lunedì 11 agosto 2014

La Cina fa i conti con la pena di morte


Il 10 luglio, Wu Ying si è vista commutare la pena di morte in ergastolo. La donna era stata condannata nel 2009 dalla Corte intermedia del popolo di Jinhua (Zhejiang) alla pena capitale con l'accusa di raccolta illegale di fondi. 61 milioni di dollari è la cifra che, in qualità di presidente della Bense Trade Co. Ltd, Wu ha sfilato ai suoi clienti con false promesse di alti rendimenti sugli investimenti. Nel maggio del 2012, un nuovo processo si è concluso con la sospensione della condanna di due anni al termine dei quali la giovane è ricorsa in appello, ottenendo pochi giorni fa un'ulteriore riduzione della pena. Il caso, uno dei più discussi oltre la Muraglia per la severità della sentenza di primo grado, è stato trattato con una trasparenza insolita, si sono affrettati a sottolineare i media di Stato: il video del procedimento è apparso sul sito dell'Alta Corte del Zhejiang rompendo la tradizionale segretezza che ha fin'oggi caratterizzato la giustizia cinese. Piccoli segnali di una Cina che è decisa a cambiare.

Secondo il rapporto 2014 dell'organizzazione Nessuno Tocchi Caino, anche lo scorso anno la Repubblica popolare ha dominato la classifica mondiale per numero di condanne a morte con almeno 3000 esecuzioni sulle complessive 4104 realizzate in tutto il pianeta. A seguire Iran (687), Iraq (172) e Arabia Saudita (78).

Lo scorso marzo, Pechino aveva respinto il rapporto annuale di Amnesty International accusando l'organizzazione di mantenere una "posizione sbilanciata a sfavore della Cina". "Conservare o meno la pena di morte è questione che si basa principalmente sulle tradizioni e condizioni specifiche di un Paese. La pena di morte corrisponde alle aspirazioni del popolo cinese e contribuisce a reprimere e prevenire gravi attività criminali", ha scandito il Portavoce del Ministero degli Esteri Hong Lei, il quale ha aggiunto che la prassi segue "tradizioni giuridiche e culturali" del Paese. Tuttavia, la posizione ufficiale -confermata dal rapporto di Nessuno Tocchi Caino- riconosce l'impegno del Governo di Pechino nell'attuazione di "una politica di controllo stringente e uso prudente della pena di morte". Secondo Human Rights Watch e la Fondazione cinese Dui Hua, dieci anni fa le esecuzioni in Cina erano più di 10000.

Nel febbraio 2011, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato un emendamento al Codice Penale che riduce il numero dei reati punibili con la pena di morte, portandoli da 68 a 55. I 13 reati non più soggetti a pena capitale sono per lo più di natura economica e non violenta, ma il patibolo rimane per i casi di terrorismo (categoria nebulosa in cui possono rientrare forme di dissenso politico o religioso) e di droga (produzione, trasporto o traffico di quantitativi pari o superiore a 50 grammi di eroina, un chilo di oppio o 150 chili di marjuana). Appena pochi giorni fa è stata portata a termine l'esecuzione di un funzionario nipponico giudicato colpevole, nel 2012, di traffico di narcotici nella città di Dalian. Si tratterebbe del quinto giapponese ad essere stato giustiziato in Cina da quando Tokyo e Pechino hanno riallacciato i rapporti diplomatici nel 1972. Mentre il numero delle sentenze capitali spiccate ai danni di cittadini ugandesi sta diventando motivo di imbarazzo nei rapporti tra il gigante asiatico e il Governo di Kampala.

Nonostante le esecuzioni siano ancora nell'ordine delle migliaia, tuttavia è stata evidenziata una sostanziale diminuzione a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema. Da allora, la Corte Suprema ha annullato in media il 10 per cento delle condanne a morte pronunciate ogni anno nel Paese. Nonostante la pena capitale sia coperta dal segreto di Stato, si stima che dal 2007 a oggi il numero delle esecuzioni abbia registrato un calo del 50%.

Secondo la Fondazione cinese Dui Hua, la riduzione è stata probabilmente determinata da un maggiore utilizzo della pena di morte con due anni di sospensione (quasi sempre commutata in ergastolo o in una pena detentiva a termine); dai miglioramenti in materia di diritti al giusto processo recentemente codificati nelle revisioni al codice di procedura penale; dalla Corte Suprema del Popolo che ha continuato a riesaminare le sentenze capitali e dalla decisione di abbandonare l’uso di prigionieri giustiziati come fonte primaria per la donazione di organi. Si prevedono ulteriori passi in avanti nell'ambito della riforma del sistema giudiziario e dell'abolizione delle detenzioni extragiudiziali annunciate lo scorso novembre in occasione del Terzo Plenum del Comitato Centrale del Partito. La leadership cinese ha giurato guerra alla corruzione che si annida nelle aule di giustizia e ha ufficialmente vietato l'estorsione delle confessioni sotto tortura. Dal consesso è poi emersa la volontà di applicare regole più rigide per la condanna capitale comminabile dietro un numero consistente di prove e solo da giudici esperti.

Rimane, tuttavia, da segnalare l'ambigua posizione assunta dall'opinione pubblica cinese. Se il caso di Wu Ying, a suo tempo, scatenò un acceso dibattito, è anche vero che la pena di morte continua ad ottenere vasto consenso popolare quando si tratta di crimini violenti. Stando ad un'indagine condotta dall'Accademia delle Scienze Sociali, nel 1995 il 95% dei cinesi si era detto favorevole all'applicazione della condanna capitale. Un'inchiesta effettuata nel 2007 tra Pechino, lo Hunan e il Guangdong, riposizionava i favorevoli a quota 58%, mentre il 63,8% degli intervistati aveva richiesto la pubblicazione da parte del Governo delle statistiche ufficiali sul numero esatto delle esecuzioni. Che è poi quanto vorrebbero le associazioni per la difesa dei diritti umani. "Credo che [l'abolizione della pena di morte] in Cina sia realizzabile" ha dichiarato al 'Diplomat' Roseann Rife, direttrice di Amnesty per l'Asia Orientale, "le nuove riforme possono senza dubbio portare a tale risultato. Ma se questo è veramente l'obiettivo [del Governo], allora perché non condividono la riduzione dei casi in maniera concreta fornendoci i numeri reali?" (Scritto per Uno sguardo al femminile)

Nessun commento:

Posta un commento

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...