martedì 17 gennaio 2017

Xi Jinping e la globalizzazione


La globalizzazione non è la fonte di tutti i mali da cui è afflitta l'era contemporanea. Non è la causa della crisi finanziaria del 2008 né della guerra in Siria. Come preannunciato in pompa magna dai media cinesi, il presidente Xi Jinping ha dedicato il suo discorso in apertura al World Economic Forum - il primo da parte di un Capo di Stato cinese - a sostenere la libera circolazione dei commerci davanti alle minacce protezionistiche del nuovo presidente americano Donald Trump. Xi ha paragonato l'economia globale a una "grande oceano da cui non si può sfuggire": "coloro che spingono per il protezionismo si stanno chiudendo all'interno di una casa buia. Sono riusciti a sfuggire alla pioggia e alle nuvole che imperversano fuori, ma hanno anche perso la luce del sole. Una guerra commerciale porterà solo alla sofferenza di tutti", ha concluso il presidente. "La cosa giusta da fare è cogliere ogni opportunità, affrontare insieme le sfide e tracciare il giusto corso per la globalizzazione", così da permettere a ognuno di godere dei frutti. Il vero problema sta nell'ineguaglianza: i paesi emergenti contano già per l'80% dell'incremento globale, un incremento che, a dispetto della sua origine, finisce per beneficiare sopratutto i mercati sviluppati.

Xi non ha mancato di accennare ad altri dossier caldi, come la diffusione del populismo da Occidente a Oriente e l'aggravarsi dei cambiamenti climatici. Un punto quest'ultimo di pressante attualità considerate le minacce di Trump riguardo un possibile ritiro statunitense dall'accordo di Parigi. Sono proprio le incertezze derivanti dal ricambio alla Casa Bianca a spingere la seconda mondiale al centro del proscenio, non più come concorrente sleale o "fabbrica del mondo" inquinante, ma come responsabile stakeholder. Insomma, mentre la leadership statunitense traballa, la Cina è già pronta ad impugnare lo scettro.

Nell'ultimo anno il protezionismo è stato protagonista di accuse incrociate tra Est e Ovest, con Pechino intento a denunciare i crescenti controlli contro le acquisizioni cinesi all'estero e il business occidentale deciso a rivendicare una maggiore apertura del mercato cinese. Per ora l'ago della bilancia pende a Oriente, con gli investimenti cinesi in Europa che nel 2016 hanno sorpassato quelli in senso opposto.

Il discorso di Xi accorre quindi in sostegno di uno status quo da cui il gigante asiatico ha ampiamente beneficiato. Le prospettive future sono ugualmente incoraggianti. Secondo alcune proiezioni, nei prossimi cinque anni la Repubblica popolare importerà 8 trilioni di dollari di merci, attrarrà capitali per un valore di 600 miliardi e investirà oltre i propri confini circa 750 miliardi. Numeri che metteranno il cappello a una serie di iniziative internazionali a trazione cinese, mirate a distribuire sviluppo secondo una visione "win-win" particolarmente cara all'amministrazione Xi Jinping. Proprio "l'inclusività" è alla base della Nuova Via della Seta (ufficialmente nota come One Belt One Road) e della cosiddetta "strategia degli accordi di libero scambio" tessuta dal Dragone nell'Asia-Pacifico. Due progetti che legano geopolitica e libero commercio. Niente di strano. D'altronde, è da prima delle riforme denghiste anni '80 che la politica estera cinese si pone al servizio delle esigenze economiche del paese. Al contrario a Washington si parla di ergere muri e mettere fine alle negoziazioni per l'implementazione della famigerata Trans-Pacific Partnership promossa da Obama nell'ambito del minaccioso Pivot to Asia. Il paragone non potrebbe essere più stridente.

La Cina di Xi è quella che grazie al libero mercato ("con caratteristiche cinesi") ha emancipato 700 milioni di persone dallo stato di povertà in circa 30 anni. E' naturale dunque voglia ora farsi promotrice di quel modello tanto ben riuscito, tornando a fungere, come un tempo, da centro nevralgico delle sinergie mondiali. D'altronde, come racconta The Silver Way: China, Spanish America and the Birth of Globalisation, 1565-1815, gli albori della globalizzazione vanno rintracciati proprio negli scambi commerciali lungo la Ruta de la Plata, che collegava l'America ispanica al Celeste Impero tra il XVI e il XVII secolo. Ben prima che i valori del mondo anglosassone - tra gli altri libero commercio, laissez-faire e democrazia - si imponessero come fondamenta del neoliberismo a livello mondiale.

(Pubblicato su Gli Italiani)

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