Gli Stati Uniti devono interrompere il dialogo con i cleptocrati cinesi, “un piccolo gruppo di mafiosi puro e semplice”. E’ l’appello del businessman più ricercato di Cina. Guo Wengui, che da mesi dal suo esilio newyorkese spara bordate contro la corrotta leadership di Pechino con l’obiettivo di far deragliare l’imminente Congresso del Pcc, nella giornata di ieri ha tenuto una conferenza stampa presso il National Press Club di Washington dopo che un precedente incontro curato dall’ Hudson Institute era stato cancellato in seguito alle pressioni del governo cinese. Secondo Guo, la cricca di Pechino avrebbe in agenda diverse alternative per “per indebolire gli Stati Uniti, causare turbolenze negli Stati Uniti e per … decimare gli Stati Uniti”. Secondo l’uomo d’affari negli ultimi mesi la Cina avrebbe sguinzagliato sull’altra sponda del Pacifico una nuova ondata di spie con l’obiettivo di mettere a segno un piano “100 volte, 1000 volte più distruttivo” dell’attentato alle Torri Gemelle. Da quando Guo ha avviato la sua campagna denigratoria contro il Partito, Pechino ha risposto con l’accusa di almeno 19 crimini tra cui corruzione, riciclaggio di denaro e rapimento. Ad agosto il governo cinese avrebbe chiesto all’Interpol di spiccare un nuovo mandato di cattura in riferimento a un presunto caso di stupro nei confronti di un’assistente. Accuse, queste, che il businessman definisce infondate. “Il mio unico obiettivo è cambiare la Cina”, ha dichiarato raccontando le tristi vicissitudini familiari seguite al suo attivismo ai tempi del massacro di Tian’anmen.
La Casa Bianca alla ricerca di una strategia cinese
La Casa Bianca starebbe rivedendo la strategia adottata nei rapporti con la Cina in riferimento ai contenziosi economici (proprietà intellettuale, joint venture e investimenti cinesi), passando per la cybersicurezza e il mar cinese meridionale. Il progetto è stato presentato a giugno a Donald Trump da Peter Navarro, Jared Kushner, Steve Bannon e il direttore del National Economic Council Gary Cohn con l’impegno di terminare un piano entro 90 giorni. Secondo Politico, la NEC e la NSC sarebbero in procinto di terminare una bozza, sebbene non siano ben chiari né la data di pubblicazione né il contenuto esatto. Il piano dovrebbe includere centinaia di politiche più o meno severe. Non è un mistero che l’amministrazione Trump manchi di una visione comune sul versante Cina. L’approccio duro dell’ex chief strategist Steve Bannon è stato finora bilanciato dai più diplomatici Kushner e Rex Tillerson. Lo stesso Trump ha oscillato tra le incoraggianti lodi per la cooperatività cinese sul versante nordcoreano e le critiche per le politiche economiche messe in atto da Pechino.
Intanto il ministero del Commercio ha rimandato l’esito di un’investigazionesul dumping di fogli di alluminio “made in China” — avviata ad aprile — a dopo la visita di Trump in Asia il mese prossimo.
La manodopera nordcoreana finisce nel carrello dei consumatori americani
La Dogana e Polizia di Frontiera degli Stati Uniti hanno annunciato un blocco delle importazioni di pesce e altri prodotti realizzati da lavoratori nordcoreani — sottopagati — in Cina. La decisione segue la pubblicazione di un’inchiesta di Ap in cui viene descritto nel dettaglio la nebulosa filiera della lavorazione di salmoni, calamari e merluzzi che dall’Asia Orientale arriva fino agli scaffali di Walmart e ALDI. E di lì nelle buste della spesa dei consumatori americani, che si trovano a finanziare inconsapevolmente il regime di Kim Jong-un. Sono almeno 12 i settori soggetti al contrabbando di merci dalla Cina, con epicentro intorno a Hunchun cittadina a pochi chilometri dal confine con la Corea e la Russia. Mentre con l’ultima tornata di sanzioni internazionali non sarà più possibile assoldare nuovi lavoratori nordcoreani, tuttavia i divieti non interessano quanti già all’estero. Si stima che i lavoratori nordcoreani in giro per il mondo portino nelle casse di Pyongyang tra i 200 milioni e i 500 milioni di dollari l’anno.
Il Bangladesh costruirà uno dei campi profughi più grandi al mondo
Il Bangladesh costruirà uno dei campi profughi più grandi al mondo per ospitare gli oltre 800mila rohingya fuggiti dal Myanmar in seguito ad una serie di attacchi terroristici nello stato Rakhine. Il progetto prevede l’ampliamento del centro di Kutupalong vicino la città di Cox’s Bazar presso cui confluiranno rifugiati da 23 altri campi lungo il confine con la Birmania. Dal 25 agosto 500mila sfollati hanno varcato la frontiera per sfuggire alle violenze che il governo birmano attribuisce ai miliziani rohingya dell’Arsa ma che molti testimoni oculari imputano alla campagna di bonifica messa in atto dall’esercito regolare. Mentre le violenze sembrano aver abbassato, le carenze alimentari e le tensioni con i buddisti stanno ancora spingendo migliaia di rohingya a intraprendere un viaggio pieno di insidie per raggiungere il Bangladesh. Intanto dall’Onu arriva l’appello per 430 milioni di dollari di aiuti umanitari.
