giovedì 25 aprile 2013

Chinese Dream VS American Dream

"Social Change and the Chinese Dream". Dal titolo sembra una gran figata. Ad organizzarla è la Columbia University, che di per sé è già una sicurezza. E poi è gratis. Che fai non ci vai?!

Sembrava l'occasione giusta per tornare al dipartimento di Affari Internazionali, nel Morningside Campus.
Da quando sei a New York non fai altro che setacciare giornalmente il calendario degli eventi di tutti i principali atenei alla ricerca di conferenze sui paesi asiatici. Non ti perdonerai mai di esserti persa quella sui rapporti Mosca-Pechino. Il "Sogno cinese", però, quello non te lo puoi far sfuggire. E così ti prepari al solito viaggio di un'ora per raggiungere la Columbia. La stanze è sempre lei: la 918. La stessa che la settimana prima aveva ospitato una conferenza sulla democrazia in Malesia e Singapore. Ovviamente ti eri fatta pure quella.

Nell'abstract sul sito web del dipartimento veniva definita "brown bag lecture". Se avessi saputo cosa voleva dire probabilmente avresti messo in conto il tanfo di aglio misto a Oreo -quelli non mancano mai. Esattamente come la settimana prima, quando l'uditorio era ancora una volta per la maggior parte asiatico. Il costante ruminare a tutte le ore del giorno e della notte è forse tra le principali somiglianze che hai riscontrato tra popolo americano e cinese (non ce la fai proprio a non fare paragoni eh?!)

Le mascelle rallentano, non si fermano, all'arrivo dei due "illustri accademici" Low Chengwu e Zhang Lei. Il primo docente di Amministrazione Pubblica alla Northeastern University, il secondo professore di Scienze Politiche nel medesimo ateneo. A fare gli onori di casa è Andrew Nathan, del dipartimento di Scienze Politiche. Sarà sempre lui a fare da interprete per quei due unici occidentali presenti (te compresa). Il compito è quantomai gravoso. A cominciare è infatti il prof. Low, un vecchietto sugli ottanta completamente canuto, privo di denti e dalla pronuncia incomprensibile. Più volte il povero Nathan si incepperà completamente "lost in translation".

"Abbiamo assistito ad una globalizzazione dell'economia", comincia Low, tracciando un quadro degli ultimi trent'anni di riforme in Cina. "L'economia pianificata ha lasciato il posto ad un'economia di libero mercato, le aziende sono amministrate da un management indipendente. Ora abbiamo un piccolo governo e una grande società (?!!!!!, ndr)." Ogni singola frase termina con una fragorosa risata, una battuta, un aneddoto scherzoso sui vecchi tempi. "Quando ero giovane e abitavo in campagna spesso si andava a comprare il tofu nel villaggio vicino perché nel nostro non si trovava. Ci chiamavano speculatori" ha raccontato Low, sottolineando come negli ultimi anni sia aumentata l'indipendenza delle organizzazione di villaggio attraverso un sistema di elezioni.

Il pubblico, composto da giovani studenti cinesi, sembra abboccare. Mi guardo intorno: nessuno fa una piega. Nemmeno quando Low dichiara che "la società cinese è una società aperta". Altri cinque minuti così e me ne vado, penso tra me e me.

L'intervento del professore ottuagenario termina con la constatazione (embè, vorrei vedere...) che la Cina deve ancora affrontare molti problemi, disparità sociale in primis, e che la strada è resa più tortuosa dal fatto che si tratta della nazione più popolosa al mondo. In scarsi venti minuti ci togliamo di torno le ovvietà del vecchio Low. La palla passa al giovane Zhang Lei; a lui spetta il compito di parlare di censura e democrazia della rete. Tutt'altra marcia e -grazie a dio- tutt'altra pronuncia!

Zhang -almeno quarant'anni meno di Low- sembra aver capito che è il caso di tenere viva l'attenzione rendendo il discorso più agile. "Con internet la vita dei leader è diventata di dominio pubblico" comincia il prof., portando l'esempio della nuova colorata first lady Peng Liyuan, citando il caso controverso del blog "Imparare da Xi" (interamente dedicato al presidente Xi Jinping), e gli ultimissimi trending topic della rete: il premier Li Keqing nel Sichuan, immortalato nelle zone colpite dal recente terremoto in compagnia di un quadro senza orologio costoso, ma con un bel segno dell'abbronzatura sul polso, e Zhang Aihua, segretario del partito della zona industriale di Bingjiang, pizzicato e circondato dai residenti locali mentre consumava un lauto banchetto alla faccia della "campagna contro gli sprechi" lanciata dal neo presidente Xi.

"Internet ha cambiato la vita politica cinese" scandisce Zhang "ogni persona diventa un media outlet. Negli ultimi anni si è diffuso il citizen journalism ed è aumentata la trasparenza della vita politica. Le relazioni tra cittadini e funzionari sono rese più facili e dirette". Trasparenza e ovviamente anche "democratizzazione": "ogni persona può esprimersi su internet. Ormai il 90% degli utenti cinesi accede al web attraverso uno smartphone" continua il giovane prof., richiamando tuttavia l'attenzione sulle insidie della rete. "Il 60% dei netizen sono giovani studenti, i quali mettono in giro voci irrazionali" e così, talvolta, qualche post viene eliminato. Eliminato non censurato. Non ci giurerei, ma non mi pare si sia mai parlato di "censura" in senso proprio.

Sommando i due interventi, la conferenza sarà durata circa un'ora. Dopo l'applauso di rito si passa al dibattito. "Qualcuno ha delle domande?" chiede Nathan. E qui viene il bello. Probabilmente né Low né Zhang si sarebbero mai aspettati di venire messi in difficoltà da un pubblico tanto smart. "Come fa a parlare di democratizzazione del web quando personaggi influenti vengono continuamente messi a tacere dalla censura?", chiede una delle presenti con sguardo furibondo (solo successivamente avrei scoperto essere una giornalista cinese residente in Francia). Cala il silenzio. Qualche risatina di sottofondo accompagna un tentativo di intortamento da parte di Zhang. Colpito e affondato. Sullo stesso spartito altri presenti cercano di fare chiarezza sulle possibilità di una reale libertà di parola. Alcuni lo fanno in modo soft, altri insoddisfatti dalla spiegazione ricevuta replicano con un "ma lei non ha risposto alla mia domanda!".

Stiamo parlando di giovani expat cinesi, quelli col soldo e ambizioni che vanno al di là di un buon posto in un'azienda statale della mainland. Quelli che si stanno già vivendo il "sogno americano" e che a quello cinese, ancora "work in progress", ci credono poco. Forse in patria i due "illustri accademici" avranno più fortuna.



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