venerdì 2 novembre 2012

Nuova Cina "Nuovo Mao"?


Nella Nuovissima Cina non c'è più posto per Mao. E' quanto sembrerebbero suggerire alcuni recenti manovre messe in atto ai piani alti del potere proprio alla vigilia del XVIII Congresso del Pcc, l'appuntamento più atteso dell'anno che l'8 novembre sancirà il passaggio delle consegne ai nuovi leader del Dragone.

Come la stampa internazionale si è affrettata a sottolineare, il mancato riferimento al Grande Timoniere in un recente documento del Politburo -traboccante, invece, di citazioni di Deng Xiaoping e dell'ex presidente Jiang Zemin- indurrebbe a pensare che sia giunto il momento di scrollarsi di dosso l'eredità scomoda del fondatore della Repubblica popolare, oggi riflesso nell'immagine del corrottissimo ex-segretario di Chongqing, Bo Xilai. Una proposta di modifica della costituzione che richiama al "socialismo con caratteristiche cinesi" di Deng -il padre dell'apertura politica ed economica- ma che ignora il pensiero di Mao, è stata interpretata da molti come una stoccata diretta all'ultrasinistra, ancora schierata dalla parte del defenestrato Bo.

Ormai le prove generali del Congresso volgono al termine: tra giovedì e domenica, durante il settimo plenum del XVII Comitato centrale del Partito, si continuerà a discutere sui nomi dei nuovi "timonieri". In agenda anche il caso Bo Xilai e una possibile eliminazione del "pensiero di Mao" dallo Statuto del Partito; svolta storica, che se realmente intrapresa, va letta più come un paravento per i giochi di potere, piuttosto che come l'indizio di una spinta riformista.

Ma per Mu Chunshan, giornalista del Diplomat, si tratta di speculazioni prive di fondamento fomentate dalla stampa estera: "Tanto per cominciare, dopo il licenziamento di Bo Xilai e le turbolenze interne al Partito, i leader sono interessati a dare all'esterno l'impressione di un fronte unito. Abbandonando il pensiero di Mao Zedong otterranno l'effetto contrario, ovvero raddoppieranno i dubbi sulla coesione della leadership. Una simile mossa costituirebbe un fattore destabilizzante, creando malcontento tra le forze armate. Qualsiasi cosa si dica del Partito, infatti, l'Esercito popolare di liberazione utilizza ancora l'immagine di Mao come base per la propria legittimità".

Negli ultimi tempi il pericolo di un rinnovato maoismo si è affacciato alle porte di Zhongnanhai, quartier generale del Partito, in concomitanza con una serie di proteste nazionaliste in chiave anti-nipponica. In occasione della rivendicazione delle isole Diaoyu (Senkaku in giapponese), contese con il Giappone, tra i manifestanti hanno fatto la comparsa immagini del Grande Timoniere e slogan in favore del rilascio di Bo Xilai. A ribadire come il "Nuovo Mao" -sino a pochi mesi fa in corsa per uno dei seggi del Comitato permanete del Politburo al prossimo Congresso- goda ancora di una certa popolarità. Fare leva sul nazionalismo può essere molto pericoloso. Pechino lo sa bene. Basta poco perché, da collante ideologico e diversivo per smarcarsi dai recenti scandali ai vertici, si trasformi in un'arma a doppio taglio, capace di fomentare il risentimento nei confronti di quella che viene considerata una leadership troppo debole.

Investito in pieno da un triplice scandalo e a breve processato per corruzione, abuso di potere e altri crimini, Bo si era distinto per le sue politiche populiste condite da un "revival maoista" rosso acceso, poco gradite ai leader uscenti. Tanto che il presidente Hu Jintao, così come il premier Wen Jiabao, non misero mai piede nella metropoli feudo di Bo durante il suo periodo di regno.
A marzo in chiusura dell'Assemblea Nazionale del Popolo -quando i particolari dell'intrigo di Chongqing erano ancora custoditi entro le segrete stanze del potere- proprio Wen tornò a parlare di riforme politiche, invocando una ristrutturazione del sistema per scongiurare disordini di massa e tragedie quali la Rivoluzione culturale. Un chiaro pollice verso nei confronti di Bo Xilai e del modello di governance da lui plasmato.

