lunedì 11 dicembre 2017

In Cina e Asia



Migranti in protesta contro gli sgomberi


Nella giornata di domenica, centinaia di persone hanno protestato contro gli sgomberi dei migranti avviati dal governo dopo l’incendio che il 19 novembre ha causato la morte di una ventina di persone. La marcia è andata in scena nel villaggio di Feijia, alla periferia di Pechino, non distante dal distretto artistico 798, mentre rimostranze minori hanno coinvolto Nanxiaojie, nel distretto di Daxing, il più colpito dalla campagna di pulizia contro la “popolazione low-end”. Si tratta della prima manifestazione organizzata da quando lo scorso mese le autorità hanno cominciato a rimuovere sistematicamente i migranti dalla zona — ufficialmente — per mettere in sicurezza gli edifici costruiti senza le necessarie autorizzazioni. Molte persone, private improvvisamente della loro casa, si sono ritrovate al gelo e senza un posto in cui andare. Tra la folla sono apparsi cartelloni contro “la violazione dei diritti umani”, in riferimento alla ricorrenza della Giornata mondiale dei diritti umani. Proprio ieri Usa, Canada e Ue hanno rilasciato un duro comunicato di condanna contro la repressione della libertà religiosa e di parola nel paese. In un raro slancio solidale, la sorte dei migranti di Pechino ha mosso a compassione anche la classe media di solito sprezzante nei confronti di quelli che vengono considerati cittadini di classe B.

Pechino minaccia l’annessione armata di Taiwan

“Il giorno in cui una nave della marina americana arriverà nel porto di Kaohsiung sarà il giorno in cui l’Esercito di Liberazione Popolare unificherà Taiwan con la forza militare”. Lo ha affermato venerdì scorso Li Kexin, alto funzionario dell’ambasciata cinese negli Usa, che parlando in occasione di un evento tenutosi presso la sede diplomatica cinese ha sottolineato come il National Defense Authorization Act 2018 — incoraggiando visite reciproche tra la marina statunitense e quella taiwanese — di fatto violi la Anti-Secession Law, approvata da Pechino durante le tensioni del 2005 per formalizzare l’eventualità di una riannessione dell’ex Formosa manu militari nel caso Taipei decidesse di proclamarsi indipendente. Nonostante non sussistano rapporti diplomatici ufficiali, Washington continua a rifornire l’isola di armi facendo imbestialire Pechino. Le relazioni tra le due sponde dello Stretto si sono fatte più tese nel’ultimo anno per via della posizione filoindipendentista della nuova presidente Tsai Ing-wen e delle negoziazioni con l’amministrazione Trump per la vendita di una nuova partita di armi. Le affermazioni di Li sono state aspramente condannate dal ministero degli Esteri taiwanese e dal Mainland Affairs Council.

Shenzhen supera Guangzhou

Con oltre 300 miliardi di dollari, Shenzhen, la culla delle riforme economiche anni ’80, è il nuovo motore della crescita del Guangdong, la provincia che da sola conta per il 10% del pil nazionale e che per decenni ha visto in Guangzhou, l’ex Canton, il proprio centro nevralgico. Il sorpasso è avvenuto grazie a un ritocco nel calcolo del pil che ora rubrica la spesa nella ricerca e lo sviluppo come “investimenti fissi” anziché spese operative. Una svolta per Shenzhen, che ospita sopratutto aziende private e a partecipazione straniera, ovvero le più dinamiche e produttive. Tanto per citarne alcune: Huawei, Tencent e DJI, il primo produttore di droni al mondo. Il nuovo status pone l’ex villaggio di pescatori tanto caro a Deng Xiaoping testa a testa con Hong Kong nel progetto della “Greater Bay Area”, la megaregione che nei piani di Pechino dovrebbe riunire le città di Hong Kong, Macao, Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Foshan, Zhongshan, Dongguan, Huizhou, Jiangmen e Zhaoqing a formare un hub economico altamente integrato. C’è chi crede che le fortune di Shenzhen siano sempre più legate agli smottamenti politici vissuti dall’ex colonia britannica negli ultimi anni. D’altronde la megalopoli cinese ce la sta mettendo tutta, destinando oltre il 4% del suo Pil annuo alla ricerca e allo sviluppo (quanto Corea del Sud e Israele), mentre Hong Kong spende annualmente appena l’1%. Secondo la società di ricerca Sanford C. Bernstein & Co, già dal 2018 Shenzhen potrebbe scavalcare Hong Kong in termini di Pil.

