lunedì 19 novembre 2012

Una "morte dolce" per il Dragone


E' meglio morire in pace o continuare a vivere tra atroci sofferenze? La Cina se lo chiede da circa un ventennio. Da quando nel 1986 il primo caso di eutanasia varcò le aule del tribunale. Da quel momento, quasi ogni anno, proposte di legalizzazione sono state sollevate durante la sessione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo (NPC), il "parlamento" cinese. E ogni volta, al secco no del legislatore è seguito il pollice verso del ministero della Salute: "La Cina non è ancora pronta per questo". La risposta è sempre la stessa. Dopo che nel 1994, un gruppo di delegati dell'NPC si schierò in supporto della "morte dolce", una legge del 1998 autorizza gli ospedali a praticare l'eutanasia sui malati terminali. Come spiega Zhang Zanning, professore presso la Southeast University di Nanjing, viene diffusamente riconosciuta la possibilità di eseguire l'eutanasia esclusivamente sui pazienti ritenuti incurabili.

Il dibattito, nel corso del tempo, si è fatto via via più acceso. Nel marzo 2007, un caso eclatante scatenò un vespaio di polemiche. Li Yan, 28enne paralizzata dall'età di 4 anni, sottopone la sua storia all'attenzione di una giornalista della televisione di Stato CCTV: Chai Jing. Al tempo i social media avevano già cominciato a rivelare il loro ruolo di megafono del popolo e Chai decide di ospitare il caso di Li sul proprio blog, dando voce al suo dolore. Li, che soffre di distrofia muscolare progressiva, è stanca di combattere e si rivolge all'Assemblea Nazionale del Popolo perché le venga riconosciuto il diritto di staccare la spina. "Amo la vita ma non voglio vivere" scrive la giovane donna. Poi si fa portavoce di tutti i malati disperati e delle famiglie gravate dai costi di cure spesso inefficaci, chiedendo che l'eutanasia venga approvata dalla legge. Dopo il semaforo rosso del Parlamento cinese, la comunità del web si è divisa su Sina.com, il principale fornitore di servizi internet, manifestando in alcuni casi comprensione, in altri dissenso. Uno dei primi episodi in cui il popolo cinese ha lasciato il tradizionale riserbo per riflettere pubblicamente su questioni di carattere etico e morale.

Passano gli anni. E' il 16 marzo 2011 quando Deng Mingjian, 41enne lavoratore migrante di Canton, decide di soddisfare il desiderio della madre paralizzata. Dopo averla curata amorevolmente per circa 20 anni, le somministra del pesticida, come lei stessa gli aveva chiesto più volte. Deng è stato accusato di omicidio dalla corte di Panyu, nel Guangdong, e condannato a tre anni di carcere con sospensione della sentenza di 4 anni. A qualcosa è servito, dunque, l'appello inoltrato alle autorità giudiziarie da 70 persone tra parenti, colleghi e amici, per chiedere una mitigazione della pena. Il noto Twitter cinese, Sina Weibo, si infiamma di commenti appassionati pro e contro l'eutanasia. Per circa la metà dei netizen la "buona morte" andrebbe legalizzata -o quantomeno dovrebbe essere fatta chiarezza sul suo stato giuridico- sopratutto tenuta considerazione delle carenze del sistema sanitario nazionale.

A circa un mese dal caso di Deng, nel maggio 2011, la Corte popolare della contea di Longnan, nella provincia meridionale del Jiangxi, condanna Zhong Yichun, a due anni anni di reclusione per aver assistito il suo amico Zeng Qianxiang nel commettere suicidio. Zhong è accusato di negligenza criminale. Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa statale Xinhua, Zeng, mentalmente disabile aveva chiesto ripetutamente al suo amico di aiutarlo a morire. Poi il gesto finale. Nell'ottobre 2010, dopo aver assunto una dose massiccia di farmaci, si sdraia in un buco scavato nel terreno. Come stabilito tra i due, Zhong procedette a seppellirlo dopo essersi accertato del decesso. Ma il caso è controverso. Secondo il rapporto dell'autopsia, infatti, il ragazzo sarebbe morto per soffocamento e non per overdose. Impugnata inutilmente la sentenza, nell'agosto 2011 il tribunale respinse il ricorso di Zhong, colpevole di non essere stato in grado di verificare se l'amico fosse ancora in vita.

Negligenza o omicidio volontario? L'articolo 232 del Codice penale prevede una pena da tre a dieci anni di reclusione per omicidio intenzionale "se le circostanze sono relativamente minori"; in circostanze gravi, invece, si parla di un minimo di dieci anni fino alla pena di morte. Tuttavia, secondo l'articolo 233, chi causa il decesso di un'altra persona per negligenza dovrà trascorrere dietro le sbarre "soltanto" da tre a sette anni; se le circostanze sono relativamente minori, la sentenza massima è di tre anni, salvo quanto diversamente specificato dal Codice.

