sabato 26 novembre 2016

Facebook torna in Cina "armonizzato"?


«Rendere il mondo più aperto e connesso» può costare un piccolo compromesso. Lo sa bene Facebook che - secondo alcune indiscrezioni rivelate dal New York Times - avrebbe silenziosamente sviluppato un software in grado di far capitolare le resistenze dimostrate dal gigante asiatico con il pallino per la censura. Si tratta di un sistema che permette a parti terze (per esempio, società cinesi) di cancellare i post dai news feed degli utenti in base alla collocazione geografica. Al momento l'azienda americana collabora con diversi governi - quali Mosca, Islamabad e Ankara - per limitare la circolazione di informazioni sensibili sul proprio portale, rilasciando annualmente un resoconto dettagliato sul numero e la natura dei post rimossi; tra il luglio e il dicembre 2015, per esempio, i contenuti censurati sono stati 55mila in circa 20 Paesi. Il nuovo software tuttavia dà pieno potere a soggetti estranei al team di Facebook di evitare che determinati post finiscano nei news feed degli utenti cinesi.

Il prodotto, sulla cui futura implementazione non vi è certezza, non sarebbe stato ancora offerto al regime comunista e rientrerebbe soltanto tra le varie proposte ideate dal colosso di Mark Zuckerberg per facilitare un ritorno oltre la Muraglia. Facebook è stato bandito dal Paese di Mezzo nel 2009 dopo gli scontri etnici andati in scena a Urumqi, capitale della regione autonoma uigura dello Xinjiang. Da allora - come Youtube, Twitter e altri siti ritenuti «pericolosi»- il social network risulta accessibile soltanto con virtual private network (vpn), che permettono di navigare in libertà coprendo la reale identità e localizzazione del computer. Ma Zuckerberg non ha mai nascosto le sue mire cinesi, motivate dalla costante espansione del mercato locale, oggi intorno ai 700 milioni di user.

Oltre ad aver intrapreso numerose viste aldilà della Muraglia - culminate lo scorso marzo nell'incontro con il capo della propaganda Liu Yunshan -, il giovane imprenditore ha in più occasione sfoggiato la sua (migliorabile) conoscenza del mandarino e un'attenta comprensione della sensibilità cinese. Non è passata inosservata l'accortezza con cui, nel ricevere l'ex zar di internet Lu Wei un paio di anni fa, Zuckerberg abbia esposto sulla propria scrivania una copia di The Governance of China, opera edita dal Partito comunista che raccoglie discorsi e pensieri del presidente Xi Jinping. Più di recente, dirigenti del gigante della Silicon Valley hanno presenziato all'ultima World Internet Conference di Wuzhen, occasione utilizzata dalla leadership cinese per promuovere una propria visione di «cybersovranità» volta a contenere «le forze occidentali ostili», che poco si accorda ai principi di apertura e connettività professati da Facebook.

Sforzi, questi, che sinora non hanno addolcito la posizione di Pechino su un eventuale approdo del social network nella Repubblica popolare. Per il momento la cooperazione tra la compagnia americana e la seconda economia mondiale è limitata allo sfruttamento da parte delle aziende cinesi (anche statali) dei servizi pubblicitari messi a disposizione per facilitarne un'espansione all'estero. Un servizio che Facebook offre dai suoi uffici di Hong Kong; quelli presi in affitto a Pechino nel 2014 sono ancora vuoti in mancanza della licenza necessaria all'inizio delle attività. Secondo Bloomberg, anche una volta superate le resistenze delle autorità comuniste, il ritorno di Facebook richiederebbe comunque diversi anni a causa dei regolamenti volti a favorire le società locali.

Da tempo gli analisti puntano il dito contro le sfumature protezionistiche dietro alle manie censoree di Pechino, e grazie alle quali WeChat - che offre servizi analoghi a Facebook- ha raggiunto ormai gli oltre 800 milioni di utenti attivi. L'unica possibilità di successo per l'azienda statunitense consisterebbe dunque nel trovare un partner locale, a cui potenzialmente cedere il controllo delle operazioni in Cina, ipotizzano alcuni analisti interpellati dal New York Times. Sempre che i netizen cinesi abbiano davvero bisogno del social.

D'altronde, nel 2008 quando Facebook provò a lanciare una versione in caratteri riuscì ad attrarre appena 285.000 membri - su una popolazione Internet complessiva di oltre 225 milioni - mentre già allora piattaforme concorrenti, come QQ, totalizzavano decine di milioni di adepti. L'arrivo di WeChat nel 2011 ha definitivamente rivoluzionato lo scenario locale, scavalcando persino Sina Weibo (il Twitter "in salsa di soia") e trasformandosi progressivamente in una piattaforma che offre una variegata gamma di funzioni dalle videochat alle prenotazione taxi passando per i pagamenti online. Difficilmente Facebook riuscirebbe ad accontentare le aspettative dei cinesi senza passare per un massiccio restayling.

Secondo quanto raccontato al quotidiano della Grande Mela da alcuni dipendenti dell'azienda, il software, sviluppato da un team capitanato dal vicepresidente Vaughn Smith, è stato al centro di una riunione interna dello scorso luglio. Al tempo, interrogato sul futuro del social network oltre la Muraglia, Zuckerberg avrebbe risposto pragmaticamente che «per Facebook è meglio partecipare alla conversazione, anche se non si tratta ancora di una conversazione completa». Evitando di confermare le voci di corridoio, dalla società hanno fatto sapere che «stiamo cercando di capire e imparare di più del Paese. Ad ogni modo, non abbiamo ancora stabilito quale sarà il nostro approccio alla Cina. Per il momento la nostra attenzione è concentrata nell'aiutare le imprese e gli sviluppatori cinesi ad espandersi in nuovi mercati esteri tramite la nostra piattaforma ad».

Lo scoop arriva in un periodo particolarmente delicato per la creature di Zuckerberg, accusata recentemente di aver influito sul risultato finale delle presidenziali americane, permettendo la libera circolazione di rumor e notizie infondate.


(Pubblicato su China Files)

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