giovedì 12 luglio 2012

Cercasi nuovo Yao Ming




I New York Knicks sono pronti a pareggiare la lucrosa offerta degli Houston Rockets: probabilmente, la prossima stagione Jeremy Shuhao Lin la “guardia incredibile” asioamericana -come lo ha definito Barack Obama- rimarrà nei New York Knicks per cercare di eguagliare quelle performance stellari che mesi fa lo portarono nel firmamento dei campioni dell'NBA.
I rapporti tra il cestista californiano e la societa' neworkese, pero', non sono piu' quelli idilliaci di un tempo. Lin, secondo quanto reso noto dal New York Daily News, si e' detto molto offeso della scarsa considerazione dimostrata dalla sua squadra, intervenuta solo dopo il tentativo dei Rockets di mettere le mani sul playmaker, proponendo un contratto quadriennale da 28.8 milioni di dollari che frutterebbe a Jeremy 10,2 milioni di dollari nelle prime due stagioni e 9,3 milioni all'anno nelle due stagioni successive.
I Rockets, che nel 2002 si erano gia' assicurati il ciclopico centrale cinese Yao Ming, puntano ad assicurarsi nuovamente una pedina fondamentale in grado di attirare l'interessa, e di conseguenza i soldi, dell'affiatato pubblico cinese. Volendo stimare il talento di Lin, si tenga presente che nell'arco di tempo tra febbraio e marzo -quando Jeremy era al top della forma- le vendite online del merchandising dei Knicks sono cresciute del 4000%, mentre il sito web della squadra ha registrato un +770% di accessi.

Nella scorsa stagione Lin ha tenuto una media di 14,6 punti a partita, 6,2 assist e 3,1 rimbalzi in 35 partite giocate, divenendo l'eroe della comunità asiatica americana. Lui che, dopo una gavetta da panchinaro ed essersi visto chiudere molte porte in faccia, è approdato nella franchigia  newyorkese, scatenando un'euforia epidemica nel mondo della pallacanestro. “Linsanity” l'hanno chiamata.
Ma la favola del ragazzino californiano - “telaio made in Asia”, 91kili per 1,91 metri d'altezza; ben altra cosa rispetto agli standard americana o alle misure extralarge del playmaker cinese in pensione Yao Ming (2,29m X 140 kg)- era destinata ad interrompersi bruscamente. E' la dura legge dello sport:a spingere tutto insieme, si sa, ci si rompe. Ed è così che la stagione del fenomeno di Palo Alto si è conclusa ad aprile a causa di una frattura al menisco del ginocchio sinistro; un'operazione di routine per i giocatori di basket, ma una vera batosta per il giovane talento dei Knicks appena salito sulla cresta dell'onda e ora già ribattezzato “Linjury” (da “injury”, infortunio in inglese).

Attenzione: nonostante faccia Lin di cognome e abbia gli occhi mandorla, Jeremy non è proprio cinese cinese. Nato nel 1988 a Palo Alto, California, ha genitori originari di Taipei e nonni materni della provincia dello Zhejiang, nella Cina meridionale. Un variegato ketchup-salsa di soia che fa gola a molti, tanto che al massimo della forma fioccarono contratti con stazioni televisive cinesi per trasmettere più partite dei Knicks e “capitalizzare l'ascesa di Lin”. Facile attingere al vasto bacino di utenti d'oltre Muraglia alla disperata ricerca di un nuovo Yao Ming (va bene anche se sangue misto).

Nonostante la traiettoria in leggera discesa tracciata dalla nuova stella dell'NBA, il braccio di ferro tra Pechino e Taipei per aggiudicarsi i natali di Lin e mettere le mani sulla gallina dalle uova d'oro continua senza sosta.
Dopo una serie di fiammate tra i due cugini asiatici, a scoccare l'ultima freccia avvelenata è stato Chien Tai-lang, vice Ministro dell'Interno di Taiwan, il quale lo scorso giugno durante una riunione del Legislature's Internal Administration Committee ha messo tutti a tacere, chiamando in causa niente meno che l'articolo 2 del Nationality Act. E' la legge che lo stabilisce: a chiunque abbia almeno un parente con passaporto della Repubblica di Cina (ROC) viene automaticamente concessa la nazionalità taiwanese. E i genitori dell'enfant prodige sono americani con doppia cittadinanza taiwanese.

