Le decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele rischia di innescare un effetto domino in Medio Oriente. E’ quanto pensa Pechino che ieri per bocca del portavoce del ministero degli Esteri ha dichiarato che “la questione sullo status di Gerusalemme è complicata e sensibile. Tutte le parti dovrebbero essere caute per mantenere la pace. Tutte le parti dovrebbero evitare di scuotere le basi a lungo termine del processo di risoluzione dei problemi palestinesi ed evitare di creare nuove divisioni nella regione “. Geng ha sottolineato come la Cina riconosca l’istituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale fin dal 1988. Allo stesso tempo il gigante asiatico ha rapporti militari e diplomatici con Israele rispettivamente dal 1979 e dal 1992. In soli 5 anni il commercio bilaterale con lo stato ebraico è passato 1 miliardo agli 11,4 miliardi di dollari del 2016 e la necessità di incamerare tecnologia ha fatto triplicare gli investimenti cinesi nel paese nell’ultimo anno. Ma più che i rapporti bilaterali per Pechino conta la stabilità regionale. In Medio Oriente passano le rotte della Nuova Via della Seta, la cintura tra Asia ed Europa divenuta cardine della politica estera cinese. Non a caso lo scorso luglio, accogliendo il presidente palestinese Mahmoud Abbas, Xi Jinping ha proposto un piano in quattro punti per pacificare le relazioni con Israele. In un’analisi della Xinhuadal titolo President Trump’s Jerusalem decision likely to undermine regional peace process, l’agenzia di stato si sofferma sulla natura politica della decisione di Trump, desideroso di compiacere “l’ala religiosa della sua base conservatrice”.
La Cina nordorientale si prepara a una crisi nucleare
La provincia cinese del Jilin, al confine con la Corea del Nord, sta prendendo molto seriamente le minacce del regime di Pyongyang. Tanto che, mercoledì, il Jilin Daily, il quotidiano locale ufficiale, ha deciso di dedicare una pagina intera per spiegare ai cittadini come difendersi da un attacco nucleare. L’articolo, corredato da fumetti esplicativi, fornisce consigli pratici su come eliminare le scorie radioattive, senza mai citare esplicitamente la Corea del Nord ma piuttosto ricordando il disastro di Hiroshima: dallo spazzolarsi le scarpe con l’acqua al pulirsi le orecchi con il cotone. Considerata la storica alleanza con Pyongyang, si tratta di una rara ammissione di impotenza davanti alle ripetute mosse azzardate di Kim, tornato di recente a minacciare il mondo con un nuovo lancio missilistico. Con lo scopo di minimizzare l’accaduto, il semiufficiale Global Times ha spiegato che, sebbene quella di un attacco nucleare sia un’ipotesi remota, “è naturale che la provincia di Jilin sia più sensibile alla situazione nella penisola coreana, data la sua particolare posizione geografica. È necessario che il giornale provinciale pubblichi informazioni sulle armi nucleari”.
Pyongyang parla di guerra ma non disdegna il dialogo
Non è una questione di se ma di quando. La guerra tra Corea del Nord e Stati Uniti “è un fatto assodato” “l’unica domanda adesso è: quando scoppierà”. Così il ministero degli Esteri nordcoreano ieri ha commentato lo svolgimento delle esercitazioni aeree tra Washington e Seul, che ieri hanno visto anche la partecipazione di un bombardiere americano B-1B. La retorica bellicista, tuttavia, sembra celare l’accondiscendenza a portare avanti un dialogo dietro le quinte. In quelle stesse ore infatti il sottosegretario generale per gli Affari politici dell’Onu, si trovava a nord del 38esimo parallelo — su invito proprio di Pyongyang — per discutere “questioni di reciproco interesse e preoccupazione”. Si tratta della prima visita di un alto funzionario Onu dal 2010. Al suo secondo giorno a Pyongyang, Jeffrey Feltman — in transito dalla Cina — ha incontrato il ministro degli Esteri Ri Yong Ho. La trasferta di Feltman segue di poco quella dell’inviato cinese Song Tao, dopo due anni di assenza, e sembra palesare le preoccupazione della comunità internazionale per la strategia con cui Trump sta rispondendo alla minaccia nordcoreana con altrettante minacce.
Intanto secondo un report dell’Institute for Science and International Security con base a Washington, sarebbero ben 49 i paesi implicati nel dribbling delle sanzioni internazionali contro Pyongyang. Nella lista nera compaiono i soliti Cina, Iran, Myanmar ma anche Francia, Germania e Brasile.
