giovedì 15 dicembre 2016

Caro Trump, le femministe cinesi ti osservano


«Hey Trump, le femministe ti tengono d'occhio». E' il messaggio inequivocabile con cui martedì Zheng Churan si è rivolta su Twitter al nuovo presidente americano. Zheng, o come si fa chiamare sui social Datu («Grande Coniglio»), è una delle cinque ragazze cinesi finite agli arresti nel marzo 2015per aver protestato contro le violenze sessuali, distribuendo volantini sui mezzi pubblici. Vittime di un giro di vite che negli ultimi anni ha colpito trasversalmente la società civile cinese. Le femministe, sottoposte ad abusi fisici e psicologici durante il periodo di detenzione, sono state rilasciate su cauzione il 13 aprile successivo. Ma il caso aveva già catturato l'attenzione delle cancellerie di mezzo mondo e delle associazioni per la difesa dei diritti delle donne. Più tardi Hillary Clinton, nota in Cina per il suo intervento alla quarta Conferenza mondiale sulle donne di Pechino, nel 1995, avrebbe definito il presidente cinese Xi Jinping «senza vergogna» per aver presenziato alla cerimonia tenuta dalle Nazioni Unite per commemorare i vent'anni dalla Conferenza.

Passati i tempi in cui la donna rappresentava «l'altra metà del cielo» (copyright Mao Zedong), in Cina quello delle discriminazione di genere è un problema ancora incombente. Secondo uno studio del World Economic Forum, per il secondo anno di fila il gigante asiatico ha registrato la sproporzione più grave al mondo nelle nascite tra maschi e femmine, evidenziando inoltre un peggioramento complessivo nella parità di genere: in termine di uguaglianza sessuale quest'anno la Cina si è classificata 99esima su 144 paesi, in calo rispetto al 91esimo posto del 2015.

La sconfitta della Clinton alle presidenziali ha di fatto privato le attiviste cinesi di una preziosa «ambasciatrice» nel mondo, aprendo numerosi interrogativi sull'atteggiamento futuro della Casa Bianca nei confronti delle violazioni dei diritti umani oltre la Muraglia. Finito nell'occhio del ciclone per una serie di commenti sessisti - da ultimo un video ricco di commenti volgari pubblicato dalWashington Post poco prima delle elezioni - The Donald non sembra avere le credenziali giuste per assurgersi a difensore dei diritti femminili. E' così che Zheng Churan, inserita dalla BBC nella lista delle donne più influenti del 2016, ha deciso di appellarsi al presidente eletto ancora prima del suo insediamento ufficiale. Lo ha fatto con una lettera. Indirizzo: Trump Tower, New York.

La missiva contiene il risultato di un sondaggio effettuato dalla ragazza a partire da novembre scorso sulla piattaforma di instant messaging WeChat. Nel giro di un mese oltre 10mila rispondenti (sopratutto donne) si sono espressi sul concetto di «cancro dell'uomo etero» (zhínán ái), un termine coniato nel 2014 che in slang significa sostanzialmente «sciovinista». Ovvero «quel tipo di uomo, che in possesso valori morali obsoleti, sarebbe più adatto ad una società cinese arcaica, in particolare per quanto riguarda il modo di parlare e pensare delle donne. Ha uno smodato senso della moda, sta bene con sé stesso e non rispetta le donne». «Come cellule cancerose, il 'cancro dell'uomo etero' si propaga ovunque danneggiando i movimenti femministi e minando l'uguaglianza sociale», spiega Zheng nella lettera.

Sulla base dei risultati raccolti, la giovane femminista ha stilato una top 10 dei principali comportamenti ascrivibile ai soggetti affetti da zhinan ai. «Anche se, qui in Cina, siamo lontane, abbiamo letto notizie riguardanti il tuo costante coinvolgimento nelle discriminazioni di genere e pertanto vogliamo mandarti l'esito del sondaggio in modo da mostrati come si comporta un uomo maschilista, ovvero malato di zhinan ai [...] le persone che guardano le donne dall'alto vero il basso un giorno dovranno rispondere dei loro commenti offensivi e sessisti», si legge nella lettera postata dall'attivista in doppia lingua cinese-inglese su Wechat, mentre una foto della ragazza che regge un pezzo di carta con su scritto «Trump: Feminists are watching you» e due screenshot della classifica arricchiscono il minaccioso tweet di cui sopra.

Nonostante l'impatto esercitato dal caso delle cinque attiviste («Ecco come le femministe cinesi possono ispirare le donne a opporsi a Trump», scriveva tempo fa Leta Hong Fincher, esperta di questioni di genere), difficilmente la sfida di Zheng riuscirà a scuotere il tycoon americano, per il quale debbono sembrare più che sufficienti le scuse forzate con cui ha ritrattato le numerose gaffe misogine. L'obiettivo del nuovo inquilino dello Studio Ovale, sì sa, è «Make America Great Again». Uno slogan che - per la gioia di Pechino - potrebbe tradursi in un maggiore disinteresse verso le questioni interne degli altri Paesi; come il movimento democratico di Hong Kong, «un problema d'altri», secondo quanto dichiarato in un vecchio tweet indirizzato a Barack Obama.

Stando a un editoriale apparso il mese scorso sulle colonne del South China Morning Post a firma di James Woolsey, senior adviser di Trump per la sicurezza nazionale, il presidente in pectore potrebbe abbandonare il tradizionale protagonismo statunitense in materia di diritti umani. Dopo aver analizzato i punti d'attrito tra la politica estera delle due superpotenze, Woolsey avverte che «anche le nostre differenze ideologiche vanno gestite meglio. L'impegno americano nel diffondere la libertà è stabile. Eppure la nostra maggiore conoscenza della complessità del sistema politico e sociale cinese ci dice che cercare di sfidarlo è rischioso. Può non piacerci ma non è detto che si debba necessariamente intervenire. Vedo l'esigenza di un grande compromesso in cui gli Stati Uniti accettino il sistema politico e sociale cinese impegnandosi a non minarlo, mentre la Cina da parte sua ricambi acconsentendo a non stravolgere lo status quo in Asia». Se così sarà nessuna lettera riceverà mai risposta.

(Pubblicato su China Files)

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