giovedì 21 dicembre 2017
In Cina e Asia
L’economia cinese e “il Xi pensiero”
Per i prossimi tre anni, i rischi finanziari continueranno a dominare l’agenda della leadership cinese. E’ quanto emerso dai tre giorni di colloqui a porte chiuse andati in scena come ogni anno al Jingxi Hotel di Pechino nell’ambito della central economic work conference. La Cina “combatterà l’importante battaglia per affrontare i principali rischi dando priorità alla gestione e alla prevenzione dei rischi finanziari”, ha spiegato la Xinhua prefigurando quanto verrà discusso più nel dettaglio a marzo durante l’Assemblea nazionale del popolo. Il meeting è servito a dare coerenza a quanto tratteggiato da Xi Jinping durante il Congresso di ottobre e i suoi primi cinque anni di governo. Come anticipato durante una recente riunione del Politburo, le priorità per il 2018 sono: affrontare i rischi finanziari, combattere l’inquinamento e ridurre la povertà. Si torna dunque a parlare di crescita ad “alta qualità” più che ad alta velocità. Ma i venti burrascosi che spirano dagli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump è alle prese con l’innalzamento dei tassi d’interesse e la riforma fiscale, potrebbero avere ricadute anche sulla performance economica cinese. E’ per questo che secondo fonti del WSJ, Pechino sarà costretto ad allentare la sua stretta sul debito per non soffocare troppo la crescita economia. La Conferenza, che ha riunito circa 400 funzionari, si è inoltre conclusa con la formulazione ufficiale di un nuovo contributo teoricodel leader cinese: “Il pensiero economico di Xi Jinping per il socialismo con caratteristiche cinesi di una nuova era”.
Rapporto Ue: in Cina l’intervento statale distorce il mercato
La Commissione europea ha dedicato alla Cina il suo primo rapporto sulle distorsioni di mercato, nello stesso giorno in cui sono state approvato nuove norme per calcolare il margine del dumping sulle importazioni dai paesi della WTO. Dopo due anni di dibattito, l’Unione ha deciso che si parla di dumping nel caso in cui l’esportazione delle merci avvenga al di sotto dei prezzi applicati sul mercato domestico. Questo vale per tutti i paesi membri della WTO, indipendentemente dallo status di economia di mercato (negato alla Cina), ma con alcune eccezioni. In caso di “distorsioni di mercato significative” si ricorrerà a benchmark internazionali. Il presenzialismo del Partito comunista in ogni ambito dell’economia cinese rientra a pieno titolo nella casistica delle distorsioni. Il rapporto, che consta di ben 465 pagine, fa riferimento al controllo politico delle banche cinesi (con favoritismi alle compagnie locali) alla manipolazione dei prezzi delle materie prime nonché all’intervento dello Stato nei settori dell’acciaio, dell’alluminio e dei prodotti chimici — da cui la sovraccapacità industriale contro la quale si scagliano le lobby europee e americane.
Pechino ha risposto invitando l’Ue ad osservare le norme della WTO, promettendo di attuare a sua volta misure di autodifesa.
La Cina lancia il più grande mercato di CO2 al mondo
Lo scorso martedì Pechino ha ufficialmente esteso a livello nazionale il sistema Ets, volto a controllare le emissioni inquinanti attraverso la quotazione monetaria delle emissioni stesse e il loro scambio. Dal 2013, il governo cinese stava sperimentando il meccanismo in sette aree pilota, compresa Pechino. L’obbligo di contenere le emissioni, acquistando crediti sul mercato per compensare gli eccessi, riguarderà 1.700 utilities, pari a oltre 3 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno: più del doppio rispetto al mercato Ets europeo, il primo a entrare in funzione nel 2005 e oggi il più grande, con 1,4 miliardi di tonnellate scambiate per circa 14 miliardi di euro. Per il momento, l’estensione del piano è inferiore a quella ipotizzata fino a un anno fa, quando la National Development and Reform Commission contava di coinvolgere circa 6mila imprese di diversi settori. Pochi sono i dettagli noti, a partire dai tempi stimati per la messa in funzione del sistema. Secondo China Dialogue,no profit specializzata in tematiche ambientali, il prossimo anno si dovrebbe procedere con l’assegnazione delle quote, mentre nel 2019 si aprirà una prima fase sperimentale. Entro il 2030, grazie all’Ets il gigante asiatico dovrebbe riuscire ad apportare una sforbiciata del 27% nelle emissioni di CO2. Ma secondo la NDRC solo con un aumento dei prezzi per tonnellata si riuscirà a esercitare una reale pressione sul mercato.
