mercoledì 31 agosto 2011

La Città Proibita e l'imbarazzo del Dragone

La Città Proibita, baluardo dell'ex- Impero Celeste e per secoli orgoglio nazionale, sta diventando motivo di imbarazzo generale. Finito nella spirale scandalistica già lo scorso 9 maggio per il furto di  sette opere d'arte del valore di 10 milioni di yuan (più di un milione di euro), il Palace Museum, altro nome con il quale è conosciuta l'antica residenza imperiale, sembrerebbe essere nuovamente nei guai.

E il ritrovamento di parte della refurtiva non è bastato a scagionare l'agenzia di sorveglianza dalle accuse di lassismo alle quali si è andato ad aggiungere l'ulteriore imbarazzo per l'imperdonabile distrazione con la quale il Museo, esposto uno striscione in seta per lodare l'efficienza mostrata dall'Ufficio municipale di Pubblica Sicurezza nel gestire la situazione, ha confuso il carattere han, “proteggere”, per il suo omofono “tremare”. Mantenuto il silenzio per due giorni, il 16 maggio il microblog del Palace Museum riportava pubblicamente le scuse della direzione ammettendo l'errore. Nel frattempo l'11 dello stesso mese, a gettare nuove ombre sul Palazzo Imperiale ci ha pensato Rui Chenggang, anchorman della China Central Television (CCTV), dichiarando sul suo microblog che il padiglione Jianfu, restaurato nel 2005, sarebbe stato presto trasformato in un club esclusivo per selezionatissimi 500 membri disposti a pagare la loro iscrizione a caro prezzo.

Ma non è tutto. Messo allo scoperto dalle dichiarazione del blogger “Longcan” comparse sul web il 4 luglio, lo staff del Museo ha dovuto faticosamente ammettere la rottura accidentale di un preziosissimo piatto in ceramica di epoca Song (960-1279 d.c) durante un tentativo di restauro, mentre il 2 agosto sempre lo stesso netizen tornava a puntare il dito contro il Palace Museum per aver messo a tacere altri quattro incidenti avvenuti negli anni passati (tra questi il danneggiamento di un pannello a parete in palissandro intarsiato con fiori e uccelli di giada di epoca Qing e la perdita di alcuni libri antichi). A far perdere ulteriormente la faccia al millenario simbolo della cultura cinese un rapporto, con tanto di videofilmati, che accusava alcuni dipendenti di aver intascato nel 2009 il ricavato della vendita di biglietti in realtà mai rilasciati ai loro legittimi compratori; raggiunto un accordo con il testimone scomodo della vicenda, questa volta al Museo il silenzio è costato ben 100mila yuan (quasi 11mila euro), contro i 200mila inizialmente chiesti dall'uomo.

Poi, a rincarare la dose gli ultimi sospetti di evasione fiscale dovuti all'assenza dell'imposta di bollo sui biglietti venduti all'esterno della Duanmen Gate. Insomma il Museo più famoso della Cina, colto sul fatto, fa orecchie da mercante, preferendo continuare a nascondere sotto il tappeto i cocci rotti.

A.C

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