giovedì 27 luglio 2017

In Cina e Asia — Riforma delle SOEs entro l’anno


[Rassegna stampa del 27 luglio]

Riforma delle SOEs in dirittura d’arrivo

Entro al fine dell’anno tutte le società controllate dal governo centrale saranno convertite in società a responsabilità limitata o società per azioni. La decisione — resa nota ieri dal Consiglio di Stato — interessa un centinaio di aziende e arriva dopo che il problema del debito delle “zombie companies” ha tenuto banco durante il National Financial Work Conference di metà luglio. Mentre circa il 90% delle società statali è già stata posta a ristrutturazione, la deadline — che sembra richiamare l’imponente riforma del settore avviata dall’ex premier Zhu Rongji negli anni ’90 — ha lo scopo di fare chiarezza sulla proprietà delle companies per eventuali accordi di trasferimento di titoli. Questo dovrebbe inoltre invogliare investitori privati a partecipare alle cosiddette public–private partnership (PPP). Si stima che le imprese statali rappresentino circa il 70 per cento del debito cinese nel settore non finanziario.

La Foxconn corteggia Trump con un nuovo impianto

La taiwanese Foxconn aprirà un impianto per la produzione di schermi a cristalli liquidi nel Wisconsin. Salutato da Trump come una vittoria personale, l’affare da 10 miliardi di dollari dovrebbe creare 13mila posti di lavoro per gli americani. Il governatore Scott Walker ha annunciato la firma di un memorandum d’intesa e lo stanziamento di 3 miliardi di incentivi. Mentre la multinazionale ha dichiarato che l’accordo “indica l’inizio di una serie di investimenti da parte di Foxconn nella produzione americana nei prossimi anni”, la storia recente ci insegna che non sempre gli impegni presi si sono trasformati in progetti concreti. Non solo. Come sottolineato recentemente da Bloomberg, la scelta di Michigan, Wisconsin e Ohio per la possibile apertura di nuove fabbriche Foxconn sarebbe stata dettata da un calcolo politico più che economico, dal momento che si tratta di tre stati filo-Trump.

La Cina dice no agli scarti stranieri


La scorsa settimana Pechino ha notificato alla WTO l’intenzione di chiudere le porte a vari tipi di rifiuti plastici e cartacei in arrivo da oltreconfine. Il divieto sulle importazioni, che entrerà in vigore entro la fine del 2017, coprirà anche le scorie generate durante la produzione di acciaio e molti tipi di lana, cenere, cotone e filati. Sinora la seconda economia mondiale ha continuato a incamerare la spazzatura altrui per mettere le mani su quelle materie prime estraibili dagli scarti solidi. A causa delle scarse regolamentazioni, tuttavia, molte sostanze inquinanti e dannose per la salute si sono fatte ugualmente strada oltre la Muraglia. Una situazione inaccettabile in un momento storico in cui la Cina si erge a paladina dell’ecological correct.

L’anno scorso l’ex Celeste Impero ha importato 7,3 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, per un valore pari a 3,7 miliardi di dollari, ovvero al 56 per cento delle importazioni mondiali. Oltre a Hong Kong, la principale fonte di questi scarti sono il Giappone e gli Stati Uniti, che rappresentano ciascuno circa il 10 per cento del volume, secondo dati dell’International Trade Center.

Corea del Nord: popolazione sempre più indipendente dallo Stato


Mentre negli Usa si fa strada la convinzione che l’unico modo per raggiungere la denuclearizzazione della penisola coreana sia attraverso un cambio di regime al Nord, secondo un minisondaggio del Centre for Strategic and International Studies (CSIS), la maggioranza dei nordcoreani sarebbe ormai “economicamente” indipendente dalla leadership di Kim Jong-un. Lo studio rivela infatti che il 72% dei rispondenti deve tutto o buona parte del proprio reddito alle attività portate avanti presso i “jangmadang”, i mercati informali presso cui è possibile commerciare fuori dai canali statali. Dalle interviste emerge che il controllo del governo sulle attività economiche della popolazione è uno dei principali fattori di malcontento, sopratutto tra le donne (dedite al commercio mentre i mariti lavorano perlopiù in fabbrica). L’esito della ricerca rimane costante indipendentemente dall’area di provenienza degli intervistati. Nati inseguito alla terribile carestia che ha decimato la popolazione nordcoreana negli anni ’90, i jangmadang a nord del 38esimo parallelo sono ormai circa 400.

(Pubblicato su China Files)

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