Come sottolineato dalla Xinhua nella maggior parte del mondo il suicidio assistito viene ancora considerato omicidio; anche nei paesi in cui l'eutanasia è permessa per legge -come Belgio e Paesi Bassi- sebbene non possa essere perseguito nel caso in cui, secondo i medici, siano soddisfatte determinate condizioni legali. Nel marzo 2011 in India la Corte suprema ha concesso agli ospedali di somministrare l'"eutanasia passiva" ai malati terminali, riconoscendone, per la prima volta, lo stato giuridico.

Sono in molti a ritenere che vi sia un profondo divario di qualità tra i servizi medici e la legislazione della Cina e quelli dei paesi nei quali l'eutanasia è già stata legalizzata. "Nei villaggi, i casi di cancro tra le persone anziane sono aumentati moltissimo negli ultimi anni" commenta su Weibo @39du "non è realistico tenerli negli ospedali per tanto tempo sotto analgesici e altri medicinali. Gridano dal dolore ogni giorno". Per @Fengxingyun "dopo che un cittadino trascorre la propria vita a lavorare per il bene del paese, dovrebbe essergli riconosciuta una garanzia sociale, un sostegno per gli ultimi anni. Non sono tutti funzionari con un reddito generoso".

Il logoramento del sistema sanitario cinese è un fenomeno piuttosto giovane. Prima dell'apertura economica del paese, cominciata alla fine degli anni '70, vi erano i cosiddetti "medici scalzi", i quali fornivano gratis assistenza medica di base anche ai cittadini più poveri. Paradossalmente con il boom economico, tali figure sono scomparse, i costi ospedalieri sono aumentati e ai malati terminali, ormai, non resta che sobbarcarsi tutte le spese. "Non c'è da stupirsi che i cinesi siano tra i più grandi risparmiatori al mondo" commenta @Zhaiyudaren "il conto in banca è tutto ciò che li separa dalle calamità".

Secondo un rapporto pubblicato sul Life Time Newspaper, ad essere favorevoli all'eutanasia sono per lo più i giovani e le persone con un livello di educazione più elevato, mentre un sondaggio effettuato da Health Weekly su centinaia di residenti di Pechino rivela che il 91% dei rispondenti ha espresso il proprio plauso per la "morte dolce" e l'85% si è detto favorevole ad un suo riconoscimento legale.

Per Yan Sanzhong, capo del dipartimento di legge dell'Università Normale del Jiangxi, il Dragone dovrebbe spostarsi gradualmente verso la legalizzazione della "buona morte" analizzando i principi fondamentali del diritto penale cinese. "La Cina deve prima accumulare esperienza giudiziaria nella gestione di casi in materia di eutanasia. La Corte Suprema potrà così avvicinarsi a interpretazioni giudiziarie per, in fine, legalizzare l'eutanasia al momento giusto".

Oggi "la buona morte" è riconosciuta dalla legge in Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio e in alcuni stati degli Usa. Nei Paesi Bassi, i primi a legalizzare l'eutanasia nel 2002, è stato introdotto un servizio a livello nazionale, attivo dal 1 marzo di quest'anno, grazie al al quale è possibile fornire al malato una squadra di valutazione incaricata di eseguire l'eutanasia a domicilio per i richiedenti qualificati.
"Ma è difficile per loro poter stabilire, in tempi brevi, se i pazienti siano veramente incurabili e destinati a soffrire per il resto della loro esistenza" ha spiegato Xu Hongbin, chirurgo dell'Aerospace Central Hospital di Pechino.

Come stabilisce una legge del 1998, in Cina gli ospedali possono interrompere il trattamento medico su pazienti incurabili qualora, l'ammalato, i familiari e i medici abbiano raggiunto un accordo, sulla base dell'evidente inutilità di un accanimento terapeutico. Nel 2006 Zhao Gongmin, ex ricercatore presso l'Accademia Cinese delle Scienze Sociali, ha, in vano, proposto alla Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese (CPPCC) -l'organizzazione incaricata di rappresentare i vari partiti politici della Repubblica Popolare, sotto la direzione del Pcc- la possibilità di testare "la morte dolce" attraverso programmi pilota, in aree selezionate. "Somministrare veleno o medicine letali ad una persona ancora in vita equivale a commettere un omicidio, anche se si tratta di un gesto nato dal desiderio di aiutare qualcuno. La legalizzazione dell'eutanasia per i pazienti, con un piede nelle tomba, è molto più umana" ha commentato Zhao.

Al di là delle motivazioni morali, il governo cinese continua ad avversare la "morte dolce" temendo le conseguenze che potrebbero derivare da un abuso di tale trattamento. Come nel caso dei malati anziani abbandonati dai propri figli. Il rischio è quello di mettere in pratica degli omicidi nel nome di una "morte pacifica", ha spiegato Zhang Zanning. Eppure -pronostica Zhang- potranno essere necessari diversi anni, ma rispetto ai paesi occidentali, in Cina gli ostacoli ad un'approvazione della legge sono inferiori, senza i lacci e i lacciuoli posti dall'ingombrante presenza della religione.

(Scritto per Uno sguardo al femminile)

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