Il dibattito si era fatto di nuovo acceso circa un mese prima, quando in sede d'esame, gli alunni di una scuola media di Taichung si erano trovati a dover rispondere all'insidiosa domanda. La risposta esatta è “americano”: Jeremy è americano, stabilirono i docenti, attirandosi le critiche dei più nazionalisti. E servì l'intervento del sindaco della città, Jason Hu, a ribadere che Lin, pur essendo legalmente americano, se lo volesse, potrebbe anche ottenere la cittadinanza taiwanese.

Avere i nonni dello Zhejiang non è un requisito sufficiente a renderlo ufficialmente “l'orgoglio della Cina”, anche se i campetti di Pechino pullulano di magliette marcate “Linsanity”; quelle di Yao Ming sono state già riposte in fondo al cassetto. Il faccione del gigante cinese continua a farla da padrone sui cartelloni pubblicitari del Paese di Mezzo, ma nei cuori dei cinesi l'ex cestista deve già sgomitare per difendere il proprio posto.

Il 21 luglio 2011 Yao Ming lasciava per sempre i campi da gioco a causa delle frequenti fratture da stress ai piedi. Un addio che è stato celebrato dal Guanzhou Ribao con un editoriale dai toni quasi commossi: “nel mondo dello sport di Yao Ming ce ne sono pochi”, scriveva il quotidiano di Canton, elogiando la sue capacità di comprendere la propria epoca, cogliendo le occasioni più propizie.

Un eroe della patria, che per circa 10 anni ha condotto i vessilli del Dragone nel Nuovo Continente, esportando la faccia buona del Paese. A portare allo scoperto l'altro lato della medaglia, quello oscuro, fatto di intrighi e cospirazioni, ci ha pensato il giornalista del Newsweek, Brook Larmer, con “Operation Yao Ming”, libro dato alle stampe nel 2005 con l'intento non troppo velato di fare imbufalire Pechino. 352 pagine a metà tra la fantascienza e il delirio nelle quali Yao viene descritto come il frutto di un'unione voluta ardentemente dalla leadership cinese.
Due ex cestisti di altezza e tecnica ineguagliabili vengono costretti al matrimonio dal governo intento a forgiare una nuova generazione di atleti in grado di  dare nuovo lustro al Paese. Il frutto di questo esperimento genetico è una forza della natura il cui destino è stato già scritto: a nove anni, raggiunta l'altezza di 1,65m e con 41 di piede, muove i primi passi sul parquet, seguendo le orme dei genitori. Da quel momento la sua vita sarebbe stata legata alla sfera arancione senza possibilità di scelta.

E qui finisce la finizione e inizia il miracolo, quello vero. Si, perchè questo “Frankenstein” della pallacanestro è riuscito dove altri avevano fallito, portando a compimento una mastodontica operazione commerciale su scala globale. D'altra parte, che cos'è lo sport per il gigante asiatico se non un'altra forma declinata del softpower, la strategia di marketing volta a rilanciare una nuova immagine del Dragone nel mondo? Pechino lo ha bene chiaro sin dal 1996, anno in cui cominciò a spedire i suoi portabandiera oltre oceano. All'inizio le cose non andavano tanto bene: Wang Zhizhi, pioniere della pallacanestro cinese nell'Nba, fu talmente inebriato dal “sogno americano” da non voler più fare ritorno in patria. E ci volle la capacità persuasiva di alcuni amici in uniforme per convincere il figliol prodigo a ripercorrere la strada verso casa.

Ora la nazionale cinese, priva di veri grandi campioni e per la prima volta dal 2000 senza Yao Ming, si accinge ad affronta le Olimpiadi di Londra con un roster composto in gran parte da nomi blasonati della CBA, ma ben poco “challenge” se proiettati nello scenario del basket internazionale; da Yi Jianlian, ultimo cinese a giocare nella Nationl Basketball Association al già citato Wang Zhizhi. Quanto a Jeremy, declinati gli inviti di Pechino e Taipei (di rinunciare al passaporto americano non ci pensa nemmeno lontanamente), prenderà parte ai Giochi di Londra come membro del Team Usa, mentre alla nazionale cinese non resterà che tentare almeno di ottenere quell' ottavo posto raggiunto nel 1996, 2004 e 2008 e oltre il quale, sino ad ora, non è mai riuscita ad andare. Nemmeno quando a guidare la squadra c'era ancora Yao Ming.

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