mercoledì 15 ottobre 2014

Il Waldorf Astoria diventa cinese


Chi ha paura dei cinesi? Se lo chiedeva un paio di anni fa Michael Barr, docente di Politica internazionale presso l'Università di Newcastle in un libro dal titolo per l'appunto "Who's Afraid of China?". La domanda sembra più che mai attuale ora che, nonostante numerosi 'inciampi' (proteste democratiche a Hong Kong, accuse di cyberspionaggio, presunte violazioni dei diritti umani ecc...) la Cina non sembra intenzionata ad allentare la sua onnipresenza in quella parte di mondo che l'Occidente considera la propria culla culturale e ideologica. Se poi il presenzialismo cinese finisce per raggiungere il centro nevralgico di New York la notizia causerà immancabilmente più che qualche alzata di sopracciglia.

La scorsa settimana, la catena d'alberghi Hilton ha annunciato la vendita dello storico Waldorf Astoria, riaperto nel 1931 in Park Avenue dopo essere stato demolito per far posto all'Empire State Building nel ventennio proibizionista; come ricorda il sito dell'albergo, lì si trasferì Marilyn Monroe nel 1955 - per mille dollari alla settimana- quando l’attrice decise di abbandonare Hollywood. «Un'esibizione di coraggio e fiducia nella nazione intera», lo definì al taglio del nastro il Presidente americano Herbert Hoover. Ebbene, questo pezzo di storia della Grande Mela passa nelle mani dell'Anbang Insurance Group. che l'ha acquistato dalla Hilton Worldwide Holding per 1,95 miliardi di dollari. Sulla base dell'accordo, la gestione rimarrà per 100 anni all'Hilton mentre l'Anbang si impegnerà a coprire i lavori di restauro per riportare l'hotel alla sua «storica grandeur». Il ricavato dalla vendita dovrebbe permettere all'Hilton di aprire altre nove proprietà alberghiere in giro per il mondo, da Bali a Beverly Hills.

La storia è, come si diceva, di quelle da 'allarme rosso' - avevamo già avuto modo di raccontare su queste colonne i diffusi timori per l'alluvione di capitali cinesi nell'immobiliare di Detroit. Considerate le accuse incrociate di spionaggio tra le due sponde del Pacifico, pare che il Governo americano abbia avviato attente indagini su quelle che potrebbero essere le ricadute in termini di sicurezza: il Waldorf Astoria ospita regolarmente Obama e il suo entourage in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, oltre ad essere sede dell'Ambasciatore Usa all'Onu.

Rilassando i toni, il portavoce della rinomata catena alberghiera ha dichiarato ai microfoni di 'Forbes' che «a New York molti hotel di lusso sono di proprietà di stranieri -come il Carlyle, il Mandarin Oriental, Pierre, Plaza e il Peninsula- pertanto non si tratta di nulla di insolito». Peraltro, i cinesi sono attivi nell'immobiliare statunitense da anni con diversi acquisti eccellenti, dalla sede di General Motors al One Chase Manhattan Plaza, grattacielo di 60 piani ceduto lo scorso anno da JPMorgan Chase & Co. a Fosun International Ltd., il più grande conglomerato privato della Cina continentale. Ma nel caso del Waldorf - l'acquisto più ingente mai effettuato da una compagnia assicurativa cinese nel real estate a stelle e strisce- stupisce il basso profilo dell'acquirente. Anbang non è Fosun. Stando a quanto riporta 'Fortune', la società ha appena dieci anni di vita, 30mila impiegati e assets per 114 miliardi di dollari, rappresentando soltanto il 3,6% delle quote di mercato degli assicuratori cinesi, quando il colosso Ping An ne detiene il 14%.

Ciononostante, l'allungarsi della lista della spesa del Dragone, impreziosita dall'ultima icona dell'Hilton, aggiunge una freccia alla faretra dei 'sinofobici' riportando alla memoria sgraditi precedenti storici. Forse qualcuno ricorderà quando, tra gli anni '80 e '90, in America si parlava di 'panico giapponese'. All'epoca, l'acquisto del Rockefeller Center da parte della Mitsubishi (1989) fu seguito a stretto giro dall'acquisizione dei campi da golf Pebble Beach finiti nei forzieri del tycoon Minoru Isutani (1992). Per un periodo gli investitori locali rimasero tagliati fuori dal mercato, ma i timori si dissolsero non appena la bolla speculativa che affliggeva il mercato azionario e il real estate nipponico scoppiò gettando il Sol Levante in un interminabile periodo di deflazione. In un rapporto del 2011 sugli investimenti cinesi negli Usa, gli economisti statunitensi Dan Rosen e Thilo Hanneman hanno rilevato un'analoga infondatezza nelle preoccupazioni nutrite dai connazionali verso la Repubblica Popolare. Tanto per cominciare, «i cinesi sono più selettivi e hanno una visione di lungo periodo; non hanno alcuna intenzione di gonfiare i prezzi», spiega a 'Forbes' Susan Wacther, docente di finanza e real estate presso l'Università della Pennsylvania. D'altra parte, sebbene i 2 miliardi rasi sborsati per il Waldorf possano sembrare una spesa folle, in realtà si tratta di una cifra in linea con gli attuali valori di mercato di Midtown. Addirittura, secondo Wacther, il contratto, che -come si diceva- prevede la gestione per 100 anni alla Hilton lasciando le spese di ristrutturazione ai cinesi, «è un caso da studiare per capire come si può trarre vantaggio da un investimento in-and-out».

Ma sopratutto -va ricordato- accordi come quelli stretti tra Anbang e l'Hilton sono un eccezione non la norma. «I capitali cinesi fluiscono in modo diverso da quelli giapponesi», spiega all''International Business Times' Patrick Chovanec, esperto di economia cinese presso Silvercrest Asset Management, «provengono perlopiù da famiglie e privati piuttosto che da società». (Segue su L'Indro)

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