Pechino allenta il divieto sul carbone
Secondo quanto riportato oggi dal People’s Daily, il ministero della protezione ambientale ha diramato una lettera “doppiamente urgente” alle amministrazioni di Pechino, Tianjin, Hebei, Shanxi, Shandong e Henan (aree che vantano l’aria peggiore della Cina) con un messaggio inusuale: nessun divieto sull’utilizzo di carbone ed altri carburanti inquinanti nel caso in cui il processo di conversione verso il gas non sia stato ancora completato. “Il principio numero uno è quello di tenere le persone al caldo nei mesi invernali”, ha spiegato il dicastero, rispondendo alle polemiche innescate dalla crisi energetica che da giorni sta lasciando la popolazione nel nord del paese al freddo e al gelo per colpa delle scorte insufficienti e delle infrastrutture incomplete. La decisione del ministero arriva a stretto giro dall’allarme della China National Petroleum Corp (CNPC), che proprio oggi ha messo in guardia dal rischio di carenze di gas naturale in caso di un calo eccessivo delle temperature. A risentirne, ha spiegato la compagnia petrolifera, saranno in prima battuta le industrie e i residenti urbani, come testimoniano le foto apparse recentemente di studenti costretti a seguire le lezioni all’aperto per attingere al calore dei raggi solari.
Insegnava la “sottomissione femminile”: chiusa scuola nel nord della Cina
Le autorità di Fushun, nella provincia settentrionale del Liaoning, hanno fatto chiudere un controverso istituto femminile dopo la diffusione su internet di alcuni video in cui le studentesse venivano istruite a “tenere chiusa la bocca” e a non reagire quando soggette a violenze. Tra i gli altri consigli dispensati dagli insegnanti quello di non divorziare, ambire a fare carriera o avere rapporti sessuali con più di tre uomini — data la presunta “tossicità” dello sperma. “Qualunque cosa chieda tuo marito, la tua risposta dovrebbe essere: ‘Sì. Subito’”, sentenzia un docente. Secondo il Liaoshen Evening News, i corsi di 7 e 20 giorni prevedevano ogni mattina la sveglia alle 4.30 e otto ore di lavori domestici. Fondata nel 2011 dal gangster “pentito” Kang Jinsheng, la scuola ha attratto decine di migliaia di iscritti desiderosi con corsi tanto sulle “virtù femminili” quanto sulla “pietà filiale”. Ma come spiega un post sull’account Weibo dell’ufficio per l’istruzione di Fushun, “gli insegnamenti dell’istituto sono contrari alla moralità sociale e devono essere immediatamente sospesi”.
Dongguan, dalla prostituzione all’assistenza agli anziani
Fino a qualche anno fa era nota come la “sin city” cinese, ma oggi Dongguan, città-fabbrica nel delta del Fiume delle Perle, sembra voler espiare i vecchi peccati. Lontano è il tempo in cui la città ospitava circa 300mila prostitute, business di ripiego fiorito per controbilanciare le perdite del manifatturiero locale colpito dalla crisi globale. Dopo che nel 2014 un’inchiesta della CCTV ha portato allo scoperto il malaffare, Dongguan si è impegnata a cambiare pelle. E’ così che oggi alcuni degli ex bordelli più noti si sono convertiti in case di riposo per anziani. Al momento Dongguan ha oltre 30 case di cura statali, accessibili tuttavia soltanto ai residenti a basso reddito. Nel 2013, il governo cittadino ha cominciato a corteggiare i privati con incentivi pari a 10mila yuan per posto letto. Hao Xiang Kang Le, uno degli ex 100 “boutique hotel” del sesso, è una delle sei strutture private sorte in città per far fronte al rapido invecchiamento della popolazione. Gli esperti dicono che, in teoria, la Cina necessiterebbe di 13 milioni di operatori sanitari per accudire i circa 40 milioni di anziani non autosufficienti, ma attualmente le case di cura in tutto il paese impiegano meno di 200.000 assistenti.
Seul stanzia oltre 400mila dollari per uccidere Kim
La Corea del Sud ha stanziato per la prima volta un budget interamente dedicato alla cosiddetta “unità di decapitazione”, la task force incaricata di uccidere Kim Jong-un. Secondo quanto annunciato ieri dal ministero della Difesa, Il bilancio per il 2018 comprenderà 340 milioni di won (420.000 dollari) da destinare “all’acquisto di attrezzature per le forze speciali. L’equipaggiamento include un drone suicida, un drone di sorveglianza e una mitragliatrice a granate”. Il 1 dicembre le forze armate sudcoreane hanno lanciato un’unità di decapitazione a livello di brigata, che include circa 1.000 forze speciali incaricate di neutralizzare il sistema di comando e controllo della Corea del Nord in tempo di guerra andando a colpire direttamente Kim e altri alti funzionari. Citando “la triste realtà sulla sicurezza”, Seul ha annunciato che aumenterà la propria spesa militare del 7% il prossimo anno, il balzo più ampio dal 2009.
(Pubblicato su China Files)
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