venerdì 25 gennaio 2013

Querelle mediatica tra Pechino e Pyongyang


Alle provocazioni si aggiungono nuove provocazioni. "Se la Corea del Nord si impegnerà a portare avanti ulteriori test nucleari, la Cina non esiterà a ridurre la propria assistenza" ha tuonato così il Global Times, spin-off del Quotidiano del Popolo, in risposta alle rinnovate minacce di Pyongyang. Il governo nordcoreano, furioso per la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu - che nei giorni scorsi aveva condannato il lancio del razzo a lunga gittata del 12 dicembre estendendo le sanzioni nei confronti dello stato eremita- giovedì ha promesso di rafforzare il suo arsenale nucleare, di effettuare un terzo test e di procedere con altri esperimenti balistici, in un'azione a tutto campo mirata a colpire il suo "nemico giurato: gli Stati Uniti".

Pechino è il principale partner commerciale nonché indispensabile fornitore di energia di Pyongyang. Da sempre il suo ascendente sulla Nord Corea viene tenuto in gran conto dalla comunità internazionale, essendo la Cina una delle poche nazioni (se non l'unica) in grado di influenzare il comportamento del riottoso alleato. Tuttavia, il beneplacito di Pechino alla risoluzione approvata dal Palazzo di Vetro deve essere apparso alla Corea del Nord come un alto tradimento. E non importa che Pechino abbia cercato di proteggere Pyongyang da sanzioni più pesanti, fortemente volute da Washington e Seul. "Dopo essersi adoperata tanto per l'emendamento della risoluzione, la Cina l'ha anche votato. Ma sembra che la Corea del Nord non abbia apprezzato il nostro impegno" si legge nell'editoriale del Global Times, la cui versione in cinese coincide con quella in lingua inglese.
"La Cina si trova davanti ad un dilemma: non c'è possibilità per noi di trovare un equilibrio diplomatico tra Corea del Nord, Corea del Sud, Giappone e Usa," continua il quotidiano cinese noto per le sue posizioni fortemente nazionaliste, "dovremmo cercare di mantenere un atteggiamento pragmatico per affrontare i problemi, portando avanti un rapporto ottimale tra investimento di risorse e guadagni strategici". E ancora: "La Cina spera nella stabilità della penisola, ma non è la fine del mondo se lì ci sono dei problemi".

Il Dragone si è espresso più volte in favore di una ripresa dei "colloqui a sei", che coinvolgono Cina, le due Coree, Giappone, Stati Uniti e Russia con lo scopo di fermare la corsa all'atomica dello stato eremita, in cambio aiuti e garanzie di sicurezza. La situazione verte in uno stato di stallo da quando nel 2009 Pyongyang ha abbandonato il tavolo delle trattative, dichiarando "la fine permanete" dei colloqui.

Dopo le affermazioni incendiarie del tabloid costola del People's Daily, megafono del Pcc, il ministero degli Esteri cinese ha cercato di minimizzare: trattasi "solo dell'opinione dei media", ha puntualizzato Hong Lei, portavoce del dicastero, "speriamo che le parti interessate possano agire con calma, migliorando il dialogo e astenendosi da azioni che potrebbero portare ad un'escalation della tensione.

A vanificare gli sforzi della diplomazia ufficiale, le schermaglie dei rispettivi organi d'informazione, impegnati in una querelle al limite del grottesco. Il 23 gennaio l'agenzia di stampa statale nordcoreana KCNA ha pubblicato una lunga invettiva in risposta ad un servizio trasmesso dalla televisione di Shenzhen, colpevole di aver diffuso pettegolezzi diffamanti su Kim Jong-un, l'erede del "caro leader" defunto nel gennaio 2011. Secondo il report dell'emittente, basato sulla testimonianza di un anonimo funzionario nordcoreano, il giovane Kim avrebbe fatto ricorso a sei interventi di chirurgia plastica per poter assomigliare il più possibile al nonno defunto, "il Presidente eterno" Kim Il-sung. Il che gli avrebbe permesso di diventare così "terribilmente attraente", scherza Shanghaiist riferendosi alla notizia/sfottò -ma incredibilmente presa per buona dal Quotidiano del Popolo- di The Onion, che a novembre nominò ironicamente Kim Jong-Un l'uomo più sexy del mondo.

A stretto giro la risposta dell'agenzia statale: "KCNA Commentary Refutes Paid Media's False Story", un editoriale puntuto che critica senza mezzi termini la stampa di Cina e Sud Corea. "Il vituperio delle forze ostili riflette soltanto la paura e il disagio di coloro che sono rimasti molto turbati dalla dignità internazionale del supremo quartier generale della DPRK (Repubblica democratica popolare di Corea) e la sua risoluta unità" si legge nell'articolo. Oltre la Muraglia sono subito corsi ai ripari e il 24 gennaio il "Ministero della Verità" ha diramato l'ordine categorico di "attenersi alle norme della propaganda e della comunicazione in materia di affari esteri. Non riportare, non commentare e non diffondere storie sulla vita privata dei leader nordcoreani (come lifting)".

La sparata del Global Times sulle nuove minacce di Pyongyang evidenzia, d'altra parte, una certa insofferenza e costernazione verso le recenti provocazioni del vicino asiatico: "Che la Corea del Nord si arrabbi pure. Non possiamo più sedere uno affianco all'altro senza fare niente solo perché temiamo che agire potrebbe mettere a repentaglio i rapporti sino-coreani. Che brontolino pure Corea del Sud, Giappone e Usa. Noi non siamo obbligati a reprimere i nostri sentimenti".
Nonostante per Pechino la stabilità del regime a nord del 38° parallelo sia necessaria a scongiurare l'esodo dei rifugiati oltre il confine sino-coreano, nonché a evitare la riunificazione delle due Coree (leggi: Stati Uniti fino alla porta di casa), l'idillio tra i due alleati sembra ormai volgere al termine. E forse per i media nazionali è già finito.




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