venerdì 18 maggio 2012

Ergastolo per "il fuggiasco di Xiamen"


Pechino mantiene la parola data: niente pena di morte per Lai Changxing, ma l'ergastolo non glielo leva nessuno. L'imprenditore latitante, balzato agli onori della cronaca per aver condotto negli anni '90 operazioni illegali a nove zeri, dovrà passare il resto della sua vita dietro le sbarre con l'accusa di contrabbando e corruzione: è quanto ha stabilito il tribunale intermedio di Xiamen -città portuale della Cina meridionale e per lungo tempo feudo personale di Lai- il quale ha, inoltre, ordinato la confisca del patrimonio e la privazione dei diritti politici.

La sentenza giunge dopo anni di turbolenti tira e molla con il governo canadese al quale l'uomo si era appellato invano per ottenere lo status di rifugiato politico. Nel 1999 Lai si era trasferito con la sua famiglia in Canada dove ha trascorso 12 anni prima di essere riconsegnato alle autorità di Pechino, come stabilito dalla corte federale di Ottawa lo scorso luglio. Ad un patto però: che il fuggiasco non venisse sottoposto a torture né condannato alla pena capitale.

Simbolo degli eccessi smodati dell'iperbolica crescita economica realizzata dal gigante asiatico nell'era post Mao, Lai si è scrollato di dosso un'infanzia di privazioni raggiungendo le stelle per poi precipitare nuovamente in disgrazia. Dopo aver sperimentato gli anni del Grande Balzo in Avanti spartendo quel poco che c'era da mangiare con sette fratelli, si è costruito il suo impero del business mattone dopo mattone diventando il più grande importatore privato di auto, e acquisendo un monopolio quasi assoluto sul commercio locale di olio vegetale e sigarette straniere. Non pago, si è dato al real estate mettendo in piedi centinaia di appartamenti e niente meno che una Città Proibita in scala minore, tappa fissa nelle notti brave dei quadri locali.

Secondo quanto emerso dalla sentenza del tribunale di Xiamen, ammonterebbero a 64 i funzionari corrotti coinvolti nel losco business portato avanti dal faccendiere cinese tra il 1996 al 1999. Un giro di denaro da quasi 4,5 miliardi di dollari. "I crimini coinvolgono ingenti somme e le circostanze sono piuttosto gravi" ha dichiarato il tribunale in un rapporto ripreso questa mattina dall'agenzia di stampa Xinhua.

Nella rete tessuta da Lai sono rimasti impigliati molti pezzi grossi dal vice-sindaco di Xiamen, al vice-ministro della Pubblica Sicurezza, compresi il numero due di una squadra anti-corruzione nonché una dozzina di altri uomini politici e alti dirigenti successivamente licenziati, degradati o direttamente spediti in prigione. Ma c'è anche chi, come un ex membro del Politburo, dalla spirale scandalistica ne è uscito indenne sfuggendo ai severi castighi della giustizia cinese.

Quella del "fuggiasco di Xiamen" è una delle tante storie di quotidiana corruzione alle quali il Partito comunista cinese sta faticosamente tentando di mettere un punto, anche se, per fortuna di Pechino, come Lai non ce ne sono molti. La risonanza del caso al tempo dell'inchiesta indusse la Tv statale a trasmettere nei minimi dettagli le sue stravaganze e i tesori accumulati: auto confiscate, un sacco pieno di anelli d'oro, un tavolo rivestito in pelle di tigre e giovani donne sono le armi della seduzione con le quali Lai si è conquistato i favori delle autorità locali. Ed era diventato così noto da finire nel mirino di un osso duro come Liu Liying, capo della Commissione centrale per l'ispezione della disciplina. Elusa la cattura nel 1999 con una rocambolesca fuga in motoscafo raggiunse Hong Kong per poi volare sino a Vancouver.

Per circa un decennio si è battuto contro l'estradizione dichiarando che una volta rispedito in patria sarebbe stato torturato o giustiziato a causa di quegli stessi crimini che molti altri imprenditori della sua generazione hanno commesso pur rimanendo impuniti. Questione di guanxi, il network di agganci che contano, delle quali Lai ha affermato di essere a corto. "Non ho un buon background familiare" aveva dichiarato tempo fa l'uomo in un'intervista rilasciata ad un giornale nazionale "ho sempre dovuto fare le cose da me passo dopo passo. Ed è così che mi sono conquistato il rispetto della gente. Non ho mai fatto troppe storie per ottenere grandi somme denaro".

Le sue colpe Lai le ha sempre negate, sostenendo che dietro le accuse di Pechino si celassero motivazioni politiche. Solo una "piccola" confessione nel 2008, quando rivelò al Toronto Globe di aver evaso le tasse. Ben altra cosa rispetto alle imputazioni mosse dalle autorità, anche se sotto il tappeto avrebbe nascosto 13,999 miliardi di yuan (circa 1,73 miliardi di euro).

Tra i tanti furfanti con il naso per gli affari che popolano il Regno di Mezzo probabilmente Lai Changxing si posiziona in cima alla lista e difficilmente verrà scavalcato in un prossimo futuro. "La Cina di oggi è ben diversa da quella sulla quale Lai ha fatto la sua fortuna. Lai appartiene ad una Cina morente, l'infanzia rampante della Cina moderna si colloca grosso modo tra la morte di Mao e le Olimpiadi del 2008" ha spiegato Oliver August, autore di un libro che ha per protagonista proprio il "fuggiasco di Xiamen" dal quale trae il titolo.

Rimpatriato il 23 luglio 2011, Lai Changxing è stato processato lo scorso aprile. La sua consegna alle autorità cinesi aveva attirato su Ottawa le critiche di attivisti e avvocati per i diritti umani, impensieriti dalle minacce avanzate da Pechino. “Se anche Lai Changxing morisse tre volte non sarebbe abbastanza” aveva dichiarato nel 2001 il premier Zhu Rongji.


(Leggi anche La condanna a morte di Wu Ying scuote la Cina)




Nessun commento:

Posta un commento

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...