lunedì 18 dicembre 2017

In Cina e Asia




Per Trump Pechino è un “competitor”


Quest’oggi, quando Trump delineerà la sua strategia sulla sicurezza, la Cina verrà definita un “competitor” impegnato a mettere in atto “un’aggressione economica” contro gli Stati Uniti. Lo hanno riferito diversi funzionari della Casa Bianca alla stampa internazionale. Secondo una fonte del Financial Times, “è probabile che la strategia di sicurezza nazionale definisca la Cina come un concorrente in ogni ambito: non solo un concorrente ma ancheuna minaccia, e quindi, secondo molti di questa amministrazione, un avversario”. Si tratta di un ritorno alle antiche posizioni mantenute in campagne elettorale e poi ammorbidite per tentare di ottenere la collaborazione cinese sul versante nordcoreano. Ma la mancanza di progressi fatti sul fronte economico ha spinto il presidente a inasprire i toni, come dimostra il discorso tenute in corso d’Apec sugli “abusi commerciali cronici” . La nuova strategia, basata sull’America First, potrebbe non comprendere più i cambiamenti climatici tra i “pericoli” ed enfatizzare piuttosto la necessità di potenziare le forze armate e combattere il terrorismo.

Ironia della sorte, in queste stesse ore, a Pechino si sta tenendo l’annuale Central Economic Work Conference in cui la leadership definirà le priorità economiche per il 2018. A fare da stella polare, il discorso tenuto da Xi Jinping durante il Congresso di ottobre. Si parlerà, quindi, sopratutto di crescita qualitativa anziché quantitativa. Secondo la Xinhua, le “tre durissime battaglie” per il prossimo anno sono il contenimento dei rischi maggiori (sopratutto finanziari), l’eliminazione della povertà e il controllo dell’inquinamento.

Esperti cinesi: “Prepariamoci a una guerra con la Corea del Nord”

“La Corea del Nord è come una bomba a orologeria. Tutto quel che possiamo fare è tentare di posticipare l’esplosione sperando, nel frattempo, di riuscire a disinnescarla”. A pensarlo è Shi Yinhong, professore della Renmin Univerisity nonché consulente del Consiglio di Stato, che sabato ha preso parte ad una conferenza a Pechino sulla crisi nordcoreana insieme ad altri esperti cinesi. Secondo Shi e colleghi, oggi il rischio di una guerra è reale come non lo era da decenni. Sopratutto considerato il circolo vizioso di minacce in cui sono impantanati il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, sul quale la Cina non ha più controllo. Ugualmente catastrofico Wang Hongguang, ex vice comandante della regione militare di Nanchino, secondo il quale “è un periodo molto pericoloso e la Cina nordorientale dovrebbe mobilitare le proprie forze di difesa per far fronte a una guerra”. “Ciò di cui la Cina dovrebbe preoccuparsi di più è il declino della sua influenza nelle questioni strategiche legate alla penisola e il modo in cui si sta riducendo il suo status e il suo ruolo nella sicurezza dell’Asia orientale”, ha avvertito Zhu Feng, professore della Nanjing University alludendo al mancato incontro tra l’inviato cinese, recentemente in missione al Nord, e Kim Jong-un. Le preoccupazioni espresse dagli esperti arrivano mentre la provincia del Jilin si attrezza per contenere i rischi di un conflitto nucleare e dell’eventuale arrivo di profughi da oltreconfine. Pechino ha appena terminato una seconda simulazioni al computer contro un attacco missilistico insieme con Mosca.

Esecuzioni “in diretta” contro i trafficanti


Un tribunale della provincia del Guangdong ha condannato pubblicamente a morte 10 persone alla presenza di migliaia di spettatori. L’esecuzione è avvenuta in uno stadio di Lufeng pochi minuti dopo l’allontanamento del pubblico. Secondo quanto si apprende da un video, i detenuti (arrestati sopratutto per reati in materia di stupefacenti) sono stati accompagnati uno ad uno su una piccola piattaforma allestita su quella che di solito veniva usata come pista da corsa. In migliaia hanno assistito allo spettacolo, compresi studenti in uniformi scolastiche. Stando alla Ngo Dui Hua Foundation, lo scorso anno Pechino ha condannato a morte circa 2000 persone ed è ancora il paese con il più alto numero di pene capitali, sebbene i numeri esatti siano segreto di Stato. Sebbene non capiti spesso, Lufeng non è nuova a questo genere di show, che ricordano terribilmente i processi pubblici andati in scena all’epoca della Rivoluzione Culturale. Cinque mesi fa la cittadina, nota per produrre un terzo della “metanfetamina in cristalli” di tutto il paese, aveva messo alla pubblica gogna altre 8 persone.

