sabato 4 marzo 2017

Internet dipendenti


La ventola del condizionatore e il ticchettio dei polpastrelli sulla tastiera sono l’unico rumore a spezzare il silenzio tombale che regna nel piccolo locale a pochi passi dalla stazione di Zhongwu, nella defilata regione autonoma del Ningxia, in Cina. Eravamo entrati confidando nella possibilità di bere una tazza di caffè, come suggerito dall’insegna kafeiting(“caffetteria”). L’illusione è svanita una volta salita la ripida scala in legno. Davanti ai nostri occhi una cinquantina di adolescenti se ne sta pigramente stravaccata su poltrone reclinabili, cuffie alle orecchie e sguardo fisso verso lo schermo. Nemmeno l’indisponente obiettivo di una macchina fotografica riesce a distrarli. Alcuni di loro sono frequentatori saltuari, altri non passano giorno lontano dalla loro postazione. Altri ancora rientrano nella categoria dei malati di wangying, la dipendenza da internet che – stando alle stime governative – affligge 24 milioni di giovani cinesi.

La wangying si manifesta con lunghe permanenze davanti al computer, a volte fino a 17 ore di seguito, ma quando la patologia degenera i ragazzi cominciano a diventare aggressivi nei confronti dei famigliari, si trascurano fisicamente e rifiutano di studiare. Dai primi anni Duemila a oggi, il contagio si è espanso a macchia d’olio in varie parti del paese contestualmente all’espansione tentacolare della rete internet cinese, giunta fino all’altopiano tibetano dove persino i monaci non alzano la testa dai loro smartphone. E anche Zhongwu, questa piccola provincia al confine con la Mongolia Interna decisa a registrare una crescita annua dell’8%, non fa eccezione.

Secondo la rivista dell’Asia-Pacific Psychiatry, nel 2014 “l’utilizzo più problematico di internet” risultava concentrato prorio in Asia – regione che da sola conta per il 48,4% della popolazione digitale mondiale – con la Corea del Sud a fare da traino, parzialmente per via dell’inclinazione locale all’high-tech. La Repubblica Popolare Cinese, che stando alle ultime statistiche vanta un bacino di oltre 730 milioni di user, pare non essere da meno. Gli individui più soggetti a dipendenza sono maschi in un’età compresa tra i 12 e i 30 anni; il 91 per cento ha la mania dei giochi di ruolo, mentre il restante 9 per cento è equamente suddiviso tra chat, porno e gioco d’azzardo. A poco è servito il divieto imposto nel 2000 dal governo sulla commercializzazione delle playstation straniere, dalla Sony all’Xbox. Mentre l’intento protezionistico è stato pienamente raggiunto (privati dei joystick i player si sono dedicati ai giochi online attraverso app cinesi come WeChat), lo stesso non può dirsi per le supposte finalità educative: le restrizioni sulle console di fatto hanno spostato il problema fuori dalle mura di casa, contribuendo alla fioritura dei wangba (gli internet caffè) arrivati alla ragguardevole cifra di oltre 113 mila locali.

“La dipendenza da alcol e droghe non è molto comune tra i giovani cinesi”, spiegava tempo fa Tao Ran, direttore dell’Internet Addiction Clinic del Beijing Military Hospital; “i teenager non hanno facile accesso agli alcolici, internet invece è ovunque e non costa praticamente nulla”. Tao, psichiatra ed ex colonnello dell’Esercito Popolare di Liberazione, è tra i più titolati a parlare: nel 2006 ha aperto il Daxing Internet Addiction Treatment Centre, centro di “disintossicazione” situato nell’omonimo quartiere di Pechino a cui si rivolgono i genitori disperati, disposti a pagare fino a 9000 dollari pur di salvare i propri figli.

In joint venture con la Lega della Gioventù Comunista, la struttura propone una cura, della durata di almeno sei mesi, che unisce la psicanalisi occidentale a metodi “con caratteristiche cinesi”: dall’isolamento come forma di liberazione dalle pressioni quotidiane alle sedute di psicanalisi famigliare, in cui genitori e figli partecipano sotto la supervisione dello staff medico. Normalmente il training comincia alle 6.30 di mattina e prevede, oltre al lavoro sulla psiche, anche l’allenamento fisico: marcia, corsa, flessioni alternati a sport meno militareschi come basket, calcio e pallavolo. La cura viene completata con la somministrazione di antidepressivi e psicofarmaci mirati a combattere la depressione, che – secondo Tao – affligge il 90 per cento dei pazienti e nel 58 per cento dei casi si manifesta in maniera violenta.



Strutture come quelle di Daxing sono spuntate come funghi nell’ex Celeste Impero, tanto da aver ormai raggiunto l’ordine delle centinaia. E non accennano a diminuire. Mentre negli ultimi anni la diffusione della wangying ha suscitato apprensione tra l’opinione pubblica – specie dopo due decessi avvenuti rispettivamente nel 2011 e nel 2015 a causa del prolungato stazionamento davanti al pc – il modus operandi adottato nei “campi di concentramento” per internetdipendenti non ha mancato di suscitare qualche alzata di sopracciglio. È il caso di un centro di recupero statale dello Shandong, responsabile per il trattamento di oltre 6000 malati dal 2006 a oggi, e finito nell’occhio del ciclone dopo che una sedicenne ha ucciso la madre una volta dimessa. Durante il periodo di internamento, l’adolescente era stata sottoposta a vari trattamenti abusivi, inclusa la terapia elettroconvulsivante. Spesso i genitori credono che gli effetti dell’elettroshock siano soltanto transitori, spiegava tempo fa Tao, asserendo di aver rilevato i sintomi di un trauma psicologico in molti giovani reduci dagli istituti di recupero (evidentemente, non dal suo).

