Diversi elementi trasformano quanto accaduto in un rebus di difficile decifrazione. Innanzitutto, il movente. Li era diventato sindaco appena cinque mesi fa, dopo aver trascorso vent'anni nel settore delle risorse ambientali, ricoprendo anche incarichi di supervisione all'interno del Ministero della Terra e delle Risorse. Questo lo avrebbe reso particolarmente occhiuto nei confronti di Chen. Alcuni fonti del South China Morning Post suggeriscono quindi la presenza di una frattura "professionale" tra il sindaco e l'aggressore - precedentemente impiegato nell'apparato dell'anticorruzione- che avrebbe lamentato in privato di essere stato "preso di mira" dai due. Stando ai media di Hong Kong, il funzionario era da poco finito sotto indagine con il consenso dei superiori. Se le indiscrezioni dovessero rivelarsi vere, l'episodio getterebbe ulteriori ombre sulla controversa campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi Jinping nel 2012. Arresti poco limpidi, processi a porte chiuse e suicidi hanno scandito i primi quattro anni di governo Xi.
Ormai quasi 300mila quadri sono stati sanzionati per "violazioni della disciplina", un eufemismo che in Cina è sinonimo di corruzione. Ma sono in molti a credere che dietro l'apparente opera di pulizia si nasconda una resa di conti tra faide politiche, nell'attesa che il prossimo autunno i vertici del partito si rinnovino nell'ambito del quinquennale Congresso del Comitato Centrale. Xi Jinping è il leader più potente dai tempi di Deng Xiaoping, ma allo stesso tempo uno dei più temuti nell'abito della gerarchia comunista per via di una serie di riforme economiche mirate a colpire gli interessi costituiti dei governi locali. Proprio di recente il presidente ha fatto riferimento alla formazione di cricche dannose per la coesione del partito, citando, tra gli altri, il caso di Zhou Yongkang, l'ex zar della sicurezza cresciuto professionalmente nell'industria petrolifera del Sichuan. La provincia del sudovest, come altre ricche di materie prime, risulta tra le aree più battute dagli ispettori a caccia di illegalità. La stessa Panzhihua è una cittadina mineraria nota per la produzione di minerale di ferro, titanio e vanadio.
Mentre tutto questo fa da contorno all'insolita sparatoria, rimane un ulteriore punto da chiarire: la provenienza della pistola. In Cina il possesso delle armi da fuoco è severamente vietato, fatta eccezione per pochi funzionari dell'esercito. Proprio per questo la maggior parte degli episodi violenti solitamente coinvolge armi da taglio o esplosivi, ampiamente utilizzati nelle attività estrattive e nei cantieri edili. Tuttavia, le statistiche del governo dimostrano che in un anno il numero delle violazioni dei controlli sulle armi da fuoco e sul possesso di munizioni sono aumentate di oltre il 50%, per un totale di 81.668 casi nel solo 2015. Lo scorso agosto il ministero della Sicurezza pubblica ha dichiarato che i reati legati all'impiego di pistole continuano a crescere sopratutto per via della facile reperibilità di armi online, "che compromettono gravemente la sicurezza pubblica, la stabilità e il senso di sicurezza della gente."
Nonostante le restrizioni siano ben più severe che in altri paesi, in Cina la circolazione di armi ha continuato a fiorire da una parte grazie al contrabbando, al furto e ai controlli infruttuosi presso gli arsenali, dall'altra grazie allo sviluppo di una piccola industria bellica "casereccia" che produce pistole e dispositivi fatti in casa. Negli ultimi anni, il numero di omicidi commessi con strumenti di difesa artigianali è aumentato drasticamente, tanto da aver indotto il ministero della Sicurezza pubblica a promettere laute ricompense in caso di soffiate e consegne di armi detenute illegalmente.
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