domenica 1 settembre 2013

"Tigri" in gabbia


(Aggiornamento del 4 settembre: Fonti della Reuters smentiscono il fatto che Zhou Yongkang sia sotto inchiesta; piuttosto pare stia aiutando gli inquirenti in un caso di corruzione, forse quello relativo a Jiang Jiemin, ex presidente di CNPC. Reuters però non esclude nemmeno che in futuro il cerchio intorno a Zhou si possa stringere ulteriormente. Pare infatti che all'inizio dell'anno, con una mossa epocale, il Pcc abbia "demolito una regola non scritta, in vigore da decenni, la quale rende un membro del Comitato permanete del Politburo -in carica o in pensione- immune da indagini per reati economici".)

Aggiornamento del 3 settembre: il Financial Times è il primo giornale -stampa di Hong Kong esclusa- a confermare l'inchiesta su Zhou Yongkang. Fonti vicine al figlio Zhou Bin lo danno già agli arresti domiciliari, ma non escludono possa scampare un'incriminazione)

(Aggiornamento del 2 settembre: secondo il Mingjing, Zhou Yongkang sarebbe agli arresti domiciliari)

Potrebbero essere poco più che speculazioni, ma se si dovessero rivelare esatte, le indiscrezioni di questi giorni collocano l'ultima preda della caccia ai funzionari corrotti tra i più alti scranni del Partito comunista cinese. Zhou Yongkang, ex zar della sicurezza, e fino al rimpasto politico dello scorso autunno numero nove del Pcc, potrebbe avere i giorni contati. Secondo quanto riportato venerdì dal South China Morning Post, la leadership cinese avrebbe deciso di avviare un'inchieste per corruzione a carico di Zhou durante il rituale meeting estivo nella località marittima di Beidaihe. Se le fonti del Post hanno detto il vero, si tratterebbe del primo membro del Comitato permanente del Politburo -sebbene in pensione- ad essere indagato per corruzione dai tempi della Rivoluzione Culturale. La più maestosa delle "tigri", termine con il quale il neo presidente cinese Xi Jinping ha identificato le mele marce che si annidano al vertice della gerarchia del potere.

Nell'organigramma di Partito Zhou, infatti, si trova al di sopra di Bo Xilai, il deposto segretario di Chongqing processato nei giorni scorsi per corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere, del quale viene considerato mentore e padrino politico. Raggiunto il Comitato permanete del Politburo nel 2007, mentre era a capo della Commissione per gli Affari politici e legali, grazie al doppio incarico ha finito per gestire un budget destinato alla sicurezza nazionale di 110 miliardi di dollari annui -più del bilancio per la difesa. La sua carriera, che ha coperto un periodo contraddistinto da malumori e "incidenti di massa", si è chiusa con una macchia indelebile: il caso del dissidente cieco Chen Guangcheng, fuggito dagli arresti domiciliari lo scorso anno, pare aver dato sufficienti motivi all'allora presidente Hu Jintao per rafforzare la supervisione sulle forze di polizia e i servizi di sicurezza nazionale. Tanto che la sua carica è stata "declassata" ed ereditata da un "semplice" membro del Politburo (Meng Jianzhu), andando a rompere una tradizione che voleva il direttore della Commissione per gli Affari politici e legali nella rosa del Comitato permanete.

L'inchiesta su Zhou, approvata, sembra, dal vecchio leader Jiang Zemin, che avrebbe così voltato le spalle ad uno dei suoi protetti -come già avvenuto anni or sono con il capo del Partito di Shanghai, Chen Liangyu- si concentrerà sugli anni trascorsi nella provincia del Sichuan, dove Zhou fu segretario tra il 1999 e il 2002. Ma scandaglierà anche a fondo il suo ruolo a capo della China National Petroleum Corporation (CNPC), colosso petrolifero finito nel mirino degli ispettori di Pechino, in una campagna senza precedenti volta a fare ordine e pulizia nei grandi conglomerati di Stato.

Non è dato di sapere se il caso finirà in tribunale o verrà gestito più discretamente all'interno del Partito, sta di fatto che l'affondo all'ex duro degli apparati di sicurezza è stato anticipato da una serie di arresti che hanno visto cadere molti dei suoi alleati (Guo Yongxiang e Li Chungcheng, rispettivamente ex vicegovernatore ed ex vicesegretario del Sichuan), mentre quattro alti dirigenti della CNPC sono tutt'oggi sotto indagine. Di oggi invece la notizia di un'inchiesta che vedrebbe accusato di "gravi violazione della disciplina" (tradotto dal linguaggio di Partito: corruzione) Jiang Jiemin, da marzo direttore della State-owned Assets Supervision and Administration Commission (SASAC), la Commissione speciale responsabile della gestione delle imprese statali cinesi che risponde del proprio operato direttamente al Consiglio di Stato. "Follow the oil" è il caso di dire. Si perché Jiang è giunto al suo nuovo incarico dopo sette anni come presidente di CNPC, e neanche dirlo viene rubricato tra i protégé di Zhou Yongkang, per via della loro pluriennale carriera nell'industria del petrolio.