Sex toy e turismo: in Cina si moltiplicano le città “tematiche”

Cos’è una “città felice”? Secondo Yucheng, centro urbano a circa un’ora da Shanghai, è una città interamente dedicata al sesso. E’ per questo che la scorsa estate il governo locale ha stretto un accordo da 1,5 miliardi di dollari con una compagnia locale per sviluppare una strada per lo shopping di sex toy, un centro esposizioni sul sesso e un “hotel per soli adulti”. Il piano di sviluppo per la “Happy Town” di Yucheng è solo uno dei centinaia di progetti volti a valorizzare le zone rurali. Nel 2015, il governatore del Zhejiang, un vecchio amico di Xi Jinping, ha stanziato 500 miliardi di yuan per creare in tre anni 100 cittadine “tematiche”, ognuna con una sua caratteristica distintiva. Scopo primario: attrarre turisti. Lo scorso anno il progetto è stato esteso a livello nazionale, tanto che il ministero dello Sviluppo urbano e rurale ha già approvato 403 “città attraenti”. Solo la turbolenta regione dello Xinjiang ne avrebbe in cantiere ben 100. Purtroppo, come spesso accade in Cina con i progetti calati dall’alto, il piano rischia di tramutarsi in una gigantesca bolla. Lo scorso luglio, Xu Lin della National Development and Reform Commission ha dichiarato che molti di questi centri sono diventati di fatto delle “ghost town”. Nessuno infatti ci vuole veramente andare.

Il gas russo prende il largo verso l’Asia
Alla presenza di Vladimir Putin, venerdì è entrato ufficialmente in funzione lo stabilimento Yamal LNG, nell’Artico russo, con il primo carico di gas sulla gasiera-rompighiaccio Christophe de Margerie. Il progetto — che vede Novatek operare in tandem con Total, la cinese CNPC e il Silk Road Fund, il fondo istituito da Pechino nel 2014 per puntellare la nuova via della seta attraverso l’Eurasia — dovrebbe cominciare a produrre annualmente 16,5 milioni naturale liquefatto (LNG) di tonnellate di gas a partire dal 2019. Nei piani di Mosca, Yamal dovrebbe aiutare la Russia a diventare il primo produttore al mondo di LNG, primato oggi detenuto dal Qatar. Per quasi metà dell’anno, le spedizioni marittime potranno avvenire lungo la rotta del mare del Nord che permetterà al combustibile di raggiungere la Cina in soli 15 giorni circa la metà di quanto impiegato passando per l’Europa e il canale di Suez. Ed è infatti all’Asia — oltre che all’Arabia Saudita — che guarda Mosca per aggirare le sanzioni. Secondo la Xinhua, ogni anno 4 milioni di gas raggiungeranno la Grande Muraglia. Non a caso la stampa cinese ha associato lo stabilimento alla cosiddetta “Silk Road on Ice”, termine utilizzato da Xi Jinping per rilanciare la partnership con Mosca non solo lungo le rotte commerciali tradizionali ma anche attraverso l’Artico.

L’Asia musulmana in protesta contro Trump


Non si placano le proteste contro il riconoscimento di Gerusalemme capitale israeliana da parte di Trump. Nella città di domenica 5.000 indonesiani si sono riuniti davanti all’ambasciata americana di Jakarta per esprimere la propria solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Nella giornata di giovedì il presidente indonesiano aveva condannato la mossa di The Donald e convocato l’ambasciatore statunitense per chiarimenti. Per l’Islamist Prosperous Justice Party, che ha organizzato la manifestazione, quella di Trump è “una dichiarazione di ostilità verso tutto il mondo arabo”. Chiaro segno che l’inciampo diplomatico del nuovo inquilino dello Studio Ovale rischia non solo di inimicare il Medio Oriente ma anche tutti quei paesi asiatici con una forte presenza islamica, molti dei quali tradizionalmente “amici” di Washington — con il pericolo di un ulteriore isolamento nel cortile di casa della Cina. Nel weekend si sono registrate accese rimostranze anche in Malaysia, Pakistan e Bangladesh. In Pakistan a guidare le proteste è stato Hafiz Saeed, rilasciato lo scorso mese dai domiciliari a cui era stato precedentemente condannato per aver organizzato una serie di attacchi terroristici a Mumbai nel 2008. La messa in libertà di Saeed è stata fortemente criticata dagli Stati Uniti, che da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca hanno cominciato a condannare apertamente il tacito consenso con cui Islamabad lascia operare i terroristi in territorio pakistano.

(Pubblicato su China Files)

Nessun commento:

Posta un commento

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...