giovedì 7 luglio 2016

Le due Cine di Sesto Fiorentino


A quasi una settimana dalle proteste violente di Sesto Fiorentino, in cui sono rimasti feriti tre operai cinesi e quattro poliziotti, la ricostruzione dei fatti ha raggiunto un punto morto. Gli scontri innescati nel pomeriggio del 29 giugno da un controllo della Asl in un capannone, hanno visto i cinesi condannare le maniere brusche adottate delle autorità durante le ispezioni e rispondere a loro volta con il lancio di pietre e bottiglie. La rivolta, che ha finito per coinvolgere nella notte di mercoledì circa 300 cinesi provenienti dalle aree limitrofe, è stata guidata da ragazzi della terza generazione di immigrati e coordinata attraverso i social, proprio come ormai avviene sempre più spesso nella Repubblica popolare durante le varie manifestazioni di piazza.

Venerdì, il ministero degli Esteri cinese ha invitato il governo italiano a «portare avanti indagini eque e ad applicare la legge in maniera civile», proteggendo allo stesso tempo i diritti e la sicurezza dei cittadini cinesi residenti in Italia. Oltre la Muraglia, la notizia è stata ripresa in forma stringata anche dal Global Times, spin off del People's Daily, mentre sul web sono emersi messaggi di solidarietà verso i huaren, i cinesi d'oltremare.

«Da queste foto capiamo che i connazionali all'estero devono unirsi tra loro. Oggi a Firenze, in Italia, la polizia ha maltrattato degli immigrati cinesi. Tutti, compreso il consolato e il governo, devono intervenire. All'estero siamo diligenti e rispettosi della legge. Speriamo che la legge riesca ad assicurarci un trattamento equo, quando innalzeremo la bandiera cinese. Non siamo una persona sola, siamo una Nazione. Compatrioti, coraggio!» scrive su Weibo miki_泪, allegando un'immagine delle proteste in bianco e nero, in cui l'unica nota di colore è rappresentata dalla bandiera rossa a cinque stelle. Più riflessivi i toni dell'imprenditore Jerry Hu che fornisce una ricostruzione degli eventi - corredata di video a testimonianza delle maniere forti adottate dalle forze dell'ordine - facendo leva sul nervosismo innescato tra gli immigrati cinesi dalle frequenti rapine rimaste impunite e sulla loro ben nota natura pacifica. Non hanno mai creato problemi, perché proprio ora?

A fare da teatro alle proteste l'Osmannoro, l'area pianeggiante compressa a sandwich tra la periferia di Firenze e Prato. Lì, fra i capannoni lungo l'autostrada A11 Firenze-mare, sorge un pezzo di Chinatown dove «ditte alveari» producono borse e portafogli di pelle. E' un'area che ormai da anni è finita sotto la lente della polizia; da quando è stato avviato il piano «Lavoro sicuro» all'indomani della tragedia di Teresa Moda, in cui nel 2013 morirono sette operai cinesi impiegati in un laboratorio-dormitorio. Da allora la Regione ha ispezionato quasi seimila aziende e incassato oltre cinque milioni di euro in sole multe. Nel febbraio 2014, proprio a Sesto Fiorentino in due capannoni di circa 1.200 metri quadrati, sono state rinvenute 21 ditte, quasi tutte a conduzione famigliare, con 42 lavoratori cinesi, di cui 23 completamente in nero e 13 irregolari. Tra gli operai anche 2 minori e 1 clandestino. Insomma, i controlli sono una prassi ricorrente a Sesto, le irregolarità anche, eppure non sempre finiscono con spargimenti di sangue.

Smentendo la possibilità che quella del 29 giugno sia stata una protesta spontanea, il governatore della Toscana Enrico Rossi ha parlato di «un'organizzazione con un obiettivo preciso», alludendo all'associazione Cervo Bianco, guidata da Ye Jiandong (detto Jack) e responsabile di una serie di spedizioni punitive contro la comunità magrebina, accusata da tempo di furti ai danni dei commercianti cinesi sotto gli occhi indifferenti delle forze dell'ordine italiane. Da sabato Jack è rinchiuso nel carcere della Dogaia in seguito all'avvio di una nuova inchiesta coordinata dalla procura di Prato sulle violenze razziali che - ufficialmente - non è collegata ai fatti del 29 giugno. Ma ufficiosamente parrebbe esserlo dal momento che il pregiudicato cinese (precedentemente in stato di semilibertà) era tra gli animatori dell'adunata organizzata davanti al Palazzo di giustizia di Firenzeall'indomani degli scontri di Sesto Fiorentino.

Il 1 giugno un altro associato di Cervo Bianco, Jacopo Hsiang, 32 anni, nato a Firenze, è finito in carcere per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, e spaccio di cocaina e ketamina.Un curriculum non male per uno che aveva diretto le proteste dello scorso 6 febbraio al Macrolotto 0, quando duemila cinesi scesero in strada per invocare maggiore sicurezza e legalità in riferimento ai numerosi scippi di cui sono bersaglio per via dell'ingente liquidità di cui dispongono - e che parte dei pratesi imputa al lavoro in nero e all'evasione fiscale, ben documentata peraltro nell'inchiesta suimoney transfer.

Mentre al momento rimane difficile stabilire con certezza se vi sia un nesso tra i tafferugli di Sesto Fiorentino e le oscure operazioni di Cervo Bianco, dal tempismo degli ultimi blitz appare evidente che questa è la pista battuta dalle autorità nostrane, col rischio si finisca per fare di tutta l'erba un fascio.

Il fatto è che c'è una Cina integrata che -stando all'ultimo rapporto della Fondazione Leone Moressa, Studi e ricerche sull'economia dell'immigrazione - in Italia produce 6 miliardi di Pil e contribuisce all'economia locale con 250 milioni di Irpef, un aumento dell'imprenditoria del 32% in cinque anni e un calo della rimesse verso il paese d'origine. E poi c'è la Cina dell'evasione fiscale - «solo sui consumi di acqua ed energia elettrica a Prato supera il miliardo» - e «della mafia che lavora per esportare i capitali, che controlla la prostituzione, certi locali, e che soprattutto controlla la tratta umana di chi arriva e poi si trova costretto a sottostare a una condizione di sfruttamento simile alla schiavitù». Sono due realtà che coesistono, complicando la posizione di tutti quei cinesi che invece tirano a campare onestamente, barcamenandosi in un sistema in cui spesso le leggi non tutelano adeguatamente i cittadini. Almeno questo è un punto che mette tutti d'accordo, cinesi e italiani.

(Pubblicato su China Files)

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