Interessante notare come la pancia del Paese abbia reagito in maniera variegata alla rovinosa caduta del Nuovo Mao. Secondo quanto riportato in un reportage di China Beat, la classe media locale ha cominciato a mostrare il suo disappunto per l'operato di Bo fin dal 2009, solo due anni dopo l'assunzione del mandato di capo del partito di Chongqing. In particolare intellettuali, scrittori e giornalisti del posto hanno dipinto Bo come un megalomane senza scrupoli, un sovrano al di sopra della legge. Di tutt'altra opinione sono, invece, gli strati più bassi della piramide sociale: casalinghe, pensionati, e tassisti, rimasti immuni dalla campagna anticrimine strumentalizzata da Bo per far fuori i suoi avversari politici. "Le persone sono molto vanitose a Chongqing" ha commentato uno scrittore locale "quello che li ha resi più felici di Bo è che ha ornato la città con nuovi alberi e l'ha resa famosa."
E se Bo continua a piacere a molti, un recente sondaggio effettuato dal sito web iFeng ha messo in evidenza come il 58% dei netizen si sia detto favorevole persino alla Rivoluzione culturale, mentre solo il  42% sarebbe contrario.

Mao per immagini
Come ha sottolineato Geremie Barmé in Shades of Mao, l'immagine del padre della Repubblica popolare continua a rimanere viva nell'immaginario popolare. Persino tra le nuove generazioni. Riabilitata alla fine degli anni '80, la figura di Mao ha raggiunto portata virale con l'esplosione di quella che è stata ribattezzata dai media ufficiali "febbre maoista" (22,95 milioni i ritratti stampati nel 1990 contro le 370 mila copie del 1989). Il tempismo suggerisce una manovra pilotata dall'alto, volta a dare una nuova legittimità al Partito le cui mani grondavano ancora del sangue dei manifestanti di piazza Tian'anmen. Ma non è da sottovalutare nemmeno la riappropriazione dell'immagine dell'ex presidente da parte dei cittadini alla ricerca di un'ancora di salvezza in un periodo di crisi sociale e politica. "Per molti la Rivoluzione è morta. Le promesse utopistiche oggi si presentano sotto diverse spoglie ma lo spettro di Mao non è mai lontano" -recita il documentario sulla Rivoluzione culturale Morning Sun, citato dal sinologo Ivan Franceschini in un articolo pubblicato su Orizzonte Cina alcuni mesi fa- "quando le persone si sentono represse e impotenti, quando il sistema non consente di mettere in atto forme legittime di protesta o difesa, Mao emerge come una possibilità, un campione del diritto a ribellarsi".

Nell'ultima settimana, però, il faccione del Grande Timoniere ha fatto una brutta fine. Una foto postata su internet mostra il giovane dissidente Cao Xiaodong e altri tre ragazzi di Zhengzhou, nello Henan, mentre strappano a metà alcune immagini di Mao. La foto rimbalza sul web e non appena si diffonde la voce che Cao e la sua ragazza sono spariti nel nulla dopo essere stati presi in consegna dalla polizia, il popolo del web protesta emulando il gesto del dissidente e dei suoi amici. Immagini dei leader "dimezzati" si riversano su Twitter accompagnati dall'hashtag #撕八大 (sibada = strappare il grande otto), differente per un solo carattere da #十八大 (shibada), termine che in cinese sta ad indicare il Grande Diciottesimo, ovvero il prossimo Congresso nazionale del Partito. Per qualcuno dietro l'irriverente campagna si nasconderebbe l'archistar attivista Ai Weiwei, ma per la sinistra -che in Cina è rappresentata dai conservatori-  si tratta di uno sgambetto dei riformisti, la destra liberale del Paese che spinge per una maggior apertura; non solo economica, ma anche politica.

(Secondo un articolo pubblicato dal Global Times il 5 novembre, Cao sarebbe stato rilascito venerdì in serata: Fury at torn Mao pics. Ma, come riporta il Telegraph, i quattro sono scappati in un posto nascosto dopo aver subito delle minacce)

(Scritto per Ghigliottina.it)



    (Al Jazeera)   China: Whispers of change





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