Coree: seconda diserzione di un soldato in un mese
Un altro soldato nordcoreano ha oltrepassato la zona demilitarizzata per raggiungere il Sud. Lo ha dichiarato quest’oggi il ministero della Difesa di Seul specificando che si tratta di un militare di “grado basso” e che la fuga è avvenuta nella sezione “centro-occidentale” della linea di confine. I movimenti dell’uomo sono stati osservati grazie alle telecamere di sorveglianza. Si tratta della seconda defezione in un mese da quando un altro giovane soldato ha effettuato una rocambolesca fuga a Panmunjom, il villaggio della tregua. Con quella di oggi, dall’inizio dell’anno salgono a quattro le diserzioni ad aver interessato la zona demilitarizzata, mentre in tutto sono 15 le persone ad essere scappate a Sud senza passare per un paese terzo. Tre volte di più rispetto al 2016. Proprio questa settimana due civili hanno disertato dopo essere stati raccolti alla deriva in prossimità della costa sudcoreana a causa di un guasto al motore della loro imbarcazione. Nel mese di novembre, la guardia costiera giapponese ha rinvenuto una barca con otto cadaveri a bordo nella prefettura di Akita, ad appena una settimana dal salvataggio di tre nordcoreani a largo della costa settentrionale.
Pyongyang vuole armare i suoi missili con le armi chimiche
La Corea del Nord sta valutando come poter armare i propri missili balistici con il batterio responsabile dell’antrace, un’infezione molto pericolosa che di solito colpisce la pelle e l’apparato gastro-intestinale o quello polmonare. Secondo fonti dell’intelligence sudcoreana riprese dal quotidiano giapponese Asahi, Pyongyang si starebbe accertando delle capacità di sopravvivenza del batterio alle temperature estreme causate dalla fase di rientro del vettore nell’atmosfera terrestre. Stando alle stime di Seul, il regime di Kim Jong-un sarebbe in possesso di 2500–5000 tonnellate di armi chimiche. “Un’assurdità” finalizzata a scatenare una guerra nucleare, secondo il ministero degli Esteri nordcoreano. Le accuse dell’Asahi rafforzano quanto affermato il giorno prima nella National Security Strategy pubblicata dalla Casa Bianca. Qui l’amministrazione Trump asserisce che, mentre il Regno Eremita affama la sua stessa gente, al contempo sta “perseguendo lo sviluppo di armi chimiche e biologiche utilizzabili anche per mezzo di missili” e in grado di minacciare gli Stati Uniti. Il costo di questo losco piano ammonta già a “centinaia di milioni di dollari”.
Nel tentativo di fermare il regime di Kim, intanto Washington avrebbe chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di inserire dieci navi nella lista nera di quanti stanno aiutando Pyongyang ad evadere le sanzioni con operazioni di trasbordo di merci proibite e quant’altro. Secondo la Reuters, il governo americano avrebbe inoltre sottoposto all’attenzione cinese la bozza per una nuova più stringente risoluzione da discutere in sede Onu.
Rappresentante speciale per i diritti umani dell’Onu bandita dal Myanmar
Il governo birmano ha vietato l’accesso al paese alla rappresentante speciale per i diritti umani dell’Onu Yanghee Lee. Lee, sarebbe dovuta recarsi in Myanmar per accertare lo stato dei diritti umani, sopratutto in riferimento alla repressione della minoranza musulmana rohingya nello stato Rakhine. A quanto pare però le autorità di Naypiydaw hanno affermato di non voler più collaborare sino alla fine del suo mandato a causa della sua “scarsa obiettività”. Come rappresentate speciale. Lee è tenuta ad effettuare due visite l’anno, l’ultima risale a luglio. “Questa dichiarazione di non cooperazione può essere vista soltanto come un’ammissione che deve esserci qualcosa di terribilmente tremendo in Rakhine, così come nel resto del paese”, si legge in una sua dichiarazione. Martedì, Bangladesh e Myanmar hanno ribadito il loro impegno per il rimpatrio dei rifugiati rohingya, a partire da gennaio. I segretari degli Esteri dei due Paesi si sono incontrati a Dhaka per finalizzare l’accordo firmato il 23 novembre che consentirà il ritorno “sicuro e volontario” non solo degli ultimi 655mila sfollati delle violenze di agosto, ma anche degli oltre 70mila dell’ottobre 2016.
Intanto non si placa la polemica sull’arresto dei due giornalisti della Reutersindagati sulla base dell’Official Secrets Act di epoca coloniale. Secondo quanto affermato ieri dal portavoce di Aung San Suu Kyi, le investigazioni sono in fase conclusiva. Dopodiché verrà loro concesso di incontrare il proprio avvocato e i famigliari.
(Pubblicato su China Files)
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