Usa ancora “alleato numero” uno di Manila
Washington è di nuovo l’alleato più fidato delle Filippine e Manila è ben contenta di riprendere le esercitazioni militari congiunte nel 2018 dopo un primo raffreddamento delle relazioni bilaterali. Lo ha annunciato il capo dell’esercito Eduardo Ano di ritorno da un incontro con il US Pacific Command chief Admiral Harry Harris alle Hawaii. Inviperito dalle critiche di Obama contro la sua sanguinosa campagna antidroga, lo scorso anno Duterte aveva annunciato di voler stringere una nuova alleanza con Cina e Russia. Proprio ieri Pechino ha confermato la vendita di una seconda partita di armi per 22 milioni di dollari da destinare in parte alle operazioni antiterrorismo. Ma il supporto fornito dagli Usa nella lotta contro i ribelli musulmani a Marawi, dove hanno perso la vita 900 persone, sembra aver raddolcito il presidente filippino nei confronti del vecchio alleato. “Gli Stati Uniti non sono il nostro nemico, la Cina non è il nostro nemico, la nostra priorità è l’interesse del Paese”, ha spiegato Ano.
La Casa Bianca alla ricerca di una strategia cinese
La Casa Bianca starebbe rivedendo la strategia adottata nei rapporti con la Cina in riferimento ai contenziosi economici (proprietà intellettuale, joint venture e investimenti cinesi), passando per la cybersicurezza e il mar cinese meridionale. Il progetto è stato presentato a giugno a Donald Trump da Peter Navarro, Jared Kushner, Steve Bannon e il direttore del National Economic Council Gary Cohn con l’impegno di terminare un piano entro 90 giorni. Secondo Politico, la NEC e la NSC sarebbero in procinto di terminare una bozza, sebbene non siano ben chiari né la data di pubblicazione né il contenuto esatto. Il piano dovrebbe includere centinaia di politiche più o meno severe. Non è un mistero che l’amministrazione Trump manchi di una visione comune sul versante Cina. L’approccio duro dell’ex chief strategist Steve Bannon è stato finora bilanciato dai più diplomatici Kushner e Rex Tillerson. Lo stesso Trump ha oscillato tra le incoraggianti lodi per la cooperatività cinese sul versante nordcoreano e le critiche per le politiche economiche messe in atto da Pechino.
Intanto il ministero del Commercio ha rimandato l’esito di un’investigazionesul dumping di fogli di alluminio “made in China” — avviata ad aprile — a dopo la visita di Trump in Asia il mese prossimo.
La manodopera nordcoreana finisce nel carrello dei consumatori americani
La Dogana e Polizia di Frontiera degli Stati Uniti hanno annunciato un blocco delle importazioni di pesce e altri prodotti realizzati da lavoratori nordcoreani — sottopagati — in Cina. La decisione segue la pubblicazione di un’inchiesta di Ap in cui viene descritto nel dettaglio la nebulosa filiera della lavorazione di salmoni, calamari e merluzzi che dall’Asia Orientale arriva fino agli scaffali di Walmart e ALDI. E di lì nelle buste della spesa dei consumatori americani, che si trovano a finanziare inconsapevolmente il regime di Kim Jong-un. Sono almeno 12 i settori soggetti al contrabbando di merci dalla Cina, con epicentro intorno a Hunchun cittadina a pochi chilometri dal confine con la Corea e la Russia. Mentre con l’ultima tornata di sanzioni internazionali non sarà più possibile assoldare nuovi lavoratori nordcoreani, tuttavia i divieti non interessano quanti già all’estero. Si stima che i lavoratori nordcoreani in giro per il mondo portino nelle casse di Pyongyang tra i 200 milioni e i 500 milioni di dollari l’anno.
Il Bangladesh costruirà uno dei campi profughi più grandi al mondo
Il Bangladesh costruirà uno dei campi profughi più grandi al mondo per ospitare gli oltre 800mila rohingya fuggiti dal Myanmar in seguito ad una serie di attacchi terroristici nello stato Rakhine. Il progetto prevede l’ampliamento del centro di Kutupalong vicino la città di Cox’s Bazar presso cui confluiranno rifugiati da 23 altri campi lungo il confine con la Birmania. Dal 25 agosto 500mila sfollati hanno varcato la frontiera per sfuggire alle violenze che il governo birmano attribuisce ai miliziani rohingya dell’Arsa ma che molti testimoni oculari imputano alla campagna di bonifica messa in atto dall’esercito regolare. Mentre le violenze sembrano aver abbassato, le carenze alimentari e le tensioni con i buddisti stanno ancora spingendo migliaia di rohingya a intraprendere un viaggio pieno di insidie per raggiungere il Bangladesh. Intanto dall’Onu arriva l’appello per 430 milioni di dollari di aiuti umanitari.
Usa ancora “alleato numero” uno di Manila
Washington è di nuovo l’alleato più fidato delle Filippine e Manila è ben contenta di riprendere le esercitazioni militari congiunte nel 2018 dopo un primo raffreddamento delle relazioni bilaterali. Lo ha annunciato il capo dell’esercito Eduardo Ano di ritorno da un incontro con il US Pacific Command chief Admiral Harry Harris alle Hawaii. Inviperito dalle critiche di Obama contro la sua sanguinosa campagna antidroga, lo scorso anno Duterte aveva annunciato di voler stringere una nuova alleanza con Cina e Russia. Proprio ieri Pechino ha confermato la vendita di una seconda partita di armi per 22 milioni di dollari da destinare in parte alle operazioni antiterrorismo. Ma il supporto fornito dagli Usa nella lotta contro i ribelli musulmani a Marawi, dove hanno perso la vita 900 persone, sembra aver raddolcito il presidente filippino nei confronti del vecchio alleato. “Gli Stati Uniti non sono il nostro nemico, la Cina non è il nostro nemico, la nostra priorità è l’interesse del Paese”, ha spiegato Ano.
(Pubblicato su China Files)
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