La Cina lancia il primo volo di linea per l’Antartide


La compagnia aerea cinese HNA ha aperto la prima rotta commerciale fino all’Antartide. L’aereo, partito da Hong Kong con 22 passeggeri a bordo, è atterrato sabato al Polo Sud dopo aver fatto scalo a Cape Town. Si tratta di un inedito esperimento tutto cinese, che affranca i turisti del paese asiatico dalla dipendenza dagli operatori esteri. Dal 2007 a oggi, circa 13mila viaggiatori cinesi hanno raggiunto la terra dei ghiacci, 5000 solo tra il 2016 e il 2017. La maggior parte ci è arrivata in nave dall’Argentina. Secondo una ricerca di Ctrip, è sopratutto la voglia di respirare aria pulita che sta attraendo sempre più cinesi nel continente più a sud del mondo. Per il governo di Pechino, invece, si tratta di una regione ricca di risorse naturali e con potenzialità militari nascoste.

Ecco come Pechino alleva la nuova classe politica africana


Mentre la complicità cinese nel colpo di Stato che ha portato alle dimissioni del leader dello Zimbabwe Robert Mugabe rimane da accertare, è invece assodato l’impegno messo in atto da Pechino per formare le nuove generazioni dei leader politici africani. Fin dagli anni ’50 il gigante asiatico offre programmi di training, che ad oggi hanno coinvolto il Jubilee party, il partito di governo keniota, l’etiope People’s Revolutionary Democratic Front e il sudafricano African National Congress. Ma è sopratutto sul Sud Sudan, dove Pechino tiene parcheggiata un’unità di peacekeeping da 2600 uomini, che il gigante asiatico esercita l’ascendente maggiore, grazie a 4100 borse di studio e programmi universitari concessi fin dal 2011. Lo scorso anno, Pechino ha annunciato di voler invitare 1000 giovani politici africani, ben oltre i 200 ricevuti tra il 2011 e il 2015. Investimenti a parte, da tempo il Continente nero guarda con interesse al “modello cinese”, come una ricetta economica svincolata dalle responsabilità concernenti il rispetto dei diritti umani. Secondo un sondaggio di Afrobarometro effettuato lo scorso anno su 56.000 persone in 36 paesi africani, il 30% degli intervistati ha dichiarato che gli Stati Uniti si sono rivelati un modello di sviluppo migliore, rispetto al 24% che ha classificato la Cina prima. In Sud Africa, Nord Africa e Africa centrale, dove la presenza cinese è più marcata, tuttavia, la Repubblica popolare pareggia o addirittura vince sugli Stati Uniti.

La Cina dice addio all’avorio e i trafficanti cambiano rotta


Entro la fine di dicembre, la Cina dirà addio definitivamente all’avorio con la chiusura degli ultimi 105 laboratori per l’intaglio, come previsto da un accordo stretto tra Xi Jinping e Barack Obama nel 2015. Con una tradizione che risale alla dinastia Ming, la Cina è stata fino ad oggi il principale mercato dell’”oro bianco”. L’inasprimento dei controlli tuttavia ha fatto crollare i prezzi negli ultimi tre anni dai 2.100 dollari per chilogrammo del 2014 ai 730 dollari del febbraio 2017. Fino a quest’anno, agli artigiani era stato permesso di lavorare legalmente l’avorio proveniente dalle scorte accumulate fino al 2008, una concessione che ha fornito copertura a un vasto commercio illegale. Ma ora che Pechino fa sul serio il contrabbando sarà costretto a prendere altre strade. Secondo uno studio rilasciato da Save The Elephants, il Laos è il nuovo mercato numero uno dell’avorio, con l’80% delle vendite effettuate proprio dai turisti cinesi. Seguono il Vietnam, altro hub di punta per via del suo confine poroso con la Cina, e il “Triangolo d’oro”, ovvero l’area compresa tra Laos, Birmania e Thailandia.

Indonesia: 80mila in protesta contro Trump

Domenica, 80mila persone hanno marciato nelle strade di Jakarta per protestare contro la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. La manifestazione, diretta dall’Indonesia Ulema Council (MUI) e altri gruppi islamici è stata la più numerosa da quando il presidente americano ha reso nota l’intenzione di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv alla città santa. 20mila le forze di polizia dispiegate per evitare derive violente. “Chiediamo a tutti gli indonesiani di boicottare i prodotti degli Stati Uniti e di Israele”, ha affermato Anwar Abbas, segretario generale di Indonesian Ulema Council. Tra la folla c’è anche chi ha esortato il presidente indonesiano Jokowi a intervenire militarmente per risolvere la questione. Negli scorsi giorni, altri paesi asiatici hanno inscenato marce anti-Trump per mostrare il loro sostegno al popolo palestinese. Tra questi Pakistan, Malaysia e Bangladesh. Già inviso per via del blocco contro gli immigrati musulmani, Trump rischia di autoisolarsi ulteriormente in un continente in cui la Cina guadagna sempre più appeal.

(Pubblicato su China Files)

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