Non solo. Come ricorda il South China Morning Post, il nome di Jiang era apparso anche in relazione al controverso incidente della Ferrari nera, schiantatasi contro un muro dopo una corsa forsennata sul quarto anello di Pechino. Era il 18 marzo 2012. A bordo due ragazze e il figlio di Ling Jihua, braccio destro dell'allora presidente Hu Jintao, il cui corpo privo di vita è stato rinvenuto sul posto mezzo nudo. Stando ad alcune origliature, Jiang Jiemin avrebbe cercato di aiutare Ling Jihua -al tempo capo del potente Ufficio generale del comitato centrale del Partito- ad insabbiare il caso risarcendo le famiglie delle due ragazze rimaste ferite con ingenti somme di denaro trasferite proprio dalla CNPC.

Zhou Yongkang, Bo Xilai, Jiang Jiemin: vittime illustri della campagna anti-corruzione alla quale Xi Jinping ha votato il suo primo (quasi) anno di mandato, in uno sforzo volto ad edulcorare gli umori popolari, recita la retorica di Partito. Ma la natura eminentemente politica dell'epurazione di Bo Xilai, un maverick appoggiato dalle frange "neomaoiste", sembra premere per uscire allo scoperto con più veemenza di quanto non abbia fatto finora. Così, mentre i media statali celebravano l'assoluta e inusuale trasparenza adottata per il processo di Bo (in onda in tempo reale su Weibo), stralci della sua energica difesa, rimbalzati sul New York Times, raccontavano qualcosa di ben diverso. Un no secco alle accuse politiche di quanti lo avrebbero additato come un "Putin cinese", accendendo i riflettori sulle crescenti spaccature interne che rischiano di incrinare la natura monolitica del Pcc. E un siluro diretto proprio a Zhou Yongkang che -secondo Bo- avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella gestione della defezione del superpoliziotto Wang Lijun, rintanatosi all'inizio dello scorso anno nel consolato Usa di Chengdu dando così il via al "Chongqing drama" (link). Tutti dettagli scrupolosamente eliminati goffamente dalla versione finale data in pasto all'opinione pubblica, ma misteriosamente scivolati via dalle maglie della censura, in un periodo in cui la fuga di notizie sui retroscena di Zhongnanhai rinvigorisce i sospetti di una divisione tra le varie anime del Partito.

Per guardare oltre le semplici accuse di reati economici mosse a Bo Xilai e Zhou Yongkang basti ricordare che sui due pesano i sospetti di un tentato golpe, rilanciati su Weibo nella primavera del 2012, ma rimasti a livello di rumors. Tra gli elementi certi invece c'è che Zhou è sempre stato uno dei più strenui oppositori alle riforme economiche proposte dall'ex Premier Wen Jiabao nell'ultimo periodo del suo mandato. A lui fanno capo tutti quei funzionari che rigettano una riduzione del potere delle imprese statali e si oppongono all'ingresso di capitali privati nel sistema finanziario cinese. Le banche e le aziende governative, che dovrebbero essere il cuore della ristrutturazione economica del paese, sono, infatti, in mano alle famiglie più influenti della politica cinese, poco inclini a rinunciare ai propri privilegi. Alla vigilia del rimpasto al vertice si diceva che il venir meno del ruolo ricoperto da Zhou avrebbe potuto significare una svolta radicale della nuova leadership contro le forze ostili al mercato tra le file del Pcc. Probabilmente il Plenum del prossimo novembre farà chiarezza sui molti punti oscuri, oltre a tracciare l'agenda economica per il prossimo decennio.

"Con la conclusione del processo a Bo i leader ritengono di dover andare avanti e affrontare altre questioni importanti" ha commentato al South China Morning Post Deng Yuwen, ex vicedirettore di Study Times, pubblicazione della Scuola centrale del Partito. Ma posticipare la sessione plenaria, di solito fissata per ottobre, potrebbe indicare che ai vertici non è stato ancora raggiunto un accordo sui punti chiave.




Nessun commento:

Posta un commento

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...