaspettatamente sotto i riflettori dei media in un momento in cui sulla scena politica nazionale incombono nubi funeste. 

E' di venerdì la notizia ufficiale secondo la quale il vecchio Jiang avrebbe avuto un incontro con l'amministratore delegato di Starbucks, Howard Shultz, e "non perchè sia un fan del caffè", ha commentato sul suo blog Bill Bishop, analista di base a Pechino. Molti sono pronti a giurare che l'ultima apparizione del "padre nobile" della Cina vada osservata attraverso il prisma degli ultimi sconvolgimenti politici innescati dallo scandalo Bo Xilai, l'ex segretario di Chongqing deposto da ogni incarico lo scorso 10 aprile. 
Un segno che il vecchio Jiang è in salute e pronto a dire la sua sul rimpasto ai vertici previsto per il prossimo Congresso del Partito, forse. 

Una strategia che rientrerebbe perfettamente nella propaganda rilanciata attraverso messaggi subliminali portata avanti negli ultimi mesi dalla stampa nazionale. 
Mai come oggi riecheggiano udibili e sonore le parole pronunciate da Hu Jintao nel 2007, quando lanciata la campagna di pulizia di internet, il segretario generale del Partito sottolineò l'esigenza di coniugare il "controllo" (guanli) all' "utilizzo" (liyong) delle informazioni circolanti sul web. Un discorso rettificato e ampliato anche alla carta stampata nel giugno dell'anno seguente, quando fu introdotta la nuova tattica volta ad "incanalare l'opinione pubblica" (link) in una direzione vantaggiosa per la leadership.

Dal giorno del siluramento di Bo Xilai, Pechino ha scatenato il suo arsenale al completo. La macchina propagandistica, declinata nelle sue molteplici manifestazioni, ha subito cominciato a fare pressing sugli organi d'informazione affinché venisse sostenuta la linea perseguita dal Partito. 
La campagna contro Bo è stata inaugurata con la notizia dell'espulsione dell'"ex re di Chongqing" dal Comitato Centrale battuta dall'agenzia di stampa statale Xinhua lo scorso 10 aprile, e accompagnata dalla conferma ufficiale del coinvolgimento della moglie Gu Kailai nell'assassinio del britannico Neil Heywood. 

Ma sebbene "la fedeltà al Partito" sia il leitmotiv più ricorrente negli editoriali spuntati come funghi sulle prime pagine dei giornali d'oltre Muraglia, tra le righe si celano anche interessanti "non detti". Ad alcuni redattori del Global Times, tabloid nazionalista che fa capo al People's Daily (Quotidiano del Popolo), sarebbe stato ordinato di condannare senza pietà Bo Xilai, ma di risparmiare le sue politiche economiche incardinate sul rilancio del walfare, portate avanti durante il periodo di "reggenza" nella megalopoli del Sichuan. Secondo alcuni da interpretarsi come un endorsement di Zhongnanhai al "modello Chongqing", riciclabile in un prossimo futuro. 

Parole dure, invece, per la stampa internazionale e le sue illazioni circa le lotte tra fazioni che agiterebbero l'Empireo cinese; l'edizione in lingua inglese del Global Times non ha risparmiato critiche sulla copertura attuata dai media occidentale sul "caso Wang Lijun".

E' dalla repressione del movimento democratico di piazza Tiananmen che la propaganda governativa non veniva dosata con tanta precisione e capillarità, scrive il New York Times. "Da lungo tempo non si vedeva un'ingerenza così diretta e ampia sui media" ha dichiarato David Bandurski, giornalista di China Media Project presso l'Università di Hong Kong.

Bo Xilai, membro dell'aristocrazia comunista ed ex studente di giornalismo  -fino a pochi mesi fa proiettato verso uno dei seggi del Comitato permanente del Politburo- è stato una figura polarizzante della politica nazionale degli ultimi anni. Dal suo arrivo a Chongqing nel 2007 ha subito attratto ferventi consensi, guadagnandosi il sostegno dei cittadini grazie anche ad un astuto utilizzo dei mezzi d'informazione. 

Ora uno degli obiettivi più pressanti della propaganda di Pechino sembra essere proprio quello di intimidire o conquistare i potenti alleati di Bo che ingrossano le file della sinistra più intransigente e delle alte sfere dell'esercito. 
"[I leader] sanno che ci saranno ancora diverse opinioni e punti di vista" ha spiegato un alto dirigente di un gruppo editoriale statale "quindi è necessario sfornare un gran numero di articoli per unificare il pensiero della gente."

Dall'11 aprile editoriali anonimi su Bo Xilai e Wang Lijun impazzano sui principali organi d'informazione del Paese, dal People's Liberation Army Daily, con i suoi messaggi volti a tranquillizzare le forze armate, alle piattaforme online portavoce dei pensieri e delle richieste del popolo. In testa alla classifica si piazza il People's Daily, megafono del Partito, sul quale soltanto venerdì, per la prima volta, non ha fatto la sua comparsa il nome di Bo Xilai.

Gli articoli delle scorse settimane avevano trattato l'affaire Chongqing con le pinze, astenendosi dallo scagliare attacchi espliciti contro i coniugi Bo e la politica adottata dal leader dell'ultra-sinistra nella megalopoli cinese.
"In tale modo non si creeranno particolari polemiche" ha affermato Zhang Jiang, professore di giornalismo presso la Beijing Foreign Studies University di Pechino, "questa forma di pubblicità ha lo scopo di limitare il più possibile le reazioni negative".

Secondo la vulgata ufficiale il "nuovo Mao" si sarebbe macchiato di "gravi violazioni della disciplina", mentre la panacea per i mali di Zhongnanhai in questo momento risiede nella supremazia dello "Stato di diritto socialista", scriveva il Quotidiano del Popolo alcuni giorni fa.

Ma c'è anche chi ha azzardato qualcosa in più come il capo redattore del Global Times, Shan Renping, autore giovedì scorso di un pezzo al vetriolo nel quale, senza mezzi termini, puntava il dito contro la campagna anticrimine e il revival maoista, binomio cavallo di battaglia dell'ex segretario di Chongqing.

E nella ridda di voci sulla saga di Bo Xilai, il People's Daily si è scagliato contro l'uso improprio della rete internet, causa di diffusione di rumors e pettegolezzi infondati, sebbene, come dichiarato da Li Zhuang, avvocato perseguitato da Bo, negli ultimi tempi i netizen sembrerebbero riuscire ad avere maggior margine di manovra, mentre i gestori delle piattaforme di microblogging cominciano a chiudere sempre più spesso un occhio.

Intanto sotto i colpi di attacchi hacker venerdì Boxun.com, noto sito di "citizen journalism" che negli ultimi mesi ha trattato ampiamente il "caso Wang Lijun", è stato costretto a deviare su un altro hosting service. E nonostante il mandante dei pirati della rete non sia noto, il website manager, Watson Meng, è convinto che dietro agli ultimi attacchi si celino i servizi di sicurezza di Pechino.

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