mercoledì 10 settembre 2014

L'Indonesia, vittima o mediatrice?


Come gli indonesiani imparano ancora sui banchi di scuola, nel 1292 Kublai Khan inviò una spedizione punitiva a Giava. Un emissario dell'Impero Mongolo, inviato sull'isola per ottenere il pagamento del tributo alla dinastia Yuan, aveva fatto ritorno nel Regno di Mezzo con il volto mutilato. La flotta di mille imbarcazione e oltre 20mila soldati salpata dal sud della Cina per vendicarlo fu coraggiosamente respinta. La sconfitta cinese sancì l'ascesa di Majapahit, l'Impero su cui poggia l'Indonesia di oggi.

Nonostante i trascorsi tormentati, l'Indonesia è stato il primo Paese del Sud-est asiatico a stringere relazioni diplomatiche con la Cina nel 1950. Ma l'ombra dello zampino cinese nel fallito colpo di Stato ordito dai comunisti indonesiani nel 1965 fece precipitare nuovamente i rapporti tra le due nazioni asiatiche. Ordine Nuovo, il regime autoritario nato dal golpe, fece dell'anticomunismo la propria bandiera agitando il fantasma di una pericolosa intesa tra il Partito comunista indonesiano (Pki) e la minoranza cinese presente nell'arcipelago, politicamente irrilevante ma economicamente molto potente. Le relazioni bilaterali furono riannodate nell'agosto 1990, nonostante il perdurare di reciproche diffidenze.

Come fa notare su 'Orizzonte Cina' Rai Ervandi, research associate per il programma T. wai- Torino World Affairs Institute, la normalizzazione dei rapporti è stata faticosamente raggiunta con lo scopo ultimo di sfruttare la complementarità dei due Paesi. L'Indonesia, prima economia del Sud-est asiatico e quarto Paese più popoloso al mondo, si rivela cruciale per la Cina considerate le dimensioni del suo mercato interno, le sue risorse naturali e la posizione strategica che la vede dominare le principali vie d'accesso per le importazioni cinesi di idrocarburi. Per l'Indonesia, di contro, la Cina costituisce prima di tutto una ghiotta opportunità economica alla luce dell'Accordo di libero scambio Cina-Asean grazie al quale i rapporti commerciali tra le due Nazioni asiatiche sono schizzati dai 28,3 miliardi di dollari del 2009 ai 42,7 miliardi del 2010, fino ad arrivare ai 50,9 miliardi del 2013, anno in cui -secondo 'Bloomberg'- Pechino è diventato il primo partner commerciale di Jakarta superando Giappone, Singapore e Stati Uniti. In secundis, rappresenta una leva per accrescere il proprio spazio internazionale e il proprio prestigio forte di un valore aggiunto più unico che raro nel quadrante regionale: il fatto di essere -assieme a Singapore- l'unico attore dell'Asia-Pacifico a non avere ufficialmente dispute territoriali in corso con la Repubblica popolare.

Al contempo, pur non essendo coperta da alcun trattato di sicurezza con gli Stati Uniti, Jakarta è legata a Washington da duraturi rapporti che risalgono alla partecipazione del Governo indonesiano nella lotta contro il comunismo all'epoca della Guerra Fredda. Come spiega Noam Chomsky in 'L'Indonesia, carta vincente del gioco Usa', «Dopo la seconda guerra mondiale, l'Indonesia aveva svolto un ruolo importante per gli Stati Uniti, impegnati nella costruzione di un nuovo ordine planetario. A ogni regione era stato assegnato un compito specifico; quello del Sud-est asiatico era di procurare alle società industriali risorse e materie prime. L'Indonesia era una delle poste in gioco più importanti. Nel 1948 George Kennan, lo stratega che 'inventò' la dottrina del contenimento, vedeva 'nel problema indonesiano (...) la questione più importante del momento nella lotta contro il Cremlino'. Fu per questo che Washington appoggiò l'insediamento al potere del Generale Suharto grazie al quale il Pki fu liquidato in «una delle peggiori stragi del XX secolo», come ammesso dalla stessa Cia. Poi, raggiunto lo scopo primario, Suharto fu tolto di mezzo come capitato a Mobutu Sese Seko, Saddam Hussein, Ferdinando Marcos, Anastasio Somoza e altre pedine manipolate e poi depennate dagli Stati Uniti con l'intento conclamato di «promuovere la transizione democratica». (Segue su L'Indro)

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