È quindi con l’obiettivo di normare il settore che il 6 gennaio scorso il Consiglio di Stato ha rilasciato un disegno di legge mirato a vietare la somministrazione di farmaci, così come l’utilizzo di elettroshock, percosse e altre pratiche violente. La bozza prevede inoltre una limitazione delle ore giornaliere in cui i minori possono accedere ai giochi online, tanto a casa quanto negli internet caffè. I provider saranno obbligati a introdurre misure tecniche per monitorare e restringere l’accesso ai servizi tra la mezzanotte e le otto di mattina, imponendo agli utenti di effettuare la registrazione con il loro vero nome. I trasgressori saranno tenuti a pagare una multa e nei casi più gravi a terminare l’attività.

Non è la prima volta che il governo tenta di ingabbiare il sistema. Nel 2009 era stato il ministero della Salute a intervenire con l’introduzione di linee guida contro il ricorso alla terapia elettroconvulsivante come rimedio contro la l’internetdipendenza. Ma nonostante le direttive del dicastero, nei centri di recupero “pratiche punitive continuano a vittimizzare i ragazzi cinesi”, ci spiega il sociologo Trent M. Bax, condannando l’ipocrisia di Tao Ran, portavoce delle vittime e carnefice allo stesso tempo. Secondo Bax, dal 2009 a oggi almeno altri 3.000 adolescenti sono stati sottoposti a elettroshock, in barba ai divieti. Mentre la strada intrapresa dai regolatori sembra quella giusta, la vaghezza delle nuove norme non permette facili pronostici. Sarà la legge applicata solo a livello locale o estesa in tutto il paese? Verranno effettivamente fatte rispettare le limitazioni sulle ore spendibili in rete? Come? Ma, soprattutto, è giusto trattare la wangying come un disturbo psichico? La questione è scivolosa e richiede diversi passi indietro.

“L’Internet addiction” non risulta citata nell’ultima versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), che annovera come unica dipendenza comportamentale il gioco d’azzardo. Da sempre la Cina si mantiene su posizioni ambigue: è stata uno dei primi paesi a rubricare ufficialmente la dipendenza da internet tra le condizioni cliniche e, sebbene nel 2009 il ministero della Salute abbia formalmente abbandonato l’utilizzo del termine “dipendenza” per descrivere gli effetti causati dall’utilizzo eccessivo o improprio della rete, quello stesso anno uno studio della China Youth Association for Network Development – controllata dal Partito comunista – conteggiava entro la Muraglia oltre 20 milioni di “digital addict”.

Per Bax l’origine della distorsione risiede nel tentativo di “curare con soluzioni biologiche e biografiche problemi sociali e strutturali”. Nella Repubblica popolare sono due le posizioni concorrenti: quella appunto di Tao Ran, che affronta la wangying da una prospettiva biomedica e psichiatrica, e quella di Tao Hongkai. Mantenendo un approccio da “educatore” piuttosto che da medico, il secondo Tao ricollega la fruizione impropria di internet a due fattori interconnessi: “relazioni famigliari estreme” e un “sistema educativo disordinato”. Per intenderci, la generazione più suscettibile al fascino ammaliante della rete è quella nata sotto la politica del figlio unico, soggetta ad aspettative genitoriali particolarmente opprimenti. Addirittura gli esperti riconducono l’internamento forzato nei centri di riabilitazione alla diffusa convinzione che i genitori abbiano suprema giurisdizione sui propri figli, tanto da inibire persino l’intervento delle forze dell’ordine quando si tratta di “affari di famiglia”.

Come chiarisce Bax in Contemporary China: Individual Pathology or Pathology of Normalcy?, l’analisi di singoli casi rivela che l’uso intensivo di internet, lungi dall’essere una patologia individuale, può essere definito come una forma di ribellione mirata a “colpire il fulcro etico delle riforme e dell’apertura cinese”. In molti casi la fuga nel mondo virtuale si traduce in una distrazione dai doveri sociali, principalmente dagli obblighi derivanti da un modello di istruzione altamente competitivo che vincola il futuro professionale dei giovani ai voti presi durante il loro percorso scolastico. Secondo quanto ammesso dai malati stessi, navigare online aiuta a dimenticare le frustrazioni della vita reale e i bisogni esistenziali che le riforme economiche non sono state in grado di appagare.

In questo contesto è il “capitale sociale” (determinato da famiglia, amici, educazione e lavoro) a costituire la migliore panacea contro la wangying. Non solo quello che in gergo viene definito confrontational method (contraltare all’harm reduction method) risulta inefficace, ma rischia persino di aggravare la condizione psichica dei pazienti. Altro che psicofarmaci ed elettroshock. Come conclude Bax, “è quando le persone si sentono benvolute, rispettate e tutelate che imparano meglio”.

(Pubblicato su Prismo)

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