sabato 27 agosto 2011

Pechino dice si allo Stato palestinese

Giunge non del tutto inaspettata, sebbene in completo disaccordo con la “dottrina” della non ingerenza nella politica interna degli altri Paesi tradizionalmente professata da Pechino, la notizia secondo la quale il Dragone si schiererà a favore del riconoscimento della candidatura presso le Nazioni Unite dello Stato palestinese. Ad ufficializzare le voci di corridoio e a rimarcare l'appoggio della Cina alla causa palestinese è stato Wu Sike, inviato speciale per il Medio Oriente del ministero degli Esteri, durante un incontro con i leader palestinese tenutosi nella città di Ramallah. Con un anticipo di qualche giorno su Pechino, ad inizio settimana il ministro degli Affari Esteri spagnolo Trinidad Jimenez aveva già elargito parole di sostegno per la nascita del nuovo Stato indipendente, auspicando che il meeting dei ministri degli esteri dell'ONU, in agenda per il prossimo 2 settembre, possa portarne al riconoscimento. “C'è nell'aria la sensazione che sia giunto il momento di fare qualcosa, di dare al popolo palestinese la speranza che il loro sogno possa diventare realtà”, ha dichiarato il ministro in un'intervista rilasciata domenica scorsa al quotidiano El Pais.

Nel 2008 i negoziati tra Palestina e Israele sono giunti ad un punto morto e l'autorità nazionale palestinese, organo di semi-governo che controlla la Cisgiordania, accantonata l'ipotesi di un accordo, ha lanciato il suo appello alla comunità internazionale presentando quella che può essere di fatto ritenuta una dichiarazione d'indipendenza unilaterale. Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, aree sotto il controllo israeliano dalla fine della Guerra dei Sei Giorni del 1967, diverrebbero così parte integrante del nuovo Stato palestinese. Del tutto prevedibile la controffensiva di Israele che per bocca del primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato di voler raccogliere il sostegno di trenta nazioni contro la mozione palestinese. E immediata è stata l'adesione di Germania e Italia.

Ma data la nota predilezione della Cina per farsi i fatti propri, è lecito chiedersi cosa stia bollendo nel calderone di Zhongnanhai. In seguito all'attacco israeliano sferrato lo scorso 31 maggio contro un'imbarcazione turca che trasportava materiali umanitari a Gaza, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Ma Zhaoxu, aveva sollecitato Israele ad attenersi alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU nel perseguimento della pace e della collaborazione con la controparte palestinese. D'altra parte non può sfuggire inosservato come negli ultimi anni il miglioramento delle relazioni con il governo di Hamas abbia visto un andamento direttamente proporzionale al raffreddamento dei rapporti con Israele. Alleato degli Stati Uniti, partner commerciale di Taiwan, incurante delle richieste del Dragone, nel 2006 ha accolto il Dalai Lama: di certo il curriculum di Netanyahu non è visto di buon occhio da Pechino. Ma non solo; la “questione iraniana” concorre ad impensierire la leadership cinese. Se da una parte Theran, ricoprendo un ruolo chiave nella strategia commerciale attuata dalla Cina nel Medio Oriente, si è assicurato un posticino sotto l'ala protettiva del Dragone, dall'altra rappresenta il pericolo numero uno e una grave minaccia per l'esistenza stessa di Israele.
Conflitto di interessi sotto le false spoglie di un apparente pacifismo; quando si parla di affari, il detto “i panni sporchi si lavano in famiglia” in Cina lascia il tempo che trova.

di Alessandra Colarizi

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