martedì 1 ottobre 2013

I leader e i media


Chi meglio del Premier Li Keqing per dissipare i timori sulla tenuta dell'economia cinese? Con una mossa divenuta ormai di routine all'inizio di settembre il padre della Likonomics è apparso sulle colonne del Financial Times per rassicurare i lettori stranieri sulle politiche finanziarie del paese. L'asso nella manica del Dragone -spiega Li- è un mercato interno vastissimo, mentre la riqualificazione dell'economia nazionale aiuterà a rivitalizzare la situazione globale.

Se il primo ministro ha preso in mano carta e penna è proprio per placare l'ansia che accompagna il rallentamento della locomotiva cinese, e scongiurare l'eventualità di una fuga degli investimenti esteri alla luce di congiunture sociali complesse, spiega il Southern Weekly.

Da quando nel 2007 è entrato a far parte del Comitato permanete del Politburo, la stanza dei bottoni della politica cinese, Li ha pubblicato almeno 10 articoli sui media internazionali, 9 dei quali proprio alla vigilia di visite ufficiali nei paesi delle rispettive testate.

Che l'agenda estera comandi la mano dei leader non è una novità. Anche l'ex vicepremier Wang Yi ha cominciato a scriver per il Wall Street Journal nel maggio del 2007, poco prima del dialogo economico-strategico Cina-Usa. Ma mentre i contributi di Premier e vicepremier sulla stampa d'oltremare riguardano strettamente questioni economiche, per i presidenti la questione è differente.

"L'armonia creerà una situazione win-win e combatterà un esito lose-lose" nei rapporti tra Cina e Stati Uniti, sottolineava nel gennaio 2011 l'ex numero uno Hu Jintao in un'intervista congiunta per il Washington Post e il Wall Street Journal.

Si è invece preso qualche concessione in più Xi Jinping quando il 19 marzo, in procinto di partire per il suo primo viaggio oltreconfine da presidente in Russia e Africa, ha intrattenuto i media parlando della Coppa del mondo di calcio e di alcuni hobby personali, tra i quali il nuoto l'arrampicata, oltre al football e alla pallavolo, sue passioni di gioventù.

Nella storia recente della Repubblica popolare c'è stato poi qualcuno che ha squarciato il velo che nasconde il backstage della politica cinese, regalando ai media stranieri spunti interessanti per comprendere le alchimie segrete di Pechino. Suggerimenti assenti nelle dichiarazioni tiepide rilasciate dagli "imperatori" alla stampa nazionale. Così Deng Xiaoping, padre delle riforme e dell'apertura anni '80, ha scelto l'italiana Oriana Fallaci per rivelare la direzione che il Paese si accingeva a seguire dopo la morte di Mao. Il ritratto del Grande Timoniere in piazza Tiananmen non si tocca, giurava Deng, suggerendo come il padre della patria sarebbe rimasto una figura simbolica nonostante la leadership si accingesse a smantellarne il culto della personalità.

Nel 2000 l'allora presidente Jiang Zemin, a telecamere spente, rassicurò il suo intervistatore Mike Wallace che avrebbe potuto fare qualsiasi domanda senza limiti di tempo. Poi davanti all'obiettivo parlò senza riserve del modello di leadership collettiva abbracciata dal Pcc. Nessuna decisione, nemmeno l'intervista stessa, sarebbe potuta essere presa senza il consenso di tutti i membri del Comitato Permanete del Politburo, dichiarò Jiang.

Talvolta alcune affermazioni hanno tutto l'aspetto di essere confezionate appositamente per un pubblico non cinese, come le numerose picconate dell'ex primo ministro Wen Jiabao, -secondo molti- volte a lucidarne l'immagine di leader progressista. I suoi appelli per l'introduzione di riforme democratiche -nell'arco di un decennio mai arrivate- sono stati ripresi più volte dai media d'oltre Muraglia, in patria invece solo raramente. Una coincidenza sospetta che è valsa a Wen l'appellativo di "migliore attore della Cina".




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