venerdì 11 dicembre 2015

La Cina invecchia


L'invecchiamento della popolazione e il calo del tasso di fertilità, entro il 2040, costeranno all'Asia Orientale una riduzione del 15 per cento della forza lavoro. E' quanto è emerso da un rapporto della World Bank pubblicato mercoledì scorso, secondo il quale il 35 per cento della popolazione mondiale over 65 risiede proprio in Estremo Oriente; un numero che oggi equivale a 211 milioni di persone e che è destinato a salire, mettendo a dura prova il welfare locale. Infatti, a differenza della maggior parte dei Paesi OECD (Organization for Economic Co-operation and Development -che invecchiano e si arricchiscono gradualmente- in Asia Orientale l'aumento dell'età procede ad un ritmo più rapido rispetto all'aumento del reddito pro capite. "L'Asia Pacifico sta vivendo la transazione demografica più brusca finora mai riscontrata, e tutte le nazioni in via di sviluppo della regione rischiano di diventare vecchie prima che riescano a diventare ricche", ha dichiarato a CNBC Axel van Trotsenburg, vice presidente della World Bank per l'Asia Orientale-Pacifico.

Le due variabili, di base, sono strettamente connesse: l'invecchiamento varia a seconda del livello di sviluppo di un paese. In nazioni ricche come Giappone, Corea del Sud e Singapore gli over 65 contano già per oltre il 14 per cento della popolazione locale. Ma a risentire maggiormente del fenomeno saranno quei paesi a reddito medio come Cina, Thailandia e Vietnam, dove il governo ha investito poco nell'assistenza agli anziani affidandosi alla "pietà filiale" dei più giovani, secondo quanto previsto dalla tradizione confuciana. Uno scenario a tinte fosche per la locomotiva cinese ormai in piena frenata. Nei primi tre trimestri dell'anno, l'economia del Dragone è cresciuta del 6,9 per cento, il ritmo più lento da sei anni, in parte a causa della perdita del tradizionale vantaggio competitivo derivante dal basso costo della produzione (il continuo innalzamento dei salari ha già spinto diverse compagnie verso lidi più low cost), in parte proprio a causa dell'assottigliamento della manodopera.

Stando alla World Bank, il 10 per cento della popolazione cinese ha un'età superiore ai 65 anni, contro una media mondiale del 7 per cento. Addirittura statistiche indipendenti raccolte nel "2015 Report on China's Large and Medium-Sized Cities Employee Pension Reserve Index" pongono il gigante asiatico in cima alla lista globale con 212 milioni di "anziani", pari al 15,5 per cento della popolazione complessiva (più di Giappone, Corea del Sud e Singapore). Quanto questo influirà realmente sull'economia nazionale è, però, tutto da vedere.

Da un paio d'anni Pechino sta cercando di modificare il proprio paradigma di crescita spostando il focus dalla quantità alla qualità. Vale a dire che a trainare l'economia cinese non sarà più il lavoro intensivo ma la produttività. Come sottolinea Philip O'Keefe, economista della World Bank, nonostante la riduzione delle risorse umane sfruttabili, oggi la forza lavoro cinese è più istruita e la tendenza al risparmio che ha caratterizzato l'ultimo ventennio (quello del "miracolo cinese" e dei tassi di crescita a due cifre) è riuscita ad arginare l'impatto dell'invecchiamento demografico sull'economia. Quanto al futuro, Pechino ha già in cantiere un paio di manovre ad hoc.

Lo scorso mese, il Quinto Plenum del Partito Comunista si è chiuso con l'annuncio delle linee guida del XIII Piano Quinquennale che, una volta approvate durante l'annuale riunione parlamentare di marzo, indirizzerà lo sviluppo economico della Repubblica popolare per il prossimo quinquennio. Tra le misure annunciate, spiccano la revoca della politica del figlio unico (introdotta alla fine degli anni '70) e la promessa di una riforma del sistema pensionistico. La politica delle nascite era già stata rilassata nel 2013, quando era stata concessa la possibilità di avere due bambini a quelle coppie in cui entrambi i genitori fossero figli unici. Con la nuova revisione, in teoria, tale diritto viene esteso a tutte le coppie senza distinzione; in pratica, però, resta da appurare quante saranno effettivamente in grado di usufruirne. Il crescente costo della vita e il crollo del tasso di fertilità, secondo gli esperti, farebbero escludere la possibilità di un "baby boom" in un prossimo futuro.

L'altra novità interessa più direttamente il problema invecchiamento. Al momento, in Cina, vige un sistema pensionistico estremamente frammentario: i dipendenti delle imprese urbane hanno un certo trattamento, i residenti urbani e rurali ne hanno un altro. Come scriveva tempo fa il New York Times, "i lavoratori migranti nelle città, che contano più di 200 milioni di unità, che vogliono ritornare dal sistema urbano al loro precedente sistema della città natale, quindi rurale, incontrano molte difficoltà o addirittura perdono il denaro versato nel loro fondo pensionistico urbano, anche se una prima revisione delle regole nel 2014 ha cercato di migliorare questa situazione." Quello che si pensa di fare adesso è creare un unico sistema unificato a livello nazionale ed, eventualmente, alzare l'età pensionabile oggi a 50-55 anni per le donne e 55-60 anni per gli uomini. Mentre il tesoretto accumulato dalle grandi aziende di Stato andrà a rabboccare il fondo pensionistico che altrimenti, secondo recenti stime, rischierebbe di ritrovarsi sotto di 1,21 trilioni di yuan entro il 2019.

Di rimbalzo, con il welfare a prendersi cura di loro, i cinesi potranno utilizzare i loro risparmi in maniera più fruttuosa, andando a carburare il nuovo modello di crescita promosso dalla leadership: un modello più sostenibile basato sui consumi interni (quindi sulla spesa dei cittadini), non più cronicamente dipendente da export e investimenti statali.

(Pubblicato su Gli Italiani)





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