lunedì 18 aprile 2016
Cina: 3 milioni di mazzette possono costare la pena di morte
Sì alla pena di morte per corruzione. A patto che la cifra intascata dai trasgressori ammonti ad almeno 3 milioni di yuan (463mila dollari). E' quanto stabilito lunedì dalla Corte Suprema del Popolo, la massima autorità giudiziaria della Repubblica popolare cinese. Azioni avvenute in "circostanze estremamente gravi e che abbiano causato un impatto sociale ignobile, nonché perdite significative allo Stato e all'interesse pubblico possono essere sanzionate con la pena capitale", spiega l'agenzia statale Xinhua, chiarendo che, comunque, la sua applicazione rimane soggetta alla discrezionalità dei tribunali - sotto il controllo del Partito unico.
Mentre l'esecuzione era già opzionabile in caso di corruzione, tuttavia la nuova soglia di 3 milioni di yuan risulta, ben più alta rispetto a quella dei 100mila yuan stabilita nel 1997 e abolita lo scorso anno. L'intento è quello di punire la corruzione "con severità e in accordo alla legge", recita la Xinhua. Sempre lunedì, la stampa cinese ha inoltre annunciato che quanti ritenuti responsabili di gravi infrazioni della disciplina, o eventualmente condannati all'ergastolo, non potranno più essere rilasciati su cauzione, una condizione fino ad oggi possibile in caso di buona condotta del detenuto.
Da quando il presidente Xi Jinping ha assunto la guida del Paese, il Partito è stato falcidiato da una serie di arresti più o meno eccellenti mirati a ripulire la gerarchia comunista di tutti gli elementi "dissoluti", dall'ex zar della Sicurezza interna Zhou Yongkang ai vari quadri locali. 300mila le persone finite dietro le sbarre solanto nello scorso anno; 82mila quelle sottoposte a sanzioni pesanti come il demansionamento o l'espulsione dal Partito. Tra questi compaiono i nomi di 16 alti dirigenti e 22 ex ufficiali di livello ministeriale o superiore.
Sinora, i casi più gravi si sono conclusi con la pena di morte sospesa - che normalmente viene commutata in ergastolo dopo due anni-, come avvenuto con l'ex ministro delle Ferrovie Liu Zhijun, condannato nel 2013 per aver incassato 60 milioni di yuan in mazzette. La pena capitale è stata sostituita in reclusione a vita lo scorso anno.
Storicamente sostenuta dalla scuola Legista, ma stemperata dai Confuciani, la pena di morte è stata incoraggiata sotto il Comunismo da Lenin, per poi venire severamente osteggiata da Marx ed Engels come riflesso di una società "feudale" e simbolo dell'"oppressione capitalista". Per Mao era necessaria in una fase transitoria, ma la si doveva applicare soltanto contro un numero limitato di controrivoluzionari. Addirittura Deng Xiaoping si oppose ad una sua abolizione chiedendo che venisse comminata senza pietà contro i recidivi e i corrotti.
A partire dal 2007, Pechino ha tentato di ridurre il numero delle esecuzioni richiedendo l'approvazione della Corte suprema caso per caso. Tuttavia, rimangono ancora 55 i reati punibili con la morte, un numero molto alto per gli standard internazionali. Sebbene non vengano rilasciate statistiche ufficiali (ritenute "segreto di Stato"), si crede che il gigante asiatico mandi a morte più persone di tutto il resto del mondo messo insieme. E, secondo un sondaggio del China Youth Daily,
lo fa con il beneplacito del 73 per cento della popolazione.
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