mercoledì 16 novembre 2016

Cybersovranità "con caratteristiche cinesi"


Può il paese con l'apparato censoreo più sofisticato al mondo assurgersi a promotore di un "internet più giusto ed equo"? Sì se il paese in questione è la seconda economia mondiale. Mercoledì per il terzo anno di fila la città cinese di Wuzhen (provincia del Zhanjiang) ha ospitato la World Internet Conference, iniziativa promossa da Pechino per sponsorizzare la propria visione di una governance globale. In apertura ai lavori, il presidente Xi Jinping ha rispolverato - in videoconferenza- il concetto lanciato lo scorso anno di "cybersovranità", vale a dire il potere di controllo assoluto che uno Stato ha sulla rete entro i propri confini nazionali.

L'evento, organizzato dalla Cyberspace Administration of China, l'organismo preposto alla censura online, ha attirato anche stavolta colossi tecnologici da tutto il mondo. Tra i presenti si annoverano dirigenti di Facebook, Microsoft, International Business Machines e Tesla Motors, sebbene l'affluenza sia stata inferiore rispetto alla scorsa edizione. Segno che all'estero la tolleranza per le politiche restrittive messe in atto dal regime comunista sta diminuendo, nonostante il paese asiatico -con i suoi 700 milioni di netizen- suggerisca prospettive di lucrosi guadagni.

Il fatto è che mentre Xi Jinping dichiarava che la Cina è intenzionata a lavorare con la comunità internazionale per "realizzare un cyberspazio aperto, inclusivo e sicuro" con "sviluppo ordinato", sulla stampa internazionale rimbalzava l'ultimo rapporto di Freedom House in cui il gigante asiatico compare per la seconda volta di fila nei gironi di bassi della libertà di internet. Per l'esattezza, la Repubblica popolare ha totalizzato un punteggio pari a 88 (su una scala da 1 a 100), ovvero sotto nazioni quali Siria, Uzbekistan, Etiopia, Iraq e Cuba. L'ong americana spiega che "decine di procedimenti relativi alla espressione online e le restrizioni legali introdotte nel 2015 hanno incrementato l'autocensura. Una legge di modifica penale aggiunto sanzioni detentive di sette anni per la diffusione di rumor sui social media (un'accusa spesso utilizzata contro chi critica le autorità), mentre alcuni utenti appartenenti a gruppi religiosi minoritari sono stati imprigionati semplicemente per aver guardato video religiosi sui loro telefoni cellulari."

Appena pochi giorni fa l'Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese, ha approvato una legge sulla cybersicurezza che fornisce al governo accesso a informazioni in grado di mettere le aziende tecnologiche straniere operanti nella Repubblica popolare in posizione di svantaggio, richiedendo loro di registrare i dati su server in Cina. Lo scopo - spiega Pechino - è quello di proteggere il Paese dal pericolo terrorismo de dai crescenti attacchi hacker. Ma governi d'oltremare e organizzazioni per la difesa dei diritti umani ci vedono una svolta protezionistica, nonché un'ulteriore stretta sulla società civile attraverso un controllo sempre più capillare di internet. Sopratutto a causa della vaghezza delle disposizioni "oggetto di interpretazione estensiva da parte delle autorità regolatrici".

Un ulteriore indizio scoraggiante arriva proprio da Wuzhen dove stavolta nemmeno agli ospiti più illustri sono state concesse deroghe al Great Firwell, il sistema cinese di sorveglianza e censura; lo scorso anno gli executive straniere avevano avuto codici speciali per potere accedere a Facebook e Google, entrambi bloccati oltre la Muraglia.


(Pubblicato su Gli Italiani)

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